Storia della Bocconi

1902-1915. Gli esordi

La donazione Bocconi


Parole chiave: Milano, Bocconi Ferdinando, Bocconi Luigi, Politecnico, Famiglia Bocconi

La decisione presa da Ferdinando Bocconi nel marzo 1898 di onorare la memoria del figlio primogenito Luigi, scomparso in Africa, nella tragica giornata di Adua di due anni prima, fornendo i mezzi per la fondazione a Milano di un Istituto superiore di Commercio, rilanciò dunque e rese per la prima volta concretamente attuabile un progetto non nuovo per la città, ma che, come si è appena visto, nonostante gli sforzi non era mai veramente decollato nel trascorso decennio. Tutto lasciava intendere che questa volta le cose sarebbero andate diversamente.

Il 12 giugno vari quotidiani cittadini pubblicarono integralmente, con grande evidenza, la lunga lettera indirizzata il 28 maggio da Bocconi a Giuseppe Colombo, facente funzione di Direttore dell’Istituto tecnico superiore in seguito alla morte, avvenuta l’anno prima, di Brioschi, con la quale si precisavano i termini dell’iniziativa e dell’offerta: 400 mila lire (250 mila da versarsi subito, le altre in dieci rate annuali), per avviare un Istituto superiore di Commercio da annettere all’Istituto tecnico superiore. Come lo stesso Bocconi metteva bene in risalto, a fornirgli l’idea e a fargli maturare nei trascorsi mesi il piano di massima (nonché a spingerlo a raddoppiare l’entità del lascito rispetto alla somma inizialmente prevista) era stato Ernesto De Angeli: un personaggio che, come si è visto, aveva a vario titolo partecipato, come consigliere comunale e come presidente per un biennio della Camera di Commercio, nonché nell’ambito dell’azione vanamente svolta dal Collegio dei Ragionieri (di cui era socio onorario), alla precedente fase di elaborazione del progetto[1]. La novità sostanziale rispetto a quest’ultima era costituita (oltre che dalla individuazione, finalmente, della fonte di finanziamento) dalla scelta, «favorita con entusiasmo» dal medesimo De Angeli e ovviamente accolta non meno positivamente da Colombo, di agganciare la nuova scuola all’Istituto tecnico superiore. Nei confronti del progetto a suo tempo elaborato nell’ambito del Collegio dei Ragionieri lo stacco era netto ed evidente. Era semmai all’altra linea che ci si ricollegava, quella occasionalmente espressa, non a caso, dall’«Industria», che postulava uno stretto collegamento del commercio coll’attività produttiva ed una parallela formazione scolastica, da graduarsi in relazione alle funzioni e al grado di iniziativa e di autonome capacità richieste[2]. La lettera a firma di Bocconi echeggiava un tale tipo di esigenze e, insieme, le ampliava nella medesima direzione: «La Scuola superiore di Commercio dovrebbe mirare a creare uomini atti ad occupare cariche importanti, non solo in aziende puramente commerciali, ma anche in aziende agrarie, industriali, bancarie, compagnie di trasporti e d’assicurazioni e via discorrendo. In tutte le imprese si sente la necessità di uomini simili». E non mancava un riscontro più diretto alla particolare funzione dell’Istituto al quale ci si sarebbe dovuti collegare: «Particolarmente utile per l’industria poi sarebbe la possibilità di avere ingegneri, i quali a cognizioni tecniche accoppiassero cognizioni commerciali notevoli, sapessero non solo produrre, ma anche organizzare l’impresa dal lato commerciale, fossero insomma capaci di diventare veri capitani d’industria, che ai capitali e al lavoro nazionale trovassero collocamento vantaggioso o assicurassero impiego duraturo». Presso l’Istituto tecnico superiore, a riprova di quanto l’esigenza fosse sentita e dai suoi animatori e dai vertici dell’imprenditoria locale, erano stati d’altronde attivati sin dal 1875-76, grazie anche all’apporto finanziario di Eugenio Cantoni, gli insegnamenti di Economia industriale e di Economia politica (tenuti da Luigi Cossa e successivamente, dal 1896, da Ulisse Gobbi). Annettendo la nuova scuola alle preesistenti strutture, dando modo agli allievi ingegneri di seguire i nuovi insegnamenti, si sarebbe notevolmente allargato il ventaglio delle loro competenze: per non dire, naturalmente, dei risparmi che si sarebbero potuti ottenere sulle spese per i docenti (alcuni dei quali avrebbero potuto rimanere comuni) e per i locali.

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Indirizzata alla «formazione di commercianti di primo ordine» (insisteva Bocconi: e si ricorderà come dell’esigenza di preparare i «capitani» del movimento commerciale avesse esplicitamente parlato l’«Industria» già dieci anni prima) l’istituenda scuola avrebbe dovuto rilasciare un titolo o una laurea che pienamente attestasse «che il giovane conosce la vita economica dei paesi più importanti come ne conosce la lingua; sa di chimica e merciologia, di geografia commerciale, di diritto commerciale, industriale e marittimo, di legislazione doganale e ferroviaria, di banche, d’assicurazioni e di tecnica del commercio; può insomma entrare in qualsiasi casa di commercio, in qualsiasi fabbrica o anche impresa agricola con un ricco corredo di cognizioni teoriche e pratiche. Per giovani che aspirino ad entrare nella carriera consolare o in qualunque ufficio governativo, per altri che desiderino acquistare titoli di docenza e in generale una graduazione ufficiale, le altre Scuole esistenti in Italia hanno già un’organizzazione adatta».

Un ulteriore motivo di differenziazione rispetto alle esistenti Scuole superiori di commercio (e a maggior ragione nei confronti di chi aveva auspicato l’istituzione presso queste ultime di sezioni specifiche di Ragioneria da aprirsi esclusivamente ai licenziati dalla corrispondente sezione dell’Istituto tecnico) era rappresentato dai titoli d’ammissione. Bocconi (o chiunque avesse steso il testo a sua firma) poneva sin d’allora come condizione che il nuovo Istituto facesse posto anche ai licenziati dai licei: salvo, eventualmente, a prevedere la frequenza da parte di questi ultimi di un corso preparatorio. L’essenziale era comunque non rendere difficile l’accesso ai diplomati delle scuole classiche, conferendo beninteso all’insegnamento «un indirizzo giustamente pratico». Un altro punto messo bene in chiaro sin d’allora era il carattere comunque autonomo dall’Istituto ospitante. Il Consiglio direttivo della nuova scuola avrebbe dovuto avere «mano libera nel formulare i programmi e ordinare i diversi insegnamenti ed anche nella scelta degli insegnanti».

Colombo nella lettera di risposta, parimenti pubblicata nella sua integrità, rispondeva naturalmente in maniera positiva su tutti i punti. Milano da lungo tempo avvertiva il bisogno di un «alto insegnamento commerciale» con le caratteristiche preconizzate: «Non mancano eccellenti scuole per formare il personale secondario o per avviare alle carriere ufficiali o professionali; ciò che manca è un istituto destinato a formare i capi-azienda, a soddisfare, nel senso più largo e più moderno, alle esigenze dell’alto commercio e dell’alta banca e delle stesse grandi intraprese industriali ed agricole». E nulla poteva meglio «disegnare il carattere e gli scopi della nuova istituzione quanto l’idea di innestarla in un istituto di studi scientifici applicati all’industria», quale quello da lui retto.

Compiuta la scelta di massima, poste le premesse e ottenuto il consenso dei destinatari, era previsto che il passo successivo consistesse nella nomina, d’intesa con De Angeli, dichiarata magna pars in questa fase del progetto, del Comitato ordinatore incaricato di compilare lo statuto e nucleo del futuro Consiglio direttivo che unitamente al futuro Direttore avrebbe retto il nuovo ente.

Le prime accoglienze erano delle più calorose. Il «Corriere della sera» (che annoverava da qualche anno De Angeli tra i suoi proprietari, unitamente a Benigno Crespi e a Pirelli) assicurò che Bocconi non avrebbe potuto «onorare il nome del figlio diletto in modo migliore»: «Nei commerci, nelle industrie, nell’agricoltura deve l’Italia cercare la sua salvezza; e mentre tutti sono persuasi che eccessivamente numerose sono fra noi le scuole dalle quali escono dottori, tutti constatano da un pezzo con dolore che troppo scarse di numero sono quelle le quali formino uomini pratici, che non tutto attendano dal Governo e dagli impieghi che esso può fornire»[3]. Due giorni prima, anticipando la notizia, il «Sole» aveva messo l’accento sul carattere tutto privato che l’iniziativa prometteva di assumere, valorizzandola conseguentemente anche per la sua portata esemplare: «A noi sorride l’idea di vedere autonomi i maggiori istituti d’insegnamento. Lo fossero le Università come lo sarà, noi crediamo, la Scuola che va a formarsi fra noi. Quando avremo molti di questi istituti autonomi, eretti in enti civili e morali, autorizzati ad ereditare, a possedere e amministrare i propri beni, essi sapranno svegliare attorno a sé l’attenzione e l’interesse del loro ambiente e soprattutto degli uomini, che hanno fede nell’alta cultura e nella scienza e credono che il bene più grande, che si possa fare al Paese sia quello appunto di aiutarle nel loro sviluppo»[4]. Sulla «Lombardia» Manfredi Camperio interpretava essenzialmente in funzione della prospettiva a lui cara l’impianto della nuova scuola, giudicando molto opportuna l’idea di associarla all’Istituto tecnico superiore e facendo al tempo stesso voti perché vi si insegnassero le principali lingue parlate e gli usi dell’Estremo Oriente, campo privilegiato dell’«avvenire commerciale d’Europa»[5]. Pubblicando anch’essa le lettere di Bocconi e di Colombo, la clerico-moderata «Lega lombarda» esprimeva a sua volta il proprio apprezzamento prendendo atto dei vantaggi che il nuovo istituto avrebbe recato alla città, «dove tante ricchezze e tante iniziative si approfitteranno largamente di una scuola destinata a diffondere la coltura richiesta per coloro che si occupano di produzione e di scambi»[6]. L’«Esercente», settimanale rivolto alle categorie commerciali, parlava di «atto di intelligente liberalità», accolto come tale dalla cittadinanza «con grandissimo plauso»[7]. Organo, come si vantava, «degli interessi mercantili d’Italia», il «Commercio» si dichiarava «per l’indole sua» il «più direttamente chiamato ad apprezzare ed applaudire l’illuminata liberalità dell’egregio industriale milanese»[8].

Secondo la «Sera», grazie a quella «splendida e generosa prova di affetto» Milano si sarebbe ulteriormente configurato come «il centro più cospicuo della vita intellettuale, industriale ed economica della Nazione»[9].


1

Sul ruolo e la figura di De Angeli, più in generale, cfr. la voce di G. Fiocca, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 33, Roma 1987, pp. 255-260.

2

Cfr. ad es. L’insegnamento commerciale, «L’Industria», 28 gennaio 1894, pp. 49-50.

3

«Corriere della sera», 12-13 giugno 1898, Per un Istituto Superiore di Commercio. Istituzione «Bocconi».

4

«Il Sole», 10-11 giugno 1898, Un esempio.

5

«La Lombardia», 16 giugno 1898, M. Camperio, La Scuola Superiore di Commercio Luigi Bocconi.

6

«Lega lombarda», 12-13 giugno 1898, Istituzione «Bocconi» per un Istituto Superiore di Commercio.

7

«L’Esercente», 12 giugno 1898, Cronaca cittadina.

8

«Il Commercio», 12-13 giugno 1898, L’iniziativa Bocconi per gli studi commerciali a Milano.

9

«La Sera», 13 giugno 1898, Notizie della Città. Per un Istituto Superiore di Commercio in Milano.