Parole chiave: Milano, Famiglia Bocconi, Camera di Commercio, Rapporti istituzionali, Borse di studio, Presidente Sabbatini Leopoldo
Storia della Bocconi
1902-1915. Gli esordi
Dalla Milano ancora in mano e sotto il controllo dei moderati alla Milano dell’alleanza vincente tra i partiti popolari, che portava in primo piano la democrazia radicale e gli uomini ad essa vicini: quali che fossero le motivazioni effettive del mancato varo del primitivo progetto, la fase di concreta gestazione dell’istituzione voluta da Ferdinando Bocconi si sarebbe in ogni modo collocata sul nuovo sfondo politico-amministrativo determinato dalle elezioni del dicembre 1899. Il progetto, come si è visto, era stato promosso e sostenuto sin lì da elementi moderati, con l’avallo anche della stampa cattolica e nell’indifferenza di quella democratica. Fosse o no frutto di una semplice concomitanza, esso avrebbe ripreso ora il suo iter con altri protagonisti e in altre condizioni, stabilendo un rapporto comunque diverso anche con il quadro cittadino.
Nel programma elaborato dalla democrazia radicale in vista delle elezioni si era fatto cenno alla promozione di «nuovi istituti di studio, non insidianti, ma completanti quelli universitari, profittando del prezioso materiale scientifico ed intellettuale ed anche finanziario» offerto dalla città[1]. Com’era attestato anche dal cenno specifico riservato al lascito Valerio (a disposizione da alcuni anni per iniziative in campo scientifico e medico) e dalla presenza in lista di Luigi Mangiagalli (che di tali iniziative era da tempo fautore), l’allusione non riguardava tanto l’istituenda facoltà commerciale quanto quelli che diventeranno (proprio grazie all’impegno di Mangiagalli) gli Istituti clinici di perfezionamento. Ma non esistevano ragioni di principio da parte radicale e liberal-progressista per non sostenere ed esaltare, nella medesima ottica, i pregi e le funzioni anche del primo ente, una volta liberato dall’originaria ed esclusiva tutela moderata.
Sull’andamento del progetto e, soprattutto, sui suoi contenuti dal momento in cui il relativo incarico venne attribuito da Bocconi al segretario della Camera di Commercio Leopoldo Sabbatini, si ritorna più ampiamente nel successivo capitolo. Nel luglio 1900, il Consiglio comunale ratificava la vendita a Bocconi di una quota di mille metri quadrati (a 100 lire al mq.) dell’area dell’ex Panificio militare tra le vie Statuto e Palermo, dove far sorgere la sede del nuovo istituto (un’ulteriore striscia di 150 metri quadrati sarebbe stata aggiunta nel gennaio successivo)[2]. Il 27 novembre 1901 i giornali diedero notizia di una riunione svoltasi il giorno prima in casa Bocconi, in corso Venezia, presenti con l’ospite, i figli Ettore e Ferdinando, l’assessore comunale all’Istruzione Barinetti anche in rappresentanza del sindaco, il presidente della Camera di Commercio Salmoiraghi, il provveditore agli Studi Ronchetti, il senatore Speroni, presidente della Cassa di Risparmio, il marchese Carlo Ottavio Cornaggia, presidente della Banca popolare di Milano (e proprietario della «Lega lombarda»), il commendator Cesare Mangili (titolare dell’impresa di trasporti di famiglia, trasformata in importante società per azioni, nonché presidente e consigliere di varie altre società), l’avvocato Cesare Sala, presidente dell’Istituto dei ciechi e figura eminente negli ambienti democratici locali. Dei due protagonisti della precedente fase di gestazione del progetto assisteva il solo Colombo, in rappresentanza del Politecnico. E non fu lui, questa volta, a primeggiare. Ai convenuti Bocconi comunicava infatti dell’incarico dato a Sabbatini, lasciando a quest’ultimo il compito di illustrare le linee ispiratrici del nuovo progetto. Il comunicato trasmesso ai giornali asseriva che ne era seguito «un largo e cordiale scambio d’idee fra tutti gli intervenuti i quali si espressero con unanime consenso favorevoli ai criteri informativi della nuova Istituzione». Ormai si poteva proprio dirlo, insomma: l’«Università Commerciale Luigi Bocconi» era entrata «decisivamente nel campo della pratica attuazione»[3].
Com’era eloquentemente attestato dall’atteggiamento tutt’altro che cordiale assunto dal «Corriere della sera», l’unanimità dei consensi non era in realtà del tutto piena. Silenzioso sulla riunione di fine novembre, il suddetto quotidiano prendeva a pretesto nel successivo gennaio la notizia che si stava progettando qualcosa di analogo a Torino per richiamare «quanti collaborano all’iniziativa dei Bocconi» a interessare «un po’ di più il pubblico all’erigenda Facoltà commerciale milanese» e soprattutto a rammentarsi delle conclusioni cui si era giunti già tre anni prima:
Ricordiamo che questa istituzione avrebbe dovuto, come da principio fu detto, collegarsi al nostro Politecnico, perché potessero frequentare molti corsi dell’Università commerciale anche gli allievi ingegneri, cui una vasta coltura commerciale può sembrare molte volte necessaria per conquistare tutte le cognizioni che si richiedono per un capo d’industria; cognizioni tecniche, non solo, ma giuridiche, commerciali, economiche e finanziarie.
Che lo si mettesse in evidenza in un momento in cui era già nota l’intenzione di non procedere più a quell’abbinamento (facendo per di più notare che presso il Politecnico era già stato predisposto il locale necessario) equivaleva evidentemente a dire che non si era affatto d’accordo[4]. Se ancora si sperava di influire, mantenendo in qualche modo agganciato il progetto alla primitiva versione, la lettura ai primi di aprile dello statuto nel testo nel frattempo elaborato da Sabbatini toglieva comunque ogni residua illusione. Anche se il nuovo intervento del «Corriere della sera» restava anonimo, non era difficile vedervi una diretta espressione del risentimento degli ispiratori del precedente progetto. E, nonostante si precisasse che le critiche non riguardavano direttamente il fondatore, ma «il funzionamento proposto e le basi del nuovo istituto in nome di quello stesso alto interesse che suggerì al Bocconi una tal fondazione», il primo a venir chiamato in causa era in realtà proprio Bocconi per il suo voltafaccia. Era su suo mandato (si ricordava) che Colombo e De Angeli si erano mossi, ricorrendo «ai lumi veramente preziosi del compianto Cognetti de Martiis», e avvalendosi di altri competenti, tra i quali doveva ricordarsi «in prima linea il comm. Maglione». Lo statuto dato alla luce in simile contesto era stato «veramente un’opera pregevole», in cui si riconosceva «la mano di un maestro». A quanto sembrava, il fondatore non ne era rimasto soddisfatto e le cose avevano preso tutt’altra rotta, come se quanto studiato e progettato nella precedente fase neppure fosse esistito. Ma i risultati non gli davano per nulla ragione:
Ci consenta prima di tutto il comm. Bocconi di dirgli francamente che non fu savio il proposito di ripudiare il legame col Politecnico. Il contatto avrebbe onorato la nuova scuola, le avrebbe dato prestigio, e sarebbe tornato assai utile agli allievi ingegneri, mentre avrebbe consentito di dedicare all’istituzione i capitali impiegati nella costruzione di una sede speciale. Ma, a parte ciò, il nuovo Statuto è tanto inferiore al primo che noi dubitiamo esso possa valere come base di una grande Scuola superiore. C’è di buono quanto fu tolto dallo Statuto precedente, di cattivo quasi tutto quanto vi fu aggiunto.
Tra gli aspetti peggiorativi veniva naturalmente inserita la ben diversa composizione del Consiglio direttivo, ora previsto di nove membri: il fondatore, «o suoi eredi e successori, o persone della famiglia da essi designata»; Sabbatini, chiamato a farne parte per dieci anni in quanto «autore del programma»; i rappresentanti designati rispettivamente dalla Provincia, dal Comune, dalla Camera di Commercio e dalla Cassa di Risparmio; altre tre persone nominate dal fondatore o da chi per esso. In tal modo sarebbe toccato a Bocconi di scegliere addirittura la maggioranza del Consiglio:
Francamente, non conosciamo fondazione di carattere istruttivo, in cui al fondatore sia riservata tanta parte. Né crediamo ci si ribatta mai che coi denari propri ognuno fa ciò che crede: qui si tratta di creare una istituzione che offra alle famiglie le garanzie necessarie, anche in avvenire, di un vero e completo insegnamento commerciale superiore.
Non solo tali garanzie sarebbero mancate «in un regime personale». Fatto anche più grave, Sabbatini, non contento di essersi procurata la partecipazione per dieci anni al Consiglio direttivo, aveva voluto «imporre (…) un programma preciso, fatto da lui, immutabile. Persino le ore sono fissate per ciascuna materia da lui scelta». Il significato delle critiche che seguivano circa l’impianto didattico della nuova scuola si potrà meglio valutare nel contesto del più ampio esame e del confronto condotto più avanti della elaborazione di Sabbatini rispetto al primo progetto. L’articolo del «Corriere della sera» metteva infatti in discussione proprio il motivo di fondo, del tutto centrale nella sua ispirazione, che attribuiva assoluta priorità allo studio delle «leggi che governano i fenomeni economici così difficili ad interpretare», e dunque all’Economia politica. Che cosa De Angeli pensasse di quest’ultima disciplina, astratta e deviante a suo parere rispetto alle effettive tendenze ed esigenze della vita reale, era attestato dalla reiterata polemica di marca protezionista condotta a più riprese nell’ultimo quindicennio dall’«Industria»[5]. L’argomento naturalmente si riaffacciava:
Sì: «Leggi del mondo economico». Chi nega che anche queste cosiddette leggi non debbano essere apprese? Ma chi anche non sa quanto magre, deficienti, incerte e controverse esse siano; come alla determinazione rigida che esse tentano, sfugga ognora più il fenomeno economico mutevole ed evolvente? Ben misero patrimonio di cultura sarebbe per un commerciante quello che si compendiasse nella conoscenza di siffatte leggi; patrimonio forse nocivo, ché il dottrinarismo non farà del danno a un professore di università, ma ne può recar tanto ad un commerciante, specie se operi in vasto campo.
Più che di teorie, gli studenti della nuova scuola avrebbero avuto insomma bisogno di tecniche, da applicare nei vari settori di competenza: e dunque di specializzazioni in materia di credito, moneta, economia industriale, di una adeguata preparazione giuridica, di un sicuro avvio negli insegnamenti pratici e applicativi: quanto insomma il precedente progetto avrebbe di sicuro loro offerto al meglio, ove Bocconi non l’avesse inspiegabilmente abbandonato:
La generosità del Bocconi, giunta sino a dedicare un milione al nobile scopo, avrebbe potuto, accanto al Politecnico, alimentare un Istituto superiore che in tre anni svolgesse un programma completo, svariato e geniale di studi commerciali, che si mantenesse in contatto continuo e immediato colla vita vera dei traffici, non si fossilizzasse in un dottrinarismo funesto[6].
Era peraltro un segno indicativo, dal punto di vista dei rapporti del nuovo istituto con gli ambienti cittadini, che lo sfogo del «Corriere della sera» rimanesse nel complesso abbastanza isolato. Qualche contrarietà veniva ancora avanzata nell’ambito dell’Istituto tecnico, il cui insegnante di Ragioneria, Clitofonte Bellini, esprimeva riserve sui criteri di ammissione, che non facevano distinzioni tra i giovani provenienti dalla sezione di commercio e ragioneria della sua scuola e quelli provenienti dai licei o dalle altre sezioni dell’Istituto tecnico, col rischio, a suo parere, di disincentivare i primi. A loro si sarebbe dovuto più direttamente pensare collocando accanto al corso commerciale, al quale avrebbero potuto benissimo accedere anche i giovani provenienti dalle scuole classiche, un corso professionale riservato invece ai giovani provenienti dalla sezione di commercio e ragioneria degli Istituti tecnici. In mancanza, il rischio della «nuova promettente istituzione» era di tramutarsi in una ennesima scuola di magistero, diretta non già a «preparare all’esercizio in grande dell’industria e del commercio», ma a «fabbricare dei nuovi professori di economia, dei quali, a dire il vero, il mercato non sente proprio il bisogno»[7]. Il consenso della stampa specializzata, più vicina agli ambienti economici cittadini, commerciali e d’affari, si dimostrava peraltro pieno e senza riserve. E anche chi si dichiarava convinto che in Italia la scuola fosse tradizionalmente «troppo lontana dalla pratica della vita», conservando del classicismo «la parte meno simpatica e meno utile», non comprendendo e falsando «l’indole intima della modernità», considerava del tutto «riuscita» e nient’affatto inficiata da astrattezze dottrinarie l’ardua opera affidata a Sabbatini:
Liberi dell’inutile ciarpame di una congerie di cognizioni che loro non servirebbero affatto, e che pur nelle università governative avrebbero dovuto apprendere, i giovani usciti dalla Università commerciale Luigi Bocconi porteranno nella vita pratica italiana una nota opportuna e grandemente desiderata[8].
Non era d’altra parte un mistero che il nuovo progetto avesse preso forma in larga misura sotto l’egida della Camera di Commercio e grazie all’impegno diretto di alcuni dei suoi uomini più rappresentativi: Sabbatini, anzitutto, ma anche il presidente Salmoiraghi e il consigliere Mangili (che entreranno, non a caso, nel Consiglio direttivo, su designazione del fondatore, aggiungendosi così al vice-presidente Vanzetti, rappresentante ufficiale direttamente indicato dall’organo camerale, politicamente vicino anch’egli ai radicali)[9]. Fu un ulteriore segno della piena identificazione della Camera di Commercio milanese con l’iniziativa e con l’impostazione che le si era conferita la decisione di mettere a disposizione due mila lire (in seguito raddoppiate) per quattro anni con cui pagare le tasse di ammissione a cinque allievi[10].
Quanto alla giunta municipale, non era passato inosservato che, ai primi d’aprile, all’indomani della comunicazione ufficiale del definitivo varo dell’iniziativa, il sindaco Mussi si fosse recato a casa di Bocconi per ringraziarlo formalmente e per annunciargli che avrebbe proposto in Consiglio comunale un plauso alla sua «opera altamente civile»[11]. Un plauso che avrebbe beninteso ottenuto l’unanimità del consiglieri presenti[12]. Ma era comunque sotto l’egida della amministrazione democratica che il felice evento si compiva, e come tale lo si valorizzava, anche a riprova di quanto fosse gratuita e di marca elettoralistica la «perfida leggenda» diffusa ad arte dagli avversari che avevano dipinto i partiti popolari come «orde di vandali e di selvaggi, nemici dell’arte e della cultura, preoccupati esclusivamente e grettamente dei soli bisogni materiali, feticci del ventre, inaccessibili ad ogni concetto d’intellettualità»[13].
Inerte e silenzioso, come si è visto, sul progetto De Angeli-Colombo, il «Secolo» si schierava ora apertamente e senza riserve per quello elaborato da Sabbatini. Ferrero ne giudicava «eccellente» l’idea di fondo:
L’Università commerciale Luigi Bocconi sarà un istituto di nuova forma, perché in esso si tenta di fondere in un sistema vivente l’insegnamento delle discipline puramente tecniche con una vasta cultura economica, rigorosamente scientifica.
Era assiomatico:
Con la sola scienza economica appresa nelle scuole non si può avviare e ingrandire un vasto traffico; ma nemmeno si può oggi far grandi cose con la sola esperienza del magazzino e dell’ufficio.
Grazie all’impostazione che si era stabilito di darle, la nuova Università sarebbe invece servita a
creare direttori e impiegati di grandi aziende commerciali e industriali che sappiano in che mondo vivano; e che in mezzo ai vasti e complessi fenomeni economici del tempo moderno dai quali pur dipende la loro fortuna, sappiano orientarsi con l’aiuto di quelle leggi e di quei principii eterni ed universali di verità che le scienze economiche vanno scoprendo[14].
L’aperto avallo della Milano democratica (non a caso ampiamente rappresentata nel Consiglio direttivo del nuovo ente da Sabbatini, Salmoiraghi, Vanzetti: e vi entrerà in seguito anche il socialista Majno) non implicava d’altro canto dissociazioni da parte degli altri settori cittadini, diversamente orientati. La «Perseveranza» dichiarava di apprezzare senza riserve proprio il modulo adottato, imperniato sul principio che «la predisposizione naturale pei traffici e la cultura tecnica professionale» costituissero bensì «molta parte del grande commerciante – come del resto del grande industriale moderno» –, senza però essere tutto, avendo bisogno di venire integrate con un terzo elemento: appunto «una seria, profonda cultura economica». L’ordinamento degli studi (compresa la loro durata, contestata invece dal «Corriere») appariva del tutto coerente con l’assunto. E del tutto «geniale» veniva giudicata l’introduzione, per la prima volta in Italia, perlomeno a livello degli studi superiori, dei corsi speciali, tra i quali l’allievo avrebbe potuto scegliere in funzione delle attitudini e della carriera cui intendeva dedicarsi: «si è tentato insomma – e sia detto per chi dubita che nel nuovo Istituto si voglia fare eccessivo dottrinarismo – di legare sempre più strettamente la scuola alla vita e fare di quella la naturale, efficace preparazione di questa»[15].
Ma non sosteneva tesi nella sostanza difformi la repubblicana «Italia del popolo», che dichiarava di aver seguito «con simpatia l’iniziativa generosa ed elevata di Ferdinando Bocconi» e di condividerne pienamente il «concetto fondamentale», attribuendole semmai una funzione aggiuntiva più specifica:
L’importanza del nuovo Istituto non è (…) soltanto economica o finanziaria, ma ben anco sociale: perché se l’insegnamento (…) deve tendere principalmente (come tende l’Università di Milano) a creare dei buoni commercianti e degli industriali, non deve tuttavia trascurare lo scopo, socialmente di altrettanta importanza, di mettere gli uomini che indirizzano i loro sforzi alla produzione della ricchezza in grado di comprendere i loro doveri sociali e di saper esercitare nobilmente i loro diritti[16].
Costituiva in realtà una ulteriore attestazione della vitalità del nuovo ente che se ne scorgessero da varie parti i pregi e le potenzialità in relazione ai rispettivi e diversi punti di vista. Al consenso (con l’eccezione del «Corriere della sera») della Milano moderata e all’entusiasmo di quella democratica poteva così senz’altro corrispondere l’adesione anche della Milano cattolica. All’indomani della diffusione del progetto definitivo, l’«Osservatore cattolico» e la «Lega lombarda» erano stati anzi tra i primi giornali a plaudire e ad augurare il più pieno successo all’iniziativa, spiegando come essa avrebbe ovviato ad una indubbia e vistosa lacuna, considerato quanto «negletti e vergognosamente trascurati» fossero al momento gli studi economici nelle università e negli istituti superiori nazionali[17]. Secondo la «Lega lombarda», poi, tanto più essa era da valorizzare in quanto «da uomini i quali portino nella pratica quotidiana degli affari un senso intimo delle esigenze della vita economica» sarebbe stata «anche meglio agevolata quella correlazione che per il più proficuo sviluppo della vita economica, deve intercedere fra i vari fattori della ricchezza». La nuova istituzione si sarebbe cioè inserita, con una sua specifica funzione, in una prospettiva di più equa e matura ricomposizione del quadro sociale e dei rapporti interumani, secondando dunque positivamente una esigenza per più versi centrale nella sensibilità del cattolicesimo politico ambrosiano di quegli anni[18]:
Così mentre l’operaio progredisce e si fa cosciente dall’una parte, si renderà più ragionevole e cosciente anche il commerciante, cosicché meno aspre saranno le contese, e più concorde il lavoro alla conquista di un benessere che non deve e non può essere profitto esclusivo di uno dei due coefficienti, ma che può essere, solo mercé la coltura di entrambi, concordemente raggiunto ed equamente ripartito[19].
Il primo elenco, diffuso a metà luglio, degli insegnanti dei quali ci si era assicurati la collaborazione era indicativo al tempo stesso del livello d’eccellenza al quale ci si proponeva di operare[20], e della parallela disponibilità a coinvolgere competenze già operanti in città. Tenuto conto dei precedenti, non era in particolare senza rilievo che ad insegnare i Principi di economia politica fosse stato designato Ulisse Gobbi, titolare sin lì delle discipline economiche al Politecnico, o che si facesse ricorso a Giovanni Maglione (fautore da tempo, come si è visto, dell’insegnamento della ragioneria a livello superiore) per la Ragioneria generale e applicata. Dal punto di vista dei collegamenti con i vari settori maggiormente rappresentativi della Milano economica, all’ampio avallo della Camera di Commercio faceva riscontro il parallelo inserimento nel Consiglio direttivo d’uno dei nomi di punta della Milano industriale (Pirelli, designato dal Consiglio provinciale) e, in rappresentanza della Milano finanziaria, di uno dei direttori della Banca Commerciale Italiana (Federico Weil, scelto direttamente dal fondatore). L’andamento delle iscrizioni risultava dei più incoraggianti. 61 iscritti e 11 uditori (quanti se ne annoveravano al momento della inaugurazione ufficiale) erano, secondo vari giornali, molti di più di quanto gli stessi promotori non avessero sperato. Tanto più, come non si mancava di far notare, che al momento non esisteva nessuna garanzia che al termine dei corsi, di lì a quattro anni, si sarebbe stati in grado di fornir loro «un qualsiasi diploma governativo, alla conquista del quale si volge di solito la nostra gioventù studiosa». S’era trattato dunque d’una scelta di sostanza, non dettata da «speranza di più facile e luminosa carriera», ma motivata dalla spinta autentica a prepararsi ad assolvere «alle funzioni direttive del movimento commerciale italiano ed a ben rappresentare il nostro paese nei rapporti economici coll’estero»: una spinta di sicuro stimolata dal «carattere di assoluta autonomia ed indipendenza» proprio della nuova istituzione[21]. |
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In occasione della giornata inaugurale, il 10 novembre 1902, il «Corriere della sera» confermava la propria solitaria dissociazione, riservando all’avvenimento uno smilzo e generico pezzo d’una trentina di righe nella cronaca cittadina. Gli unici elogi erano per i locali, «assai ben disposti pel loro scopo, e molto capaci»[22]. Si esprimeva con più calore (o perlomeno dedicava all’evento qualche diecina di righe in più) il «Tempo», ormai diventato organo socialista[23]. L’«Italia del popolo» non si lasciava sfuggire l’occasione di fare dell’ironia per la presenza del solo prefetto in rappresentanza del governo («Questi uomini di governo non vanno che dove c’è odor di cucina o di cuccagna»); ma il tono complessivo restava cordiale[24]. Analogamente a quanto faceva la «Lombardia»[25], il «Secolo» (che già nei mesi precedenti aveva avuto modo di illustrare i pregi, insieme estetici e funzionali, della nuova costruzione di via Statuto)[26] dedicava largo spazio alla cronaca della cerimonia, riportando ampi stralci dei discorsi pronunciati e sottolineando come in particolare il sindaco Mussi avesse rispecchiato «con limpida concisione i veri sentimenti della cittadinanza»[27]. Il «Sole» dava integralmente, in prima pagina, il discorso di Sabbatini[28]. Il «Commercio» parlava di «giornata memorabile»[29]. Tra i fogli moderati, l’«Alba» (vicina al ministro degli Esteri Prinetti) descriveva l’avvenimento come degno in tutto dell’«Istituto chiamato a dare alla patria nostra nuovi ed arditi pionieri sulla via del progresso commerciale»[30]. La «Perseveranza» sottolineava come esso avesse lasciato «in tutti la più grata e commovente impressione»[31]. E non erano da meno, di nuovo, i giornali cattolici, con la «Lega lombarda» che motivava l’assenza del ministro della Pubblica Istruzione Nasi con la «ritrosia a sanzionare colla sua presenza l’esistenza di un istituto che fortunatamente non cade sotto la sua giurisdizione ed i suoi programmi»[32].
Di nuovo, insomma, spunti e motivi anche diversamente orientati che convergevano tuttavia nella valorizzazione della nuova Università, del suo modulo organizzativo, del ruolo essenziale che le era stato assegnato, del carattere di fondo che le era proprio e al quale la si impegnava a rimanere fedele, e che testimoniavano nel medesimo tempo del suo rapido radicamento nel contesto cittadino. Non sarà senza significato, in simile prospettiva, che quando, di lì a qualche settimana, il direttore della Scuola superiore di commercio di Venezia Pascolato approfitterà della sua posizione di deputato per contestare la legittimità dell’erezione della Bocconi in ente morale, provvedesse il socialista Majno, anche a nome degli altri deputati milanesi socialisti e radicali Turati, Cabrini e Mangiagalli, a sostenere alla Camera la tesi opposta, recriminando sulle «questioni sofistiche» e sugli «strani principi» addotti, compreso quello «che l’Italia sia un paese così strano e così disgraziato che occorra una legge del Parlamento perché un privato che ha una buona idea ed i mezzi per eseguirla abbia la libertà di fare del bene»[33].
Anche chi, fuori di Milano, e senza secondi fini, aveva condiviso le critiche per l’«illimitata ingerenza» lasciata dallo statuto al fondatore o «a chi per esso», doveva d’altronde ammettere che nella pratica attuazione, e in particolare «per il modo onde furono fatte le nomine dei professori scelti tra il fior fiore dei nostri scienziati più illustri», tutto era andato in realtà per il meglio[34]. Nel marzo 1903 il «Sole» garantiva che tra il corpo insegnante e gli 84 studenti al momento frequentanti si era «stabilita una corrente di schietta fiducia» e che «l’ordinamento interno edilizio si [mostrava] pienamente rispondente allo scopo cui fu destinato»[35]. Il mese successivo il medesimo organo della Camera di Commercio, a riprova di quanto il nuovo istituto fosse «giustamente apprezzato anche all’estero», segnalava l’iscrizione dei primi studenti stranieri: due americani e un francese[36]. Alcune settimane più tardi dava notizia del felice impianto in corso della biblioteca, «destinata a costituire l’anima, il centro vitale del nuovo Istituto»[37].
Anche a stare a quanto garantiva sulla «Riforma sociale» Gaetano Mosca (che giudicava «felicissimo ed opportuno» il concetto ispiratore della neonata università, dove aveva accettato di venire ad insegnare Diritto costituzionale e amministrativo)[38], lo si poteva insomma dire e ripetere senza tema di smentite: grazie alla munificenza di Bocconi ed al «vero ingegno di organizzatore» del marchigiano Sabbatini, Milano disponeva di un nuovo, essenziale strumento, funzionale alle sue esigenze ed a quelle del paese, nonché, e nel medesimo tempo, di un nuovo simbolo nel quale immedesimarsi e vedere rispecchiate le potenzialità dell’«iniziativa individuale» saggiamente orientata e impostata nella quale si identificava con piena convinzione tanta parte, per non dire la totalità, della sua classe dirigente, compresa quella formatasi fuori dei canali e degli ambienti del più tradizionale moderatismo[39]. Si è visto come proprio in tale ambito, politicamente collocato tra liberalismo e democrazia radicale (con agganci di cui si vorrebbe poter sapere di più, ma certamente significativi con la locale organizzazione massonica) si muovessero alcuni dei principali responsabili della gestione del nuovo ente. Né era un caso che Sabbatini fosse, con Salmoiraghi, uno dei più attivi promotori (e per qualche tempo segretario generale) della nuova grande Esposizione di cui si cominciò a parlare in città nel corso del 1901 collegata con l’apertura del traforo del Sempione.
Inaugurata, dopo vari rinvii, alla fine d’aprile del 1906 (dopo un nuovo cambio a palazzo Marino, conseguente allo sciopero generale del settembre 1904 e al riflusso moderato che ne era seguito e che aveva portato all’elezione a sindaco di Ettore Ponti), la nuova Esposizione si poteva considerare per molti versi simmetrica a quella che nel 1881 aveva salutato l’apertura del San Gottardo. Quest’ultima aveva rappresentato l’affermazione della vocazione industriale della città e la legittimazione della sua volontà di porsi alla testa dello sviluppo manifatturiero nazionale. La rassegna del 1906, imperniata sul tema dei trasporti e delle comunicazioni, ma con inserimenti anche d’altro genere, era destinata a dimostrare l’entità del cammino percorso e il grado di maturazione non solo della Milano industriale, ma anche di quella commerciale, finanziaria, dei servizi. Come scrisse per l’occasione il «Secolo»: «Il mondo cammina: e Milano progredì col mondo»[40].
Una città a pieno titolo di livello europeo, insomma, dotata, nel medesimo tempo, di una incomparabile forza di attrazione e di una non meno efficace capacità di proiettarsi sulla scena internazionale: l’Università commerciale di recente costituzione poteva a buon diritto venir inserita nel novero delle sue istituzioni più vitali e di maggior rango, comparabile con pieno fondamento, nella sua peculiarità, con le corrispondenti istituzioni estere. Anche sotto quest’ultimo profilo, non fu per nulla irrilevante la convocazione proprio a Milano, e alla Bocconi, nel settembre 1906, dell’VIII Congresso internazionale per l’insegnamento commerciale, cui si fa riferimento anche nelle pagine che seguono. Furono in realtà molte diecine le consimili manifestazioni organizzate in quel periodo nel capoluogo ambrosiano, trasformato per sei mesi in «una delle metropoli del mondo civile»[41]. Nel caso citato, come in quello per più versi analogo della Società Umanitaria (un altro istituto cittadino dalla fisionomia affatto particolare, espressione principalmente della Milano socialista e turatiana, affermatosi in quel medesimo scorcio d’anni con modalità non prive di analogie e di riscontri con quelle della Bocconi, e che indisse a sua volta in quei mesi congressi dedicati agli ambiti di sua competenza delle opere per l’educazione popolare e della lotta alla disoccupazione)[42], la convocazione di ospiti ed osservatori provenienti dall’Italia e dall’estero doveva servire come una sorta di verifica e di consacrazione. Inutile sottolineare come la prova sarebbe stata pienamente superata, offrendo a Sabbatini, autore della apprezzatissima relazione d’apertura[43], un’importante opportunità d’affermazione anche personale.
Ai significativi consensi internazionali si sommava in ogni caso, a quel punto, a piena conferma della assoluta funzionalità del modulo organizzativo e didattico adottato, la notizia dell’avvenuto, immediato collocamento di tutti i primi studenti licenziati. Ancora il «Sole» non mancava di metterlo in evidenza, con particolare compiacimento:
Grandi Istituti finanziari ed importanti Ditte commerciali hanno essi stessi richiesto alla Presidenza della Università i giovani dottori in scienze economiche e commerciali, per chiamarli a collaborare nelle loro aziende; ed anzi, per quel che ci consta, le richieste furono superiori al numero dei laureati[44].
Sempre il «Sole» terrà a battesimo l’anno dopo il Bollettino della Associazione tra i laureati, pubblicato come inserto per assicurarne la maggiore diffusione, «documento tutto moderno che attesta delle nuove forze che entrano nel campo dell’attività nazionale e che anelano di sollecitamente affermarsi»[45]. E diventerà per il medesimo quotidiano una consuetudine salutare ogni apertura d’anno accademico come un ulteriore passo nello sviluppo «sensibilissimo e continuo» dell’istituzione, come una conferma della crescente fiducia della «classe borghese d’Italia», che ad essa dimostrava di volersi sempre più affidare per formare «gli organi atti all’esplicazione completa e vivace delle sue forze nel campo dell’economia nazionale»[46]. Quanto alle altre forze politiche operanti in città, non erano semplicemente di circostanza le considerazioni pubblicate in occasione della morte di Ferdinando Bocconi, nel febbraio 1908, due anni dopo la nomina a senatore, dal quotidiano dei riformisti turatiani, diretto da Claudio Treves. Dell’uomo il «Tempo» scriveva che «aveva i pregi e i difetti dei grandi filantropi, pronto a dare parte cospicua della sua fortuna per una idealità elevata, mentre si manifestava guidato da criteri soverchiamente angusti nei rapporti col proprio personale; spirito autoritario, profondamente avverso alle forme nuove di rapporti tra capitale e lavoro, maturate dal moderno sviluppo industriale». Ma sulla Università commerciale in sé l’articolista (forse lo stesso Treves) mostrava di non avere dubbi: «è certo un istituto esemplare di alta utilità sociale»[47]. Né era meno caratteristico nella circostanza, in altra prospettiva, il necrologio dell’organo cattolico, che ricordava bensì come il defunto fosse «additato come legato d’interessi o per simpatia ai democratici», ma si fosse anche attenuto all’impegno preso con «l’allora arciprete del Duomo mons. Sala d’indimenticabile memoria» di tenere chiusi i propri magazzini nei giorni festivi. Sul punto specifico dell’Università, l’aspetto sul quale si insisteva continuava ad essere il suo carattere privato, causa il quale essa era stata «tortuosamente osteggiata sulle prime dai monopolizzatori dell’insegnamento statale»[48]. Inutile aggiungere che, al di là dei risultati specifici e del livello raggiunto in quel particolare caso, era al principio in sé che si guardava con evidente attenzione, anche per le applicazioni d’altro tipo cui avrebbe potuto dar luogo.
Dell’ampio inserimento dell’istituzione bocconiana nel contesto cittadino offrivano d’altro canto una significativa testimonianza gli elenchi delle commissioni di laurea, aperte (oltre che ai componenti del Consiglio direttivo dell’Università), a varie altre personalità eminenti della vita milanese: alti funzionari, figure di primo piano dell’economia, dell’alta cultura, delle professioni, del giornalismo, ma anche vari parlamentari e esponenti politici, lungo un arco che comprendeva non a caso, insieme, socialisti, radicali, liberali, moderati, cattolici[49]. Anche più lungo e nutrito era l’elenco, evidentemente predisposto con i medesimi criteri, relativo ai membri esterni inseriti nelle varie commissioni d’esame. Vi erano compresi (oltre ai precedenti) i nomi più vari: da Giorgio Enrico Falck ad Augusto Osimo (segretario generale dell’Umanitaria), da Arnaldo Agnelli (futuro deputato radicale) al ragioniere capo del Comune Gaspare Ravizza al direttore della Banca Commerciale Italiana Otto Joel (inserito tra i commissari per la lingua tedesca)[50]. Da enti e imprese milanesi l’Università commerciale traeva d’altra parte mezzi aggiuntivi importanti. Su una settantina di borse di studio attivate entro il 1908-9 (di diverso importo: le più elevate erano le 4 di 1000 lire offerte dalla Banca Commerciale Italiana), oltre 50 erano state conferite grazie agli apporti cittadini[51]. La Camera di Commercio, che ne aveva finanziate già 15, di 400 lire ognuna, decise nell’ottobre 1909, su proposta di Vanzetti, di istituirne altre 5 al fine di «promuovere e facilitare il pieno possesso delle lingue straniere», presentato come un «elemento indispensabile all’incremento delle relazioni internazionali» e alla «conoscenza del pensiero e della civiltà dei popoli che ci precedono nello sviluppo industriale e commerciale»[52].
Quando, a conclusione del primo decennio di attività, giunse il momento di decidere, in base all’articolo 3 dello statuto e sulla base dei risultati ottenuti, se l’istituto dovesse o no continuare a vivere, il suo bilancio complessivo (quale il lettore potrà più direttamente misurare dai contributi che seguono) era tale da rendere in qualche modo ovvia e scontata la scelta, coronata dalla donazione da parte dei Bocconi della sede di via Statuto.
Ostile, come si è visto, al momento della costituzione, al modello universitario elaborato da Sabbatini, il «Corriere della sera» affidava questa volta a Luigi Einaudi il compito di commentare l’evento e di esprimere il più pieno riconoscimento per quanto era stato realizzato. Un soggetto a Einaudi per più versi congeniale (e non solo per il suo coinvolgimento diretto nell’istituzione bocconiana in quanto docente di Scienza delle Finanze dal 1904), dal momento che vi poteva far rientrare i temi a lui cari della «coscienza civica delle classi elevate, imprenditrici, commerciali, capitaliste» e del vero «uomo economico moderno», che non era solo «colui che sa procacciarsi ricchezza, ma sopra tutto colui che, dopo averla guadagnata, sa degnamente investirla in maniere feconde ed utili per le generazioni future». La munificenza del fondatore e dei suoi figli era interpretata in simile chiave, unitamente al più largo e diffuso sostegno che organismi locali e singoli avevano riservato all’istituzione. Parallelamente Einaudi aveva modo di valorizzare attraverso la Bocconi il modello di una università cui avrebbe continuato anche in seguito a guardare, libera «dai troppo ristretti vincoli che inceppano l’azione degli istituti scientifici che dipendono esclusivamente dalle direttive ministeriali e da regolamenti uniformi». Nel caso bocconiano, grazie alla intelligenza pratica ed alla capacità organizzatrice di Sabbatini, una simile condizione aveva consentito di conferire «agli studi commerciali tale ricchezza di contenuto scientifico e di applicazioni pratiche che difficilmente è uguagliata dalle migliori istituzioni estere congeneri». Dell’opera compiuta si vedevano d’altronde i frutti, dal momento che dei 265 laureati tutti avevano saputo conquistarsi «un onorevole posto nel mondo». E non era uno dei minori titoli di merito che pochissimi tra loro fossero entrati nella burocrazia e che nessuno si fosse dato «alla vita contemplativa dello scienziato»:
Di burocratici ve ne sono fin troppi e gli studiosi puri preferiscono la quiete delle città raccolte e tranquille. Da una Milano pulsante di vita operosa e fervida debbono uscire giovani a cui la scienza serva come guida luminosa all’azione concreta[53].
Poteva essere un criterio limitativo: ma è fin inutile sottolineare quanto una simile visione corrispondesse all’immagine che della Bocconi, delle sue funzioni e dei suoi compiti, concepivano quanti a Milano si sentivano a vario titolo impegnati a sostenerne la causa e a difenderne il ruolo.
↑ 1
«Il Secolo», 2-3 dicembre 1899, Il programma democratico delle Elezioni amministrative.
↑ 2
Cfr. Atti del Comune di Milano. Annata 1899-1900, Milano 1900, pp. 304- 305 (Seduta straordinaria del 4 luglio 1900); Atti del Comune di Milano. Annata 1900-1901, Milano 1902, p. 272-273 (Seduta straordinaria del 22 gennaio 1901).
↑ 3
Della riunione venne redatto un comunicato stampa, pubblicato da vari giornali: cfr. ad es. «Il Sole», 27 novembre 1901, Università commerciale Luigi Bocconi.
↑ 4
Cfr. «Corriere della sera», 12-13 gennaio 1902, Per l’Università commerciale italiana.
↑ 5
Cfr. ad es. L’insegnamento dell’economia politica, «L’Industria», 5 ottobre 1890, pp. 625-626; L’insegnamento economico ufficiale, ivi, 24 gennaio 1892, pp. 50-51.
↑ 6
«Corriere della sera», 13-14 aprile 1902, L’organizzazione dell’Università commerciale L. Bocconi.
↑ 7
C. Bellini, La nuova Università Commerciale Luigi Bocconi in Milano, «Bollettino del Collegio dei ragionieri in Milano», 30 giugno 1902, pp. 41-42.
↑ 8
«Il Commercio», 11 giugno 1902, Ego., L’Università commerciale.
↑ 9
Sulla sua collocazione nello schieramento democratico cfr. la scheda predisposta dal «Secolo» il 10-11 giugno 1899 in occasione delle imminenti elezioni amministrative. Eletto in quella circostanza, Vanzetti non si era riproposto alle successive elezioni di dicembre.
↑ 10
«Il Sole», 28 maggio 1902, Camera di Commercio di Milano, Seduta del giorno 27 maggio 1902.
↑ 11
«La Lombardia», 6 aprile 1902, L’on. Mussi e l’Università commerciale.
↑ 12
Atti del Comune di Milano. Annata 1901-1902, Milano 1902 (Seduta straordinaria del 15 maggio 1902), p. 266.
↑ 13
«Il Secolo», 17-18 luglio 1902, Elezioni. L’opera dei partiti popolari nel nostro Comune. Per l’arte e per la cultura.
↑ 14
«Il Secolo», 28-29 aprile 1902, G. Ferrero, L’Università commerciale Luigi Bocconi. Merita notare che Ferrero sarà nelle settimane successive preso in considerazione come possibile insegnante di Storia del commercio, incontrando però l’opposizione di alcuni consiglieri che «pure dichiarandolo un’assai bella mente, lo trovano troppo assolutista e unilaterale» (cfr. E. Resti, Ferdinando Bocconi dai grandi magazzini all’Università, prefazione di G. Spadolini, Milano, 1990, p. 104).
↑ 15
«La Perseveranza», 15 ottobre 1902, Università commerciale Luigi Bocconi.
↑ 16
«L’Italia del popolo», 20 ottobre 1902, L’Università Commerciale «Luigi Bocconi».
↑ 17
«L’Osservatore cattolico»,7-8 aprile 1902, L’Università commerciale Luigi Bocconi.
↑ 18
Cfr. in particolare le considerazioni al riguardo di G. Rumi, Lombardia guelfa 1780-1980, Brescia 1988, pp. 155-174.
↑ 19
«Lega lombarda»,11-12 aprile 1902, Serr., L’Università Commerciale.
↑ 20
Cfr. in tal senso il commento del «Sole», 17 luglio 1902, Università Commerciale Luigi Bocconi - Milano.
↑ 21
«Il Commercio», 9-10 novembre 1902, L’Università commerciale Luigi Bocconi.
↑ 22
«Corriere della sera», 11-12 novembre 1902, L’inaugurazione dell’Università commerciale.
↑ 23
«Il Tempo», 11 novembre 1902, Inaugurazione dell’Università Commerciale «Luigi Bocconi».
↑ 24
«L’Italia del popolo», 11 novembre 1902, L’inaugurazione della Università Commerciale «Luigi Bocconi».
↑ 25
«La Lombardia», 11 novembre 1902, L’inaugurazione dell’Università Commerciale «L. Bocconi».
↑ 26
Cfr. «Il Secolo», 5-6 aprile 1902, L’Università commerciale «Luigi Bocconi».
↑ 27
«Il Secolo», 11-12 novembre 1902, L’inaugurazione dell’Università commerciale Luigi Bocconi in Milano.
↑ 28
«Il Sole», 10-11 novembre 1902, La solennità inaugurale dell’Università Commerciale Luigi Bocconi.
↑ 29
«Il Commercio», 11 novembre 1902, L’inaugurazione a Milano dell’Università commerciale Luigi Bocconi.
↑ 30
«L’Alba», 11 novembre 1902, L’inaugurazione dell’Università «Luigi Bocconi».
↑ 31
«La Perseveranza», 11 novembre 1902, Inaugurazione della Università commerciale «Luigi Bocconi» a Milano.
↑ 32
«Lega lombarda», 11-12 novembre 1902, L’inaugurazione dell’Università commerciale «Luigi Bocconi». E cfr. «L’Osservatore cattolico», 11-12 novembre 1902, L’università commerciale Bocconi.
↑ 33
Cfr. Atti Parlamentari. Camera dei Deputati. Discussioni, Tornata dell’11 maggio 1903, pp. 7458-7560 e 7466. L’intervento di Majno era ampiamente segnalato in prima pagina dal «Tempo», 12 maggio 1903, Parlamento italiano.
↑ 34
A. Groppali, L’Università commerciale Luigi Bocconi, «L’Università italiana», 31 gennaio 1903.
↑ 35
«Il Sole», 19 marzo 1903, Università commerciale L. Bocconi.
↑ 36
«Il Sole», 11 aprile 1903, Università commerciale «L. Bocconi».
↑ 37
«Il Sole», 22-23 giugno 1903, Biblioteca dell’Università Commerciale Luigi Bocconi.
↑ 38
G. Mosca, Dopo il primo anno dell’Università commerciale Luigi Bocconi, «La Riforma sociale», 15 ottobre 1903, pp. 797-801.
↑ 39
Da notare che si era fatto ricorso al medesimo metodo anche per dar vita ad una nuova e specifica iniziativa nel campo dell’istruzione commerciale a livello medio. Le vicende che portarono alla istituzione a partire dal novembre 1901 di una Scuola pratica di commercio, promossa dalla Associazione fra commercianti e industriali per iniziativa precipua dell’industriale Antonio Cederna, sono brevemente richiamate nell’opuscolo Il R. Istituto di Studi Commerciali di Milano 1901-1925. Cenni storici, Milano, s.d. [1925]. Sul carattere e i motivi ispiratori della nuova scuola ospitata presso la Scuola tecnica G.B. Piatti di Foro Bonaparte 20, e affidata al direttore di quest’ultima, Nicola Moreschi, cfr. più in particolare Associazione fra commercianti ed industriali di Milano, Scuola pratica di commercio: ordinamento e programmi, Milano 1902. Alle spese d’insediamento e a quelle di funzionamento (in media 18 mila lire nei primi tre anni) si fece fronte grazie ai contributi della già citata Associazione, della Provincia e del Comune, della Cassa di Risparmio delle province lombarde, della Camera di Commercio, di numerose ditte e rappresentanze locali. Nel maggio 1907 la scuola venne dichiarata governativa e trasformata in Scuola media di commercio. Sui suoi primi dieci anni di attività cfr. ad es. il positivo bilancio de «Il Sole», 5 ottobre 1910, Il decennio di una istituzione scolastico-commerciale.
↑ 40
Cfr. l’editoriale del Supplemento al «Secolo» del 28 aprile 1906.
↑ 41
Cfr. ancora «Il Secolo», 11 novembre 1906, Milano alla chiusura dell’Esposizione.
↑ 42
Mi permetto rinviare sull’argomento al mio Previdenza, disoccupazione, cultura popolare: la Società Umanitaria all’Esposizione di Milano del 1906, in «Archivio storico lombardo» CX (1984), pp. 156-196.
↑ 43
Cfr. ad es. «Il Sole», 30 novembre 1906, R. Dalla Volta, L’istruzione commerciale superiore.
↑ 44
«Il Sole», 1° novembre 1906, Nuova fase degli studi commerciali.
↑ 45
Cfr. «Il Sole», 26 luglio 1907, «Bollettino dell’Associazione tra i laureati dell’Università Commerciale Luigi Bocconi».
↑ 46
«Il Sole», 30-31 agosto 1909, L’Università Commerciale «L. Bocconi».
↑ 47
«Il Tempo», 6 febbraio 1908, La morte del sen. Ferdinando Bocconi.
↑ 48
«L’Unione», 6 febbraio 1908, Necrologio. Il senatore Ferdinando Bocconi.
↑ 49
Delle Commissioni per gli esami di laurea avevano ad esempio fatto parte, a stare all’elenco del 1910-11, i deputati Baslini, Campi, Cornaggia, Mauri, Romussi, Ronchetti, Treves, i senatori Aporti, Celoria, Martelli e Vigoni, l’ex deputato Majno, il vice presidente dell’Umanitaria Della Torre. Insieme con loro, tra gli altri, il sindaco Gabba e il suo successore Greppi, gli intendenti di Finanza Del Guerra e Scarabelli, l’avvocato erariale Marino, i presidenti di Sezione della Corte d’Appello Mortara e Offsas, il presidente del Tribunale Raimondi, alti dirigenti delle ferrovie, il direttore del «Sole» Bersellini e della «Sera» Suzzi, il direttore del Museo di storia naturale Vignoli, ecc.: cfr. Università commerciale Luigi Bocconi, Annuario per l’anno scolastico 1910-1911, pp. 186-187.
↑ 50
Ibidem, pp. 179-185. Due funzionari della Banca Commerciale Italiana, Adolfo Comelli e Ferdinando Adamoli, erano stati inseriti nel corpo docente, incaricati dell’insegnamento di Banco modello. Al riguardo cfr. ora F. Pino Pongolini, Sui fiduciari della Comit nelle società per azioni (1898-1918), «Rivista di Storia economica», n.s., VIII (1991), pp. 122 e 136-137.
↑ 51
Università commerciale Luigi Bocconi, Annuario per l’anno scolastico 1908-909, p. 181.
↑ 52
«Il Sole», 21 ottobre 1909, Camera di Commercio di Milano. Seduta straordinaria del 20 ottobre. Destinatari delle 5 borse avrebbero dovuto essere altrettanti studenti «che abbiano dato prova di particolare conoscenza e perizia in una delle principali lingue europee moderne e che si rechino all’estero nel periodo delle vacanze estive nei centri ove la lingua stessa è più correttamente parlata».
↑ 53
«Corriere della sera», 23 febbraio 1913, L. Einaudi, Nuova cospicua donazione all’Università Bocconi. Le parti salienti dell’articolo venivano riprodotte con pieno consenso dal «Sole», 26 febbraio 1913, La donazione Bocconi all’Università Commerciale.
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