Storia della Bocconi

1902-1915. Gli esordi

All’ombra del Politecnico


Parole chiave: Milano, Politecnico, Famiglia Bocconi

Rispetto alla violenta frattura tra le varie componenti della politica cittadina che gli eventi e le scelte adottate nel maggio ’98 introdussero, o per dir meglio accentuarono e resero più drammatica e drastica, la donazione Bocconi, in sé, si collocava per molti versi su un altro piano e si poteva dire che entro certi limiti ne prescindesse. La formula – una elargizione generosa messa al servizio di una esigenza di progresso a onore della città – corrispondeva in definitiva ad una prassi consolidata, apparentemente e a prima vista non toccata dalle circostanze del tutto eccezionali con le quali era venuta a coincidere. Queste, semmai, potevano renderla significativa (almeno secondo alcuni) sotto un altro profilo. Ritornando il 15 giugno 1898 sull’iniziativa e commentando le linee del progetto così come era stato appena reso noto, il «Sole» tanto più, ad esempio, lo valorizzava in quanto vi scorgeva un segno di «fiducia inestinguibile negli effetti perenni del connubio fra capitale e lavoro, e del sentimento della solidarietà sociale, di cui è sì grande il bisogno nella presente crisi». Lo stesso modello di insegnamento che veniva proposto sembrava per tanti versi porsi al di là e al di sopra delle contingenze, postulando (era sempre il giornale citato a sostenerlo) «un’armonica unione degli studi classici e degli studi tecnici, della coltura antica e della coltura moderna, della tradizione e dell’evoluzione», offrendo nel contempo «una nuova e splendida via per l’avvenire della gioventù operosa»[1].

Il nuovo progetto si inseriva d’altronde entro un panorama di ben definite presenze, tutte legate all’impegno progettuale ed alla capacità realizzatrice di elementi provenienti dalle fila moderate, o comunque poste sotto la loro egida. Valeva per il Politecnico di Brioschi e Colombo, come per l’Accademia scientifico-letteraria, dove il grecista Virgilio Inama avrebbe di lì a poco festeggiato i 25 anni di presidenza[2], come per la Scuola superiore d’Agricoltura promossa da Gaetano Cantoni. Per non dire dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere, all’epoca presieduto da Gaetano Negri (il quale esercitava una sorta di funzione tutoria anche sull’ambiente dell’appena nominata Accademia scientifico-letteraria). «La metropoli lombarda deve per fatale necessità divenire uno dei maggiori focolari dell’alta cultura in Italia»: la «Perseveranza» lo sosteneva, valorizzando quanto realizzato sin lì e preannunciando il «più lusinghiero avvenire» anche per il nuovo istituto commerciale in gestazione[3], in una prospettiva d’assoluta continuità sotto il profilo delle forze cittadine chiamate ad assumersi le responsabilità relative.

Anche se magari si esitava a dirlo apertamente, l’attribuzione ancora a Colombo, unitamente a De Angeli, del ruolo principale nella progettazione della nuova istituzione promossa da Bocconi, poteva semmai destare qualche apprensione o malumore per l’ulteriore estensione del ruolo e del peso, già molto ampio se non preponderante, del Politecnico sul complesso delle istituzioni superiori cittadine cui per tale via si sarebbe dato origine. Espressioni di inquietudine per la piega specifica che stava prendendo il progetto e per l’estromissione di cui si rischiava di restare vittime venivano inoltre dall’ambito della categoria professionale sin lì più attiva nel postulare (pur con i magri risultati che si sono descritti) l’opportunità d’una Scuola superiore di commercio. Immediatamente riunito il 13 giugno 1898, il Collegio dei Ragionieri si affrettò a manifestare il proprio caldo plauso, trovando nel contempo modo di ricordare che la «sapiente munificenza» di Bocconi avrebbe pur sempre dato attuazione ad una propria «costante aspirazione». Assumeva un analogo significato anche l’auspicio, parallelamente avanzato, che Weill-Schott destinasse la somma a suo tempo messa a disposizione del Collegio «ad incremento dell’opera del cav. Bocconi»: un altro modo per ricordare che si avevano i titoli per essere della partita. Sulla medesima linea si schierava il «Commercio», favorevole a che la dotazione Weill-Schott fosse destinata «ad istituire uno speciale corso di perfezionamento per le pratiche applicazioni della ragioneria nella nuova scuola di commercio, ovvero a dotare alcune borse di studio a favore dei più distinti giovani che la frequenteranno»[4]. Il nuovo presidente del Collegio dei Ragionieri, Leopoldo Della Porta, assicurava in ogni caso d’essere «in relazione personale» con De Angeli e Colombo e con lo stesso Bocconi e che avrebbe quindi chiesto loro che «nella commissione che si formerà per l’organizzazione del funzionamento del nuovo Istituto abbia da aver parte la rappresentanza del Collegio»[5].

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L’esistenza nello stesso ambito moderato di apprensioni e divergenze rispetto all’andamento del progetto, o quanto meno per taluni suoi aspetti specifici, era attestata dall’accoglienza che la «Perseveranza» riservò, all’inizio di giugno del 1899, al bando di concorso all’ufficio di preside dell’istituenda nuova Facoltà commerciale (secondo la configurazione originale che si era nel frattempo deciso di assegnarle). Mettendo bene in chiaro che le riserve non riguardavano il «benemerito donatore» bensì coloro ai quali questi si era affidato per definire l’ordinamento della sua creatura, l’anonimo articolista contestava, per cominciare, l’entità dello stipendio previsto. Assegnando al preside 8 mila lire, cioè «più della metà del reddito della dotazione», era quantomeno dubbio che il rimanente potesse risultare sufficiente ai vari insegnamenti e alle restanti necessità dell’istituzione, «per quanto modesta la si voglia immaginare». Nel bando si prevedeva poi che l’eletto (designato da una Commissione composta, oltre che da Colombo e De Angeli, dal senatore ed economista genovese Gerolamo Boccardo, da Luigi Luzzatti e da Salvatore Cognetti de Martiis, promotore della Scuola superiore di Commercio di Bari e, più recentemente, del Laboratorio di Economia politica di Torino) potesse essere, indifferentemente, docente di economia politica ovvero di banco-modello: una alternativa giudicata a dir poco incomprensibile e incongrua, anche considerato che del secondo insegnamento non sarebbe stata ben chiara la fisionomia neppure ai suoi stessi sostenitori. Altro punto che sollevava critiche era la previsione di inviare il vincitore a visitare le scuole superiori di commercio operanti all’estero:

dunque si ammette a priori che egli, sebbene vincitore in così solenne concorso, sebbene provvisto di un emolumento davvero eccezionale, non conosca già le Istituzioni, non numerose di certo, affini a quella che è chiamata a dirigere, e non abbia il concetto chiaro degli scopi di questa, così da dover fare degli studi: e farli all’estero, si intende, perché nel nostro paese nulla v’ è a questo riguardo che meriti considerazione?

Al di là dei punti specifici, quel che soprattutto si contestava era il modo col quale eran stati trattati quanti, in città, avrebbero ben avuto il diritto di dire la loro su un progetto che li riguardava così direttamente:

Si tratta di una Istituzione che deve sorgere in Milano, cioè nella città che non è seconda ad alcuna nel movimento commerciale, in essa largamente rappresentato dalle sua feconde iniziative, dall’importanza e dal numero degli affari che vi si trattano, da scuole speciali governative e provate di vario grado, da sodalizi di professionisti e di ben noti cultori di studi attinenti al commercio ed alle amministrazioni, a cui sono dovute non poche e reputate pubblicazioni periodiche e non periodiche, ecc. Ma tutto ciò pare sia sfuggito alla Commissione del concorso, mentre doveva essere il punto di partenza dei suoi studi.

Dando con ciò forse la chiave per capire da dove più in particolare venisse l’attacco, seguiva un esplicito richiamo al mancato coinvolgimento dell’Istituto tecnico:

Informarsi poi di tutto quello che principalmente occorrerebbe per completare, estendere, perfezionare la coltura generale e professionale che si impartisce nella Sezione di Commercio e Ragioneria dell’Istituto tecnico di Milano, la più frequentata del Regno, che conta ben quarant’anni di vita vigorosa, i cui licenziati sono a centinaia disseminati e fanno buona prova nei commerci, nei Banchi, nelle amministrazioni pubbliche e private, nell’insegnamento, ecc., l’occuparsi dei mezzi più opportuni ed adatti di preparazione alle loro carriere professionali; tutto ciò non risulta che abbia fermato l’attenzione dei componenti la Commissione. In essa entra, è vero, un distinto rappresentante delle industrie di Milano, ma nessuno che, direttamente, ne rappresenti i bisogni del commercio in quanto possano venir meglio soddisfatti dagli insegnamenti e dalle scuole[6].

Identificandosi con i motivi della protesta, il «Bollettino del Collegio dei Ragionieri» espresse il proprio consenso, ripubblicando integralmente il pezzo[7]. Al successivo Congresso nazionale che si svolse a Venezia in luglio, la delegazione milanese assunse poi, ancora una volta, in materia di istruzione la posizione più oltranzista, sostenendo che «l’insegnamento della ragioneria da introdursi nelle università [doveva] essere inteso come insegnamento proprio di una facoltà determinata e speciale di ragioneria o di scienza amministrativa»[8]. La contrapposizione rispetto a quanto veniva maturando era evidente.

Chiamato direttamente in causa dal citato intervento della «Perseveranza», De Angeli aveva nel frattempo replicato, o fatto replicare, tramite l’«Industria». Lo statuto nella nuova Facoltà (questa scrisse) era al contrario frutto di «un lavoro lungo e meditato, dell’opera e del consiglio di molte autorevoli persone» e spiaceva vederlo «giudicato con molta leggerezza da persona che non si è presa nemmeno la pena di leggerlo attentamente». In particolare, per quel che riguardava la dotazione finanziaria, l’illazione circa lo stipendio del preside non teneva conto del parallelo impegno di Bocconi a versare altre 150 mila lire in ratei annuali per un decennio, da destinare appunto alle spese di funzionamento. Quanto al banco-modello, non era altro che l’applicazione del Bureau commercial attivato da anni con pieno successo dalla Scuola superiore di Anversa: «Parlare quindi del “banco modello” come d’una cosa nuova, mai attuata, non bene definita, mentre una scuola vive e fiorisce imperniandosi su di essa è arte di polemica che in simili argomenti dovrebbe essere bandita». Aver poi previsto che il preside potesse essere in alternativa docente di economia o di banco-modello (un altro dei punti contestati) voleva solo significare che per una simile funzione era richiesto un elemento che avesse «o una conoscenza profonda delle discipline economiche» o «una vasta esperienza, correlata naturalmente da una sana coltura»: «occorreva specificare che il preside deve avere per teoria o per pratica una larga conoscenza del fenomeno economico in senso largo, e non soltanto di una disciplina sussidiaria come potrebbe essere la ragioneria, la geografia commerciale e simili». Ad alimentar gli equivoci potevano in realtà provvedere solo quanti s’attardavano nell’opinione «che la Facoltà commerciale non debba essere se non una scuola superiore di ragioneria». Ma assolutamente non doveva essere quello l’obiettivo: «La ragioneria non sarà che una delle discipline nella Facoltà commerciale: vasta coltura commerciale e vasta coltura di ragioneria non sono punto sinonimi». Tutto andava insomma interpretato nella chiave di qualche malrisposta ambizione personale frustrata: «è forse presumer troppo di sé stessi credere che si sarebbe stati meglio atti a coprire l’ufficio dei cinque uomini che formeranno la commissione giudicatrice»[9].

Rispetto alla restante stampa moderata la «Perseveranza» faceva in ogni modo caso a sé. Quando giunse notizia, qualche settimana più tardi, che i direttori delle tre Scuole superiori di commercio esistenti avrebbero protestato presso il Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio perché la nuova Facoltà milanese s’era posta sotto la tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, nonché per il suo carattere autonomo e per la concorrenza che avrebbe esercitato ai danni delle scuole statali, il «Corriere della sera» parlò di ragioni assolutamente «speciose»: «La prima è cavillo burocratico, che non val proprio la pena di confutare. La seconda urta con il principio della libertà d’insegnamento, che, in paesi veramente progrediti come l’Inghilterra, ha dato e dà frutti meravigliosi. (…) E quanto alla terza ragione – che si debba evitare la concorrenza alle scuole governative – ci pare che queste dalla concorrenza possano cavarne il vantaggio dell’esempio»[10]. Sulla medesima linea, la «Sera» parlava di pretesti «futili, irrisori», coi quali si tentava «di contendere al comm. Bocconi la realizzazione del suo splendido disegno ed alla prima città industriale d’Italia di goderne i vantaggi». Il governo era pertanto invitato a respingere «il deplorevole tentativ[11]. Analogamente, il «Sole» deprecò «che le sorti del nostro progresso commerciale siano affidate a persone che antepongono al nobile scopo della diffusione degli studi così necessari allo sviluppo economico d’Italia, grette considerazioni di concorrenza e di rivalità»[12].

Dal punto di vista della collocazione delle forze cittadine rispetto all’iniziativa in gestazione non era meno degno di nota che sulle medesime posizioni si attestasse anche l’«Osservatore cattolico», che parlava a sua volta di «obbiezioni che non meritano di essere prese sul serio», a cominciare dalla «più curiosa», quella relativa alla concorrenza: «in quanto sveglia l’emulazione, la gara per raggiungere ogni possibile miglioramento, è desiderabile, e spesso torna salutare»[13]. La «Lega lombarda» augurava dal canto suo che «nessuna eccezione rilevante» intervenisse ad impedire il regolare avvio dei corsi nei termini auspicati, cioè per l’anno scolastico 1899-1900[14] .

Non dimostrava invece particolare attenzione o impegno la radical-moderata «Lombardia», che si limitava a dare la notizia dell’invio a Roma dello statuto e della nota accompagnatoria con cui si chiedeva l’erezione in ente morale e la conseguente attivazione entro l’anno[15]. Quanto al «Secolo», era di per sé eloquente la mancanza non solo di commenti ma addirittura di notizie, quasi che il progetto neppure esistesse. Il silenzio non fu rotto neppure quando la Commissione a suo tempo insediata, dopo varie tergiversazioni, sembrò scegliere tra i candidati per il posto di preside Maffeo Pantaleoni, liberista e all’epoca considerato uomo dell’Estrema sinistra (eletto come tale dal collegio di Macerata in una tornata suppletiva nel marzo 1900, e successivamente confermato in giugno). A metà dicembre sarà il «Sole», nella persistente indifferenza del quotidiano democratico e in assenza di altri riscontri che aiutino a far più luce sull’episodio, a rilevare che qualcosa non stava evidentemente funzionando, se era vero, come correva voce, che al vincitore erano state «proposte condizioni, che la sua dignità di scienziato non gli permisero di accettare», essendosi preteso che sconfessasse «talune sue idee liberiste e si votasse al verbo protezionista, o quanto meno si astenesse dal combatterlo»[16].

Il mancato inizio delle attività e la mancata designazione del direttore segnarono in ogni caso anche la fine della prima fase del progetto, quella svoltasi all’ombra, ad un tempo, del Politecnico e dei vertici dell’industrialismo moderato locale, rispettivamente rappresentati da Colombo e da De Angeli. Nel dicembre 1899 intervenne il cambio della guardia a palazzo Marino. E si è già ricordata la clamorosa sconfitta di Colombo alle elezioni politiche del giugno successivo, solo parzialmente compensata dalla nomina a senatore in novembre. A maggior ragione in mancanza di riferimenti documentari sarebbe evidentemente arbitrario stabilire connessioni troppo strette e specifiche tra il mutamento del quadro politico-amministrativo cittadino (e la parallela, relativa eclissi della figura di Colombo) e gli sviluppi che qui interessano del progetto Bocconi, destinato ad entrare nella sua fase concretamente operativa, su nuove basi, solo nel 1901-2.

Anche tenuto conto di alcune tra le più vistose differenze tra i due statuti – quello del 1899 rimasto sulla carta e quello del 1902, entrato in vigore – si può d’altronde supporre che, indipendentemente da ogni altro ordine di influenze, sia stato comunque determinante per il fallimento del primo progetto lo scarso spazio in esso lasciato al fondatore ed alla sua famiglia nella gestione ordinaria della nuova scuola. In tale testo (che il lettore troverà riprodotto nell’Appendice documentaria e sul quale ci si sofferma più ampiamente nel capitolo successivo) era previsto infatti che Bocconi facesse parte di diritto del relativo Consiglio direttivo: ma era questa la sua unica prerogativa. Una sola voce, insomma, rispetto ad altre sei sicuramente disposte a tesser periodicamente le lodi del munifico donatore, ma anche a procedere al caso in piena autonomia nell’utilizzo delle risorse da questi messe a disposizione e a cercarne eventualmente altre in funzione delle esigenze di sviluppo dell’ente e dei suoi bisogni. Si aggiunga che del Consiglio in questione avrebbero dovuto far parte, con Colombo in qualità di direttore del Politecnico, altri cinque membri, da eleggersi, con procedura alquanto insolita, da una commissione composta dai rappresentanti del Governo, della Provincia, del Comune, della Camera di Commercio, della Cassa di Risparmio, del Collegio dei Ragionieri, «e di quegli enti che concorrano all’incremento della Facoltà»: una sorta di designazione di secondo grado, da eseguire comunque «fra persone che risiedano a Milano e appaiano atte, per la loro esperienza e per la loro cultura nelle materie commerciali, a reggere l’istituzione», che, oltre a rafforzare l’indipendenza dal fondatore, sarebbe servita ad evitare vincoli diretti e specifici con i singoli enti chiamati in causa (e in particolare, si può supporre, con quello politicamente ormai più insicuro, vale a dire il Comune). Per contro si sarebbe aperto il varco ad una più ampia rappresentanza nella commissione incaricata di scegliere il Consiglio direttivo agli esponenti del mondo commerciale e industriale disponibili a contribuire alla vita finanziaria nel nuovo ente. Inutile aggiungere che una più ampia presenza di elementi di quell’estrazione, per lo più omogenei al mondo del Politecnico, avrebbe ulteriormente garantito, al di là della conclamata autonomia, la sostanziale aggregazione e la funzionalità rispetto a quest’ultimo del nuovo Istituto. Ci si può forse spingere anche un poco più in là sul terreno delle supposizioni, immaginando che da un simile organismo non sarebbe di sicuro rimasto fuori De Angeli, che della nuova Facoltà era stato il sostanziale promotore e che avrebbe potuto nella nuova veste continuare ad influenzarla in maniera determinante. Di certo da una combinazione del genere il ruolo di Bocconi sarebbe uscito sminuito: si può anche capire, quindi, che il diretto interessato o i suoi familiari potessero giudicarlo del tutto sproporzionato rispetto all’impegno finanziario assunto, traendone l’incentivo a ritrarsene e a ripartire su nuove basi meglio garantite anche sotto simile profilo.


1

«Il Sole», 15 giugno 1898, Sulla Scuola Superiore di Commercio in Milano.

2

Per i relativi festeggiamenti cfr. «La Perseveranza», 9 novembre 1902, Le onoranze a Virgilio Inama pel 25° di rettorato.

3

«La Perseveranza», 9 novembre 1898, Milano e lo sviluppo dell’alta cultura.

4

«Il Commercio», 14 giugno 1898, L’Istituto Commerciale Bocconi.

5

Cfr. i verbali delle sedute dal 13 al 30 giugno 1898 in «Bollettino del Collegio dei Ragionieri in Milano», aprile-giugno 1898, pp. 13-17. Ivi, p. 34 (A proposito dell’iniziativa Bocconi), il testo della mozione votata dall’Assemblea del 14 di quello stesso mese.

6

«La Perseveranza», 3 giugno 1899, La Facoltà commerciale «Luigi Bocconi». Sulle posizioni del di- rettore dell’Istituto tecnico Bardelli cfr. altresì «Il Commercio», 12 gennaio 1899, G. Bardelli, Le scuole superiori di commercio giudicate nel Consiglio comunale.

7

La Facoltà commerciale «Luigi Bocconi», «Bollettino del Collegio dei Ragionieri in Milano», aprile-maggio-giugno 1899, pp. 32 e segg.

8

Atti del VII Congresso nazionale dei Ragionieri tenutosi a Venezia nel mese di luglio 1899, Venezia 1900, p. 132 (intervento del vice presidente del Collegio di Milano Enrico Gambusera).

9

La Facoltà commerciale Luigi Bocconi, «L’Industria», 11 giugno 1899, pp. 369-371.

10

«Corriere della sera», 27-28 giugno 1899, A proposito di un Istituto superiore di commercio a Milano. Successive precisazioni permettevano di chiarire che una protesta nei termini riferiti da parte dei responsabili delle Scuole superiori di commercio non c’era stata. Che diffidenze esistessero da quel lato nei confronti del nuovo istituto che stava per sorgere a Milano era d’altra parte incontestabile. Il «Corriere della sera» ne confutava il fondamento mettendo l’accento sulle pecche e sulle disfunzioni proprie delle Scuole superiori di commercio e pubblicando a questo fine stralci delle osservazioni di un anonimo collaboratore che le conosceva bene per avervi fatto i suoi studi e che ammoniva, se si voleva dar vita ad un istituto vitale, a distaccarsene completamente nell’ordinamento e nei programmi (5-6 luglio 1899, A proposito di una scuola commerciale in Milano).

11

«La Sera», 28 giugno 1899, La fondazione Luigi Bocconi.

12

«Il Sole», 29 giugno 1899, Cronaca cittadina. Contro l’Istituto superiore di commercio.

13

«L’Osservatore cattolico», 28-29 giugno 1899, Contro l’Istituto Bocconi.

14

«Lega lombarda», 1-2 luglio 1899, La Facoltà Commerciale Bocconi.

15

«La Lombardia», 1° luglio 1899, L’istituzione «Luigi Bocconi».

16

«Il Sole», 13 dicembre 1899, La Direzione della Facoltà Commerciale Bocconi. Per ulteriori riferimenti all’episodio cfr. più avanti nel presente volume il contributo di M. Romani.