Storia della Bocconi

1902-1915. Gli esordi

Il fondatore e il forgiatore. Ferdinando Bocconi e Leopoldo Sabbatini: alle origini dell’Università Bocconi


Parole chiave: Presidente Sabbatini Leopoldo, Bocconi Ferdinando, Gestione finanziaria, Strutture organizzative, Rettore Sabbatini Leopoldo

a) Il momento progettuale

L’impegno e l’entusiasmo spesi da Leopoldo Sabbatini nell’impresa furono tali che, nel giro di un anno, egli fu in grado di presentare l’articolato progetto di un’istituzione universitaria dagli straordinari aspetti innovativi, essendo il frutto di uno sforzo di sintesi teso a far tesoro di tutto quanto sino a quel momento era stato pensato o realizzato in Occidente nel campo dell’insegnamento commerciale superiore[1].

Al momento di accettare l’incarico di pensare l’Università Bocconi Sabbatini entrava nel quarantesimo anno di età e da quindici anni illustrava con la sua opera la Camera di commercio di Milano[2], dapprima come vice-segretario e in seguito (1888) in qualità di segretario generale. Nato a Camerino nel 1861 da Eugenio e da Silvia Piermarini[3] – e proveniente da Pisa, dove aveva conseguito la laurea in giurisprudenza[4], aveva contratto matrimonio con Maria Cardelli, di alcuni anni più anziana di lui (era nata a Pisa il 18 settembre 1856) ed aveva iniziato la pratica forense –, egli aveva ben presto saputo imporsi all’attenzione del mondo economico milanese per la vastità degli interessi e l’eccezionale capacità di lavoro che gli avrebbero consentito di condurre in porto, praticamente da solo, la monumentale indagine sulle condizioni dell’industria in provincia di Milano (che Luigi Bodio gli pubblicò in seguito negli «Annali di Statistica») e di avviare tutta una serie di iniziative volte ad esaltare il ruolo delle camere di commercio e dar vita a istituzioni atte a favorire la crescita delle esportazioni italiane[5]. Nel frattempo continuava a coltivare quell’interesse per l’istruzione popolare e tecnica, che si era precocemente manifestato nel periodo pisano, divenendo ben presto l’esperto camerale sul tema e il rappresentante della Camera di commercio in seno al consorzio per la gestione delle scuole professionali operaie milanesi, del quale sarebbe ben presto diventato il presidente[6].

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La posizione che egli occupava – e che tra l’altro gli consentiva l’accesso alla ricca biblioteca camerale, oltre a tenerlo in contatto con le forze imprenditoriali, politiche e intellettuali più vive della nazione –, la curiosità intellettuale, la militanza nella massoneria[7], in seno alla quale era stato designato quale responsabile per l’istruzione in area milanese, l’appassionato interesse per i problemi economici e sociali del Paese, l’esperienza maturata alla guida delle scuole professionali, la ferma convinzione che nell’istruzione tecnica stesse una delle chiavi dello sviluppo economico fecero sì che fosse nella condizione ideale per elaborare, in breve tempo, quel progetto che, titolato Sull’ordinamento di un Istituto Superiore di Commercio, nei primi giorni del 1901, egli inviò per l’approvazione a Ferdinando Bocconi[8].

Il documento in questione risulta del tutto privo di quell’apparato critico-scientifico che sarà premesso alla relazione che Sabbatini presenterà, nel 1906, all’VIII congresso internazionale sull’istruzione commerciale[9], nella quale si fa una vera e propria storia delle tappe che connotano il diffondersi dell’insegnamento commerciale medio e superiore in Occidente nel XIX secolo e si presentano le diverse opzioni dei sistemi educativi dei paesi europei e americani in ordine alla ratio studiorum delle scuole di commercio e delle università commerciali; in compenso, però, esso dimostra che Sabbatini costruì il suo progetto partendo da una minuziosa disamina del piano predisposto nel 1898.

Il discorso si articola in due momenti: una pars destruens critica puntigliosamente le precedenti ipotesi (essa sarà opportunamente espunta nella versione definitiva) e una pars costruens individua e propone nuovi percorsi didattici e organizzativi.

Ernesto De Angeli, Sabbatini lo ricorda più volte, si è limitato a riprodurre, sia pur con qualche miglioramento, il modello adottato nelle scuole superiori di commercio, che si impernia sull’esigenza di «assicurare agli allievi unicamente (sottolineatura nostra) una buona conoscenza degli strumenti di lavoro… delle aziende commerciali; a ciò che usciti dalla scuola ed entrati in una casa di commercio non abbiano duopo più di alcun tirocinio pratico, salvo che quello necessario a conoscere i singoli affari speciali trattati dalla Casa a cui si trovino addetti». Non che si tratti di finalità men che meritorie: le regie scuole superiori hanno svolto in Italia un ruolo non secondario nel formare i quadri intermedi e inferiori nel commercio e nei servizi, a «porre i giovani che si destinano al commercio in condizione di poter meglio affrontare le dure esigenze della vita degli affari, col sussidio di più larghe e più complete cognizioni pratiche»; tuttavia il percorso didattico e gli insegnamenti che esse propongono paiono inadatti a fornire gli strumenti conoscitivi atti a comprendere e a dominare una realtà dilatata dal cambiamento di scala delle economie e resa più complessa dall’internazionalizzazione degli scambi in un regime di aspre tenzoni commerciali fra le nazioni[10]; da qui la necessità di riformarne profondamente il curricolo dando vita a «nuovi istituti che impartiscano la cultura la più elevata, veramente scientifica, la cultura che è necessaria, indispensabile a chi sia chiamato, per circostanze di fortuna o di famiglia – o per proposito suo – a prendere nel movimento dei grandi traffici posizione eminente… Una nuova scuola di commercio che meriti veramente il nome di superiore, per raggiungere il grado universitario, non può più restare confinata – come si proponeva nel primitivo progetto – nei limiti di un insegnamento professionale pratico; deve assurgere allo studio largo, approfondito, scientifico delle discipline economiche. La nuova scuola deve essere anzitutto un istituto di alti studi economici»[11].

Nella ipotesi di Sabbatini, la scienza economica diviene elemento fondante della nuova «facoltà commerciale»[12]. Essa permea di sé l’intero ciclo di studi, il quale dovrà essere organizzato in modo da presentare i fondamenti di tutte quelle discipline che concorrono a fornire una complessa e concreta comprensione del mondo economico: «… questo dev’essere il vero obbiettivo, il principalissimo scopo… Una scientifica conoscenza dei fenomeni economici e delle leggi che li governano, una completa preparazione dei giovani alla soluzione di tutti i più difficili e complessi problemi della vita sociale è cosa di tanto momento e di tanta difficoltà che non può derivare dallo studio isolato di un complesso organico di insegnamenti tutti preordinati al medesimo fine e larghi così da abbracciare ogni manifestazione, ogni lato dell’attività economica»[13].

Coerentemente con queste generali petizioni di principio Sabbatini presenta una dettagliata analisi dell’ordinamento didattico proposto. Nel documento si definisce il titolo di studio necessario per l’ammissione[14]; si estende la durata del corso di laurea a quattro anni[15]; si propone una gerarchizzazione degli insegnamenti, distinguendoli in generali e speciali – affidando ai primi il compito di fornire i fondamenti istituzionali e una solida base culturale; mentre ai secondi, offerti in opzione agli studenti, si riserva il ruolo di garantire «una conveniente e completa preparazione dei giovani alla vita degli affari, una preparazione che assicuri loro per quanto è possibile la specializzazione della cultura in corrispondenza alla specializzazione delle attività che la varietà e insieme la complessità della vita contemporanea esigono»[16].

Nella parte dedicata al ruolo delle singole discipline nella formazione del futuro dottore in scienze commerciali Sabbatini, dopo aver reiterato le sue critiche nei confronti dei «compilatori dell’antico progetto, fanno posto all’economia politica nel programma della scuola, come ad una materia complementare», ne esplicita minuziosamente il peso e le funzioni: «Noi proponiamo di istituire nelle scuole una vera sezione di studi economici, spina dorsale dell’istituto. Premesso un corso di sociologia, per rivelare ai giovani le leggi che hanno governato sin qui la formazione e l’evoluzione della gran famiglia umana, crediamo essenziale di aggiungere alla economia pura un corso di economia nazionale sociale, la quale, a complemento ed integrazione degli insegnamenti strettamente teorici, studi, con riguardo alle particolari contingenze locali, l’applicazione delle astratte leggi economiche alla società e alle nazioni… Tale dev’essere l’Istituto Luigi Bocconi. Sarà il primo in Italia, e forse in Europa che verrà ad affermare l’inizio di una nuova era nell’insegnamento commerciale, portando ai commerci, come è doveroso, il sussidio di quello stesso elevato grado di coltura che da tempo è stato assicurato all’esercizio di ogni altra professione liberale… Accanto a queste discipline non può mancare la scienza delle finanze – oggi che da un lato la produzione e gli scambi sono la base principale su cui si erige la pubblica finanza e che d’altro lato le leggi finanziarie dello Stato hanno così diretta influenza sullo sviluppo delle industrie e dei commerci sia interni dei singoli stati, sia nei rapporti internazionali. Lo stesso concetto dell’importanza di questi studi ci porta a… chiedere che a questo complesso di insegnamenti venga dato non meno di un terzo del tempo che la scuola concede alle lezioni»[17].

Minore importanza il futuro Rettore attribuisce agli insegnamenti giuridici: il nuovo istituto non è e non dev’essere una scuola di legge, ma una scuola economica dove l’insegnamento del diritto dovrà limitarsi a quelle parti indispensabili a offrire ai discenti «soltanto un qualche corredo di nozioni destinate a servire nella pratica; un elemento di sicurezza, di tranquillità per i commercianti nella trattazione degli affari»[18].

Trattamento non dissimile è riservato all’insegnamento del «banco modello»: la disciplina-perno nelle scuole superiori di commercio, liquidata come un semplice esercizio di pratica degli affari, incapace «di portare davvero un efficace, un potente contributo alla cultura scientifica dei giovani… (di) prepararli a dirigere la vita economica del Paese» è ridotta a poche ore la settimana[19].

Per le lingue straniere si suggerisce addirittura la soppressione dell’insegnamento (o la sua drastica riduzione a poche ore svolte al primo anno di corso), nella convinzione che la loro conoscenza debba addirittura porsi come precondizione per quanti intendono dedicarsi agli «alti studi commerciali».

b) Ferdinando Bocconi e il progetto Sabbatini

Il progetto elaborato da Sabbatini fu inviato a Ferdinando Bocconi assieme a un dettagliato Preventivo delle spese occorenti per l’impianto ed il funzionamento di un Istituto di alti studi commerciali[20], espressamente sollecitato dall’uomo d’affari milanese che, con una certa preoccupazione, vedeva prospettarsi un impegno finanziario ben superiore a quello inizialmente preventivato.

Alle sue timide proposte di contenere al possibile le spese di primo impianto e di funzionamento, Sabbatini rispondeva con decisione che sarebbe stato un grave errore subordinare a considerazioni finanziarie un’iniziativa tanto importante per gli interessi generali del Paese. E per essere ancor più chiaro aggiungeva: «Il programma dell’Istituto costituisce un insieme organico che deve essere attuato in ogni sua parte, se si vuole che i risultati rispondano all’aspettativa. Togliere, per ragioni finanziarie, un qualche insegnamento, scemare l’elevatezza dei corsi, non assicurando all’Istituto un corpo insegnante di valore e grandemente scientifico, significa rinunziare a quell’estensione e profondità di studi che solo può dare alla scuola un carattere veramente universitario, veramente superiore»[21].

Venendo alla quantificazione dei costi di gestione dell’Università egli ipotizzava un esborso annuo di circa 90.000 lire, di cui 80.000 destinate a remunerare il personale docente e non docente; 4.000 per la dotazione della biblioteca «economico commerciale, tanto più necessaria a Milano in quanto manca affatto tale indispensabile elemento di coltura»; 2.000 per il gabinetto di merceologia e 5.000 per le spese generali e i servizi di segreteria. Quanto alle singole retribuzioni, egli proponeva si erogassero 8.000 lire annue al direttore della scuola, 6.000 ad ognuno dei titolari delle sei cattedre di primo livello (economia, scienza delle finanze, statistica, geografia e storia commerciale, banco commerciale e merceologia)[22], 3.000 al «professore straordinario» di diritto commerciale e di istituzioni di diritto, 2.000 a ciascuno degli incaricati di discipline «tecniche» (4 «materie speciali», legislazione commerciale e industriale, aritmetica commerciale, ragioneria) e, infine, lire 1.500 ai docenti di lingua straniera. Al personale amministrativo: un segretario-bibliotecario, un cassiere-contabile, un impiegato d’ordine, un portiere e quattro bidelli, sarebbero andate rispettivamente lire 4.000, 3.000, 1.500 e 1.000.

La predisposizione del budget dava al suo estensore il destro per affrontare la questione della direzione della scuola. Discorrendo della retribuzione prevista per il direttore egli si chiedeva se costui avrebbe dovuto essere o no un docente. Esaminati gli aspetti positivi e negativi delle due opzioni, concludeva osservando che solo ragioni di economia avrebbero potuto indurre «il fondatore» a preferire un direttore-docente[23]. Le ragioni della cultura e i superiori interessi della nascitura istituzione avrebbero, invece, richiesto una persona che vi si dedicasse a tempo pieno, profondendo ogni sforzo nella organizzazione e nella gestione dell’università Bocconi[24]. Deve essere, egli suggeriva, un uomo «in grado di assumere con profondità di convincimento e con larghezza di azione l’iniziativa nostra, e sappia portarla a pieno svolgimento, formando a Milano il centro di studi commerciali più moderno e più alto che esista in Europa».

Sabbatini, che sicuramente pensava a se stesso, non peccava certo di modestia; ma egli aveva certamente ragione e avrebbe saputo dimostrare con l’azione, e pagare con la vita, la sua profonda, totale dedizione all’Istituzione di cui, non a torto, si sentiva il «padre naturale»[25].

L’impegno profuso nella ideazione della Università non gli impediva di svolgere, con grande intelligenza, il ruolo di segretario camerale; anzi, proprio di questo periodo sono le riflessioni che lo avrebbero condotto a studiare in profondità la struttura della bilancia commerciale italiana[26] e a rilevare l’esigenza di istituzioni che si prendessero in carico la diffusione dei prodotti italiani sui mercati stranieri. Da qui la promozione di una Società Commissionaria Italiana per l’Esportazione, con un capitale di 3.000.000 di lire, della quale egli sarebbe stato il primo presidente, nonché l’elaborazione di un progetto volto a dar vita a un organismo coordinatore dell’azione delle camere di commercio[27], «col fine supremo di creare in materia economica, come venne creata nell’ordine politico, una coscienza nazionale che integri e rinsaldi il felice rinnovamento del Paese»[28] e la sua concreta realizzazione in quella Unione delle Camere di Commercio di cui sarebbe divenuto il primo direttore.

Ferdinando Bocconi valutò con estremo interesse il progetto inviatogli dal segretario camerale, limitandosi a manifestare qualche perplessità sull’idea di escludere il personale docente dalla rosa dei possibili candidati al posto di direttore della scuola e a osservare che lo spazio riservato all’insegnamento delle lingue straniere gli pareva veramente troppo esiguo, data la scarsa preparazione che gli studenti ricevevano in quelle discipline nelle scuole secondarie.

Ai primi rilievi Sabbatini rispose ribadendo fermamente le sue precedenti convinzioni[29]; ai secondi egli dovette, a malincuore, riconoscere un fondamento e promise al «fondatore» di rivedere l’ipotesi[30] nel senso da lui suggerito.

Maggiori critiche, da buon uomo d’affari, Bocconi mosse, invece, al preventivo di spesa. Egli si chiedeva, se, soprattutto nella prima fase, non sarebbe stato possibile realizzare qualche economia di bilancio risparmiando sul personale docente, limitando la dotazione della biblioteca, riducendo il personale amministrativo, contenendo al massimo le spese generali.

Limitate economie, ribatteva Sabbatini, sarebbero forse state possibili, ma esse non erano certamente auspicabili né nei confronti del personale non docente, già ridotto all’osso, né lesinando i finanziamenti alla biblioteca, alla quale, anzi, si sarebbe dovuto dedicare ogni attenzione e ogni cura. «Il nuovo Istituto non può prescindere in modo assoluto dal sussidio di una biblioteca tenuta rigorosamente e largamente in corrente di tutte le opere moderne che abbiano attinenza con gli insegnamenti impartiti nella scuola», egli scriveva, «… è necessario che la biblioteca possieda un materiale ricco, copioso, moderno; che gli acquisti siano diretti con criteri scientifici per fornire agli studenti la manifestazione sempre fresca, sempre rinnovata del pensiero contemporaneo in tutto il mondo. Gli studenti possono, debbono, apprendere assai più in biblioteca con lo studio diretto delle opere scientifiche e dai documenti statistici che non alle lezioni degli insegnanti. I professori, in un alto istituto scientifico, non possono dare che l’indirizzo e l’impulso allo studio individuale degli allievi; i quali debbono svolgere, completare da sé sui libri gli insegnamenti orali. Del resto una biblioteca costituirà sempre un grandissimo titolo d’onore per il nuovo istituto; il quale anche in ciò verrà a provvedere ad un bisogno vivamente sentito. Come manca al Paese un’alta scuola di studi economici, così manca un centro che raccolga i più eletti documenti della attività scientifica di tutti i popoli nel campo delle dottrine economiche. Sarà grande attrattiva per il nuovo Istituto l’organizzazione di una biblioteca con questo indirizzo, con questi criteri, coi metodi bibliografici più recenti. Nulla pertanto è possibile – a mio avviso – di economizzare su questo capitolo».

Unico settore nel quale, con molta riluttanza, il marchigiano ammetteva la possibilità di qualche risparmio era quello della docenza; dove, almeno per i primi anni, sarebbe stato possibile, ma didatticamente poco opportuno, assegnare per incarico anche quelle discipline che avrebbero dovuto essere coperte «con la nomina di professori ordinari, cioè di insegnanti del più alto valore scientifico». La proposta che Sabbatini fece a denti stretti incontrò il pieno favore del «fondatore» e del comitato direttivo delineando un percorso che l’università Bocconi avrebbe seguito per oltre un cinquantennio[31].

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c) Il momento organizzativo e la nascita della Bocconi

Definito nelle sue linee generali il progetto, si trattava ora di renderlo operativo elaborando uno statuto che consentisse all’ente di ottenere il riconoscimento formale dallo Stato; costruendo un edificio nel quale ospitare l’università; nominandone il consiglio direttivo; definendone i programmi; prendendo i primi contatti coi docenti; cercando di dare all’iniziativa quella pubblicità che, si sperava, avrebbe fatto accorrere allievi da ogni parte d’Italia, e forse anche dall’estero.

A dotare l’istituzione di una sede si impegnò Ferdinando Bocconi il quale, individuata a Brera un’area che gli sembrava atta allo scopo, senza por tempo in mezzo, acquistò la stessa dal comune di Milano e diede l’avvio ai lavori per la sua costruzione, affidandone la sovraintendenza al «giovane e valente capomastro milanese Riccardo Bossi»[32].

Libero Lenti ci ha lasciato una vivida immagine di questa prima Bocconi calata nell’atmosfera del vecchio quartiere milanese: «La vecchia sede della Bocconi: un edificio a ferro di cavallo costruito su tre piani sul principio del secolo. S’affacciava su uno slargo, piazza Statuto, e si snodava su due vie laterali: via Statuto e via Palermo. Due nomi che, assieme a molti altri di strade vicine e meno vicine, evocavano battaglie regie e garibaldine». Vecchia, quindi, ma solo per i nostri ricordi. Difatti la sede sembrava ancora nuova tra gli edifici costruiti sessant’anni prima, quando Milano, dopo l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, superata la cerchia dei Navigli, aveva cominciato a dilatarsi nei Corpi santi seguendo il corso del naviglio della Martesana.

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Risolto il problema della sede si trattava ora di mettere a punto l’ipotesi formulata da Sabbatini. Ad un preliminare esame della stessa, al numero 70 di Corso Venezia, in un caldo pomeriggio del 5 luglio 1901, Bocconi convocò alcuni notabili e uomini di cultura milanesi ai quali sottopose il progetto: Carlo Cornaggia, Anselmo Ronchetti, Cesare Mangili, Giuseppe Oliva, Luigi Rossi, Angelo Salmoiraghi[34]. Da questo e da altri incontri[35], tenutisi in casa Bocconi, emersero quelle indicazioni e quei suggerimenti che sarebbero stati compendiati nelle Linee generali per la compilazione dello Statuto dell’Università[36]. In esse, definito il nome e le finalità dell’istituzione; indicati i compiti del direttore e del corpo docente; proposti i criteri per l’ammissione degli allievi; elencati i mezzi finanziari a disposizione, si determinava la composizione e le funzioni del consiglio direttivo. Dello stesso avrebbe dovuto far parte un membro di diritto (Ferdinando Bocconi o un suo rappresentante), due membri nominati direttamente dal fondatore (Giuseppe Colombo e Leopoldo Sabbatini, per i quali si proponeva la durata in carica per dieci anni), quattro membri di nomina esterna (Comune, Amministrazione provinciale, Camera di commercio e Cassa di risparmio di Lombardia), in carica per quattro anni.

La composizione del consiglio direttivo sarebbe stata profondamente modificata nella redazione finale dello Statuto, che prevedeva nove membri[37], di cui cinque «nominati dal Fondatore o da chi per esso» e quattro dalle istituzioni milanesi ricordate in precedenza. Evidentemente Ferdinando Bocconi, preoccupato di tenere ben salde le redini della sua Università, aveva deciso di riservare a se stesso la nomina della maggioranza in seno al consiglio.

Notevoli cambiamenti vennero pure apportati al piano didattico immaginato da Sabbatini. La Tabella 2.1, nella quale sono indicate le discipline fondamentali proposte nel progetto De Angeli, nel primo progetto Sabbatini e nel programma definitivo, consente di definire con chiarezza il percorso intellettuale seguito dai fondatori dell’università per pervenire al disegno finale.

Al di là del fatto che, come si è più volte osservato, con Sabbatini muta la logica sottostante il progetto (la trasformazione del biennio in quadriennio decreta il passaggio dalla scuola superiore all’università, d’altro canto già prevista nella seconda ipotesi De Angeli), la stessa modificazione dei pesi relativi delle diverse aree disciplinari delinea le differenti preoccupazioni dei due estensori (Tabella 2.2): in De Angeli la visione è ancora immersa nella logica volta ad assicurare agli allievi una cultura di immediata applicazione pratica. La parte riconosciuta al banco modello, alle lingue straniere, alla «chimica e merciologia», all’algebra e calcolo mercantile (60% dei corsi) sottendono «il concetto di assicurare unicamente una buona conoscenza degli istrumenti di lavoro delle aziende commerciali»[38]. In Sabbatini, invece, «tutto l’ordinamento e tutti gli insegnamenti sono coordinati e preordinati ad assicurare nella scolaresca una scientifica preparazione intellettuale, una severa disciplina di pensiero, una sicura attitudine e competenza ad esaminare e risolvere i più complessi problemi della vita economica»[39] – e in questa chiave si spiega il diverso peso attribuito alle scienze economiche (44% nella prima versione e 42% in quella definitiva, contro il 22% proposto da De Angeli) e il tentativo di pervenire a un «giusto equilibrio» tra esigenze scientifiche e necessità pratiche, combinando un primo biennio di studi teorici con un secondo di studi applicati.

 

Tabella 2.1

Progetto De Angeli

Discipline

Ore per settimana

I corso

II corso

Banco o pratica commerciale

 10

10

Algebra e calcolo mercantile

3

3

Economia politica

5

5

Chimica e merciologia

3

3

Geografia commerciale

2

2

Storia del commercio

--

2

Diritto commerciale e marittimo

3

3

Tecnologia

--

2

Lingua e letteratura francese

2

2

Lingua e letteratura inglese

3

3

Lingua e letteratura tedesca

3

3

In complesso

36

36

 

Primo progetto Sabbatini

 

Discipline

Ore settimanali di lezione nei singoli anni di corso

I

II

III

IV

Gruppo I – Scienze economiche

 

 

 

 

Introduzione allo studio delle scienze economiche

3

--

--

--

Trattato completo di economia teorica e applicata

3

3

3

3

Trattato completo di scienza d. finanze teorica e applicata

2

3

3

3

Statistica

2

2

2

3

Storia del commercio

--

2

2

--

In complesso per il I gruppo

 

10

10

10

9

Gruppo II – Scienze esatte e naturali, contabilità, ecc.

 

 

 

 

Aritmetica commerciale e matematica finanziaria

3

3

--

--

Ragioneria, computisteria e contabilità

3

2

2

--

Banco commerciale

--

4

4

4

Merceologia e tecnologia

2

3

3

--

Geografia commerciale

2

2

2

2

In complesso per il II gruppo

 

12

14

11

6

Gruppo III – Scienze giuridiche

 

 

 

 

Introduzione allo studio delle scienze giuridiche

3

--

--

--

Diritto commerciale, marittimo e internazionale

--

3

3

3

Legislazione speciale sulle industrie e sui commerci

--

--

3

3

In complesso per il III gruppo

3

3

6

6

In totale

26

27

27

20

 

Programma attuato alla Bocconi

Discipline

Ore settimanali di lezione nei singoli anni di corso

I

II

III

IV

I. Corsi di scienze economiche

 

 

 

 

Principi di economia politica

3

3

--

--

Storia e critica dei principali Istituti economici

--

--

3

3

Scienza delle finanze e contabilità dello Stato

--

3

3

--

Principii di statistica

3

--

--

--

Statistica demografica ed economica

--

3

--

--

Storia del commercio

--

--

3

--

Geografia commerciale

3

2

--

--

Corsi speciali

--

--

3

9

  

9

11

12

12

II. Corsi tecnici

 

 

 

 

Matematica finanziaria

3

3

--

--

Contabilità generale e applicata

3

3

--

--

Banco modello

--

--

3

4

Merceologia

--

--

3

3

6

6

6

7

III. Corsi di scienze giuridiche

 

 

 

 

Diritto costituzionale e diritto amministrativo

3

--

--

--

Istituzioni di diritto privato

3

--

--

--

Diritto commerciale e industriale

--

3

2

 --

Diritto internazionale, specialmente ne’ suoi rapporti col commercio

--

--

--

2

 

6

3

2

2

IV. Corsi di lingue straniere

 

 

 

 

Lingue francese, inglese, tedesca, spagnola

6

6

6

5

In complesso

27

26

26

26

 

Davanti a tutta una serie di opzioni possibili, comprese in un intervallo delimitato da una parte dalle scelte operate dal Board of tecnical education londinese, che rifiutava ogni tipo di preparazione tecnica o professionale, come «non degna di imitazione in una scuola universitaria»[40], e dall’altra, dalle esperienze pionieristiche dell’Istituto superiore di Anversa, dalle Handelsschülen e Akademien dei paesi di lingua tedesca o dai Business or Commercial Colleges inglesi o americani (per non parlare delle scuole superiori di commercio italiane, tutte volte ad «assicurare agli allievi unicamente una buona conoscenza degli istrumenti di lavoro delle aziende commerciali»)[41], la soluzione proposta da Sabbatini, e affinata nelle riunioni in casa Bocconi, volta a «coordinare armonicamente la coltura scientifica… con tutto un complesso di insegnamenti speciali e di insegnamenti professionali»[42], diverrà il fondamento della nuova università milanese. Questa stessa, presentata, discussa e fatta propria, nel 1906, dai partecipanti all’VIII congresso internazionale per l’insegnamento commerciale[43] finirà per costituire una sorta di idealtipo al quale, a lungo, faranno riferimento le università commerciali in Occidente.

 

Tabella 2.2 Peso relativo dei diversi gruppi di insegnamenti nei progetti De Angeli e Sabbatini.

Insegnamenti

De Angeli

%

Sabbatini 1

%

Sabbatini 2

%

Scienze economiche

22,2

44,3

41,9

Scienze esatte e contabilità

47,2

33,8

23,8

Scienze giuridiche

8,4

17,0

12,4

Lingue straniere

22,2

4,9

21,9

 

d) Verso la fondazione dell’Università

Con la primavera del ’92, definito lo Statuto e il Regolamento dell’Università e rivista la Distribuzione delle materie d’insegnamento[44], Bocconi e Sabbatini decisero che era giunto il momento di uscire allo scoperto presentando la nuova istituzione alle autorità[45] e alla stampa.

Unica nota discordante fra le numerosissime manifestazioni di plauso e di incoraggiamento ricevute dal «fondatore»[46], fu una voce di dissenso, che si tradusse in un durissimo attacco che, dalle pagine del Corriere, venne portato al progetto e al suo autore[47].

Nel lungo articolo (ispirato sicuramente da De Angeli – e forse da Colombo?)[48] l’anonimo estensore riandava alle vicende che, nel 1898, avevano spinto Ferdinando Bocconi ad affidare a Giuseppe Colombo il compito di pensare la nuova scuola; ricordava la paziente e intelligente elaborazione del piano e dello statuto operata dal direttore del Politecnico e da Ernesto De Angeli, le pratiche avviate col ministero della pubblica istruzione per ottenere il riconoscimento della stessa, l’inizio del concorso per la scelta del direttore, la contrastata vittoria di Pantaleoni, il suo sdegnato rifiuto e poi un lungo, inspiegabile silenzio durato tre anni, nel corso dei quali il primitivo programma era stato accantonato, così come era stata abbandonata l’idea di vincolare le sorti della Bocconi a quelle del Politecnico[49].

E, improvvisamente, un nuovo progetto, un nuovo edificio, una nuova istituzione senza alcun legame col Regio Istituto Tecnico Superiore e un nuovo statuto «tanto inferiore al primo che noi dubitiamo esso possa valere come base di una grande Scuola superiore. C’è di buono quanto fu tolto dallo Statuto precedente, di cattivo quasi tutto quanto fu aggiunto»[50].

Da qui tutta una serie di critiche serrate alle nuove opzioni: alla composizione del consiglio[51], al prolungamento dei corsi da tre a quattro anni, alla minuziosa regolamentazione del curriculum studiorum voluta da Sabbatini[52], alla sua visione del rapporto tra scienza e prassi[53], allo scarso peso attribuito alle materie giuridiche e al ruolo centrale riconosciuto all’economia politica nella formazione del giovane commerciante.

«Leggi del mondo economico» si scriveva «Chi nega che anche queste leggi non debbano essere apprese? Ma chi anche non sa quanto magre, deficienti, incerte e controverse esse siano; come alla determinazione rigida che esse tentano, sfugga ognora più il fenomeno economico mutevole ed evolvente? Ben misero patrimonio di cultura sarebbe per un commerciante quello che si compendiasse nella conoscenza di siffatte leggi; patrimonio forse nocivo, ché il dottrinarismo non farà del danno a un professore di università, ma ne può recar tanto ad un commerciante, specie se operi su vasto campo. Economia politica sì; anzi, anche di più: storia dell’economia che riveli tutta la relatività e la deficienza delle varie dottrine concepite dalla mente umana; e poi metodologia; e poi finanza; e poi statistica, e specializzazione in questo o quel ramo dell’economia: credito, banche, moneta, economia industriale, ecc., insomma veda lo studente tanti quadri di quella vita in cui vuole tuffarsi; e ne apprenda la tecnica»[54].

Alle conclusioni, tuttavia, si riservavano le allusioni più velenose, nel tentativo di incrinare il rapporto tra il «fondatore» e l’autore del progetto, attraverso una sorta di contrapposizione tra il primo, generoso ma ingenuo, e il secondo, un astuto profittatore che aveva deviato il Bocconi dalla retta via e di rimettere in discussione l’intera questione: «Altro avremmo da dire… Ma basti ciò che fu detto a giustificare l’impressione nostra che meglio sarebbe stato attenersi al primo statuto e ai primi propositi. La generosità del Bocconi giunta sino a dedicare un milione al nobile scopo, avrebbe potuto, accanto al Politecnico, alimentare un Istituto superiore che in tre anni svolgesse un programma completo, svariato e geniale di studi commerciali, che si mantenesse in contatto continuo e immediato colla vita vera dei traffici, non si fossilizzasse in un dottrinarismo funesto. Invece Bocconi si è pentito dei primi buoni passi e si è messo per altra via. A noi pare via sbagliata e lo diciamo francamente finché c’è tempo di riparare, in nome di quell’alto interesse pubblico che ha suggerito la fondazione»[55].

Le aspre rampogne, che avevano avuto tanto spazio in una sede così prestigio sa, non dovettero mancare di sollevare lo scompiglio tra le fila bocconiane (e forse il «fondatore» fu lì lì per tornare sui suoi passi); ma proprio la parzialità delle critiche, la loro sospetta durezza, la incrollabile fede di Sabbatini e le numerose testimonianze di solidarietà e di stima ricevute[56] indussero Ferdinando ad accelerare vieppiù i tempi, nella convinzione che, più che innescare sterili polemiche, valeva la pena operare per la completa realizzazione dell’opera, a completare la quale non restava ormai altro che il superamento degli ultimi ostacoli che la burocrazia ministeriale poneva alla richiesta di erezione in ente morale presentata dall’Università al ministero della pubblica istruzione[57].

Alla domanda era stato allegato un dettagliato pro-memoria in cui si compendiavano le ragioni per le quali essa avrebbe dovuto essere accolta. Ancora una volta il leit-motif era la scientificità degli insegnamenti impartiti, la serietà degli studi da compiersi, le differenze esistenti rispetto alle scuole superiori di commercio, i rigorosi criteri dettati dal consiglio per l’ammissione degli allievi, la qualità del corpo insegnante «un insieme omogeneo di professori tra i più reputati che oggi onorino la cattedra in Italia», la ricca dotazione della biblioteca, il cospicuo legato dei Bocconi e via discorrendo.

La risposta del ministro, pur non facendosi attendere, non offriva l’agognato riconoscimento, ma richiedeva un supplemento di istruttoria in ordine a una serie di rilievi mossi dal Consiglio di Stato. Ci si chiedeva come l’Università avrebbe potuto sostentarsi nel momento in cui fosse venuto a mancare il supporto finanziario del grande imprenditore milanese e, in particolare, quale sistemazione sarebbe stata possibile alla scadenza del comodato che le attribuiva, a titolo gratuito, il godimento del palazzo di piazza Statuto per un decennio – tanto più che, nello stesso periodo, sarebbe venuta a mancare l’annualità corrisposta dal «fondatore», né si poteva ragionevolmente supporre che i ricavi provenienti dalle rette versate dagli iscritti sarebbero stati sufficienti a far fronte ai costi, o che altri avrebbe potuto supplire alla generosità di Ferdinando Bocconi[58].

Sabbatini, confortato anche dall’opinione di Luigi Albertini, riteneva tali dubbi sarebbero stati al più presto chiariti. Il fresco direttore del Corriere gli faceva sapere che le perplessità manifestatesi in seno al Consiglio di Stato erano legate al timore che, una volta venuto meno il mecenatismo privato, il peso della Bocconi sarebbe finito col gravare sulle finanze statali. Si trattava, come egli aveva fatto presente ad alcuni consiglieri, di una realtà molto remota, per non dire del tutto improbabile, poiché «iniziative di simil genere a Milano non vengono mai a morire per mancanza di mezzi e… non c’è da temere che il fardello possa cadere in un’epoca più o meno prossima sulle spalle dello Stato, come si potrebbe temere se l’istituto sorgesse in qualche altro paese»[59]. Il tutto, egli concludeva, si sarebbe tradotto in un semplice rinvio del riconoscimento – tanto più se Ferdinando Bocconi avesse accettato il suggerimento del ministro della pubblica istruzione di manifestare per iscritto la sua disponibilità ad ospitare l’università in piazza Statuto (sia pure a titolo oneroso), anche oltre il primo decennio di vita[60], assicurando così alla stessa la possibilità di continuare a fruire di una sede adeguata, condizione che i membri del Consiglio di Stato reputavano essenziale per la sopravvivenza dell’istituzione.

Da Roma, dove si era recato per seguirne l’iter burocratico, Sabbatini, qualche giorno dopo, poteva comunicare trionfalmente l’integrale approvazione dello statuto e l’imminente sottoscrizione da parte del re del decreto che erigeva l’università Bocconi a ente morale[61].

Il viaggio nella capitale era stato, inoltre, portatore di altre importanti novità. Il presidente, grazie alle sue conoscenze ministeriali, era riuscito ad ottenere la promessa che, ai fini del rinvio del servizio militare, gli studenti della Bocconi sarebbero stati equiparati a quelli delle regie università: un risultato che gli sembrava di grande rilievo strategico al fine di veder riconosciuto alla scuola milanese lo status di Università[62].

A quel momento il progetto poteva dirsi in gran parte realizzato: si era operativamente tradotto l’impegnativo programma di Leopoldo Sabbatini e si era riusciti ad ottenere l’ambito riconoscimento ministeriale; un moderno edificio era pronto ad accogliere i primi iscritti, che non si dubitava sarebbero accorsi numerosi da tutta Italia, grazie anche all’interesse che il direttore dell’Unione delle Camere di Commercio aveva saputo creare attorno all’impresa, attraverso un’accorta campagna di stampa e a una capillare informazione sui caratteri innovativi della nuova scuola milanese fatta attraverso le camere di commercio italiane; si stava, infine, trattando con alcuni tra i più prestigiosi docenti universitari italiani (da Gaetano Mosca ad Angelo Sraffa, da Ulisse Gobbi a Maffeo Pantaleoni, da Alfredo Ascoli a Rodolfo Benini, da Achille Loria a Giovanni Maglione) al fine di indurli ad entrare nei ranghi della Bocconi – e molti di questi, nonostante l’esiguità dei compensi offerti, avevano già dichiarato la loro disponibilità, affascinati dalla sfida intellettuale a cui erano stati chiamati e sedotti dall’autorità di Ferdinando Bocconi e di Leopoldo Sabbatini.

E che gli sforzi del «fondatore» e del «forgiatore» della nuova università commerciale fossero destinati a dare frutti abbondanti e duraturi si sarebbe potuto verificare già l’anno seguente, quando il primo Annuario[63] avrebbe illustrato, con dovizia di statistiche, i risultati raggiunti dalla neonata istituzione e la presenza di 55 iscritti e di 43 «uditori». Si trattava di un risultato superiore ad ogni aspettativa, tenuto conto che, come si ricordava da più parti, la nuova università non era abilitata a rilasciare diplomi riconosciuti dalla legge.

Commentando su la «Riforma sociale» il felice avvio della Bocconi, Gaetano Mosca avrebbe osservato: «… Tre sono le forze dirigenti della presente società europea, quelle cioè che forniscono i requisiti mercé i quali una individualità può emergere ed esercitare qualche influenza sui destini del proprio Paese. La prima è il sapersi attirare la fiducia delle masse popolari, la seconda consiste nel possedere spiccate attitudini a dirigere la produzione agricola, commerciale o industriale e nella influenza che si acquista disponendo i capitali necessari alle grandi aziende economiche, e la terza, finalmente, che da sola raramente riesce ad imporsi ma che è il requisito necessario per integrare il valore pratico delle altre due, è la padronanza di una cultura superiore, che è tanto necessaria per comprendere ed approfondire i problemi inerenti alla complessa vita moderna. Ora finora quest’ultima forza è stata in Italia quasi esclusivo monopolio degli esercenti le professioni così dette liberali, che naturalmente l’acquistano nelle Università. E di questo monopolio sono abbastanza noti gli inconvenienti: cioè una certa unilateralità nell’educazione intellettuale dei nostri uomini politici, che è sempre troppo strettamente legata ai fini di poche e determinate professioni, una certa mancanza di praticità dovuta al fatto che chi dirige la vita pubblica raramente in quella privata è stato un direttore di uomini, e finalmente una preponderanza soverchia del ceto degli avvocati, troppo abituati alle astratte deduzioni giuridiche, spesso male preparati alla esatta osservazione dei fatti sociali… Quarant’anni fa la Germania era un Paese di agricoltori, di piccoli artigiani, di militari, di burocrati e di professori e ben poca importanza aveva nel campo del commercio e dell’industria, nel quale era stata preceduta dall’Inghilterra e anche dalla Francia. Se ora la Germania anche in questo campo è più forte della sua rivale d’oltre Reno e fa paura perfino all’Inghilterra, deve questo successo principalmente alla profonda cultura della sua classe commerciale e industriale… Se l’Italia si trova ancora in condizioni economiche inferiori a quelle di tanti altri Paesi, ciò, oltre alle cause naturali e storiche, non si deve tanto attribuire alla mancanza di una cultura superiore in genere, quanto alla deficienza di quella speciale cultura superiore che serve per la gestione dei grandi affari. Poiché poco importa per l’economia del Paese che ci sia una pleiade di avvocati, di medici, di matematici puri, di artisti e di letterati, quando poi coloro che devono dirigere l’attività economica o sono degli empirici o sono uomini che hanno anche cognizioni vaste, ma non quelle tali che possono a preferenza aiutarli nell’esercizio delle loro professioni. E si noti che questo difetto è più accentuato nelle parti più povere del nostro Paese, cioè nell’Italia meridionale. E con ciò credo di aver dimostrato che felicissimo e opportuno fu il concetto che ispirò Bocconi nel fondare la sua università commerciale. Ora poi che il nuovo istituto ha cominciato a funzionare, ha compiuto il suo primo anno di vita ed ha pubblicato il suo annuario con i nomi dei professori, i programmi e i risultati degli esami, credo che si dovrà anche convenire che perfettamente indovinata ne è stata l’attuazione»[64].


1

Cfr. L. Sabbatini, Criteri, metodi e fini dell’insegnamento superiore commerciale, in Atti dell’VIII congresso internazionale per l’insegnamento commerciale, Milano, 1907, pp. 227-419; Idem, Criteri, metodi e fini dell’istruzione commerciale superiore, Milano, 1909.

2

All’archivio della Camera di commercio di Milano (posizione Sabbatini) è conservata la richiesta che il giovane Leopoldo indirizzò da Pisa, il 28 gennaio 1885, al presidente della Camera al fine di partecipare al concorso al posto di vice segretario: «Illustrissimo Signore, il sottoscritto Leopoldo Sabbatini del fu Eugenio da Camerino, prega la S.V. Ill.ma a volerlo ammettere al concorso aperto al posto do vice-segretario presso codesta Camera di Commercio. Della sua condotta civile fanno fede i certificati rilasciati dalle competenti Autorità e l’esistenza di due società educative-popolari da lui fondate e dirette, della quali si trasmettono alla S.V. Ill.ma gli statuti organici; della sua capacità scientifica fanno fede il certificato generale degli studi per la laurea in giurisprudenza, una monografia sull’individualità giuridica delle società commerciali giudicata favorevolmente da autorevoli periodici scientifici (Diritto Commerciale, II, 423 - Rechtsgel Magazijn, 1884, 403), una ricerca di diritto internazionale sulla “Sovranità estera dello Stato” pienamente approvata da un illustre giureconsulto italiano, dal professor Gatta, uno studio di diritto commerciale e di economia sulla condizione giuridica delle società cooperative in Italia, studio questo non ancora compiuto, una questione sull’art. 36 del nuovo codice di commercio italiano, la quale è già in corso di stampa, un attestato, rilasciato dal Rettore di questa Università sin dall’anno 1883, comprovante la capacità all’insegnamento dell’economia e del diritto ed infine un certificato che attesta la conoscenza della lingua francese e tedesca per parte del sottoscritto. Della S.V. Ill.ma devotissimo dott. Leopoldo Sabbatini».

Alla domanda è allegata la copia di una lettera inviata da Pisa il 3 marzo 1885 (al presidente della Camera di commercio?) del tenore seguente «Mi pregio partecipare a V.S. che ho attinto da più fonti le più minuziose informazioni del sign. Leopoldo Sabbatini, e da tutte le ottenni ineccezionabili su tutti i punti di rapporti, non esclusa l’informazione avuta dal sign. avv. Morelli nel quale studio il Sig.r Sabbatini è attualmente praticante ed è tale l’ingegno di quel giovane che doveva esser nominato professore alla scuola navale di Livorno, il tutto a Vs. norma e sempre in attesa ecc.». Nel dossier Sabbatini esiste infine una scheda informativa sul tipo di quelle che le aziende sono solite richiedere a particolari agenzie investigative circa le qualità di ditte o individui:

Ditte

Notizie sulla moralità, solidità e fido che possono meritare le contraddistinte ditte

Leopoldo Sabbatini, Pisa, laureato in legge alla università di Pisa, praticante avvocato

È di buonissima moralità, onestissimo e tenuto in buon concetto essendo presidente di una società cooperativa e della biblioteca popolare circolante. Fondatore e ex presidente della società fra i (sic) studenti per le scuole serali, società che è sovvenuta dal Municipio.

 

3

Il padre Eugenio, morto nel 1877 all’età di 64 anni, era stato un ardente patriota. Arruolatosi tra gli 80 volontari camerti, aveva partecipato alla prima guerra d’indipendenza (1848) e in seguito, col grado di tenente, alle campagne di Roma e Venezia (1849). Dello stesso si veda L’ultima riscossa. Pensieri di Eugenio Sabbatini, Camerino 1866. Nell’archivio capitolare della cattedrale di Camerino si conserva l’atto di battesimo di Leopoldo: «Die quarta decima dicti (mensis julii 1861). Ego vic(arius) parochus bapt(izavi) inf(ante)m natam (sic) ex Eugenio filio q(uonda)m Stephani Sabbatini de Cam(erino) et ex Silvia q(uonda)m Ciriaci Piermarini de Crypta Marittima con(iugibus), cui impositum est nomen Leopoldus, Achilles, Joannes Baptista. Pat(rin) i Joannes Baptista Crolla Lanza de Firmo et Adelai(des) Sabbatini». Devo queste informazioni alla cortesia di mons. Giacomo Boccanera, direttore della biblioteca Valentiniana e dell’Archivio Capitolare della Cattedrale di Camerino.

4

La tesi in diritto commerciale, approvata con il massimo dei voti, gli venne immediatamente pubblicata (cfr. L. Sabbatini, Individualità giuridica delle società commerciali, Pisa 1884). Già durante gli studi universitari Sabbatini aveva dato prova delle sue non comuni doti di organizzatore e di filantropo dando vita ad una scuola per operai e ad una biblioteca popolare circolante (cfr. Dalla gazzetta pisana, in «Chienti e Potenza. Periodico settimanale camerinese», 4 marzo 1909).

5

Nella lunga scheda biografica che il giornale «Chienti e Potenza» (18 febbraio 1909) pubblicò per presentare agli elettori di Camerino il celebre ma poco conosciuto concittadino che, con la benedizione di Filippo Turati (che «lo dichiarò un potente acquisto e una illustrazione per la Camera italiana e per l’estrema sinistra»), si presentava alle elezioni del 1909 come candidato dei partiti popolari, si ricordava tra l’altro: «È prima e fondamentale preoccupazione sua d’apportare nella politica economica italiana un sano e profondo spirito democratico. Tutti i suoi studi sono evidentemente pervasi da questo concetto. Quando nel 1889 fu proposta la riforma delle Camere di Commercio (per accennare ad alcuni fatti più caratteristici), in un’amplissima memoria, che è rimasta fondamentale per gli studi in questa materia, egli difese fra l’altro con vero impeto il principio del suffragio universale applicato alle elezioni commerciali, contro le tendenze d’un gruppo che mirava a formare delle rappresentanze commerciali, chiuse conventicole di grandi industriali e di grandi commercianti, interpreti così di interessi particolarissimi e non delle più generali esigenze della produzione e dei traffici. Sostenne nello stesso tempo la piena autonomia delle Camere di commercio che – ripetendo esse la loro costituzione dal libero suffragio degli elettori – non debbono essere sottoposte più alla vigilanza del governo, al pari di tutti gli altri enti elettivi… E la sua tenacia nella difesa di principi così democratici fu fin qui pienamente coronata da successo; poiché anche il disegno di legge sulle Camere di commercio, approvato dalla Camera elettiva negli ultimi giorni della legislatura, li aveva riconosciuti e accolti. Fenomeno pressoché uguale s’è verificato per le Borse di commercio, che il dott. Sabbatini ha sempre voluto libere e aperte, senza restrizioni e impacci che ne facciano il monopolio di pochi grandi speculatori. Nella politica doganale il dott. Sabbatini ha, naturalmente, seguite le stesse tendenze… Spirito non meno liberale (egli) ha portato nell’esame dei problemi che si collegano all’ordinamento nostro tributario… Egli ha sempre sostenuto i criteri che meglio potevano assicurare l’equa tutela dei legittimi interessi delle classi lavoratrici».

6

In effetti Sabbatini tenne a lungo la presidenza della «commissione direttiva» delle «Scuole popolari per adulti d’ambo i sessi», fondate nel 1875 dal Consolato operaio milanese e funzionanti grazie al contributo di numerosi enti pubblici e di privati cittadini (nel 1896 i principali finanziatori risultavano essere, oltre alla Camera di Commercio, alla Cassa di Risparmio di Lombardia, al Ministero della Pubblica Istruzione e alla Banca Popolare di Milano, le logge e società operaie, Francesco Gondrand, Giuseppe Candiani, Alessandro Andreae e Luca Beltrami). Cfr. L. Sabbatini e L. Biraghi, Relazione sull’andamento delle scuole popolari per adulti esposto in occasione della premiazione degli alunni il 30 settembre 1896, Milano, 1897, p. 12. Le scuole in questione giocarono un ruolo non certo marginale nella elevazione della cultura della classe operaia milanese. «Esse impartiscono agli operai e alle operaie lezioni di disegno elementare superiore applicato alle arti e ai mestieri ed insegnamenti professionali ed elementari». Esse comprendevano sei sessioni serali maschili (dove si tenevano corsi di «disegno e geometria elementare», «ornamento e geometria elementare», «disegno applicato alle arti decorative», «geometria, disegno assonometrico e prospettiva», «francese», oltre a corsi professionali di vario genere) e diurne femminili (con insegnamenti quali: «disegno, calligrafia, francese, taglio e confezione di abiti e biancheria, ricamo»), oltre a diversi corsi per il conseguimento della licenza elementare. Del successo delle stesse, nel periodo della presidenza Sabbatini, dà conto il rapido incremento delle iscrizioni: 1946 nell’anno scolastico 1899-1900, 1401 nel 1900-1, 1447 nel 1901-2, 1719 nel 1902-3, 2403 nel 1903-4. Cfr. L. Cenuzzi, Notizie e dati statistici sulle scuole professionali sussidiate dalla Camera di Commercio di Milano, Milano 1901, p. 11; Ministero Agricoltura Industria e Commercio, Notizie sull’istruzione industriale e commerciale per l’anno scolastico 1903-1904, Roma, 1905, pp. 60-65; Idem, Notizie sulle condizioni dell’insegnamento industriale e commerciale in Italia ed in alcuni stati esteri. Annuario pel 1907, Roma, 1907, p. 632; Idem, Esposizione delle scuole industriali e commerciali in Roma, Roma, 1907, p. 340.

7

Il nome di Leopoldo Sabbatini ricorre per due volte nella lista dei membri della loggia Carlo Cattaneo, attiva in Milano, proposti per svolgere funzioni di assistenza e di stimolo in vari ambiti sociali (Arch. privato Maineri. Corrispondenza). A riprova della sua fedeltà agli ideali dei liberi muratori vale la pena di ricordare che alle sue esequie a Foligno («Chienti e Potenza» del 13 giugno 1914) era presente, accanto ai congiunti e ad una rappresentanza dei professori e degli studenti della Bocconi, l’avvocato Angelini «rappresentante del gran maestro della massoneria Ettore Ferrari» e che, fra i necrologi pubblicati in quell’occasione, non mancava quello della «Federazione internazionale del libero pensiero. Associazione nazionale Giordano Bruno. Sezione di Foligno», che ricordava il defunto nella maniera seguente: «I veri valori intellettuali non vanno mai disgiunti dall’emancipazione del pensiero da ogni credenza trascendentale. Il dott. Leopoldo Sabbatini di cui un improvviso malore spezzava l’esistenza in questa città, se eccelse nei più severi studi che si connettono al progresso economico della patria, fu anche un combattente tenace e valoroso contro l’oscurantismo chiesastico che tende oggi, più che mai, ad involgere e soffocare nelle sue spire la libera anima del popolo. Raccogliamoci attorno alla sua salma, ricordiamo che ogni conquista ed ogni progresso civile non va disgiunto dalla liberazione dei ceppi della romana teocrazia che tenne per secoli soggiogata e serva l’Italia nostra. Foligno 8 giugno 1914».

8

Presso l’archivio storico dell’Università Bocconi esiste una copia della prima stesura, abbondantemente rimaneggiata dallo stesso Sabbatini, del documento in questione (A.S.U.B. Busta Atto costitutivo università). Esso offre preziose notizie intorno al processo di maturazione del progetto definitivo. In particolare vi è da rilevare come in quest’ultimo siano scomparsi tutti i riferimenti critici (e sono molti) alla precedente ipotesi formulata dal senatore De Angeli. Esso è presentato in dettaglio in appendice.

9

Cfr. L. Sabbatini, Criteri, metodi e fini, cit.

10

«Non si possono più ritenere sufficienti alle esigenze della nuova vita economica le nozioni pratiche, tecniche impartite dalle attuali scuole di commercio; le quali… affinano, fra le mani dei commercianti, gli strumenti del lavoro, ma non portano direttamente ad una larga e intima conoscenza delle leggi che governano la produzione e la distribuzione della ricchezza e non mettono sotto agli occhi degli allievi – perché ne giudichino da un punto elevato di vista – tutto il mondo economico». L. Sabbatini, Sull’ordinamento, cit. Ricordando, nel 1910, la prima esperienza di Ferdinando Bocconi e il suo tentativo di legare le sorti dell’università al Politecnico, L. Callagari liquidava lo stesso osservando: «Nella pratica esplicazione del suo concetto, il senatore Bocconi fu dapprima consigliato a creare un corso biennale analogo a quello dell’Istituto di Anversa (su cui erano già modellate le tre scuole superiori di commercio allora esistenti in Italia) e di annetterlo all’Istituto tecnico superiore di Milano. In sostanza, coloro che spingevano Bocconi per questa via intendevano soltanto istituire un insegnamento complementare, professionale di contabilità, merceologia, diritto commerciale, ecc. per i futuri ingegneri industriali allievi del nostro Politecnico, che avrebbero avuto così nozioni di pratica commerciale assai utili qualora essi fossero stati chiamati nella vita alla direzione di imprese industriali. Sarebbe stata cosa buona in sé, ma non rispondeva neanche lontanamente al bisogno e all’attesa di un grande istituto di cultura commerciale. Questo intese il senatore Bocconi, il quale si rivolse allora al dott. Leopoldo Sabbatini, chiedendogli un concreto piano di organizzazione degli studii commerciali superiori» (cfr. L. Callagari, Istruzione pubblica e privata in Italia e per gli Italiani all’estero, Roma 1910, pp. 75-76). Questa fu, probabilmente, l’ultima volta in cui si accennò per iscritto alla travagliata gestazione della Bocconi. Da quel momento in poi su questa storia sarebbe stata operata una sorta di damnatio memoriae ed essa non sarebbe comparsa non solo negli Annuari dell’Università Bocconi, ma anche nelle varie pubblicazioni intese ad illustrare, in dettaglio, il mondo universitario italiano. Cfr. p. es. F. Dlabac-I. Zolger, Die Università commerciale «Luigi Bocconi» in Mailand, in Idem, Das kommerzielle bildungswesen in Italien, Wien 1908, pp. 82-120 e Ministero della pubblica istruzione, Monografie delle università e degli istituti superiori, vol. II, Roma, 1913, p. 769 e s.

11

L. Sabbatini, Sull’ordinamento, cit.

12

In ciò, egli sostiene, essa si differenzia decisamente dal primitivo programma dove i compilatori «fanno posto alla economia politica… come a una materia complementare il cui insegnamento contribuisce a crescere la coltura economica del commerciante, ma sono senza dubbio ben lungi dal ritenere che questo insegnamento sia il fondamentale. Tanto è vero che essi vi limitano a stabilire un corso di economia politica trascurante tutte le altre discipline economiche… Poco monta a nostro avviso che si dedichi alla economia politica un numero maggiore o minore di ore. Quello che preme è l’organizzazione di tutto un complesso di insegnamenti nelle varie discipline economiche. Solo lo studio completo delle varie scienze che esaminano in tutte le sue molteplici manifestazioni la vita economica può aver reale efficacia per assicurare larghi ed utili risultati alla azione del nuovo istituto, può valere ad imprimergli carattere di scuola d’alti studi scientifici. Non risponde certamente all’elevato concetto che noi abbiamo della coltura commerciale il più o meno limitato insegnamento dell’economia politica. Con ciò non si vengono a toccare che i principi fondamentali della organizzazione economica e le più importanti leggi della vita sociale».

13

L. Sabbatini, Sull’ordinamento, cit.

14

Nella visione di Sabbatini l’ammissione alla Bocconi avrebbe dovuto essere limitata ai diplomati degli istituti tecnici e dei licei. A proposito di questi ultimi, per i quali nel progetto De Angeli era contemplato un anno propedeutico, egli osservava: «D’altro canto dobbiamo pure considerare che questa stessa preparazione – specialmente quella del corso classico – è riconosciuta dallo Stato sufficiente per gli studi universitari. Se essa basta a dare alla società un eminente giurista, un abile medico, un matematico insigne, uno storico od un letterato illustre, non si potrebbe legittimamente ritenerla insufficiente per formare un colto commerciante… L’osservazione che i giovani licenziati nei licei sono meno preparati agli studi commerciali dei giovani usciti dagli studi tecnici non sarebbe esatta e in ogni modo non ha peso nella questione. La preparazione intellettuale che si vuole, che occorre per gli studi superiori, è una preparazione d’ordine generale, che non deve confondersi con quel maggior corredo di nozioni tecniche, pratiche possedute dai licenziati dagli istituti tecnici e che da queste nozioni non deriva. Si tratta di una disposizione generale della mente allo studio ampio e approfondito delle scienze quali esse siano: matematiche, diritto, storia medicina, ecc. Ora questa preparazione l’hanno innegabilmente maggiore i licenziati dal liceo che quelli che escono dagli istituti tecnici: appunto perché, come abbiamo rilevato, la coltura generale è l’unico obbiettivo del corso classico nel quale tutti gli insegnamenti sono coordinati al suo conseguimento, mentre è fine secondario o per lo meno non esclusivo nel corso tecnico, i cui insegnamenti tendono alla coltura professionale di pratica immediata applicazione».

15

«Non si vede perché non debba essere concesso allo studio delle scienze economiche tutto quell’agio di tempo che non è negato a nessun altro ramo degli studi superiori. La scienze economiche si presentano non meno complesse, difficili di ogni altra scienza; anzi sarebbe forse agevole il dimostrare che l’insegnamento loro presenta maggiori difficoltà».

16

Ibidem. Di passaggio vale la pena di osservare che questo, che Sabbatini considerava l’aspetto più innovativo della sua proposta, sarebbe divenuto elemento portante delle strategie bocconiane, connotando le scelte didattiche dell’università milanese sino ai giorni nostri.

17

Nella stesura definitiva dell’ordinamento dell’università (Cfr. U.B., Annuario 1902-903, cit., p. 59) il discorso sul ruolo dell’economia appare alquanto più sfumato che in precedenza: «l’insegnamento più importante dell’università deve essere quello delle scienze economiche. A questo deve essere data la maggiore estensione e attribuito il maggior tempo. Lo studio dell’economia politica comprenderà nel primo biennio l’esposizione completa delle teorie generali e, nel secondo biennio, l’esame analitico delle varie parti dell’economia e delle diverse istituzioni economiche studiate criticamente e storicamente».

18

«Le cognizioni giuridiche», si insisterà nell’ordinamento definitivo dell’Università, «per quanto utili alla pratica degli affari, non sono che un accessorio. Importa che l’uomo d’affari conosca gli istituti giuridici quel tanto che basta per valersene dove occorra. Ma oltre i limiti di questa conoscenza, diremo così estrinseca, non ha d’uopo di andare. La interpretazione della legge nei casi dubbi, l’azione giudiziaria stessa – pei quali scopi soltanto sarebbe opportuno un approfondito studio del diritto – debbono essere riservati al giureconsulto». Cfr. L. Sabbatini, Programma dell’Università Commerciale Luigi Bocconi, in U.B., Annuario 1902/903, cit., p. 59.

19

«L’istituto Luigi Bocconi deve assicurare una preparazione scientifica ed applicata tale da condurre i giovani ad affrontare con piena cognizione dei problemi economici la vita degli affari e in questo senso è istituto veramente pratico: ma non può restare rinchiuso nei limiti di un istituto professionale, non può ridursi ad un tirocinio nei singoli rami di commercio e di industria; la scuola prepara alla vita non la sostituisce (sottolineatura nostra). Del resto l’istituto Luigi Bocconi, coi suoi insegnamenti scientifici, darà ai giovani una tale attitudine a comprendere e valutare i fenomeni economici che essi potranno seguire più agevolmente gli insegnamenti pratici e profittarne in tempo assai minore di quelli che nelle altre scuole attendono unicamente o quasi esclusivamente dal Banco Modello la loro cultura». Con considerazioni meno incisive nella forma, ma altrettanto dure nella sostanza, si proporrà la riduzione del peso relativo degli altri “corsi tecnici”, «la matematica finanziaria, la merceologia, la contabilità», che, assieme al banco modello, costituivano il fondamento delle scuole superiori di commercio.

20

A.S.U.B. Busta Atto costitutivo università. Riportato integralmente in appendice.

21

Sabbatini così continuava: «Ciò non è certamente nel pensiero dei promotori del nuovo Istituto. Anche perché si tratta di un ardito tentativo, di una vera innovazione nell’ordinamento della coltura. L’opinione pubblica, non solo in Italia, ma anche all’estero non può (fare) a meno di interessarsi a questa iniziativa, di seguirne le fasi, di valutarne gli effetti. Nulla quindi si deve lasciare di intentato per assicurare i migliori resultati. Che se questi – per qualsiasi ragione – fossero manchevoli – e lo sarebbero se l’esperimento dovesse compiersi in condizioni non adatte – senza alcun dubbio sarebbe compromesso l’avvenire del nuovo Istituto – e insieme quello dell’alta cultura commerciale».

22

«Le scienze economiche (economia politica, statistica, scienza delle finanze, storia e geografia commerciale) che costituiscono il fondamento della scuola che esigono grande elevatezza ed estensione di insegnamento, non possono essere affidate che a professori ordinari; così pure il banco modello che esige larga coltura tecnica ed assorbe molte ore di insegnamento, e la merceologia che pure ha una notevole importanza, abbisogna di un insegnante che possa dedicare alle cattedre l’intero suo tempo, l’esclusiva attività sua. Sono così almeno 6 cattedre, abbinando, se sarà possibile, quella di storia del commercio e di geografia commerciale, che dovranno essere coperte da professori ordinari. Ora noi crediamo che a ciascun professore di questa categoria non possa essere corrisposto uno stipendio inferiore a quello dei professori ordinari nelle Università dello Stato, stipendio che ammonta a 5.000 lire annue lorde… Noi crediamo anzi che non sarebbe prudente limitarsi a dare lo stesso stipendio; perché vi sono altre circostanze d’ordine morale ed economico che concorrono a dare grande entità e prestigio al grado di professore ordinario nelle Università di Stato, e che qui farebbero in gran parte difetto… tutte queste circostanze… debbono essere tenute presenti se si vuoi offrire ai professori del nuovo Istituto posizione economica tale che essi non si sentano indotti – da ragioni economiche e morali – a passare, ciò che ai migliori riesce sempre agevole, alle università dello Stato. Noi dobbiamo evitare il pericolo che i professori vengano al nuovo Istituto solo momentaneamente, di passaggio, coll’aspirazione e l’aspettazione di un’altra cattedra in pubblici istituti. Questo pericolo è gravissimo. È essenziale per la scuola costituirsi un corpo insegnante di primissimo ordine, non inferiore sotto alcun rapporto a quello delle migliori Università pubbliche, e una volta costituito, di conservarlo al fine di mantenere la maggiore unità di indirizzo, a fine di offrire continuamente al paese ed agli allievi la migliore delle guarentigie circa i risultati della Scuola. Ora, anche ottenuti i migliori scienziati, i più valenti professori, non sarà possibile di evitare che essi passino ad altri istituti se non offrendo ad essi nella scuola una condizione economica tale che controbilanci i vantaggi che altrove essi possono attendersi».

23

Criticando questa ipotesi Sabbatini scriveva: «Egli finisce necessariamente per considerare la direzione dell’Istituto come incarico accessorio, come ufficio secondario; dedica ad esso il solo tempo che è lasciato libero (e ad un insegnante coscienzioso, ad un vero scienziato non ne rimane troppo!) dalle cure della sua preparazione scientifica e dell’insegnamento. In questa condizione di cose l’ufficio del direttore si riduce ad un semplice controllo pedagogico; osservare che gli orari siano mantenuti, vigilare che i professori e studenti frequentino le scuole, assicurarsi che la disciplina sia rispettata».

24

A questo proposito egli scriveva: «… ben altro si deve chiedere – a mio avviso – al direttore della nuova scuola. Importa in vero di preporre all’Istituto persona che condivida i sentimenti e le aspirazioni per cui la scuola si crea; che creda nel suo avvenire; che abbia in sé tanta forza di persuasione, tanto calore di iniziativa da conciliare all’Istituto sempre più il favore della pubblica opinione, la simpatia del Paese; che nel compito suo sente, come noi sentiamo, che non deve solamente dirigere da pedagogo un Istituto scolastico, ma imprimere coll’azione sua – nella scuola e fuori – tutto un nuovo indirizzo all’alta coltura commerciale».

25

Sabbatini morì povero. Pare giusto ricordarlo. Quest’uomo che fu l’anima dell’Università Bocconi, che diede spazio e forza politica alle camere di commercio attraverso la creazione dell’Unioncamere, che fu ascoltato consigliere di imprenditori e di uomini politici, che seppe dar vita a quella rete di relazioni, che ancor oggi lega idealmente quanti hanno frequentato l’Università Commerciale, non accumulò ricchezze di sorta. La sua denunzia di successione ci restituisce una immagine di adamantina onestà, di disinteressato impegno a favore della collettività. In effetti, fra le componenti dell’attivo della denunzia presentata da Eugenio Sabbatini il 6 ottobre 1914 (Ufficio del registro di Milano. Successione L. Sabbatini) non figura che: «una casa in comune di Camerino, in Via Costanza Varano civico n. 19, di piani 4, vani 6», valutata lire 7.000 e gravata di usufrutto parziale a favore di Silvia Piermarini (madre di Leopoldo); una quota sociale della Società in accomandita semplice C. e R. Fabretti di Matelica del valore di lire 10.000; un libretto vincolato della Popolare di Milano con un deposito di L. 142 e uno delle Casse di risparmio postali con L. 1.470. Quanto ai titoli di proprietà, essi si limitavano a cinque azioni dell’Unione Cooperative di Milano (lire 125), tre azioni della Cooperativa di consumo tra impiegati e operai (lire 75) e 100 azioni della Società commissionaria di esportazione (lire 11.406,60).

26

Cfr. L. Sabbatini, Per le nostre esportazioni. Appunti sul movimento e sulla organizzazione del commercio di esportazione in Italia, Milano, 1900; Idem, Esportazione italiana nell’Europa centrale. Relazione all’Unione delle Camere di Commercio, Torino, 1906.

27

Cfr. L. Sabbatini, In merito alla costituzione di una federazione permanente delle Camere di commercio, Milano, 1901.

28

«Chienti e Potenza» del 18 febbraio 1909. L’estensore dell’articolo così concludeva: «Nell’Unione tutti gli elementi regionali sono compenetrati e fusi: e la vita economica viene in essa studiata e interpretata con sentimento meno particolare, meno locale, più decisamente nazionale. Nella sua opera concreta l’Unione delle Camere di Commercio si è dimostrata pienamente atta ad adempiere a questo compito… (Essa) costituisce ora veramente il parlamento economico della Nazione. Tale la voleva il dott. Sabbatini nel 1900 al congresso delle rappresentanze commerciali che ne decise l’istituzione; tale è diventata per l’ordinamento da lui dettato, per l’azione da essa svolta sotto l’abile direzione di lui».

29

«… anch’io ho valutato le considerazioni che muovono Lei a preferire il sistema generalmente adottato negli altri Istituti di insegnamento ed anche nelle Università. Ma ho dovuto convincermi per le considerazioni che ho svolto nel mio rapporto che solo ragioni di economia potrebbero indurre a non scegliere il direttore o preside all’infuori del personale insegnante. La condizione delle cose è per il nuovo istituto così diversa, che giustificherebbe l’adozione di un diverso sistema. Nelle Università e negli altri Istituti la funzione del rettore o del preside è puramente negativa; si esplica solo in casi eccezionali. Le disposizioni di legge e di regolamento, la lunga tradizione amministrativa e didattica, il prestigio da lungo tempo assicurato a quelle istituzioni, rende inutile un’azione positiva continua di chi è investito della rappresentanza e della autorità direttiva. In queste condizioni si comprende che un insegnante possa essere anche – in via accessoria – rettore o preside. Nel caso concreto del nuovo istituto sarebbe invece, più che opportuna, necessaria, l’opera attiva, continua, di una persona autorevole; la quale, con perseverante e multiforme azione, sappia e voglia crescere nel Paese la convinzione della profonda utilità del nuovo indirizzo, la fede nei destini della nuova Istituzione, la coscienza dei resultati che per suo mezzo si possono attingere. Si tratta di assicurare e svolgere un nuovo ordine di studi, mai pensato prima d’ora, mai attuato; quasi in urto ed in contraddizione con gli ordinamenti ufficiali e privati esistenti in Italia e negli altri Stati europei. Si tratta di imprimere alla cultura del Paese un nuovo impulso, un nuovo indirizzo. L’attività, l’intelligenza tutta intera di una persona non sarebbero di troppo a questo alto e difficile compito». L. Sabbatini a F. Bocconi. Milano 26 febbraio 1901. (A.S.U.B. Busta A).

30

«La questione delle lingue, pure toccata nella lettera di lei, non entra veramente se non per riflesso nel campo del progetto finanziario… Io mi limito pertanto su questo punto a richiamare il programma didattico, nel quale – rilevato come in teoria sarebbe necessario escludere l’insegnamento delle lingue estere – ho dovuto riconoscere che in pratica sarà necessario qualche temperamento. La dolorosa condizione delle nostre scuole secondarie per questo rispetto, si impone talmente che per necessità di cose sarò obbligato a qualche ulteriore concessione su questo terreno». Ibidem.

31

In effetti la decisione in questione, sanzionata nel corso della prima riunione del consiglio direttivo, avrebbe caratterizzato per decenni le scelte dell’Università. Il verbale della prima seduta del consiglio direttivo dell’Università riunitosi, dietro convocazione del fondatore, sign. comm. Ferdinando Bocconi, il giorno 5 luglio 1902 alle ore 14 (A.S.U.B. Busta 277/1) riporta, a questo proposito, le parole del neo-presidente: «Premessi i ringraziamenti del Fondatore e suoi, pei sentimenti manifestati dal consiglio, spiega come sia urgente anzitutto occuparsi di quanto concerne la nomina dei professori e comunica che il Fondatore, preoccupato di questa importante necessità, ha creduto – senza assumere impegni di sorta – di studiare alcuni nomi di professori su cui deliberare poi la scelta. E considerando come seguendo il sistema di assumere, come per le altre Università, professori ordinari ciò non sarebbe senza difficoltà e accrescerebbe il peso finanziario della scuola, ha pensato di profittare della posizione geografica di Milano, che ha vicino a sé importanti istituti universitari, per vedere di intendersi con alcuni professori di essi, col vantaggio così di avere un nucleo di professori valenti, da fissare senza impegni di lunga durata». Nello stesso Statuto dell’università scompare ogni riferimento alla distinzione fra professori ordinari, straordinari e incaricati, alla quale Sabbatini attribuiva tanta importanza nel suo primo progetto.

32

Cfr. L’università commerciale «Luigi Bocconi», in «Il Secolo» del 5-6 aprile 1902. Così il cronista del «Secolo» descriveva «L’edificio, ampio e imponente» pressoché completato: «L’ubicazione del fabbricato non potrebbe essere migliore, sia perché in posizione assai centrale, sia per il fatto d’avere le quattro fronti completamente isolate. Entrando dalla piazza verso via Solferino, si è in un atrio suntuoso, in istile jonico, con profusione di graniti, poi in un vestibolo dal quale, mediante due corritoi simmetricamente disposti si passa alle sale d’aspetto, sale dei professori, segreteria, aula magna ed altre aule minori. Dallo stesso atrio poi, mediante un grandioso scalone in marmo, si accede ai piani superiori, dove sono situate, oltrecché le diverse aule, anche la sala del consiglio, la biblioteca, ecc. A dare un’idea della vastità del fabbricato, basti dire che ad ognuno dei tre piani sonvi oltre 110 metri quadrati di locale, che nella parte centrale del fabbricato vi sono tre saloni di forma circolare, situati l’uno sopra l’altro, ognuno della superficie di 300 metri quadrati. La specialissima costruzione interna di tutto il fabbricato e massime quella dei tre saloni circostanti, lo rendono non solo sommamente comodo e adatto allo scopo, ma altresì apprezzato ed ammirato dai tecnici dell’arte edilizia. Curiosa assai la costruzione dei soffitti di questi saloni, eseguita in cristalli brillanti e trasparentissimi, che attingendo la luce dal lucernario soprastante al tetto, la trasmettono attraverso ai soffitti di tutti i piani fino al piano terreno, dando anche a questi luce e gaiezza. Lo stesso comm. Bocconi diede le linee generali del progetto, che venne poi sviluppato dal proprio ufficio tecnico sotto la direzione del giovane e valente capomastro milanese Riccardo Bossi».

33

L. Lenti, Gli ottant’anni della Bocconi, «Quaderni della Nuova Antologia», XXI, Firenze, 1984, p. 28 e s.

34

Cfr. E. Resti, Ferdinando Bocconi, cit., p. 93.

35

L’ultimo dei quali avvenne il 22 ottobre 1901 (Cfr. F. Bocconi a diversi. Milano 19 ottobre 1901. A.S.U.B. Busta Atto costitutivo università). In questa occasione il gruppo delle «egregie persone» invitate in casa Bocconi risultava leggermente modificato rispetto ai precedenti. Erano presenti, assieme agli altri, Giuseppe Colombo e Giuseppe Speroni, mentre non figurava più Giuseppe Oliva. La riunione conclusiva, l’unica della quale la stampa diede notizia, ebbe luogo il 26 novembre 1901. Alla stessa risultavano presenti, oltre a Bocconi coi due figli Ettore e Ferdinando, Salmoiraghi, Ronchetti, Speroni, Cornaggia, Mangili, Sala e Colombo.

36

Cfr. A.S.U.B. Busta Atto costitutivo Università. Università Commerciale Luigi Bocconi. Linee generali per la compilazione dello Statuto.

37

Consiglio Direttivo. Art. 6. L’Università è retta da un consiglio Direttivo di nove membri. Ne fa parte di diritto il Fondatore o suoi eredi o successori o persona della Famiglia, da essi designata. Il Fondatore nomina fin d’ora a far parte del Consiglio direttivo l’autore del programma, Dottor Leopoldo Sabbatini, il quale rimarrà in carica per tutto il primo decennio. Quattro dei componenti sono eletti, uno per ciascuno, dalla Provincia, dal Comune, dalla Camera di Commercio di Milano e dalla Cassa di Risparmio di Lombardia. Gli altri sono nominati dal Fondatore o da chi per esso. Art. 7. I membri del Consiglio Direttivo durano in carica quattro anni e sono rieleggibili. Art. 8. L’Ufficio di presidenza del Consiglio Direttivo è nominato dal Fondatore e rimane pure in carica quattro anni. Cfr. U.B., Annuario 1902/903, cit., pp. 39-40.

38

Cfr. L. Sabbatini, Criteri, metodi e fini, cit., p. 152. Anche se, in realtà, nelle intenzioni di De Angeli le finalità della scuola avrebbero voluto essere quelle di fornire «quel corredo di cognizioni tanto indispensabili oggi per chi organizza il lavoro, sia in una fabbrica, sia in un’azienda agraria, di una casa di trasporti, di una compagnia di assicurazioni, di una banca, di un grande magazzino di vendita, di una casa di esportazione, e via discorrendo: insegnamento superiore il quale tenda in una parola, a preparare gli allievi, piuttosto che alle ordinarie carriere amministrative e commerciali, alla direzione economica delle aziende e degli affari, al cui sviluppo si connettono il progresso e l’espansione dell’economia nazionale» (A.S.U.B. Busta statuto università. Lettera a S.E. il ministro, cit.).

39

Idem, p. 165.

40

Cfr. Report on commercial Education, adopted by the technical Education Board of the London County Council, Londra, 1897, p. XII, cit. in L. Sabbatini, Criteri, metodi e fini, cit., p. 161.

41

L. Sabbatini, Criteri, metodi e fini, cit. p. 115 e s.

42

Idem, p. 174.

43

Cfr. AA.VV., Atti dell’VIII congresso per l’insegnamento commerciale, cit., p. 115 e s.

44

Le operazioni vennero completate ai primi di marzo 1902 con la firma, da parte di Ferdinando Bocconi, del documento di fondazione. Cfr. T. Bagiotti, Storia della università Bocconi, Milano 1952, p. 13 e s. e E. Resti, Ferdinando Bocconi, cit., p. 96 e s.

45

La presentazione avvenne il 3 aprile 1902. Poco meno di due settimane dopo (14 aprile) le maggiori autorità del Paese ricevevano copia dello Statuto (A.S.U.B. Busta A. Sulle lettere di plauso per l’iniziativa ricevute da Ferdinando Bocconi cfr. E. Resti, op. cit., p. 97 e s.).

La lettera accompagnatoria di Bocconi era così concepita:

«Eccellenza, mi onoro di presentare all’E.V. lo Statuto ed il programma dell’Università Commerciale, da me in questi giorni fondata in Milano, al nome amato del mio povero figliuolo Luigi.

Quando io mi decisi di istituire questa Scuola lo feci con il consiglio del Dr. Leopoldo Sabbatini, che cioè avrei provveduto nel modo più consono ai tempi, alle esigenze di un’alta coltura delle classi commerciali, non limitandomi a fondare a Milano una Scuola prevalentemente professionale sul tipo di quelle che già esistono, ma estendendo l’intento mio alla creazione di un grande Istituto di carattere scientifico che porti negli studi commerciali il metodo e l’ordinamento accettati per unanime consenso in tutti i rami dell’istruzione superiore, raggiunga grado e sviluppo veramente universitario e ai giovani assicuri così una preparazione intellettuale che loro permetta d’aspirare ad eminenti posizioni nell’industria e nel commercio. Il dottor Sabbatini ha svolto questo pensiero in un programma che io pongo a fondamento dell’Università commerciale. Mi è d’intimo compiacimento e conforto la generale approvazione con cui l’annuncio del nuovo Istituto venne accolto in Milano e nel Paese, ma sovra tutto ambiti sono l’adesione e l’appoggio, che con qualche legittima fiducia, spero non verranno a mancare da parte dell’E.V. Voglia gradire V.E. il mio ossequio.

Scritto a:

S.E. Zanardelli comm. avv. P. Ministro

S.E. Prinetti comm. ing. Giulio Ministro

S.E. Giolitti comm. avv. Giovanni Ministro

S.E. Nasi comm. Nunzio Ministro

S.E. Ponza S. Martino cont. cor. Ministro

S.E. Coccu Ortu Ministro

S.E. Galimberti comm. avv. Tancredi Ministro

S.E. Carcano avv. Paolo Ministro

S.E. Di Broglio dott. Ernesto Ministro

S.E. Balzano Nicolò Ministro

S.E. Bacelli Guido Ministro

S.E. Morini Enrico Ministro

S.E. Saracco comm. Giuseppe Presidente Senato

S.E. Bianchini comm. avv. Giuseppe Presidente Camera

Serra Luciano Sotto Segretario

marchese Ippoliti Nicolini Sotto Segretario

Cortese Giacomo

Zanelli Bonaventura generale

De Nobili marchese avv. Prospero

Fulci avv. Nicolò Sotto Segretario

Squitti prof. avv. Baldassarre

Talamo comm. Roberto

Ronchetti avv. Scipione

Marziotto comm. avv. Matteo» (A.S.U.B. Busta Atto costitutivo Università).

46

Cfr. E. Resti, Ferdinando Bocconi, cit. p. 95 e s.

47

Cfr. L’organizzazione dell’Università commerciale L. Bocconi, in «Corriere della sera» del 13-14 aprile 1902. Per la verità il «Corriere» aveva manifestato nei mesi precedenti tutta una serie di perplessità (cfr. Per l’Università commerciale italiana, «Corriere della sera» del 12-13 gennaio 1902).

48

Questo potrebbe forse spiegare perché nella composizione del primo consiglio direttivo non compaia Giuseppe Colombo che nelle Linee generali, assieme a Leopoldo Sabbatini, risultava indicato come membro di nomina del «fondatore».

49

«Ci consenta il comm. Bocconi di dirgli francamente che non fu savio il proposito di ripudiare il legame col Politecnico. Il contatto avrebbe onorato la nuova scuola, le avrebbe dato prestigio, e sarebbe tornato assai utile agli ingegneri, mentre avrebbe consentito di dedicare all’istituzione i capitali impiegati nella costruzione della sede speciale». L’organizzazione, cit.

50

Ibidem.

51

In seno al quale «il comm. Bocconi riserva a sé la scelta di quattro membri e quella dell’ufficio di presidenza», mentre nel precedente «al fondatore era riserbata una voce su sette, ma non più d’una (chè le sorti di un’istituzione simile non devono essere lasciate in balìa di una persona sola per quanto rispettabile possa essere)».

52

«Al dott. Sabbatini non è bastata la partecipazione per dieci anni al Consiglio direttivo; egli ha voluto imporre all’Università un programma preciso fatto da lui, immutabile. Persino le ore sono fissate per ciascuna materia da lui scelta. Così al regolamento, la cui compilazione avrebbe dovuto affidarsi al Consiglio direttivo, è tolta ogni funzione, e forse per questo di regolamento lo statuto non fa neppur cenno. Come si possono così ostacolare i movimenti ad una scuola per tutta la vita? Ma tutto a questo mondo si muove e cammina e si trasforma; e si trasformeranno particolarmente le Scuole commerciali, le quali non hanno fin qui trovato un saldo, indiscusso terreno di vita. Quale sia il migliore ordinamento per esse non è stato ancora detto. A dire il vero, né in Italia, né fuori, diedero fin qui i frutti che si attendevano. Perciò la discussione è aperta, ampia, illimitata».

53

«Né vi porta gran contributo la relazione del dott. Sabbatini. Egli ha immaginato un Istituto meno completo di quello contemplato nel primo statuto, nel quale si diceva: “La Facoltà Commerciale svolgerà in tre corsi annuali un completo programma di studi commerciali superiori allo scopo di fornire ai giovani… quell’istruzione commerciale, così teorica, come pratica, che è necessaria per adire ai più alti gradi nelle imprese economiche d’ogni genere”. Invece lo statuto nuovo afferma che l’università commerciale Luigi Bocconi “ha per iscopo la preparazione scientifica alla vita commerciale”. Scientifica dunque, non pratica. Per scienza egli intende l’economia politica. In moneta spicciola, come risulta dalla distribuzione delle materie d’insegnamento nei quattro anni, lo studio di questa scienza importa, con vario nome, tre ore per settimana nei quattro anni. Tutto si riduce qui… Ebbene, se questo fine si raggiunge con misere tre ore settimanali di economia politica, proprio è il caso di dire che si può arrivare a grande altezza di cultura con ben scarsi sforzi. Ma tutto ciò, ci rincresce affermarlo, non regge a un serio esame. Ben’altra estensione, ben’altra base complessa deve avere un insegnamento commerciale superiore. Dalle svariate forme di attività commerciale ed economica tutta una larga suggestione deve trarsi d’insegnamenti da impartire vivi, freschi, palpitanti di realtà».

54

L’organizzazione, cit.

55

Ibidem. A spiegare la durezza dell’intervento vale forse la pena di ricordare che in quel momento Ernesto De Angeli era uno dei proprietari del «Corriere», che il suo conservatorismo era andato vieppiù accentuandosi e che, da parte del giornale in questione, non esisteva alcuna simpatia verso la massoneria. Cfr. A. Albertini, Vita di Luigi Albertini, Roma, 1945, passim.

56

Oltre alle lettere di ministri e di autorità italiane e straniere, in gran parte ricordate da Enrico Resti (op. cit., p. 97 e s.), vale la pena di rileggere quanto il prof. E. Franchi scrisse a L. Sabbatini in occasione dell’apparizione dell’articolo in questione (A.S.U.B. Busta A. E. Franchi da Modena, 14 aprile 1902): «La ringrazio di aver voluto, malgrado le molte occupazioni, darmi ricevimento delle mie linee di sincera adesione; adesione che mi sento di doverle anche ripetere, dopo l’articolo del Corriere di ieri. Io non conosco la Relazione anteriore a cui l’articolo stesso allude. Ma certo l’accettazione di essa non poteva portare che a creare in Milano un quarto saggio della Scuola di commercio a tipo Bari, Genova, Venezia, che come scuola di commercio è assolutamente mancata, e di cui bisognerebbe chiedere l’abolizione o la trasformazione, se non deve servire che a fare professori di ragioneria coloro che magari non hanno potuto prendere la licenza all’istituto tecnico, e professori di economia e di diritto, o consoli, o diplomatici, coloro che non sono in grado di prendere una laurea in giurisprudenza. Della dipendenza dal Politecnico non mi pare sia da dolersi, specialmente per chi ha di mira uno scopo pratico; giacché la prevalenza della teoria sulla pratica è troppo manifesta anche nel Politecnico (né io vorrei chiederne la conferma ai nostri ingegneri esercenti), come del resto è inevitabile in tutte le scuole, comprese quelle d’arte!! Non c’è bisogno d’aver esercitato il commercio per sapere che questa, meglio di tutte, è professione che s’imparerà dovunque, meno che alla scuola. E che la scuola, pertanto, non è e non deve esser fatta per creare dei mercanti, ma per aggiungere ai mercanti quel grado di cultura e di perfezionamento intellettuale, che l’esercizio pratico non potrebbe mai loro procacciare. Posto ciò, è anche evidente che le scienze-tecniche debbono, in una scuola siffatta, essere tenute nei limiti ragionevoli di un semplice sussidio e complemento della pratica, mentre per converso devesi dare il più lato sviluppo alle teoriche, che sono poi le economiche, se è vero che il commercio e l’industria sono attività essenzialmente economiche. Quanto al diritto, ce n’è in verità anche di troppo, visto che i commercianti non devono rubare il mestiere agli avvocati ed ai giudici. E del resto, se le quattro materie istituzioni di diritto privato, istituzioni di diritto pubblico, diritto commerciale e diritto internazionale saranno apprese a dovere, gli allievi dell’Università Commerciale potranno dare dei punti a quelli delle facoltà giuridiche, dove il sovracarico e il frazionamento delle materie è diventato tale, da generare una decadenza sempre più evidente in ogni ramo di attività legale, e da preoccupare assai quanti hanno a cuore la serietà degli studi e il progresso del paese!». Sull’atteggiamento assunto in proposito dal mondo politico e dalla stampa milanese vedi supra p. 61 e ss.

57

Nell’archivio storico dell’Università Bocconi esiste una minuta della domanda in questione. Ab origine essa era destinata al ministro dell’industria e commercio; ma, in seguito, questa dizione venne cancellata ed essa venne inviata all’on. Nunzio Nasi, ministro della pubblica istruzione (Cfr. A.S.U.B. Busta atto costitutivo università).

58

Cfr. A.S.U.B. Busta atto costitutivo università. Il ministro della pubblica istruzione a Ferdinando Bocconi. Roma, 23 agosto 1902.

59

A.S.U.B. Busta A. Albertini a Sabbatini, 16 agosto 1902.

60

Al soddisfacimento delle nuove richieste seguì il sospirato parere del consiglio di Stato e l’assicurazione del ministro che la pratica sarebbe stata espletata con la massima celerità (Cfr. A.S.U.B. Busta atto costitutivo università. Il ministro della pubblica istruzione a Ferdinando Bocconi. Roma 18 settembre 1902. Ferdinando Bocconi al ministro. Milano, 22 settembre 1902).

61

Il decreto, inviato a Racconigi per la firma del sovrano, sarebbe tornato rapidamente a Roma e pubblicato, assieme allo statuto, sulla «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» del 29 ottobre 1902.

62

A.S.U.B. Busta atto costitutivo università. Sabbatini a Bocconi. Roma 26 settembre 1902. L’operazione si sarebbe conclusa nei mesi seguenti dopo un intenso scambio di lettere tra il presidente dell’università Bocconi e vari ministri e sottosegretari (Cfr. Il direttore generale del ministero della pubblica istruzione a Sabbatini. Roma 4 ottobre 1902. Idem. Roma 13 ottobre 1902. Scipione Ronchetti, sottosegretario dell’interno a Sabbatini. 7 novembre 1902. Idem. 20 novembre 1902. Sabbatini a Ronchetti. s.d.).

63

Cfr. U.B., Annuario 1902-1903, cit.

64

G. Mosca, Dopo il primo anno dell’Università commerciale Luigi Bocconi, in «La Riforma sociale», 1903, pp. 797-801.