Storia della Bocconi

1902-1915. Gli esordi

Il primo emozionante quadriennio


Parole chiave: Presidente Sabbatini Leopoldo, Rettore Sabbatini Leopoldo, Einaudi Luigi, Mosca Gaetano, Rapporti istituzionali, Finanza e bilanci, Borse di studio, Pantaleoni Maffeo

Il 23 novembre (quattro giorni prima la seduta era stata annullata per mancanza del numero legale dei membri) il consiglio si riuniva nonostante l’assenza di quattro componenti (De Leva, indisposto, e Pirelli, Salmoiraghi e Weil, lontani da Milano) e, naturalmente, Sabbatini introdusse i lavori, esprimendo la soddisfazione sua e di tutti per il felice esito della giornata inaugurale: un avvenimento, la solenne apertura del primo anno accademico bocconiano, che «… ha assunto importanza nazionale, sia per le numerose e autorevoli adesioni pervenute, sia per il largo concorso degli intervenuti». Sottolineò che l’evento era stato ricordato «colle più lusinghiere espressioni» dalla stampa: non solo da quella cittadina, ma da quella «di tutto il Paese» e perfino da qualche giornale estero. Non tralasciò Sabbatini di annotare quanto sia rimasto «spiacentissimo che sia mancato l’intervento, che certo sarebbe stato molto gradito, del Ministro della Pubblica Istruzione, on. Nasi»; e – par quasi di proposito – si soffermò a rileggere ai consiglieri il telegramma di Zanardelli il quale, appunto, al Ministro Nasi affidava il compito di rappresentarlo alla cerimonia inaugurale[1]. E non si trattenne dall’aggiungere una opinione personale che, nella sua acidità, sembra giustificata: «Impegni improvvisi ed inerenti al suo alto ufficio hanno trattenuto a Roma l’on. Nasi, e forse non fu nemmeno estranea una certa rivalità – oramai nota – sorta fra il Ministro della Pubblica Istruzione e quello del Commercio a proposito della nostra istituzione. L’on. Nasi ha sempre manifestato, non meno dell’on. Presidente del Consiglio, la più alta simpatia e le migliori disposizioni verso la nuova Scuola. Ho quindi ragione di ritenere che, potendo, sarebbe assai volentieri venuto ad onorare della sua presenza la cerimonia inaugurale, e vi avrebbe volentieri portato un sincero ed eloquente augurio. L’on. Nasi delegò a rappresentarlo il Provveditore agli studi Ronchetti che, con nobili parole, si unì all’on. Prefetto Alfazio nel rilevare come in quel giorno, che segnava una delle più splendide affermazioni dell’iniziativa privata, non potesse mancare il plauso più sincero, il voto più vivo del Governo»[2]. Non vi è dubbio che, di là dal contrasto da tempo insorto, in sede romana, tra i due ricordati ministeri (contrasto che nasceva da una disputa politico-giuridica-ideologica di fondo)[3], ai componenti del consiglio direttivo il primo anno accademico dell’Università Bocconi sembrava aprirsi nel migliore dei modi. Nel segno di quell’«iniziativa individuale, forza potente del mondo moderno», com’aveva detto il sindaco ambrosiano; in quella Milano che «sempre, in ogni occasione, fu fedele riassuntrice del pensiero moderno italiano» e con l’intento, del tutto nuovo, animoso e animatore, «di elevare a grado e dignità di studi superiori gli studi commerciali, di fondare cioè le investigazioni e la pratica dei commerci su di una larga e profonda cultura economica» e «nella fiducia che questa funzione, questo carattere che corrisponde all’anima dell’Istituto, troveranno nell’avvenire conferma e svolgimento ampio e sicuro… sotto gli auspici alti e cordialissimi del Governo e a un tempo delle Autorità che hanno l’immediata rappresentanza degli interessi locali». Insomma, come lo stesso Sabbatini aveva rilevato nel suo discorso inaugurale, tutte le più idonee premesse e condizioni parevano poste e assicurate, perché ai consiglieri il successo della nuova, e per tanti aspetti «rivoluzionaria», istituzione apparisse quasi scontato. E fu in questa atmosfera, distesa ed eccitante ad un tempo, che il consiglio affrontò la soluzione dei problemi iscritti all’ordine del giorno: pochi, a vero dire, per il momento.

Preso nota che per varie ragioni il prof. Pichon doveva rinunciare all’insegnamento di francese, il consiglio su segnalazione dello stesso Pichon, seduta stante nominava, in sua vece, il prof. Pompeo Castelfranco, con stipendio annuo di lire due mila. Accolse, altresì, la richiesta del prof. Maglione di affidare ad un assistente le esercitazioni di pratica contabile; e Sabbatini assicurò che «l’opera di questo assistente non verrà a sostituire quella del titolare». E così, con la retribuzione annua di lire 700, varcava le porte dell’università, come «persona gradita al titolare», il rag. prof. Eugenio Greco, il quale alla Bocconi per lunghi anni avrebbe poi dedicato le sue giornate. Parve opportuno all’avv. Barinetti, rappresentante del Comune di Milano, di proporre che «l’insegnamento della Contabilità si accresca di un’ora settimanale da dedicarsi appunto alle esercitazioni». Ma nessun altro consigliere gli fece eco; e la riunione si sciolse.

Cinque giorni dopo si verificò un curioso episodio che, senza dubbio, non tornò gradito a qualche consigliere e indusse Sabbatini a prendere una dura posizione. A cura di un «Comitato» di studenti, presumibilmente formatosi su sollecitazione del Segretario da poco nominato, su carta intestata dell’Università fu fatto circolare (solo all’interno della scuola; in ogni caso, di certo, non solo fra gli studenti, ma pure fra i professori e i consiglieri) un invito per raccogliere fondi, onde «i primi studenti» offrissero due targhe d’oro a Bocconi e a Sabbatini[4]. Quest’ultimo, che già doveva avere buone ragioni per considerare il segretario poco affidabile, fece abortire la maldestra iniziativa, tanto più irritato di ricevere consigli come quelli suggeriti dal consigliere Mangili (qui in nota riportati)[5]. Certo è che, contrariamente alle sue aspettative, il Celli col suo gesto pose fine alla sua brevissima apparizione fra le mura della nuova università[6].

Passeranno oltre tre mesi prima che il consiglio si riconvochi: allorché, avvicinandosi la prima sessione d’esami, occorrerà redigerne il regolamento. Il quale non potrà che ispirarsi anch’esso all’iniziale piano di studi bocconiano, a dire – per usare la formula originale – a quella «distribuzione delle materie d’insegnamento» nei quattro anni del corso di laurea contemplata nella terza versione del «Programma Sabbatini» nel quale già ci siamo imbattuti[7].

La serietà, meglio la severità del piano di studi era confermata, del resto, dai programmi delle varie discipline pubblicati (come lo saranno sempre negli anni successivi) già sul primo Annuario dell’Università, almeno con riguardo alle materie principali[8]. Di codesti corsi, del loro contenuto, della loro «modernità» verrà dato preciso conto nell’ultimo volume di quest’opera: destinato, appunto, a porre in rilievo gli apporti dottrinari e didattici della Bocconi. Per ora basti osservare che la semplice lettura di siffatti «Indici sommari [in effetti analitici] degli insegnamenti» consente di apprezzare la validità, la completezza, le innovanti impostazioni e prospettive dei corsi offerti agli allievi bocconiani. Meglio ai 65 «studenti iscritti nell’anno scolastico 1902-1903» (da Luigi Alpi a Giuseppe Zuccoli i loro nomi figurano tutti nell’Annuario), ché il termine «allievi» era usato solo per i semplici «uditori» (22 furono i primi frequentanti ed anche il loro nome è stato tramandato)[9].

A beneficio degli studenti e degli allievi, sino dall’apertura dell’Università (per essere più precisi dal 12 gennaio 1903), una biblioteca entrò in funzione. L’apprestamento di una «biblioteca di scienze economiche e commerciali» era stato reso possibile, ab initio, dalla generosità del fondatore dell’Università il quale aveva provveduto all’acquisto di «molte opere specialmente moderne italiane e straniere». A questo fondo s’erano aggiunte e si stavano aggiungendo le pubblicazioni offerte da numerose case editrici (Hoepli e Bocca, in primo piano), da «molti scienziati italiani e stranieri» e altresì dai «principali istituti economici e commerciali» i quali, anche dall’estero, inviavano «statuti, regolamenti, relazioni, bilanci e memorie che, accanto alle opere d’indole più strettamente teoretica, offrono copiosa fonte di notizie ed importante materiale di studio per le pratiche applicazioni». Una menzione speciale merita la donazione compiuta dalla Camera di Commercio di Milano: oltre mille volumi tra cui spiccavano, come si faceva opportunamente notare nell’Annuario, «molte ed importanti collezioni di periodici di scienze economiche». Né va dimenticato, si osservava, che al potenziamento dei fondi librari contribuiva anche il governo, «disponendo che i vari Dicasteri spediscano alla Biblioteca dell’Università le loro pubblicazioni, che tanto giovano ad illustrare il movimento economico e civile del nostro Paese». Ci si compiaceva del «rapido incremento della Biblioteca» e si aveva «fondato motivo di sperare che presto essa sia in grado di rispondere pienamente, non solo alla esigenze della scuola, ma anche ai bisogni di quanti coltivano le scienze economiche e commerciali»[10]. Insomma, fin dal primo anno del suo funzionamento l’Università riuscì a fornire agli studenti un valido «servizio librario» e si posero le premesse di una successiva ininterrotta e invidiata espansione che avrebbe fatto di quella bocconiana una delle primissime biblioteche specializzate d’Europa.

Ma torniamo ai lavori del consiglio direttivo. Quattro furono gli assenti alla seduta del 3 marzo 1903 il cui ordine del giorno avrebbe dovuto contemplare la redazione delle norme per gli esami. Ma la questione era troppo importante perché non si reputasse opportuno rinviarla ad altra data, onde se ne discutesse in presenza di un numero maggiore di consiglieri. Sarebbe già stato motivo d’ampia discussione il problema della «equipollenza degli studi compiuti in alcune scuole estere agli effetti dell’ammissibilità alla nostra Università». In effetti la questione era duplice: da un lato, l’ammissibilità per i licenziati di alcune scuole straniere e, dall’altro, l’ammissibilità per i licenziati delle scuole italiane all’estero.

Il primo punto era stato sollevato da uno studente di Trento che, uscito dalla «Scuola media di commercio» di quella città, già frequentava, evidentemente sub condicione, i corsi bocconiani. Al pari di altre scuole austriache (e svizzere), quella di Trento dava diritto, a chi ne usciva con diploma, ad un anno di «volontariato militare» il quale, a sua volta, consentiva a chi l’avesse prestato l’iscrizione all’università. Pirelli e Barinetti non erano per nulla convinti di «ben votare» approvando l’ammissibilità alla Bocconi, come «studenti regolari», di codesti licenziati stranieri, «considerato… come la coltura impartita in queste Scuole medie [estere] sia inferiore a quella che si acquista nei nostri Licei ed Istituti»; però, dopo lungo discutere, i due consiglieri non si opposero a che l’equipollenza fosse riconosciuta. Un gesto politico, generato da intimi sentimenti? Nulla trapela dalla burocratica prosa del verbale.

L’implicazione politica era evidente, invece, per quanto atteneva al secondo punto posto in discussione: l’ammissibilità ai corsi dei licenziati da scuole italiane all’estero, concessione assai caldeggiata, in una sua lettera a Sabbatini, dal Sottosegretario per gli Affari Esteri, l’on. Baccelli[11]. Pirelli e Barinetti, questa volta assecondati dal presidente, si dichiararono contrari alla richiesta del Sottosegretario per tre motivi: inconciliabilità dell’ammissione con le disposizioni statutarie; menomazione degli studenti licenziati dai licei e istituti tecnici italiani; difficoltà per i giovani provenienti da scuole italiane all’estero, stante la loro insufficiente preparazione, di seguire i corsi bocconiani, col pericolo di «inceppare l’opera dei professori». Concludeva Sabbatini che «nel concetto dell’on. Baccelli una concessione nel senso da lui chiesto riguarderebbe non già i rapporti dell’Università nostra rispetto alle Scuole del Regno, ma esclusivamente quelli rispetto alle Scuole italiane all’estero». Attesa la gravità della questione il consiglio rinviò ogni deliberazione ad altra seduta.

Vivaci scambi di vedute, protagonisti sempre Pirelli e Barinetti, si ebbero intorno alla richiesta di quattro «ex-studenti della Facoltà di Giurisprudenza», di essere «dispensati dal seguire nuovamente i corsi» di materie giuridiche e di statistica (principi), invero già frequentati, però «restando loro la facoltà di presentarsi all’esame per il miglioramento delle medie». La richiesta fu respinta (non si dimentichi che, alla Bocconi, la frequenza dei corsi era obbligatoria); ma, su suggerimento di Pirelli, il Consiglio si trovò d’accordo che «… si debbano avvertire i singoli docenti delle materie per le quali fu chiesto l’esonero, di essere meno esigenti riguardo alla loro frequenza alle lezioni, fermo però restando l’obbligo di sostenere gli esami».

Dopo aver preso in considerazione questioni marginali relativamente all’assegnazione di borse; ringraziata la Camera di Commercio di Livorno per l’istituzione d’una borsa di studio di 500 lire annue a favore di uno studente bocconiano; respinta l’offerta dell’Istituto Internazionale di Monaco di riservare un posto di «perfezionamento» ad un laureato bocconiano (sdegnato Sabbatini fece mettere a verbale: «Come una scuola media può servire di perfezionamento a laureati di un istituto di studi superiori?»); respinta altresì la richiesta della Scuola di Commercio dell’Istituto Internazionale di Torino di ammettere alla Bocconi i propri licenziati, poiché i programmi della scuola erano «di troppo inferiori a quelli dei Licei e degli Istituti Tecnici»; preso nota con piacere che la Direzione generale delle Ferrovie aveva concesso pure agli allievi bocconiani la riduzione sui prezzi di abbonamento, il consiglio decise di tornare a riunirsi sette giorni più tardi.

Il che avvenne; e, il 10 marzo, la seduta fu interamente dedicata alla discussione e revisione del «Regolamento per gli esami». In effetti si volle rimanere ancora in una fase transitoria, giacché ai consiglieri fu sottoposto un elenco di pareri espressi dai professori intorno al contenuto e alle modalità degli esami. Pareri che, con il suo modo spiccio (per non dire autoritario), Sabbatini aveva richiesto, pretendendo d’«interpretare il pensiero del Consiglio», ai professori adunati in Collegio il 14 gennaio precedente. Sabbatini osservava che non gli pareva conveniente «determinare una regola generale e completa, tanto più che sopra alcune materie (come per es. il Banco Modello) il Consiglio dovrà ancora prendere determinazioni pel modo con cui debbano essere svolte ed insegnate, mentre frattanto urge che siano determinate le norme fondamentali, e specialmente quelle che debbono avere applicazione in quest’anno». Ci si limitò, pertanto, a discutere, a lungo e vivacemente, sui primi nove punti dello schema, facendo non poche «osservazioni sulla chiarezza ed omogeneità della dizione», ma alla fine approvandoli e «affidando alla Presidenza la cura di tradurli in norme regolamentari»[12].

«L’ora tarda» impedì di giungere ad un accordo sugli esami per gli «uditori» ancorché, come diciamo in nota, una delibera di massima fosse stata verbalizzata[13].

Delle 400 mila lire che il Fondatore aveva voluto assegnare all’Università come «fondo patrimoniale intangibile»[14] era venuto il momento di effettuare la consegna effettiva al Consiglio Direttivo. Ferdinando Bocconi da tempo aveva depositato presso la Cassa di Risparmio una tranche di 250.000 lire sulle quali erano maturati interessi. Nella seduta del 20 marzo 1903 il Consiglio diede precisa autorizzazione al presidente di ritirare dalla Cassa di Risparmio la somma e i relativi frutti che, per il momento, sarebbero stati convertiti in «rendita nominativa dello Stato al 5%».

Nella riunione del 4 giugno 1903 il Consiglio dovette affrontare l’organizzazione del primo appello d’esami della neonata Università. Sabbatini, che aveva avuto la sera prima uno scambio di opinioni con i professori, suggerì e i consiglieri convennero che «per lasciare maggior agio ai giovani di prepararsi agli esami, sia opportuno scindere le prove in due gruppi, separati fra loro da un certo numero di giorni». Eppertanto dal 19 al 21 giugno furono fissati i colloqui per «economia politica» e «ragioneria»; dal 23 al 27 giugno le prove scritte e orali di lingue. Solo il 6 luglio avrebbero avuto inizio gli esami delle altre cinque materie[15], che si presumeva potessero terminare entro il 15 dello stesso mese «e cioè nei limiti del calendario scolastico»[16]. Su parere dei docenti furono anche indicati i due professori che sarebbero entrati in ognuna delle commissioni giudicatrici: le prime, dunque, alle quali si presentarono gli studenti bocconiani[17]. Largo fu lo scambio di vedute in merito alla scelta del membro esterno e si diede mandato al presidente perché – tenuto conto che la scelta doveva esser effettuata «anziché fra chi è addetto all’insegnamento, fra persone che abbiano larga parte nella vita pratica» – volesse «provvedere alle pratiche opportune per procurarsi le necessarie adesioni»[18]. Il consiglio altresì si preoccupò, per la prima volta, (sarebbe stata una delibera consueta negli anni seguenti) di predisporre e «sollecitare la pubblicazione degli avvisi prima che nei Licei e negli Istituti Tecnici si chiuda l’anno scolastico». Si prese nota, con soddisfazione, che pure il Credito Italiano aveva deciso di offrire una borsa quadriennale da lire mille annue a favore di studenti bocconiani.

La seduta del Consiglio Direttivo del 2 ottobre 1903, la prima tenutasi dopo la conclusione del primo anno accademico bocconiano, si aprì con una dichiarazione del presidente, invero attesa e comprensibile. Sabbatini si disse «… lieto di comunicare che… i risultati del primo anno scolastico sono stati per ogni rispetto veramente soddisfacenti. I Professori hanno provveduto al loro ufficio con piena competenza e con grande affetto; gli allievi hanno corrisposto con assidua frequenza alle lezioni e con un sentimento pieno di riguardo verso l’Istituto. Gli esami hanno posto in evidenza gli effetti favorevoli di questo stato di cose e di sentimenti». Il consigliere De Leva, rendendosi interprete dei colleghi, aggiunse che «… l’Università pei risultati del primo anno può dirsi oggi riconosciuta dalla coscienza del pubblico… [riscuote] interesse grande e crescente, [sicché se] ne viene sempre più affermando l’importanza e riconoscendo la necessità».

In effetti l’esito del primo anno accademico bocconiano dovette essere particolarmente lusinghiero, se Gaetano Mosca – uno dei più autorevoli docenti dell’Università, ideologicamente e politicamente schierato sulle posizioni del liberalismo riformista – volle vergare, non sappiamo se per impulso personale o su preghiera del vertice bocconiano, un lungo, vibrante articolo sulla «Riforma sociale». In esso l’autore sintetizzava, con giusti accenti, le premesse, gli intenti, i fini, i meriti attribuibili al nuovo istituto universitario, nobilmente voluto e ben affidato da Ferdinando Bocconi, insistendo sulla necessità che, in un mondo contrassegnato da straordinarie trasformazioni a livello economico e sociale, il nostro paese abbisognasse di una scuola superiore quale, appunto, quella che Bocconi aveva intuito e generosamente aiutato a realizzare[19].

Nel corso della seduta i consiglieri si trovarono d’accordo nel riconfermare per il nuovo anno accademico il corpo docente già così ben operante, deliberando, tuttavia, due modifiche. Al prof. Piazza che pretendeva la parificazione del suo onorario a quello degli altri docenti di scienze fu accordato un aumento dello stipendio pari al 50% della sua richiesta (la retribuzione fu pertanto elevata a lire 2.500); al prof. Cappelli fu affidato l’insegnamento dello spagnolo solo per il secondo anno (con onorario annuo di lire 1000) e, sul primo corso, fu chiamato (scartando l’altro aspirante, Solera, dopo non breve disputa) il prof. Sanvisenti (pure con annuo stipendio di lire 1000). Anche Sanvisenti, come già si è detto per Eugenio Greco, alla Bocconi avrebbe prestato la sua apprezzata opera di docente per lunghi decenni.

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Non brevi e accese dovettero essere le discussioni in merito ad un’altra sottile questione sollevata dagli iscritti già laureati in altre facoltà. Le norme in vigore consentivano a costoro l’abbreviazione di un anno del corso degli studi, ma la richiesta pervenuta era di un accorciamento di due anni. Il consiglio risolse di rispettare la legge e respinse la domanda. Così come considerò prematuro esprimersi intorno alla estensione della norma agli studenti di giurisprudenza che avevano compiuto il secondo anno superando tutti gli esami[20].

Si presentava anche alla Bocconi la questione dell’eventuale concessione agli «uditori» del diritto di iscriversi come studenti regolari al secondo corso, qualora avessero conseguito il «certificato di licenza» e «non avessero da ripetere [o da superare] che gli esami d’una o due materie». Si decise di seguire i criteri adottati nelle Regie Università. Fu costituita, poi, una commissione (Sabbatini, Bocconi e De Leva) per l’esame dei titoli dei concorrenti (37) a borse di studio (ne risultavano disponibili 7) e ci si compiacque che, eccezione fatta per le lingue, gli esami sostenuti dai borsisti del primo anno erano stati superati con buone votazioni. Si prese anche in considerazione l’eventuale istituzione di «corsi liberi», limitandosi per il momento a fissare in lire 50 la tassa di iscrizione, di cui i due terzi sarebbero andati «a favore del Professore ed un terzo restasse all’Università».

Venne poi distribuita a tutti i consiglieri una copia del rendiconto, con la precisazione che il bilancio era «consuntivo sino al 31 Agosto, mancando ancora due mesi alla chiusura dell’esercizio». Bocconi e Weil furono invitati a rivedere i conti, e Weil tenne a sottolineare «l’apparente anomalia di alcune cifre, accennando alla durata straordinaria dell’esercizio, che abbraccia circa 18 mesi, alle spese di completamento dell’impianto ed a quelle inerenti alla festa dell’inaugurazione»[21]. La seduta si concluse con una delibera che approvava l’«assunzione in pianta stabile a decorrere dal 1 novembre 1903» del Segretario dell’Università (dott. Guglielmo Castelli con stipendio annuo di lire 2.400), dell’addetto alla biblioteca (Carlo Buccione, a lire 1.800 annue) e di tre inservienti (a lire 90 mensili ciascuno)[22]. A Sabbatini fu conferito «… mandato di fiducia… perché determini le condizioni opportune per disciplinare la prestazione e la continuità dell’opera di questo personale e regolarne la eventuale rescissione del contratto». Non era ancor apparso all’orizzonte un contratto collettivo di lavoro cui riferirsi.

Il consiglio tornò a riunirsi undici giorni dopo con un solo tema all’ordine del giorno: l’approvazione delle conclusioni tratte dalla ricordata commissione insediata per esaminare i titoli degli aspiranti a borse di studio. Non vi fu bisogno di discutere: nove furono i beneficiari di borse (nessuno di Milano), con riserva di attribuire ad altri studenti, secondo una precisa graduatoria, le borse «eventualmente rinunciate». La relazione della commissione ci consente di rilevare che il numero delle borse tendeva ad accrescersi per il generoso intervento di enti e privati. Se ne avrebbe avuto conferma nell’Annuario dell’anno accademico che stava per incominciare: si preciserà che oltre alle diciotto «messe a concorso nell’anno scolastico 1902-1903 per il quadriennio 1902-06» altre dodici borse sarebbero state «poste a concorso nell’anno scolastico 1903-04 per il quadriennio 1903-07»[23]. Oramai si rendevano necessarie e dovevano essere rese pubbliche norme precise per l’assegnazione delle borse. Non si perse tempo nel predisporre un regolamento ad hoc[24].

Tutto sembrava procedere per il meglio in Piazza Statuto mentre ci si incamminava verso il declino del 1903 e mentre nelle aule bocconiane si susseguivano ormai regolarmente, e con larga frequenza di discenti, i corsi del second’anno. Ma com’è di ogni momento che concorre a foggiare i frammenti della storia, la soddisfazione non riusciva a celare qualche tratto d’amarezza, per non dire d’avvilimento. Ne faceva prova una lettera, in più passi assai dura, del 5 dicembre che da Bologna Leone Bolaffio indirizzava al presidente bocconiano. L’insigne giurista che, con Angelo Sraffa spartiva l’insegnamento di «diritto commerciale», non nascondeva all’amico le sue preoccupazioni, «banali» se si vuole, ma che, appunto perché tali, tanto più inducono a meditare (e tanto più oggi) sulle mortificazioni di un uomo di studio che la quotidiana fatica costringeva a rinunce, a privazioni, a sofferti adattamenti. Si indugi per un poco, ne val la pena, sulle righe in nota riportate[25].

Per quasi tre mesi gli amministratori bocconiani non reputarono necessario incontrarsi: solo il 5 gennaio 1904 si ritrovarono seduti intorno al solito tavolo in Piazza Statuto[26].

Sabbatini non si trattenne dal manifestare immediatamente la sua soddisfazione per il fatto che «il secondo anno dell’Università si presenta con auspici non meno buoni di quelli del primo»; e sottolineò che il funzionamento «didattico e disciplinare dell’Università si è svolto durante tutto l’anno scolastico in modo ineccepibile». Le matricole erano 57 (otto in meno, invero, rispetto a quelle dell’anno precedente)[27], 10 erano gli uditori in tutte le discipline e 27 quelli interessati solo ad alcune materie. Gli studenti passati al secondo anno erano 55 e dei 10 uditori otto avevano rinnovato l’iscrizione.

Espresso dai consiglieri il compiacimento per queste confortanti notizie, per la prima volta il consiglio si trovò a porre a raffronto il bilancio consuntivo con quello preventivo dell’istituto bocconiano. Il rendiconto, come faceva notare il presidente, non si scostava da quello provvisoriamente compilato al 31 agosto, già preso in considerazione, «se non per le ultime due mensilità nelle quali non si ebbero che spese ordinarie». Il consiglio condivise la soddisfazione di Sabbatini nel riscontrare che l’esercizio si chiudeva con un «avanzo di rendita» di L. 29.724,55 (di cui 8.697,20 «andarono ad aumento del patrimonio per mobili ed arredamento» e 21.027,35 furono passate a fondo di riserva). Riportiamo in appendice, come faremo anche in seguito, i dati del bilancio consuntivo del 1902-1903, così come essi sarebbero stati segnalati nella seguente seduta del 17 febbraio. Il consigliere Mangili prese occasione dall’esame del bilancio per «rilevare ancora una volta la munificenza veramente rara del Fondatore che sotto diverse forme [vedasi il bilancio qui esposto in Appendice] ha largito in un solo anno alla Istituzione»; e suggeriva che il bilancio fosse reso di pubblica ragione, affinché «al sentimento di gratitudine del Consiglio non manchi di associarsi quello che deve necessariamente destarsi nel pubblico davanti ad un simile atto». I sentimenti e la proposta di Mangili furono, sostanzialmente, condivisi dal Consiglio. Qualche lieve esitazione, tuttavia, fu manifestata da alcuni membri sull’opportunità di pubblicare per intero il rendiconto; sicché ci si trovò d’accordo nel dare «mandato al Presidente perché, … con quelle risultanze finali di bilancio reputate più opportune, si faccia un comunicato alla stampa». Approvato il bilancio, su proposta di Pirelli, Bocconi e Weil furono nominati «revisori dei conti», per coordinare la preparazione del bilancio preventivo per il 1903-04 che sarebbe stato presentato al consiglio nella riunione successiva.

La forte frequenza degli studenti ai corsi di lingue estere suggeriva la ripartizione dell’insegnamento in due sezioni, provvedimento che fu subito approvato e comportò un aumento degli onorari per i docenti[28]. Resosi conto che i programmi della «Scuola di 2° grado» di Bucarest erano ben più impegnativi di quelle dei nostri Istituti Tecnici ed erano quasi equivalenti a quelli delle R. Scuole superiori di commercio italiane il consiglio deliberò che i giovani provenienti da quella scuola romena potessero iscriversi alla Bocconi, come appunto chiedeva un allievo. Con una certa qual indulgenza si superò il caso di quattro borsisti caduti in alcuni esami di lingue e, pertanto, forse non meritevoli di vedere loro rinnovata la borsa di studio. Considerato però che, al pari degli altri borsisti, essi avevano brillantemente superato gli altri esami, tenuto conto che non avevano forse «compreso tutta l’importanza che ha la conoscenza delle lingue straniere», che l’essere riprovati in lingue non comportava la perdita dell’anno scolastico e che non esisteva ancora un «regolamento speciale per le borse di studio», il presidente propose ed i consiglieri approvarono la riassegnazione agli stessi delle borse godute: ma i giovani furono «avvertiti della assoluta eccezionalità della larghezza usata». Si decise altresì di dimezzare la tassa d’ammissione (da 50 a 25 lire) agli uditori che, iscritti alle scuole governative, godessero l’esonero delle tasse. Respinta la richiesta del dott. Leone Friedmann (figlio del prof. Sigismondo?) di tenere alla Bocconi un corso rapido di tedesco[29], si venne a discutere di una questione a cui Sabbatini teneva moltissimo e pour cause, come si può ben immaginare, attesa la sua specifica preparazione e competenza[30].

Si trattava della «convocazione in Milano di un congresso internazionale per l’insegnamento commerciale». Rammentato che risaliva a tre anni prima (cioè al 1900) l’ultimo convegno sullo stesso tema – tenuto a Parigi dopo che i precedenti avevano avuto luogo a Bordeaux, Anversa e Venezia – il dinamico e ambizioso presidente si disse dell’idea che la Bocconi «sarebbe stata assai indicata a farsi iniziatrice del prossimo Congresso, dal quale le verrebbe certamente, anche fuori d’Italia, un grande prestigio». Sabbatini rivelò che, qualche giorno prima, era stato a Parigi e aveva avuto l’occasione di parlare col segretario generale della «Commissione internazionale dei congressi per l’insegnamento commerciale», dal quale era stato incoraggiato a prendere l’iniziativa. Come al solito Pirelli sollevò qualche eccezione, volle chiarimenti su diversi punti, ma alla fine il consiglio non negò al presidente l’approvazione della proposta. A Sabbatini dando «mandato di fiducia per esperire le pratiche necessarie ad assicurare all’Università» l’organizzazione del convegno, per il quale l’onere finanziario gravante sul bilancio della Bocconi non avrebbe dovuto superare le 7-8 mila lire[31]. Vi è da pensare che il presidente sia uscito soddisfatto, se non raggiante da quella movimentata seduta.

Sulla fine di gennaio od all’inizio di febbraio di quell’anno (1904) si andò probabilmente componendo il dissidio che la nascita della Bocconi aveva fatto insorgere fra il dicastero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e quello della Pubblica Istruzione. Le LL.EE. Rava (a capo del primo) e Pinchia (sottosegretario al secondo) resero visita all’Università. Con aria assai soddisfatta, ne diede notizia ai consiglieri il presidente all’apertura della seduta del 17 febbraio. Sarebbe troppo considerare l’avvenimento una sorta di seconda «andata a Canossa» (nessun Papa, tra l’altro, era od era stato o sarebbe stato ospite in Piazza Statuto e dintorni). Ma è certo che l’omaggio simultaneo, ed evidentemente concordato, dei due alti rappresentanti del governo al nuovo Ateneo, e l’ammirazione da entrambi espressa «per la munificenza del Fondatore e… per l’ordinamento della Scuola» avevano un preciso significato: suonavano, a distanza di tredici mesi, come riparazione allo sgarbo compiuto in occasione della cerimonia inaugurale dell’Università, allorquando il governo aveva brillato per la sua assenza. Riparazione che pure trapelava nella lettera inviata a Sabbatini dal Ministro Rava, una volta rientrato a Roma, e di cui il presidente volle che fosse data lettura «seduta stante».

Con animo confortato e disteso i componenti del consiglio passarono, dunque, ad esaminare le questioni all’ordine del giorno. Il solo assente risultava il consigliere avv. Barinetti che, nominato sindaco di Milano, aveva ritenuto di rinunciare all’incarico, nonostante le pressioni su di lui esercitate da Sabbatini che gli aveva reso visita per complimentarsi dell’elezione a primo cittadino. Trascinati dalle calorose dichiarazioni di De Leva, Vanzetti e Pirelli tutti i membri pregarono il presidente perché rinnovasse i tentativi per fare recedere l’avv. Barinetti dalla sua decisione[32].

Delicato, e antipatico insieme, era il caso creato dal prof. Bellezza, di inglese che, come era prevedibile, protestò in modo irriguardoso, stigmatizzato duramente dal presidente, per il ricordato aumento delle ore di insegnamento, senza un corrispettivo aumento di stipendio. Ad evitare che il docente ponesse in atto la sua minaccia di lasciare l’insegnamento, Weil e Pirelli proposero che, momentaneamente, un incremento dell’onorario venisse effettuato sotto forma di concessione di una «indennità di viaggio». Ed intanto il presidente avrebbe dovuto continuare, in sintonia col prof. Novati, preside dell’Accademia Scientifico-Letteraria, a far ricerche in Inghilterra ed in America per trovare «persona che sia davvero all’altezza del compito che si vorrebbe affidargli»: insomma un docente che per lingua e per cultura appartenesse «al paese di cui deve insegnare la lingua»[33].

Approvata rapidamente la proposta del Presidente di interpellare anche il Collegio dei Professori per la redazione dei «regolamenti», la cui compilazione era ritenuta urgente[34], e risolta una questione di secondaria importanza relativamente alla borsa di studio della C.d.C. di Ferrara[35], i consiglieri presero in attento esame il bilancio preventivo dell’anno accademico 1903-1904 loro sottoposto e affiancato dal rendiconto dell’esercizio precedente che già conosciamo[36].

Gli indugi sulle varie voci, illustrate dal segretario Castelli, si succedettero in un’atmosfera di massima compostezza e rivelarono il generale compiacimento pei risultati conseguiti e per quelli pronosticati. La diminuzione del contributo del Fondatore rispondeva a quanto stabilito dall’art. 3 dello statuto. Ovvio appariva anche l’aumento dell’entrata per tasse scolastiche, attesa l’apertura del secondo anno; e giustificato l’incremento previsto degli interessi (nel consuntivo dell’anno precedente il frutto della cartelle di rendita, in cui era investito il «fondo intangibile» donato da Bocconi, era stato calcolato solo dal 1° gennaio al 31 ottobre). Logico era il cospicuo incremento (L. 11.086,12) della spesa per onorari ai docenti poiché, col secondo anno, prendevano avvio nuovi corsi (diritto commerciale e scienza delle finanze) e per via dei ritocchi apportati, e già segnalati, alle retribuzioni di alcuni insegnanti. Era da attendersi anche l’aumento della voce relativa ai viaggi dei docenti. Insomma, tenuto conto che le spese generali previste sarebbero diminuite, complessivamente, di oltre 2400 lire, anche il secondo anno si sarebbe chiuso, in termini previsionali, con un saldo attivo di 23 mila lire: la consistenza patrimoniale, per mobili e arredamenti, sarebbe aumentata di 9 mila lire. Naturalmente il preventivo, ben chiosato dal segretario, fu approvato dal consiglio che all’unanimità decise pure d’investire le L. 21.027,35, avanzo dell’esercizio precedente destinato al fondo di riserva, in titoli di Rendita Italiana 5%.

Ma il 17 febbraio 1904 fu data che sarebbe rimasta nella storia della Bocconi, perché in quel giorno il consiglio direttivo, unanime plaudendo, su proposta dello stesso Fondatore deliberò di procedere alla nomina del Rettore – carica esplicitamente prevista dallo statuto – pregando Leopoldo Sabbatini, di cui si riconosceva una volta di più «l’opera disinteressata ed efficace» di abbinare a quella di Presidente la funzione di Rettore. Pur «in via provvisoria» Sabbatini accettò[37]. Epperò non tutti gli amici di Sabbatini aderirono senza riserve all’elezione del Rettore: Angelo Sraffa, ad esempio[38]. Ma la seduta si sciolse tra i complimenti. Non prima, però, che fossero approvate due «associazioni perpetue»: alla «Società Geografica Italiana» e alla parigina «Société de Législation Comparée». Il costo sarebbe stato, rispettivamente, di L. 300 e di Fr. 250; ma le pubblicazioni delle due istituzioni sarebbero pervenute per sempre alla biblioteca con risparmio, dunque, degli abbonamenti annuali.

La riunione consiliare seguente fu tenuta il 14 maggio 1904 e, dopo il compiacimento manifestato da tutti per la delega conferita all’on. avv. Luigi Majno di rappresentare il Comune in seno al consiglio bocconiano, ci si soffermò per molto tempo a considerare, articolo per articolo, il regolamento interno dell’Università e quello relativo alle borse di studio. Regolamenti che, come già abbiamo detto, erano stati redatti da un collegio di professori, ripartito in due commissioni: il primo dei due (quello interno) era stato steso dai proff. Alessio, Ascoli e Marchi, il secondo (quello delle borse) dai proff. Castelfranco, Maglione e Mosca. Non pochi furono gli emendamenti, i ritocchi apportati dai consiglieri ai testi originali. Le versioni corrette, dopo non poco discutere, furono approvate all’unanimità. E, a partire dall’anno accademico 1903-04, le normative comparvero sulle successive edizioni dell’Annuario: non è dunque difficile averle sott’occhio[39].

La seduta si chiuse con un problema posto da Sabbatini e non previsto dall’ordine del giorno. Dato che col successivo anno accademico avrebbe avuto inizio l’insegnamento di «merceologia», in mancanza d’un laboratorio di chimica (che, se fosse stato «impiantato», avrebbe richiesto una spesa non inferiore alle 20 mila lire), il presidente si chiedeva, se non fosse opportuno interpellare la «Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri», perché consentisse agli studenti bocconiani l’uso del laboratorio di cui disponeva. A Sabbatini fu conferito «pieno mandato di fiducia per trattare in merito».

La costituzione delle commissioni d’esami fu il tema dominante della riunione del 6 giugno 1904. Per il primo anno altro non si fece che ricomporre quelle che già avevano operato nelle precedenti sessioni; per il second’anno se ne costituirono di nuove. Non è il caso di indugiare in proposito; ma bisogna pur richiamare qualcosa in ordine alla designazione e alla posizione del membro esterno. Come si ricorderà, fin dalla prima sessione di esami, oltre ai titolari delle materie, furono chiamati a fare parte delle diverse commissioni anche membri esterni (erano, anzi, definiti «estranei»), a dire esponenti del mondo economico e culturale appositamente invitati (e non ci pare il caso di indugiare sull’opportunità, ancorché singolare, dell’iniziativa)[40]. A codesti membri aggiunti l’Università non elargiva alcun compenso («propine d’esame»; del resto, non eran previste neanche per gli esaminatori-docenti). Sicché Sabbatini rimase, a un tempo, stupito e amareggiato, quando un certo ing. Pini che aveva accettato di partecipare da «estraneo» ad una commissione esaminatrice, sollevò «la questione delle propine d’esame»: questione che, naturalmente, fu portata davanti al consiglio. Se ne discusse a fondo per giungere a questa… sentenza: «… il Consiglio, considerando come sia più decoroso che i membri estranei chiamati a far parte delle Commissioni d’esami prestino l’opera loro per amore alla Istituzione, delibera che non si debbano dare propine d’esame»[41]. E si procedette alla formazione d’una parte delle commissioni, al contempo dando incarico al presidente di ricercare ed invitare i collaboratori mancanti[42].

I consiglieri presero atto delle condizioni poste dalla «Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri» per l’uso del laboratorio di chimica, demandando al presidente di continuare e concludere le trattative già in corso[43].

Su questo argomento si tornò sei giorni dopo, nella riunione del 20 maggio. Sabbatini disse che aveva «motivo di credere che la domanda presentata [alla «Società d’Incoraggiamento»] possa essere accettata». E Pirelli, in quanto Consigliere della medesima «Società», assicurò che avrebbe appoggiato la domanda.

Il consiglio fu poi costretto a rivedere alcune disposizioni del «Regolamento dell’Università» (artt. 15, 16 e 19) per evitare che si determinasse una diversità di trattamento nei confronti di studenti caduti agli esami di materie scientifiche e di lingue straniere. È il caso di rilevare che, a norma dell’art. 16 («Non si può passare dal primo al secondo biennio senza aver superato tutti gli esami del primo»), la Bocconi fin dall’inizio aveva instaurato un vero e proprio «catenaccio»[44]. Dopo avere reputato valida ed accettabile la richiesta pervenuta dagli studenti forniti di diploma di «ragioniere» di essere esonerati non solo dalla prova scritta, ma anche da quella orale dell’esame di «Contabilità», i consiglieri ne deliberarono l’accoglimento prima di sciogliere la seduta, in considerazione anche del parere favorevole espresso dal prof. Maglione[45].

Leopoldo Sabbatini tra il 29 e il 30 maggio prese l’iniziativa di scrivere a diverse scuole superiori di commercio straniere per chiedere notizie, in particolare, in merito ai programmi dell’anno scolastico 1902-03. Vi è da credere che il presidente bocconiano cominciasse a raccogliere il materiale per stendere la relazione che avrebbe presentata al convegno internazionale sull’insegnamento commerciale due anni più tardi. Iniziativa che, come si rammenterà, era stata posta in discussione in una precedente riunione del consiglio direttivo. Nell’archivio bocconiano sono conservate alcune delle risposte pervenute a Sabbatini[46].

Il quale non potrà non avere compiuto, alla fine del second’anno d’attività bocconiana, una qualche meditazione, un laico esame di coscienza sul tanto che era stato fatto e su ciò che ancora rimaneva da fare. Invero al postero – che pur con indulgente affetto ha voluto rovistare tra le testimonianze che le crudeltà di Chronos e di Marte e l’umana incuria non sono riuscite a dissipare – par proprio di dover dire che, in quell’estate del 1904, vi erano diversi motivi, e non di lieve conto, per non essere del tutto soddisfatti e per suggerire qualche intervento ad meliorandum nella gestione dell’Università. Era comprensibile, e forse giustificabile, un certa caduta della tensione creativa e operativa che aveva contrassegnato le fasi preparatorie ed iniziali della splendida, invidiata avventura bocconiana. Ma non poteva non generare una qualche preoccupazione, in coloro che avevano le responsabilità didattiche e amministrative dell’istituto, il tono più dimesso, rispetto all’anno precedente, della partecipazione studentesca all’attività didattica, l’esito non molto brillante delle prove d’esame, il senso di frustrazione che serpeggiava tra gli insegnanti. Su questa situazione, su questi malesseri malamente dissimulati, su queste ansie, su questi «stati d’animo» un docente ricco di ingegno e di forte personalità, qual era Angelo Sraffa, si intrattenne brevemente, ma incisivamente in una lettera spedita da Lanzo d’Intelvi alla fine di luglio. A Leopoldo Sabbatini, che le ricevette, quelle due paginette, tutto sommato, non dovettero recar dispiacere. Perché non facevano che confermare, probabilmente, quanto le sue sensibili antenne avevano già captato. Le vacanze, forse, quell’estate non furono del tutto serene per il rettore della Bocconi[47].

Quando, il 14 settembre 1904, il consiglio bocconiano si riconvocò, il primo, urgente problema che dovette affrontare fu quello della nomina dei docenti per l’anno accademico che stava per incominciare. Problema che si presentava più complicato per via delle rinunce dei proff. Bolaffio (troppo disagevole per lui il «pendolarismo» fra Bologna e Milano) e Alessio (l’appena acquisito mandato parlamentare gli rendeva impossibile gli spostamenti da Padova a Milano)[48]. Senza dire delle difficoltà create dalla introduzione, coll’inizio del terzo anno, di nuovi corsi i quali portavano, ovviamente, ad un aumento degli impegni didattici di diversi insegnanti. Sabbatini si dilungò nel prospettare analiticamente la situazione ed i provvedimenti che avrebbero potuto essere presi[49], innescando vivaci dibattiti: con Pirelli, in primo piano, nel confutare e nel fare controproposte. Tenuta presente anche la richiesta del prof. Benini (che fu accolta), di ridurre da tre a due ore settimanali le lezioni di statistica (tanto dei «Principî» quanto della «Statistica demografica»)[50], il consiglio reputò di far suoi i suggerimenti del presidente e considerò equo l’aumento degli onorari ai docenti che non potevano evitare un maggiore carico didattico, e cioè a Gobbi, Benini, Maglione, Piazza e al sostituto, non ancora individuato, del dimessosi Alessio[51]. Al qual proposito non si può passare sotto silenzio che, per la prima volta, tra le pareti della Bocconi, sarebbe risuonato un nome che negli anni a venire avrebbe tanto contribuito a dare lustro e risonanza a quello del figlio di Ferdinando. Sabbatini, infatti, quasi sottovoce, accennando alla necessità di provvedere alla sostituzione di Alessio, buttò là che «… fra gli insegnanti che potrebbero coprire quella cattedra [di scienza delle finanze], egli si era fermato sul nome del prof. Einaudi». Il Vanzetti preferì «richiamare l’attenzione del Consiglio» su di un altro docente (il verbale non ne registrò il nome) «eminente cultore di queste scienze». Per il momento non si prese alcuna decisione: la questione sarebbe stata «oggetto di trattazione alla prossima seduta»[52].

Ci si soffermò, per intanto, su altre irrisolte questioni didattiche. Rinviata ancora una volta la nomina del docente di «Banco modello», su proposta del presidente – che aveva a lungo considerato il problema e già aveva interpellato l’interessato il quale, dopo essersi «modestamente schermito» aveva accettato – i consiglieri all’unanimità si dichiararono ben lieti di chiamare sulla cattedra di «Storia del commercio» il prof. Loria, la cui preclara cultura avrebbe garantito il degno insegnamento di una «materia assai complessa e difficile … [perché il docente] deve non solo esporre i fatti economici, ma spiegarne la genesi e lo svolgimento»[53].

Per quanto atteneva alle lingue, l’istituzione del terzo anno, abbinandosi col raddoppio, già in precedenza segnalato, dei corsi più frequentati, avrebbe creato di certo gravi difficoltà ai docenti e avrebbe complicato, oltre ogni dire, la compilazione degli orari delle lezioni. Pertanto Sabbatini propose, e il consiglio accettò, di «affidare l’insegnamento di una stessa lingua a due professori, dividendo fra loro i corsi (come si fece l’anno scorso per lo spagnuolo), o le sezioni di uno stesso corso». Per il momento si prese nota delle dimissioni del prof. Cappelli di lingua spagnola (che aveva lasciato Milano), lo si sostituì con il prof. Solera (che l’anno prima, con Sanvisenti, aveva già concorso per la stessa cattedra), si nominò il prof. Myrick come secondo insegnante di inglese e si confermarono tutti gli altri docenti di lingue, alle stesse condizioni retributive. Su proposta di Pirelli si affidò alla medesima commissione costituita l’anno precedente l’esame dei titoli dei nuovi candidati a borse di studio.

E si passò, infine, all’esame del bilancio preventivo per il 1904-05 (che presentiamo in appendice). L’aumento delle entrate era, purtroppo, notevolmente inferiore a quello delle spese (8300 contro 28300 lire), sicché il previsto «avanzo di rendita», si riduceva a sole 3.000 lire: cifra inferiore di 20.000 lire a quella computata nel preventivo precedente. L’acquisto di mobili ed altri generi d’arredamento avrebbe, peraltro, incrementato di 7.000 lire il patrimonio dell’istituzione. Non vi erano ragioni per negare l’approvazione del bilancio preventivo, pur così assottigliatosi a causa dell’inevitabile, giustificato aumento delle spese.

Alla seduta del 28 ottobre 1904, che faceva seguito ad altra andata deserta due giorni prima, era assente Salmoiraghi («tuttora in America»), ma per la prima volta partecipò l’avv. Majno in rappresentanza del comune. Si deliberò a tambur battente di spostare dal 3 all’8 novembre l’inizio delle lezioni del nuovo anno accademico «in omaggio al diritto elettorale… tenendo giustificate le assenze di quegli studenti nei collegi elettorali dei quali si richiedesse votazione di ballottaggio»[54]. E si venne, poi, a prendere decisioni di grande importanza con riguardo al corpo insegnante.

Sabbatini che, come aveva dichiarato nella riunione precedente, non aveva dubbi sul «valore di scienziato» di Luigi Einaudi, aveva chiesto informazioni sulle di lui doti di docente e aveva ottenuto «in proposito le più ampie assicurazioni». Pertanto ne suggerì l’immediata chiamata (cioè per l’anno accademico 1904-05) sull’insegnamento di «Scienza delle finanze e Contabilità di Stato». Il consiglio, unanime, plaudì alla proposta. La Bocconi entrava così in rapporto con uno studioso che, pur giovane, già meritava la più alta considerazione per la sua inconsueta soglia culturale, ed al quale il futuro non poteva che riservare prestigiose affermazioni.

Dobbiamo precisare, per amor di verità, che quando Sabbatini, il 28 ottobre, proponeva caldamente la chiamata di Einaudi alla Bocconi, egli già sapeva che lo studioso era disposto a venire a Milano. Infatti, il 19 ottobre, Einaudi, ricevute notizie dalla «sua Signora, che è completamente tranquillizzata», aveva comunicato a Sabbatini di accettare senz’altro l’incarico, addirittura indicando giorni e ore di lezione[55].

Occorse, però, affrontare subito un’altra questione di indubbia importanza e delicatezza: la sostituzione, per lo meno temporanea (un anno) di Pantaleoni. Il quale, a causa delle «molte disgrazie famigliari che lo hanno colpito» e delle «cure che per lui ne conseguono» – spiegò Sabbatini – in tal senso aveva fatto esplicita richiesta. Gli sarebbe stato impossibile, infatti, «lasciare periodicamente per due o tre giorni alla settimana» Roma, dove aveva la residenza. Si ricorderà che sulla cattedra, fondamentale, di «Storia e critica dei principali istituti economici» erano stati nominati due docenti, ideologicamente e scientificamente, in un certo senso complementari: Loria e, appunto, Pantaleoni. Su questa diversità di pensiero dei due studiosi si espressero, invero con molto garbo, alcuni consiglieri: non è da escludersi che fossero al corrente della lettera inviata da Pantaleoni a Sabbatini qualche giorno prima, lettera che merita di essere in nota integralmente richiamata[56].

Due erano gli «insigni cultori di scienze economiche» sui quali Sabbatini aveva indirizzato lo sguardo: Valenti dell’Università di Padova e Supino di quella pavese. Ora, Valenti era, dottrinariamente, su posizioni diverse da quelle di Loria e, en principe, sarebbe stato il più idoneo a prendere il posto di Pantaleoni[57]. Tuttavia, tenuto conto che il Supino aveva «titoli scientifici pari a quelli del Valenti» e che insegnava nella vicina Pavia non si poteva, a cuor leggero, lasciar cadere la sua candidatura tanto più, faceva notare il presidente, «che si potrebbe vigilare, perché questo insegnamento sia costituito da corsi monografici direttamente attinenti ai progressi della vita commerciale e, quindi, meno soggetti alle influenze dottrinali delle persone [che li impartiscono]». Sabbatini aggiunse che, se invitato, Supino avrebbe di sicuro accettato. Majno intervenne per precisare che «gli risulta che [Supino] è dotato di eccellenti qualità di insegnante, e… gli pare quasi un premio giustamente dato ad un uomo che da sé, colle sole sue forze si è procurato una cultura tale da ottenere una cattedra universitaria»: la voce dell’amicizia? Non sappiamo. Di certo non chiesero tempo per meditare i consiglieri: l’inserimento di Supino tra i docenti bocconiani fu subito deliberato.

Con il mese d’ottobre 1904 si concludeva, dunque, il secondo anno della Bocconi; e il secondo Annuario, apparso due mesi prima circa, già riportava i risultati, invero soddisfacenti, ottenuti dagli studenti, di primo e second’anno, nella prima sessione d’esami. Solo nelle lingue le bocciature erano sensibili: il che stava ad attestare che Rettore e Consiglio Direttivo avevano ragione nel dedicare non poco tempo all’esame dei problemi che l’insegnamento delle lingue comportava sotto diversi profili. Nell’Annuario appariva, nella sua interezza, il «Regolamento interno dell’Università» e, ritoccato secondo le ultime delibere, quello relativo alle borse di studio. Quanto ai programmi, lievi erano le modificazioni apportate ai testi già resi noti l’anno precedente[58]. Aggiornati risultavano gli elenchi delle pubblicazioni dei professori[59].

Dieci giorni dopo, l’8 novembre, in coincidenza con l’inizio del terzo anno accademico il consiglio direttivo si trovava davanti ad un ordine del giorno che, oltre all’evasione di questioni d’ordinaria amministrazione (assegnazioni e conferme di borse di studio, ad esempio)[60], sulle quali non è il caso di soffermarci, proponeva la soluzione, divenuta ormai urgente, di un problema più volte sfiorato, ma ogni volta rinviato: quello dell’istituzione dell’insegnamento del «Banco modello» e la scelta del relativo docente.

Sulla vexata quaestio del «Banco modello» il presidente-rettore ricordò che, come esemplificazione di «una serie di affari fittizi», esso nacque principalmente come materia insegnata nelle scuole medie di commercio, ma poi si estese, pur proponendo esempi più difficili e complessi, nelle scuole commerciali di grado superiore. Adversus questa ibrida disciplina si levarono molte voci nel congresso internazionale dell’insegnamento commerciale tenuto a Parigi nel 1900. «In una scuola di grado veramente superiore [come la Bocconi]» – faceva notare Sabbatini – «non porterebbe nessun risultato pratico… si dovrebbe tentare un concetto nuovo cambiando l’indole e il metodo dell’insegnamento». In conclusione, egli pensava che sarebbe stato «conveniente limitarsi a svolgere la parte tecnica dell’amministrazione di alcuni tipi principali [di case commerciali: sic!], come ad esempio delle Banche, delle Assicurazioni, del Commercio delle sete, affidandone l’insegnamento non ad un professore, ma ad un uomo d’affari». Il che avrebbe creato gravi difficoltà che, però, sarebbero state attenuate se l’insegnamento fosse stato spezzato in più corsi affidati a più persone. A queste considerazioni del rettore si associarono sostanzialmente, pur sottolineando ciascuno aspetti particolari, i consiglieri presenti. De Leva giunse ad augurarsi che «si voglia ricorrere ad un altro metodo: quello cioè di cercare case commerciali che accolgano i giovani e permettano loro di seguire lo svolgimento dei loro affari»: insomma, oggi diremmo, una sorta di stages presso aziende. Pirelli appoggiò calorosamente questa idea, addirittura suggerendo un mutamento del nome della disciplina. Ma Sabbatini fece notare che, purtroppo, l’idea era inattuabile «per la riluttanza già da lui trovata nei commercianti ad ammettere nelle loro aziende delle persone estranee».

Al termine di un dibattito non breve e alquanto movimentato il consiglio, unanime, approvò la duplice proposta del rettore: suddividere l’insegnamento del «Banco modello» in diversi corsi, conferiti a persone che per le loro «pratiche cognizioni» fossero del tutto affidabili; e, per il momento, dare il via soltanto ad un corso di «pratica bancaria». Sarebbe stata la necessaria prova del fuoco per futuri sviluppi «concettuali e didattici»[61].

Superato, almeno in alcuni suoi generali profili, lo scoglio del «Banco modello», i consiglieri, pilotati da Sabbatini, presero in considerazione le quattro proposte di «corsi speciali» per l’a.a. 1904-05[62]. Furono senz’altro approvati quelli di Supino, Tajani e Toja. Nonostante le forti riserve di Salmoiraghi e Pirelli, s’accettò anche il corso del Catellani sull’«Oriente europeo»; ma il rettore fu invitato a prendere accordi col docente per modificare il «programma del corso nel senso di attenersi maggiormente a quanto si riferisce alla vita economica».

L’ultima seduta consigliare del 1904 ebbe luogo il 22 dicembre e fu fumata bianca, finalmente: l’insegnante di «Banco Modello», sottotitolato «pratica bancaria», era stato trovato. Sabbatini ne era «lietissimo» e riconosceva che il merito della felice conclusione della tormentata vicenda andava attribuito al «Collega Weil». Il quale era riuscito a convincere il vicedirettore della Comit, il rag. Adolfo Comelli, ad assumere l’incarico. Fonte di gioia per il presidente e per il consiglio tutto era l’adesione del Sig. Comelli, ché in tal modo «l’Università ha la fortuna di potersi assicurare la collaborazione di persona di tanta competenza e che occupa nella vita degli affari una posizione così distinta». Si provvide subito a fornirgli un «coadiuvante» nella persona del rag. Ferdinando Adamoli. Insomma in un clima di grande soddisfazione il consiglio approvò immediatamente la nomina del Comelli alla «cattedra di pratica bancaria», affiancandogli l’Adamoli.

Una discussione piuttosto accesa alla quale parteciparono i sette consiglieri presenti fu provocata dalla richiesta d’un licenziato della «R. Scuola Tecnico-Commerciale» (italiana) di Tunisi di essere ammesso alla Bocconi. Era stato interpellato il Ministero, ma la risposta pervenuta, e letta dal segretario, era tutt’altro che chiara. Pirelli fu esplicito: «non nascose la sua preoccupazione che qualora i giovani provenienti da quelle scuole [quelle italiane all’estero] non dessero buoni risultati, difficilmente si troverebbe il momento per sospendere la prova». Il che fa pensare che la risposta ministeriale fosse stata interpretata come invito ad ammettere i licenziati di codeste scuole sub condicione, a «titolo sperimentale». In ogni caso la domanda del diplomato «tunisino» fu accolta[63]. La seduta non si concluse prima di aver manifestato una profonda soddisfazione per il grande consenso ottenuto dal corso speciale sulle «Operazioni di borsa» tenuto da Supino, «come dimostrano le parecchie iscrizioni di persone che sono già da tempo nella vita degli affari»; e prima di avere respinto la richiesta dell’avv. Tomaso Brusoni (a nome anche di altri avvocati e procuratori) di fare tenere, da «un professore già da lui prescelto», lezioni di ragioneria nella sede dell’Università. Un tipo per lo meno ingenuo il buon avvocato Brusoni.

Mancò con altri tre consiglieri anche Bocconi, «lontano da Milano», alla seduta dell’8 marzo 1905. Eppure essa avrebbe avuto un’importanza particolare, perché per la prima volta ai membri del consiglio sarebbero stati sottoposti, onde li approvassero, non soltanto il rendiconto ed il preventivo delle «Rendite e Spese», ma altresì lo «Stato Patrimoniale» dell’Università. Come abbiamo fatto per gli anni precedenti riportiamo i dati in appendice. Fu particolarmente commentato l’elevato «avanzo di rendita»: dedotto circa il 10% impiegato nell’acquisto di mobili, L. 38.886,44 sarebbero state investite in Rendita 5% e passate a riserva. Bocconi e Weil furono nominati revisori dei conti.

Tralasciamo di far menzione dei provvedimenti d’ordinaria amministrazione (ad esempio la revoca d’una borsa ad uno studente che presentava voti alquanto bassi), ma non vogliamo dimenticare che il Rettore si disse pienamente soddisfatto del funzionamento dei corsi speciali e annunciò che se ne sarebbe stato aggiunto un altro, tenuto dal prof. G.C. Buzzati su «La dottrina di Monroe e la politica internazionale ed economica degli Stati Uniti» (15 lezioni). Stavano per iniziare quelli di Bolaffio e di Toja (rispettivamente 18 lezioni su «I Depositi Commerciali» e 10 lezioni su «Introduzione ad un corso di scienza attuariale»)[64].

Per l’insegnamento della «chimica merceologica» fu deliberato di applicare una lieve tassa ad ogni studente (14 lire all’anno) da pagarsi in due rate.

Solo il consigliere Weil mancò all’incontro dell’8 aprile 1905. Fu una seduta di notevole importanza, giacché fu definitivamente varato dal consiglio il «Regolamento degli esami di laurea»: normativa predisposta con un anno abbondante d’anticipo sulla prima sessione di laurea che alla Bocconi si sarebbe tenuta all’inizio dell’estate 1906.

L’iter seguito per giungere all’approvazione del nuovo regolamento è tipicamente esemplificativo, con riguardo al ruolo del tutto preminente che il Rettore aveva nel condurre gli affari bocconiani. Invero, il consiglio di amministrazione, nella maggior parte dei casi, non faceva che sanzionare, ratificare quanto Sabbatini aveva di fatto, con lucida determinazione e programmazione, già portato a compimento. In questa occasione i consiglieri furono informati dal presidente-rettore che una commissione di professori da lui formata e presieduta (vi facevano parte Ascoli, Buzzati, Marchi e Mosca) aveva preparato lo schema del regolamento. «Le conclusioni della commissione – aggiunse Sabbatini senza batter ciglio – sono risultate in perfetta armonia cogli intendimenti del Consiglio Direttivo [mai espressi, stando ai verbali; ma il rettore avrebbe potuto, naturalmente, interpellare di persona i membri del consiglio e tenere conto dei singoli pareri]; ond’è – continuava – che il Presidente ha creduto di interpretare il pensiero di tutti i Colleghi, considerandolo [lo schema di regolamento] virtualmente già approvato dal Consiglio, salvo ratifica». Non nascondeva la sua «letizia», Sabbatini, nell’informare i consiglieri che «avendo avuto occasione di sottoporre a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione [Orlando] questo Regolamento, il Ministro lo ha pienamente approvato e, con manifesta soddisfazione, vi ha apposto il suo visto di approvazione». Vivissime furono le felicitazioni espresse dal consiglio al rettore per il tramite di Salmoiraghi, che reputò doveroso esternare in forma ufficiale un ringraziamento anche al Ministro Orlando[65]. Il quale da circa un mese aveva lasciato il Ministero della Pubblica Istruzione e aveva sentito il dovere d’inviare a Sabbatini una lettera, probabilmente esibita al consiglio direttivo, in cui si plaudiva, in termini oltremodo calorosi alla Bocconi e a chi l’aveva voluta e la reggeva con tanta bravura ed entusiasmo. È una lettera che merita d’essere riprodotta[66].

Prima di chiudere la seduta il consiglio accolse la richiesta degli studenti d’anticipare gli esami dei corsi speciali «… che fossero esauriti avanti le vacanze pasquali», atteso che con la «introduzione dei corsi speciali viene grandemente accresciuto il numero degli esami da sostenersi alla fine dell’anno» e si compiacque della donazione alla biblioteca bocconiana delle pubblicazioni (anche di quelle che sarebbero pervenute in futuro) di proprietà della «Società degli Attuari», riservando ai Soci della medesima il diritto di consultarle e averle a prestito.

Con la presenza di cinque soli membri (gli altri erano in viaggio, Bocconi compreso), rinnovato l’affitto del laboratorio di chimica presso la «Società d’Incoraggiamento», il consiglio ascoltò, approvandole, due importanti comunicazioni del presidente nella riunione del 19 giugno 1905.

La prima riguardava la regolare preparazione del già ricordato congresso internazionale per l’insegnamento commerciale che, con il plauso del Comitato Permanente di quella manifestazione, la Bocconi avrebbe ospitato nel 1906. Sabbatini informò i colleghi che le LL.EE. i Ministri della Pubblica Istruzione, on. Bianchi, e del Commercio, on. Rava, avevano gradito la presidenza onoraria del convegno. Proponeva che tale presidenza fosse estesa al Sindaco di Milano, sen. Ponti e al presidente della Camera di Commercio, comm. Salmoiraghi[67]. Quanto al Comitato Ordinatore egli pensava che la soluzione migliore fosse quella d’inserirvi «una larga rappresentanza di coloro che dirigono la nostra vita commerciale». Ne uscì una lista assai lunga che, oltre a comprendere tutti i professori e consiglieri bocconiani, riuniva presidenti, consiglieri, direttori ac similes di molti enti pubblici e privati – milanesi e non – con la Camera di Commercio in primissimo piano[68].

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La seconda importante questione era la notificazione da parte dall’«Agenzia delle Imposte Dirette» di Milano che il personale docente ed amministrativo dell’Università era stato «messo a ruolo» per il pagamento della tassa di ricchezza mobile. La Bocconi doveva pagare la somma complessiva (ammontante a L. 12.874,93), naturalmente godendo del diritto di rivalsa nei confronti dei dipendenti. Così come propose Sabbatini il consiglio deliberò di esercitare tale diritto nei confronti del corpo docente (ivi compresi anche gli insegnanti che, dopo il primo anno, avevano lasciato, come è stato detto l’Ateneo), ma di addossare all’Università il carico fiscale gravante sul personale amministrativo, giacché nessuno degli impiegati aveva «altri redditi professionali di concorrenza»[69].

Il seguente 14 luglio (1905) il consiglio direttivo bocconiano accolse con piacere dal presidente la notizia che, alla luce di quanto era parso evidente anche al corpo docente, l’anno scolastico che si era da poco concluso (gli esami erano in corso) aveva palesato un netto miglioramento rispetto a quello precedente, per frequenza, interessamento e profitto degli allievi: tarda conferma di ciò che abbiamo più addietro segnalato[70]. Si plaudì, dunque, all’opera, tanto positiva e fruttuosa, dei professori e ci si accinse a stendere la lista di quelli che avrebbero dovuto essere nominati per l’entrante anno accademico[71].

Preso nota che per le già note, gravi ragioni famigliari anche nel veniente anno il prof. Pantaleoni probabilmente non sarebbe stato in grado di tenere il suo insegnamento («al quale risulta che egli annette il più grande valore»), ma che a lui «si conservi a titolo d’onore… l’ufficio al quale era stato nominato»[72], su proposta del presidente si approvò il rinnovo dell’incarico a tutti i docenti delle discipline scientifiche e tecniche[73] e si espresse la massima soddisfazione per l’opera del prof. Comelli[74] (finalmente se ne era usciti bene con il faticoso parto del «Banco Modello»). Per quanto riguardava i docenti di lingue qualche problema, invece, era insorto. Il prof. Myrick, di inglese, che insegnava anche all’«Accademia Scientifico-Letteraria», doveva, pure lui per ragioni famigliari, tornare in America. Sabbatini sperava di rinnovare l’accordo con il preside dell’Accademia, prof. Novati, per venire a capo della questione. Necessità di orario imponevano, poi, uno sdoppiamento dei corsi di francese e di tedesco (così come, si ricorderà, era stato fatto per lo spagnolo). In attesa che si riuscisse a trovare il secondo insegnante di francese Sabbatini proponeva che si chiamasse, come secondo docente di tedesco, il prof. Leone Nicolini, trentino di nascita, ed ottimo insegnante di lingua e letteratura tedesca. Il suggerimento fu accolto e così il nome di Nicolini si aggiunse a quello degli altri professori di lingue confermati[75]. Prima di concludere l’incontro, i consiglieri si complimentarono con Sabbatini per l’ottimo svolgimento della preparazione del Congresso internazionale al quale la Camera di Commercio milanese aveva deliberato di dare «tutto il suo appoggio morale e materiale».

Con urgenza fu convocato il consiglio il 12 agosto successivo, in piena estate. Era opinione di Sabbatini che non si potesse procrastinare (probabilmente tenuto conto anche dei tempi di stampa e di diffusione delle notizie relative all’anno accademico 1905-06) un riesame della situazione in merito alle borse di studio. Non è il caso di scendere in particolari; basti osservare che al presidente rettore non parevano sufficienti le borse disponibili (e si noti che cinque annualità di quelle già assegnate risultavano «libere» per abbandono dell’allievo o per «non avvenuta conferma agli studenti cui erano state conferite»), essendo egli convinto – e «insisteva nel concetto» – che «essendo questo il quarto anno di vita dell’Istituto, quello cioè che completerà il primo ciclo del suo funzionamento, sarebbe assai opportuno che le Borse di studio fossero numerose, poiché contribuiscono assai a procurare simpatia alla Scuola». Propose, pertanto, che attingendo alle riserve «costituite con gli avanzi del primo biennio», s’istituissero «10 borse di annue L. 400 ognuna e della durata di un quadriennio da porsi a concorso con le altre cinque [quelle disponibili]… per gli studenti che si iscrivano per il prossimo anno scolastico 1905-06». Pare di capire dal verbale che ci fu qualche perplessità; ma dopo una lunga discussione, resisi probabilmente conto del vivo desiderio di Sabbatini di segnare con un pubblico e significativo gesto la fine del «primo ciclo» bocconiano, i consiglieri si trovarono d’accordo sulle proposte avanzate dal rettore approvandole[76]. Mette conto di aggiungere subito che l’assegnazione delle 10 borse straordinarie istituite dall’Università avvenne nel corso di una apposita seduta del consiglio convocata il 18 ottobre successivo, nel corso della quale si conferirono le ricordate cinque annualità e si confermarono diverse borse in precedenza assegnate[77].

Due giorni prima, il 16 ottobre, il consiglio si era riunito per prendere una decisione di un certo peso. Per l’insegnamento del «banco modello», considerati i crescenti impegni professionali del signor Comelli e, di fatto, il raddoppio delle lezioni[78], il presidente consigliava di aggiungere all’assistente rag. Adamoli, per il momento, un altro coadiuvante, tanto più che vi era da prevedere una riduzione, rispetto all’anno precedente, delle lezioni impartite dal Comelli. La persona più indicata sembrava essere il rag. Eugenio Greco, che da tre anni ormai, «con grande zelo e competenza» assisteva il prof. Maglione per la parte pratica di contabilità. Si sarebbe poi pensato ad «organizzare un po’ diversamente» l’insegnamento della materia, conservando «la direzione e la responsabilità del corso» al Comelli, al quale avrebbero dovuto essere affiancati altri docenti, il cui nome Sabbatini si riservava di far conoscere al consiglio in una prossima tornata[79].

All’inizio di novembre le nuove matricole superavano già il numero di cinquanta: questa la prima notizia che Sabbatini, soddisfatto, recò ai consiglieri, riunitisi in seduta il 5 novembre 1905. Come sempre l’insegnamento delle lingue straniere creava qualche complicazione. Reduce da una grave malattia, Friedmann non avrebbe potuto tenere il corso di tedesco: provvisoriamente lo avrebbe sostituito il prof. Guglielmo Braun, direttore della scuola Scuola Internazionale, «tedesco per nascita e per cultura». Nonostante le ricerche effettuate non era ancora stato trovato il secondo docente di francese. Quanto alla sostituzione dell’americano Myrick, tornato oltre Atlantico come abbiamo detto, in attesa di avvalersi dell’«auspicata opera di un altro inglese», sarebbe stato il caso di affidare il corso al prof. Barera[80] ed alla prof.ssa Pia Padovani che aveva vissuto «parecchi anni in Inghilterra, ha recentemente pubblicato una grammatica inglese… ben accolta, ed un tentativo da essa iniziato per servirsi del fonografo a sussidio della retta pronuncia inglese è veduto con indubbio favore» (esperienza interessante e precorritrice).

Quanto al corso svolto dall’Ing. Tajani le preoccupazioni[81] si erano dissolte: il docente, pur non avendo avuto il trasferimento da Venezia a Milano, si sarebbe visto accordare tutti i permessi necessari per scendere a Milano e tenervi alla Bocconi le previste ore di lezione.

Ricordato che il corso obbligatorio di banco modello si sarebbe esteso, secondo i programmi convenuti, anche agli studenti del quarto anno (quello appena iniziatosi) , il rettore rammentava che le lezioni applicative si sarebbero estese ad altri tipi di aziende (commerciali, di trasporto, d’esportazione, d’assicurazione, ecc.).

Inoltre, a suo avviso, sarebbe stato utile istituire per gli allievi del quarto anno un corso speciale, e quindi opzionale, di «pratica bancaria» avanzata. Pertanto sarebbe occorso rinforzare la pattuglia di docenti ruotanti intorno al «banco modello»; tanto più che l’assistente Adamoli aveva comunicato di non potere assicurare la sua piena disponibilità. I suggerimenti del presidente, tutti accolti, furono quelli di affidare un altro incarico al rag. Greco per il corso speciale di pratica bancaria (prevedendo già l’aggiunta d’un secondo docente) e di nominare il rag. Daniele Venegoni e il prof. Virgilio Zani – «due persone di riconosciuta competenza che nella vita degli affari godono assai buon nome e che accetterebbero» – quali nuovi assistenti per il «banco modello». Non vi è dubbio che Sabbatini attribuisse a questi insegnamenti pratici un’importanza di primo ordine; ed è parimenti pensabile che non gli dispiacesse affatto offrire un’elevata soddisfazione culturale e sociale (quale non poteva non essere quella derivante dall’appartenere al corpo docente della Bocconi) a qualificati esponenti del «mondo degli affari» milanese: un mondo che rappresentava un potenziale, prezioso serbatoio di «sponsors» per la giovane Università commerciale.

Ma anche rappresentanti della pubblica amministrazione sarebbero stati graditi e avrebbero a loro volta sicuramente gradito di figurare nell’elenco dei docenti bocconiani. Ecco allora l’intraprendente, inesausto foggiatore della Bocconi (Ferdinando il «fondatore», Leopoldo il «foggiatore») avere un incontro con il comm. Palmano, l’Intendente di Finanza, ed esporgli il suo desiderio di aprire all’Università un corso speciale di «legislazione tributaria». Immediato e vivo il compiacimento del commendatore e immediata la segnalazione del sig. Alessandro Bona, ispettore demaniale, come «la persona che dà il più sicuro affidamento di saperlo svolgere nel modo più pratico ed efficace».

Prima però di allontanarsi i consiglieri furono invitati dal presidente a deliberare l’aggiunta di due ore settimanali di matematica (una al primo ed una al secondo anno) «per riparare alla deficienza di preparazione data nei licei», in quanto una recente disposizione di legge aveva reso facoltativo nel terzo anno di liceo la scelta fra il greco e la matematica[82]. E, pertanto, non potendosi negare l’ammissione alla Bocconi agli ex studenti liceali che avevano optato per il greco, occorreva potenziarne la preparazione matematica. Non ci furono problemi: la delibera fu subito presa.

Unica fu la questione, assai cara a Sabbatini, lungamente dibattuta nella riunione del 23 novembre (1905). Propulsore instancabile, il rettore introdusse i lavori osservando che «già dai primi momenti dell’Università egli avesse accarezzato l’idea che questa si facesse alla sua volta centro di un nuovo Istituto, che in qualche modo venisse a completare nella vita il programma e l’opera della nostra Scuola». Questa gemmazione della Bocconi avrebbe dovuto essere un «Museo Sociale». Di che si trattava? Sabbatini lo chiariva con parole che meritano di essere testualmente richiamate.

«… Sostanzialmente il nuovo Istituto dovrebbe consistere in una ricca Biblioteca d’ordine morale e sociale e in un Ufficio che con norme prestabilite potesse compiere speciali inchieste su determinati problemi che nell’interesse generale fosse ad un dato momento utile di esaminare». I risultati conseguiti dalle «inchieste… metodicamente riassunti verrebbero a costituire un prezioso patrimonio scientifico e pratico del Museo Sociale». Insomma il programma rettorale consisteva nella creazione di un «Centro Studi», una sorta di cenacolo di cultura economica che, secondo il postulatore «mirabilmente risponde alle necessità della vita italiana e, ad un tempo [ac]crescerà prestigio e forze alla nostra Università». Naturalmente il compimento dell’iniziativa avrebbe comportato l’impiego di mezzi non irrilevanti e, pertanto, nel rispetto di norme e regolamenti «che a suo tempo potranno essere esaminati e stabiliti», v’era da augurarsi che «anche per riunire intorno al nuovo Istituto le simpatie e le forze di tutta la Città» si potesse contare sul contributo di altri enti. A tal proposito «in via ufficiosa» (evidentemente in attesa del consenso del consiglio direttivo che Sabbatini dava per scontato) il rettore aveva già avvicinato e «conferito col Sindaco e coi Presidenti della Deputazione Provinciale, della Camera di Commercio, della Cassa di Risparmio e della Società Umanitaria» ed era «lietissimo di poter dichiarare che tutti hanno accolto l’idea di massima con grandissima simpatia… ripromettendosi che i rispettivi enti abbiano ad accordare al nuovo Istituto il loro appoggio morale e materiale»[83].

La proposta di Sabbatini giunse, probabilmente, inaspettata, e sembra aver lasciato interdetti, sul momento, i consiglieri. Tanto che, a nome di tutti, Vanzetti chiese se, a norma dello statuto, l’iniziativa potesse essere assunta. Il rettore rispose che lo statuto non conteneva alcuna disposizione inibente lo sviluppo dell’attività dell’istituzione: anzi «l’iniziativa risponde alle sue finalità». A sostegno della tesi rettorale si levò Ettore Bocconi facendo osservare che proprio «nell’art. 5 dello Statuto, che tratta [dell’utilizzo] di eventuali avanzi d’esercizio, si trova implicita la facoltà di provvedere a quanto può giovare all’incremento dell’Università». Rotto il ghiaccio fu un coro unanime di consensi all’operazione culturale proposta[84]. A Sabbatini fu conferito esplicito mandato di redigere «un progetto concreto da sottoporre al Consiglio». Ma sarebbe occorso qualche tempo perché su questo progetto culturale si tornasse[85].

Dopo una seduta di tanta importanza, la quale una volta di più aveva fatto prova dello spirito altamente innovatore che animava Sabbatini e l’équipe degli amministratori bocconiani, l’ultimo incontro del 1906 (15 dicembre) dei consiglieri fu dedicato a pratiche ordinarie. Si confermarono le borse già assegnate (può avere interesse sapere che ne beneficiavano 5 studenti che avevano compiuto il primo anno, 6 che avevano terminato il secondo anno e 10 che avevano ultimato il terzo anno); si conferì una nuova borsa istituita dal comm. Ulrico Hoepli[86] allo studente Elia Raicevich che, secondo i desideri espressi da Hoepli, aveva dimostrato una eccellente conoscenza non di una, ma addirittura di tre lingue estere[87]; infine si risolse, felicemente, la questione dello sdoppiamento dell’insegnamento del francese, conferendo l’incarico al prof. Joseph Rouquet, di lingua e cultura francese, che a Sabbatini aveva fatto ottima impressione. Gli si riconobbe un assegno di lire 500 all’anno con un carico di tre ore settimanali di lezione.

I responsabili della gestione bocconiana potevano guardare con fiducia al nuovo anno. L’Università appariva viva e apprezzata. Tutto lasciava pensare che gli «studenti anziani», già in preda alle giovanili ansie, ma altresì confortati dalle giovanili speranze che l’esame di laurea ognor procura, sarebbero giunti ben preparati e caricati al traguardo del 1906. La prima generazione di laureati della Bocconi si stava profilando all’orizzonte. Un nuovo motivo di commozione si stava avvicinando per Ferdinando Bocconi: e perché no?, anche per Leopoldo Sabbatini.

L’approvazione dello «Stato Patrimoniale» e «Bilancio consuntivo» al 31 ottobre 1905 e del «Bilancio preventivo» per il 1905-06 fu il principale argomento posto all’ordine del giorno della seduta del 19 marzo 1906. I consiglieri rilevarono con soddisfazione che l’esercizio precedente si era chiuso con un buon avanzo: L. 23.591,18. Si deliberò di passare a riserva, con acquisto di titoli della Rendita Italiana 5%, L. 18.696,71, e di utilizzare le restanti L. 4.894,47 per acquisto di mobili e suppellettili scientifiche. Come abbiamo fatto per i precedenti esercizi esponiamo in appendice i dati analitici delle situazioni contabili: sia del «consuntivo» 1904-05[88], sia del «preventivo» 1905-1906[89].

Assegnata ad uno studente provinciale la nuova borsa istituita dalla Camera di Commercio di Piacenza, rispettandone il desiderio, e riconfermati i revisori dei conti (Bocconi e Weil), su suggerimento del presidente il consiglio prese in esame e pienamente approvò l’insegnamento, «da svolgersi in un piccolo numero di lezioni» di cinque corsi speciali: «Diritto cambiario» da affidare (come s’era già fatto l’anno precedente) al prof. Bolaffio; «Legislazione del lavoro» per il prof. Rava, dell’Università di Bologna e già Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio; «Diritto marittimo» per il prof. Ulisse Manara dell’Università di Genova[90], «Igiene del lavoro» per il prof. Costantino Gorini, insegnante della Regia Scuola Superiore di Agricoltura; «Tariffe doganali italiane» per il prof. Maldifassi.

Il consiglio volle poi rinnovare, in modo solenne e diretto, e a nome del Collegio Accademico il più commosso e augurale compiacimento (già trasmessogli dal presidente) al Fondatore della Bocconi per la nomina a senatore, «onorificenza [che è] anche una indiretta ma graditissima prova del grande conto in cui il Governo tiene l’Università»[91]. Sentimenti che tanto più i consiglieri reputavano di manifestare caldamente, in quanto qualche giorno prima, il 1° marzo, ricorrendo il primo decennio della battaglia di Adua, d’«un giorno tanto infausto per il Paese e tanto doloroso pel suo cuore paterno, il Senatore Bocconi aveva fondato alcuni premi di studio per i migliori fra gli studenti dell’Università Commerciale, che nel periodo della vacanze volessero recarsi all’estero per perfezionarsi nelle lingue straniere».

Non preannunciato da alcuna comunicazione e, tanto meno, da alcun dibattito in sede consiliare si stava per realizzare, in quelle prime settimane di primavera del 1906, un evento che avrebbe lasciato un’impronta rilevante nell’ancora iniziale cursus historiae della Bocconi. Vittorio Emanuele II, giunto a Milano per la cerimonia di chiusura della «Fiera Internazionale» e per presenziare alla «Festa Internazionale del Lavoro», non mancò di rendere visita al nuovo Ateneo.

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Ricevuto dal Ministro del Commercio, Ettore Pantano, dal «fondatore», dal rettore e da tutti i consiglieri, il Sovrano, nell’Aula Magna, si incontrò con il corpo accademico, con gli studenti e con «quanto di più elevato offre la vita scientifica ed economica di Milano». Sabbatini rivolse al Re d’Italia un breve, ma intenso discorso nel quale, di là dall’inevitabile patina di retorica che lo avvolgeva, si intravvedeva la preoccupazione del rettore di sottolineare il carattere peculiare e completamente nuovo della prima Università Commerciale italiana e l’«intimo e generale sentimento» che la cerimonia suscitava[92]. Sua Maestà visitò «minutamente» la sede dell’Università, compiacendosi e felicitandosi per aver «provveduto così degnamente, efficacemente alle più elevate esigenze della cultura economico-commerciale». Sicché parve naturale e doveroso ricordare che «l’Università scrive nei suoi fasti questo giorno, che segna la più alta consacrazione degli ideali pei quali è sorta – dell’indirizzo scientifico e tecnico a cui si è ispirata – dei resultati che ha conseguito nel primo ciclo quadriennale di studi»[93].

Ma quella primavera e l’inizio dell’estate del 1906 ebbero di certo a provocare al responsabile primo della gestione bocconiana, al sempre impegnato, incalzante, inaccontentabile Sabbatini, non poche ansie, più o meno connesse con la conclusione, ormai imminente, del primo ciclo d’insegnamenti nell’Università da lui così arditamente modellata. Ansie forse acuite proprio dalla recente visita del Sovrano. Di lì a pochi mesi dalle aule bocconiane sarebbero usciti i primi laureati.

Come avrebbero dovuto essere congedati dal presidente della commissione di laurea gli indimenticabili allievi che superavano, dopo quattro anni di dura e impareggiabile preparazione, l’ultima prova, così attesa, così temuta? Come proclamare i primi «dottori in scienze economiche e commerciali» della nuova Università? In nome di quale autorità? Con riferimento a quale legge? Insomma, con quale «formula di investitura» sarebbero stati consacrati i primi cavalieri bocconiani?

Certamente non solo alla vigilia di un accadimento tanto significante il rettore si sarà posto queste domande, ed avrà cercato risposte, anche interpellando amici e colleghi. Ma i tempi, ora, stringevano, e sarebbe stato auspicabile uscire dai dubbi che, in mancanza di precise risposte, inevitabilmente affioravano. E, invero, è abbastanza strano che siffatte questioni non sian mai state inserite negli ordini del giorno delle sedute consiliari. Pare quasi che Sabbatini temesse d’innescare indesiderabili discussioni intorno a problemi che meglio sarebbe stato risolvere in àmbiti assai ristretti. E a tale supposizione sospingono le lettere che fin dal dicembre del precedente anno Sabbatini e Mosca si erano scambiate. Purtroppo non è rimasta traccia, nell’archivio bocconiano, dei fogli vergati dal rettore; ma delle due lettere di Mosca, di cui riproduciamo testualmente in nota la prima, sono – ci sembra – sufficientemente eloquenti.

La lettera rivela il desiderio del rettore di provvedere per tempo ad assicurare ai primi laureati bocconiani la possibilità di sbocchi professionali anche nelle pubbliche sfere[94]. Ma non si poteva pretendere che l’ammissione di dottori della Bocconi fosse prevista dai bandi concorsuali del Ministero della Pubblica Istruzione con mesi di anticipo rispetto alla conclusione del primo ciclo quadriennale di studi nella nuova Università. Eppure Sabbatini non aveva esitato, come si evince dalle parole di Mosca, ad avvicinare persona introdotta negli ambulacri ministeriali per offrire anche ai futuri primi dottori della Bocconi la chance di partecipare ad un concorso per una «carica di concetto» nell’amministrazione statale. E neppure aveva mancato d’interessarsi (e di fare interessare Mosca) per aprire anche ai licenziati bocconiani le porte della carriera consolare: un intendimento su cui il rettore insistentemente tornerà, come diremo, anche in successive occasioni[95].

Le altre due più tarde lettere di Mosca del luglio e dell’agosto del 1906 ci sembrano di straordinario interesse, poiché costituiscono una testimonianza quanto mai vivida, intensa delle preoccupazioni che allora così visibilmente inquietavano Sabbatini[96]. Malgrado il tanto compiuto, il tanto conquistato, colui che, con abilità e intelligenza e senso politico, non aveva risparmiato energie per edificare la nuova Università era ben cosciente di «non avere ancora vinto l’ultima battaglia», d’essere costretto a rimanere all’erta per fronteggiare le mosse dei non precisati, ma immaginabili «avversari». Donde i suoi iterati contatti con esponenti del mondo politico e burocratico, donde le sue richieste di chiarimenti e di appoggi rivolte a chi – per dottrina, esperienza e competenza professionale – meglio si prestava a indicare una linea d’azione, a proporre iniziative. Affinché, nel segno ed a difesa dell’autonomia e della libertà, la Bocconi fosse considerata, a tutti gli effetti, istituzione idonea a perseguire i suoi fini didattici e culturali. E proprio all’approssimarsi della prima sessione di lauree, nell’apprestarsi a conferire i primi diplomi accademici, il rettore avvertiva l’esigenza d’ottenere precise garanzie. Sentiva, in altri termini, quanto fosse necessario e urgente che, pur sotto il profilo formale, come dire legale, s’addivenisse al riconoscimento delle facoltà, anzi dei «poteri» dell’Ateneo. I «poteri» d’un centro culturale moderno, avanzato, non inquadrabile negli schemi così spesso anchilosati d’altre Università del Regno e, proprio per questo, esposto al rischio, al pericolo di essere oggetto di maldestri interventi burocratici, forse sollecitati – era plausibile supporlo – dai temuti e non sempre individuabili antagonisti.

Gaetano Mosca fu, dunque, uno degli amici a cui l’agitato e angustiato Sabbatini ricorse per averne pareri e aiuti in merito ai problemi che, sul finire del primo quadriennio d’attività bocconiana, risultavano ancora insoluti e inducevano a giustificate apprensioni sul futuro d’una istituzione che pur aveva dato prove di grande vitalità, aveva incontrato larghi consensi; ma, inevitabilmente, aveva anche suscitato invidie e gelosie le quali avrebbero potuto tradursi in attentati alla sua stessa esistenza.

Inseguito, anche a Palermo, dai telegrammi e dalle lettere di Sabbatini; infastidito dai disguidi postali, causati da un omonimo Dulcamara siciliano, scopritore addirittura di un rimedio contro la tbc; indebolito da un doloroso intervento chirurgico, il grande giurista e politologo – pur lamentandosi di non aver «un libro da consultare», di «riuscire a stento a raccogliere e coordinare le idee» e di non sapere che ne pensavano i colleghi bocconiani Ascoli, Buzzati e Sraffa – non fece mancare al rettore i suoi pareri e suggerimenti, incentrando l’attenzione e le ipotesi interpretative sulla possibilità o meno, da parte della «libera e privata» Università Bocconi, di rilasciare i diplomi accademici «in nome di S.M. il Re». La possibilità di usare codesta formula era questione di fondamentale importanza agli occhi di Sabbatini, giacché solo in questo caso si sarebbe realizzata la piena parificazione della Bocconi alle Regie Università. Il riconoscimento della nuova istituzione scolastica, indubbiamente già sanzionato dal decreto del Ministro della Pubblica Istruzione, sarebbe stato completo ed irrevocabile, nel momento in cui anche la Bocconi fosse stata autorizzata (ma ciò non era esplicitamente affermato nel predetto decreto Orlando), a conferire le sue lauree in nome del Sovrano, come gli altri istituti universitari normalmente facevano. Mosca non mancò di manifestare i suoi dubbi in proposito: il problema, a suo avviso, era quello di stabilire, se e fino a che punto il governo era abilitato a delegare funzioni, anzi «poteri» ad enti privati. La questione bocconiana, secondo Mosca, sotto forma semplice e modesta si proponeva come «uno dei più gravi problemi di diritto pubblico», un problema che «solo un atto del Parlamento potrebbe risolvere in modo definitivo».

Non è il caso di indugiare più oltre ad esporre il pensiero di Mosca: si leggano le sue lettere per meglio penetrarlo (di là dai consensi o dissensi ch’esso potrà indurre). Basti qui rilevare che con riguardo al «che fare?» (questo era l’interrogativo che Sabbatini si poneva e poneva all’amico, rimanendo in ansiosa attesa di una risposta) Mosca non si sentì di dare un’indicazione precisa, anzi «recisa», come egli scrisse. Ammetteva che «l’uso della formola» – in nome di S.M. il Re – poteva «risvegliare l’ira dei nostri avversari», sì che «questi si muovano, presentino interrogazioni ed interpellanze alla Camera od al Senato» e, aggiungeva, «allora ci converrà lottare». Ma osservava pure: «Sinora… abbiamo ottenuto molto, ma ci manca qualche cosa. Se adoperiamo la formola… affermiamo audacemente che nulla ci resta a conquistare. Questa affermazione è ardita ma non temeraria… Se conviene poi fare ora il passo decisivo che può far nascere la lotta è quistione politica sulla quale non posso dirti né un sì né un no reciso. È quistione… d’intuito, di vena, di avere la mano felice come giocatore…». In ogni caso Mosca assicurava Sabbatini che si teneva sempre a disposizione per gli interventi di vario genere che si fossero resi opportuni.

Non sappiamo quale fu la reazione di Sabbatini alle lettere di Mosca, ricevute quando, badando al calendario accademico, la prima sessione di laurea tenuta alla Bocconi s’era certamente già conclusa. Né sappiamo se, forzando la mano, ancora prima di conoscere l’opinione di Mosca, Sabbatini avesse licenziato i primi dottori bocconiani «in nome di S.M. il Re». Il particolare, di tanta importanza come si è appena visto, sarebbe stato ricordato da qualcuno dei primi trentotto laureati bocconiani, classe 1906[97]; ma il nostro venerabile confidente dovrebbe oggi avere, all’incirca, 113 anni per darci, oralmente, la preziosa informazione!

Dai verbali del consiglio direttivo vagamente si intuiscono le preoccupazioni del presidente-rettore (e, forse, di qualcuno dei suoi collaboratori) sulle quali ci siamo non poco intrattenuti. Sabbatini, nella seduta del 10 giugno 1906, si limitò a rammentare «che alcuni tentativi da lui fatti per procurarsi il disegno del diploma di laurea [si noti la genericità dell’espressione] non hanno condotto a risultati soddisfacenti». Preso atto della dichiarazione, «il Consiglio, dopo un largo scambio di idee in proposito, è d’avviso di esperire altre pratiche [quali?], riservandosi intanto – qualora la strettezza del tempo lo richiedesse – di provvedere ad un diploma provvisorio da sostituirsi più tardi con quello definitivo»[98]. Una volta ancora vien fatto di chiederci: con quale formula si procedette al conferimento delle lauree? In ogni caso, a’ sensi del decreto approvato il 15 luglio 1906 i laureati bocconiani potevano fregiarsi del titolo di «dottori»[99].

Sabbatini passò poi a ricordare che, in base al regolamento approvato, della commissione di laurea, oltre al rettore ed a sei professori, avrebbero dovuto fare parte anche altri quattro membri nominati dal consiglio direttivo. Si augurava che qualche consigliere chiedesse di entrare nella commissione: Pirelli e Salmoiraghi, «qualora i loro impegni lo permettano», si dissero senz’altro disposti, e con piacere, a contribuire a comporla. Tuttavia, nell’ipotesi sfortunata che nessun membro del consiglio potesse intervenire, si fecero subito i nomi di altri possibili e graditi componenti, con la speranza che potessero accettare l’invito: i senatori Martelli[100], Pisa[101], Vigoni[102] ed il prof. Celoria[103].

Si deliberò, in quella seduta, che per gli studenti del 4° anno, già alle prese con la preparazione della laurea e tenuti ad affrontare previamente gli esami di nove corsi speciali, le lezioni terminassero il 2 giugno. Ai professori di lingue si espresse gratitudine per la spontanea proposta di prolungare oltre il 13 giugno, e sino all’inizio degli esami, le loro lezioni al fine di meglio preparare gli allievi che si apprestavano alle prove.

Si ritornò, infine, sulle sei borse premio, istituite da Ferdinando Bocconi per gli studenti più bravi, da spendersi all’estero per migliorare la conoscenza delle lingue e ci si trovò concordi nell’escludere i laureati e nel riservarne l’assegnazione ai migliori allievi del 3° anno, posto che solo quelli avevano portato a termine i corsi di lingue[104].

Già si è accennato al particolare interesse palesato da Sabbatini per la carriera consolare, come uno degli sbocchi professionali a cui avrebbe dovuto portare anche la laurea bocconiana[105]. Il rettore, con lettere del 28 febbraio e del 4 marzo precedenti, aveva posto al Ministero degli esteri il quesito, se cioè ai laureati bocconiani sarebbe stato consentito di partecipare ai concorsi per la carriera consolare. La risposta era stata affermativa: pure il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione aveva dato parere favorevole. Di questi riusciti passi, nella riunione del 3 luglio 1906, Sabbatini diede conto ai consiglieri, dai quali fu addirittura avanzata la proposta d’istituire, negli ultimi due anni, un corso speciale di «Diritto Internazionale» al fine di «mettere in esatta corrispondenza gli insegnamenti della Università coi programmi degli esami di ammissione alle carriere consolari dipendenti dal Ministero degli affari esteri»[106]. Non è difficile immaginare quanto grande sia stata la soddisfazione di Sabbatini per questo deciso appoggio dei consiglieri. Tanto più che proprio sul problema della professione consolare, reputata oltremodo interessante per via dalla progressiva dilatazione dei rapporti economici internazionali, il rettore della Bocconi in veste di segretario generale della Unione delle Camere di Commercio, stava giustappunto stendendo una relazione assai dotta, penetrante e apprezzata che, per conto del Comitato esecutivo della stessa «Unione», sarebbe stata pubblicata nell’aprile del 1907 e proposta, come petizione fatta propria dall’«Unione», al Parlamento, il quale si stava allora accingendo a discutere il disegno di legge sul servizio consolare[107].

In chiusura di seduta, prima ancora, dunque, che la sessione di laurea si aprisse (s’era all’inizio di luglio), il consigliere Vanzetti pregò il presidente di riferire «circa la collocazione dei giovani laureati quest’anno». Tutti si allietarono alla risposta del rettore. Evidentemente la prima serie di dottori bocconiani era già stata tutta «prenotata» con largo anticipo.

Il 5 ottobre di quel memorabile 1906 si tenne un’altra riunione (il giorno prima era andata deserta). Non fu una seduta di rilievo. Per l’anno accademico 1906-07 si rinominarono i professori già incaricati l’anno precedente con poche varianti. In luogo dell’Ing. Toja, nominato direttore de «La Fondiaria» e impossibilitato a continuare, fu chiamato il dottor Gino Sestilli, direttore della Compagnia d’Assicurazioni di Milano; i docenti Zeani e Pietrasanta di «Banco modello» furono sostituiti dal sig. Nizzola della «Gondrand» (per «trasporti», ovviamente) e da un altro insegnante ancora da designare per «assicurazioni». Riconfermata la commissione per le borse di studio (Sabbatini, Bocconi, De Leva), si prese nota che anche le cariche dei consiglieri erano in scadenza ed entro l’anno si sarebbe dovuto provvedere al rinnovo.

Riconvocatosi una ventina di giorni dopo, il 24 ottobre, il consiglio direttivo dovette, dolorosamente, prendere in immediata considerazione la sostituzione del prof. Maglione, colpito improvvisamente da una grave malattia. La scelta cadde subito sul prof. Greco che di Maglione era stato «allievo e per tre anni valoroso assistente». A diradare un poco la tristezza provocata da questo inatteso evento, valse la comunicazione di Sabbatini che «tutti i giovani laureati nella passata Sessione di luglio hanno trovato un vantaggioso collocamento e che le domande di iscrizione per il prossimo anno permettono di nutrire le migliori speranze per il numero degli studenti; e la loro provenienza dimostra che l’Università è ormai conosciuta ed apprezzata in tutte le regioni d’Italia».

Si indugiò un poco, more solito, sui corsi speciali: ad essi Sabbatini teneva moltissimo, non solo pei vantaggi che ne traevano gli studenti, ma per l’opportunità d’offrire incarichi di prestigio a rappresentanti di aziende locali, con le quali era conveniente mantenere cordiali rapporti, ed altresì per favorire l’inserimento nel corpo accademico bocconiano di scienziati e docenti di alto valore, che avrebbero potuto, in seguito, essere utilizzati nei corsi generali. Si convenne che era venuto il momento di… adescare Pietro Bonfante, eminente professore dell’Ateneo pavese, offrendogli, appunto, un corso speciale di «Diritto comparato (procedura di concorso e fallimento)». A certo rag. Vittorio Bossi della «Compagnia d’Assicurazioni di Milano» si propose un altro corso speciale su «Ordinamento e funzionamento amministrativo-contabile delle aziende d’assicurazione» (avrebbe potuto anche servire di complemento per quello di «Banco modello»). Si pensava, infine, d’invitare lo stimato e competente prof. Alfredo Rocco dell’Università di Parma a tenere una ventina di lezioni su «Operazioni di Banca».

Parificato l’onorario del prof. Piazza di matematica (di cui si riconosceva «il grande zelo sempre spiegato e gli eccellenti risultati ottenuti») e nominato il prof. Alessandro Carruthers, del quale s’erano avute «le migliori informazioni», come altro insegnante di inglese, la seduta si concluse con l’approvazione dei lavori compiuti e delle conclusioni tratte dalla commissione per la valutazione dei titoli dei concorrenti alle quattordici borse di studio in palio per l’entrante anno accademico[108].

L’ultima seduta del 1906 del consiglio direttivo cadde il 7 dicembre e si aprì, con la presenza di tutti i membri, nel mesto ricordo del prof. Maglione «che rapida, terribile malattia rapì al reverente affetto dei discepoli, alla grande estimazione dei Colleghi, ad una vita intensamente operosa e feconda di tanto bene per tutti».

Rasserenò la deprimente atmosfera la notizia fornita dal rettore che, mai come in precedenza, il futuro dell’Università si presentava tanto luminoso e incoraggiante: oltre ad una dozzina di uditori, una novantina di allievi si erano iscritti e «pare – aggiungeva Sabbatini forse un poco trascinato dall’entusiasmo – che il nuovo corso sia costituito da giovani intelligenti e volonterosi».

Una volta di più tornò sul tappeto il problema dell’insegnamento della «Storia del Commercio», problema di difficile soluzione «sia perché si tratta di materia che richiede nell’insegnante una vastissima e svariatissima cultura economica e storica, sia per il fatto che questa cattedra non esiste ancora in nessuna delle nostre Università, ma solo in alcune scuole commerciali, dove si svolge in modo elementare e dentro limitati confini». Sabbatini rammentava che, due anni prima, l’insegnamento era stato assegnato, come incarico aggiunto, al prof. Loria, il quale però, per vari motivi, non aveva potuto tenere il corso. Fortunatamente, ora, la questione poteva dirsi risolta, giacché a coprire la cattedra s’era detto disposto il prof. Bonfante «che per la sua grande dottrina e per la versatilità dell’ingegno… pare il più adatto» ad assumere tale impegno didattico. Naturalmente il Bonfante non poteva assumersi anche il corso speciale affidatogli nella precedente seduta e, pertanto, il consiglio non frappose indugi a nominare per l’insegnamento di «Diritto comparato (procedura di concorso e fallimento)» il prof. Giovanni Pacchioni dell’Università di Torino «scienziato di grande cultura».

Ad avviso del presidente-rettore l’insegnamento della lingua francese avrebbe tratto grande giovamento dall’assunzione di un altro docente, in modo d’avere un professore responsabile per ognuno dei tre anni del corso. I consiglieri si dichiararono d’accordo sulla proposta di Sabbatini di nominare il prof. Antonin Vandey come terzo professore di francese.

Pur con molta cautela, pur apportando al testo originale diversi emendamenti, ma con viva comprensione delle ragioni addotte dagli studenti (ne faceva prova l’intervento di Pirelli), si deliberò, in deroga momentanea al regolamento degli esami, che si concedesse una speciale sessione per quegli studenti del quarto anno i quali, essendo caduti in un solo esame, avrebbero dovuto ripeterlo e, dunque, rimandare fino al luglio successivo la discussione della tesi.

Si prese nota che parecchie borse di studio, da poco assegnate, non erano state «ritirate»[109], e pertanto si deliberò di riconferirle: furono confermate le borse aggiudicate negli anni precedenti. E, per finire, si presero provvedimenti a favore di alcuni dipendenti dell’Università[110].

Nulla si disse (e la cosa riesce alquanto strana per non dire inspiegabile) a proposito del «Congresso Internazionale per l’Insegnamento Commerciale» che era stato ospitato dalla Bocconi nel mese di settembre di quell’anno e che aveva segnato un grande successo per Sabbatini, la cui relazione era apparsa, sotto tutti i profili, eccellente[111]. Il silenzio mantenuto dai vertici bocconiani sul simposio internazionale fu solo incrinato da una breve notazione inserita nell’Annuario del 1906-07, a proposito delle borse di perfezionamento in lingue estere da poco istituite da Ferdinando Bocconi[112].

Per concludere il discorso intorno a quel 1906 così ricco d’accadimenti, portatore come abbiamo posto in evidenza di non poche ansie, ma elargitore di cospicui motivi di speranza, resterebbero a dire due parole intorno ai risultati finanziari dell’esercizio. Purtroppo non è stato possibile rintracciare il bilancio consuntivo del 1905-06. Non ci resta, dunque, che offrire in visione, in appendice, il preventivo per l’anno accademico successivo, desunto da quello consuntivo del 1906-07 (che ci verrà fatto di presentare più oltre)[113].

Un’ultima considerazione. La lettera della vigilia di Natale di Sraffa a Sabbatini, che riportiamo in nota, rende testimonianza delle difficoltà e dei contrasti che nascevano nell’organizzare, con taluni docenti, i corsi, tenuto altresì conto del fatto che alcuni insegnamenti eran impartiti da due professori e che per qualcuno di questi docenti abbinati si aggiungeva anche il carico di un corso speciale. Si notino anche le ironiche «punzecchiature» di Sraffa a Sabbatini: non doveva esser sempre facile aver a che fare con un personaggio così orgoglioso e, per certi versi, tiranno qual era, certamente, il presidente-rettore della Bocconi[114].


1

Il testo del telegramma del primo ministro così suonava:

«Dott. Leopoldo Sabbatini – Milano. – Memore della fatta promessa ho personalmente interessato il collega Ministro Nasi a intervenire alla inaugurazione della Università Commerciale Bocconi ed egli mi ha assicurato che vi si recherà assai di buon grado il giorno 10 corrente indicatomi nel suo telegramma. Cordiali saluti Zanardelli» (vedasi U.B., Annuario, 1902-03, p. 10. Ivi sono pubblicati anche i testi dei telegrammi inviati a Sabbatini dal ministro Nasi e ancora da Zanardelli per informarlo di avere pregato il prefetto di Milano, Comm. Alfazio, di rappresentarlo, in luogo di Nasi).

2

Sempre nell’Annuario citato alla nota precedente (pp. 14-17) sono riportati gli interventi, inanellatisi nel corso della cerimonia inaugurale, seguiti al discorso di Leopoldo Sabbatini. Presero la parola, successivamente, il prefetto, comm. Alfazio, il provveditore agli studi comm. Ronchetti, il sindaco di Milano sen. Mussi, il sen. Prinetti, in rappresentanza del Senato, l’ing. Edoardo Borsa, per la Deputazione Provinciale di Milano e, infine, l’ing. Salmoiragli per la Camera di Commercio e l’Unione delle Camere di Commercio Italiane.

3

Abbiamo già avuto occasione di segnalare il divario di opinioni tra il ministero della pubblica istruzione e quello dell’agricoltura, industria e commercio: là ove abbiamo fatto cenno all’opposizione mossa dalle esistenti R. Scuole superiori di commercio all’erigendo istituto che avrebbe dovuto inserirsi nel Politecnico milanese, secondo quanto previsto dal secondo progetto De Angelis (v. più sopra cap. 2).

Ma il dissenso, pur sotto il profilo meramente procedurale, si sarebbe manifestato anche durante la seduta della Camera dei Deputati dell’11 luglio 1903 dedicata alle interrogazioni e alle interpellanze parlamentari quando, come annota il Resti, «la questione del riconoscimento della nuova istituzione [l’Università L. Bocconi] ritorno in discussione. Per la verità si trattava di una questione procedurale, per cui veniva posta in discussione la soluzione giuridica data al provvedimento legislativo che erigeva in ente morale l’Università, senza minimamente intaccare l’importanza e la validità dell’istituzione» (cfr. E. RESTI, op. cit., p. 111. L’autore – ivi e pagine seguenti – riporta, desumendoli dagli atti parlamentari, i brani essenziali della discussione che, com’egli giustamente rileva, fu «vivace e interessante»).

4

Ecco il testo completo della «circolare»:

«Milano lì 28 Novembre 1902

Onorevole Signore,

I primi studenti dell’Università Commerciale “Luigi Bocconi”, volendo manifestare la loro viva ammirazione verso il generoso fondatore e l’illuminato ideatore di questo Istituto, plaudono alla proposta del solerte Segretario Signor Agostino Celli, e di un gruppo di compagni, deliberano di offrire, in occasione del Capo d’Anno, al Comm. Ferdinando Bocconi ed al Dott. Leopoldo Sabbatini due targhe artistiche d’oro cesellato.

Desiderando inoltre di accrescere la solennità di questa manifestazione coll’intervento degli Illust. Membri del Consiglio Direttivo e del Corpo Accademico, sperano che la S.V. Illust. voglia concorrere anche all’attuazione pratica di questa iniziativa.

Col massimo ossequio

Il Comitato»

[seguono le firme di tre studenti: Gustavo Possenti, Antonio Rossi e Giovanni Genolini]

N.B. «Le offerte si ricevono dal Comitato o dal Sig. Segretario, i quali potranno fornire anche ulteriori informazioni» (A.S.U.B., busta 1).

5

Su carta intestata della «Impresa di Navigazione del Lago Maggiore – Amministrazione» Mangili, di suo pugno, scriveva:

«Milano li 2 dicembre 1902

Cariss. Sabbatini,

Avevo desiderio di vederLa, ma dalla Camera mi si informa che Lei è indisposto, e me ne duole assai.

Vengo dritto alla scopo, essendo superfluo fra noi, che ci stimiamo a vicenda, avere ricorso a perifrasi o ad attenuazioni. Ebbi l’acclusa e Le chiedo ciò che ne pensa.

Da parte mia ritengo che l’iniziativa presa dal segretario pericolante può mettere Lei e Bocconi en délicatesse, come dicono i francesi.

Di fronte a un atto cortese è sempre disaggradevole usar un atto di rigore per quanto giusto!

Lei e Bocconi gradirebbero di più una cordiale dimostrazione di gratitudine in occasione del Capo d’anno per parte dei giovani studenti, che non la solennità di una targa d’oro cesellato.

Non mi va a fagiolo questo mettere a contribuzione dei giovani di scarsella leggera e dei professori che certo non nuotano nell’abbondanza.

Lei non saprà nulla di quanto si sta preparando, e non ne deve sapere, ma a me pare opportuno di svelarle la cosa e di dirle il pensiero mio, e di provocare un di Lei intimo sbottonamento con me.

Guarisca e mi creda suo aff.

C. Mangili»

(A.S.U.B., Archivio, busta 1).

6

Vedi più oltre pp. 176-77.

7

Vedi più addietro cap. 2.

8

Il primo Annuario bocconiano, per l’anno accademico 1902-03, pubblica i programmi dei seguenti corsi: «Principî d’Economia Politica» (Ulisse Gobbi), «Statistica» (Rodolfo Benini), «Geografia economica e commerciale» (Sallustio Marchi), «Matematica finanziaria» (Saul Piazza), «Ragioneria generale e applicata» (Giovanni Maglione), «Diritto Costituzionale e Amministrativo» (Gaetano Mosca), «Istituzioni di Diritto Privato» (Alfredo Ascoli). Il programma comprende anche gli argomenti del secondo anno nel caso di corsi biennali. Va sottolineato che i temi trattati sono esposti «analiticamente», sicché torna impossibile per la loro lunghezza riportarli qui in nota. Fanno seguito ai programmi gli elenchi delle pubblicazioni dei professori dell’Università: una fonte bibliografica preziosa (Ibidem, pp. 69 e ss). Si noti che anche gli Annuari pubblicati negli anni successivi riportano i programmi, via via aggiornati, dei vari corsi, e pure aggiornate sono le bibliografie dei docenti.

9

Ibidem, pp. 113-118.

10

Ibidem, pp. 122-123.

11

Il presidente, Sabbatini, faceva «notare come l’on. Baccelli insista sulla opportunità politica di questa concessione, e faccia osservare che nei paesi in cui esistono Scuole secondarie italiane non vi siano altre scuole di grado ad esse superiore, e come, non accettandoli qui in Italia, i giovani licenziati da quelle Scuole possano – con danno del Paese – accorrere [sic] ad altre Università ed Istituti superiori stranieri» (VCD, verbale del 3 marzo 1903)».

12

«Regolamento per gli esami. Pareri espressi dal Collegio dei professori nella sua adunanza del 10 gennaio 1903».

1) Esami annuali. Per i corsi biennali si ritiene sufficiente alla fine del primo anno un colloquio fra il professore e i singoli studenti, ma senza sanzione definitiva. All’esame finale di questi corsi lo studente sarà tenuto a rispondere di tutta la materia dei due anni di corso.

2) Prove orali e scritte. Per le scienze giuridiche ed economiche bastano le prove orali; per la contabilità si crede occorrerà anche la prova scritta; riguardo alle lingue la prova più importante è l’orale, ma sarà opportuna anche una breve prova scritta.

3) Voti per la promozione. Si ritengono sufficienti per la promozione i 6/10, come nelle Università Regie.

4) Commissioni d’esami. Siano composte di tre membri. Cioè: del Professore della materia, di un Professore di materia affine e di un terzo membro estraneo all’Università, scelto dal Consiglio Direttivo fra le personalità eminenti in quella Dottrina. Si ammette pure che la Commissione in via eccezionale sia formata da tre Professori dell’Università.

5) Sessioni d’esami. Siano due: una nella prima metà di Luglio, l’altra nella seconda metà di Ottobre.

6) Obbligo di presentarsi alla prima sessione. Per le scienze e le discipline tecniche lo studente deve presentarsi, nella prima sessione, almeno alla metà delle materie d’esame.

7) Sanzioni per chi non si presentasse. I casi di malattia o di altro legittimo impedimento possono giustificare lo studente che non si presentasse.

8) Promovibilità dei riprovati ad un successivo anno di corso. Si propone: a) che lo studente non possa iscriversi ad un anno successivo di corso, e debba perdere l’anno, quando non sia stato approvato in più di due materie; b) che lo studente in questo caso debba sostenere alla fine del nuovo anno solo le prove delle materie in cui non era stato approvato; c) che però uno studente non passi dal 1 al 2 biennio se non ha superato tutti gli esami del primo.

9) Lingue straniere. Per quanto riguarda le lingue: a) gli esami saranno annuali; b) lo studente che in ambedue le sessioni d’esame venga riprovato in una lingua dovrà ripetere il corso, ma senza pregiudizio del corso regolare delle altre materie; c) lo studente deve presentarsi nella prima sessione agli esami di tutte le lingue a cui è iscritto» (vedi Allegato al VCD del 10 marzo 1903).

13

Sabbatini faceva notare come «… il Collegio dei Professori non si sia accordato se tali esami [quelli per gli uditori] debbano darsi davanti alla Commissione esaminatrice degli studenti o davanti al solo professore della materia… I sostenitori di questa ultima opinione si fondavano sul pericolo che la Commissione, sapendo d’aver davanti a sé degli uditori, usasse una soverchia indulgenza, e che in tal modo venisse menomato il prestigio dei certificati conseguiti dagli studenti regolari». Sabbatini trovava «esagerato tale pericolo, e la sua opinione è condivisa dal Consiglio che delibera che ad una stessa Commissione siano affidati gli esami degli studenti e degli uditori» (Ibidem).

14

Siffatto fondo era indicato sub a) nell’art. 3 dello Statuto (cfr. U.B., Annuario, 1902-03, p. 38).

15

Geografia commerciale; Principî di statistica; Matematica finanziaria; Diritto costituzionale e amministrativo; Diritto privato.

16

Per il primo anno di funzionamento il calendario scolastico della Bocconi prevedeva l’inizio delle lezioni per il 12 novembre 1902, la chiusura dei corsi per il 20 giugno 1903, l’inizio degli esami il 1 luglio e la fine degli stessi il 21 luglio. Con la sua delibera il Consiglio Direttivo faceva quindi incominciare la sessione d’esami il giorno prima della data fissata per la conclusione dei corsi (cfr. U.B., Annuario 1902-03, pp. 125-127).

17

Ecco, per ogni materia, i due professori prescelti: Francese, Castelfranco e Cappelli; Tedesco, Friemann e Bellezza; Inglese, Bellezza e Friedmann; Spagnolo, Cappelletti e Castelfranco; Geografia commerciale, Marchi e Benini; Matematica finanziaria, Piazza e Gobbi; Statistica, Benini e Piazza; Diritto costituzionale e amministrativo, Mosca e Ascoli; Diritto privato, Ascoli e Mosca.

18

Sarebbe stato interessante, almeno per questa prima sessione d’esami, riportare il nome del membro esterno, ma in archivio non è rimasta traccia dei verbali dei primi esami. Vedasi più oltre, nota 66, per un più puntuale riferimento a quanto è stato prospettato da D. MusiedIak (op. cit., pp. 68 e ss.) in ordine alle commissioni d’esame: un luogo ove, coinvolgendo – come Sabbatini appunto voleva – il mondo imprenditoriale milanese, si realizzava, giuocando sulla cooptazione, la coniugazione delle forze culturali con quelle operative in funzione dell’esercizio dei poteri.

19

G. Mosca, Dopo il primo anno dell’Università Commerciale Luigi Bocconi, in «La Riforma Sociale», 1903, a. X, vol. XII, fasc. pp. 797-801.

20

Il consiglio, peraltro, non escludeva la possibilità di estendere ai richiedenti (studenti e laureati) le concessioni previste dalla legge e, addirittura, di accrescerle. Pare, insomma, che non si volesse apparire troppo rigidi per non nuocere alla istituzione appena entrata nell’agone universitario (cfr. VCD del 2 ottobre 1903).

21

Non è stato possibile ritrovare copia del primo bilancio della Bocconi.

22

Meritano di essere citati i nomi dei primi tre commessi che prestarono servizio alla Bocconi: Pietro Casale, Carlo Orsi e Natale Pisani. Si noti che il loro salario corrispondeva all’incirca a quello di un buon operaio (90 lire al mese erano pari, invero, a circa 3 lire al giorno, appunto la paga di un operaio).

23

U.B., Annuario, 1903-04, p. 132. Ivi sono ricordati le varie istituzioni e persone che misero a disposizione le borse.

24

Vedi Ibidem, «Regolamento per le borse di studio», p. 133.

25

Testo integrale della lettera di Bolaffio a Sabbatini:

«Bologna 5 dicembre 1903

Mio caro Sabbatini,

Oggi parlandoti dell’Università Bocconi, aveva incominciato a dirti anche della mia posizione nella medesima; ma poi l’argomento principale ci ha fatto dimenticare l’accessorio, di cui però credo bene scriverti subito questa sera.

Ti ho accennato che per dare un’ora di lezione alla settimana, io perdo ora due mezze giornate; e con la prossima modificazione dell’orario, perderò un giorno e mezzo!

Aggiungi che oggi il segretario m’ha detto che intende abbonarmi alla ferrovia!

Ora, in confidenza, questo abbonamento viene ad aggravare finanziariamente la mia condizione! Perché ora viaggio in seconda classe per coprire in parte, con la differenza fra la prima e la seconda classe, le spese correnti di alloggio e vitto nella mia permanenza a Milano, spese che, per ogni volta, ammontano a 15 lire circa. E se pensi che la Università mi dà un compenso di lire 111,11 al mese, tu avverti che, detratte le 60 lire di spese, io perdo una giornata e mezza per settimana, dò 4 lezioni di un corso superiore, lezioni che mi costano parecchio studio per la preparazione, e tutto ciò per 50 lire!!! … Si noti che l’abbonamento mi mette bensì nella posizione ambita e decorosa di viaggiare in prima classe, ma aumenta le mie passività.

Detto questo, io ti domando: è questa la posizione che si può e si deve fare a un uomo di studio e nella mia posizione sociale e scientifica?… Posso io continuare nel mio insegnamento all’Università commerciale? … Ricorda bene: quando, per deferenza verso di te, non negai l’opera mia all’Università commerciale, ho sempre detto che avrei tenuto un corso continuato di lezioni, senza interruzione; mai un corso regolare e settimanale! Meno poi che mai a questi patti! …

Ad ogni modo, rimetto la decisione al tuo illuminato e coscienzioso giudizio.

E ti stringo con grande e inalterato affetto la mano

tuo L. Bolaffio»

(A.S.U.B., busta l).

26

A vero dire nei verbali del consiglio non figura mai il luogo ove la seduta era tenuta. Ma v’è da presumere che, normalmente, i membri del consiglio si riunissero in una sala della sede universitaria di Piazza Statuto.

27

Bisogna, tuttavia, rilevare che delle 65 matricole dell’anno precedente due avevano revocato l’iscrizione prima dell’inizio delle lezioni.

28

Le ore settimanali di insegnamento, per i docenti, salirono da 9 a 12 per il tedesco, da 6 a 9 per l’inglese, da 3 a 6 per lo spagnuolo. «Prendendo… come base che lire 2.000 annue rappresentino un equo compenso per 9 ore settimanali di insegnamento di lingue… si stabilisce un proporzionato aumento di onorario, e cioè si assegnino ai Proff. Castelfranco e Friedmann [tedesco] altre 700 lire annue per ognuno e si elevi a L. 1.400 l’onorario del Prof. Sanvisenti». Al prof. Bellezza di inglese non si fece alcun aumento, posto che il suo insegnamento, ancorché aumentato del 50%, non superava le 9 ore settimanali (cfr. VCD del 5 gennaio 1904).

29

Ci pare interessante riportare quanto disse Pirelli che condivideva senz’altro l’opinione di Sabbatini di considerare inopportuno l’accoglimento della richiesta di Friedmann jr.: faceva notare, Pirelli, «come l’insegnamento di tale lingua [tedesco] – per la sua scarsa diffusione e per l’uso stesso dei Rumeni di servirsi nei rapporti internazionali di altre lingue – presenti poca o nessuna utilità pratica, né pel viaggiatore, né pel commerciante» (Ibidem).

30

Vedi più addietro passim.

31

Il verbale accenna a lunghe discussioni in merito a siffatto onere finanziario, ma non rivela, se si fosse giunti, come s’ha l’impressione, ad un taglio della cifra prevista da Sabbatini (Ibidem).

32

De Leva espresse «il suo grande dispiacere per tale rinuncia… ma perché non pargli vi sia conflitto fra la sua nuova carica e quella di membro del Consiglio dell’Università» era dell’avviso che si dovesse «insistere presso di lui, perché la voglia ritirare». All’unisono Vanzetti e Pirelli sostennero che «la rappresentanza del Comune nel Consiglio a nessuno potrebbe essere meglio affidata che al Sindaco, che per questa istituzione ha già mostrato tanto amore e interessamento» (VCD seduta del 17 febbraio 1904).

33

Si riconosceva peraltro la grande difficoltà dell’impresa giacché, pur aumentandolo in misura consistente, «il compenso – da chi dovrebbe abbandonare il proprio paese – potrebbe considerarsi non adeguato all’impegno» (Ibidem).

34

Si trattava del «Regolamento interno dell’Università», quello per la biblioteca e quello per le borse di studio. A proposito di quest’ultimo il solito Pirelli, pur essendo d’accordo che si interpellassero i professori «poiché si tratta[va] di valutare il grado di coltura dei concorrenti in rapporto alle diverse loro attitudini, il che rientra[va] nella parte didattica» (questo aveva sostenuto Sabbatini), reputava che «il giudizio riassuntivo sul profitto dei giovani spett[asse] al Consiglio» e pertanto non era da richiedersi al Collegio dei Professori «una deliberazione ma una semplice proposta». Tuttavia, pregato, non insistette «nel suo emendamento», ma anch’egli approvò che «la compilazione dello schema dei tre regolamenti ven[isse] affidata al Collegio dei Professori» (Ibidem).

35

Questa Camera rinunciò a provvedere direttamente all’assegnazione della borsa: la pose a disposizione del consiglio, con l’invito a conferirla «di preferenza» ad un giovane della provincia di Ferrara. Il consiglio provvide subito in tal senso: beneficiario fu un bravo studente ferrarese.

36

Vedi Appendice Bilanci 1 e 2.

37

A vero dire era stato lo stesso presidente ad introdurre la questione, ricordando che «… lo Statuto prevede la nomina di un rettore… In questo primo anno il Presidente, per le condizioni veramente particolari dell’Università… non ha avuto difficoltà di riassumere anche le funzioni del Rettore. Oggi però l’Università si può considerare come già felicemente avviata, onde egli ritiene doveroso di sottoporre al Consiglio il quesito». Chiesta la parola il consigliere Ettore Bocconi osservò «che l’alto interesse dell’Università porti a pregare il Presidente di voler continuare nel riassumere egli stesso anche le funzioni di Rettore». Tutti i consiglieri (solo il rappresentante del Comune, ripetiamo, era assente) entusiasticamente sostennero la proposta di Bocconi (Ibidem).

38

Vedi più oltre nota 74.

39

Chi lo voglia potrà rendersi conto delle modificazioni suggerite e deliberate dal consiglio ponendo a confronto il testo redatto dai professori e quello definitivo, l’uno e l’altro allegati al processo verbale della seduta del 14 maggio.

Non ci sembra il caso di riportare qui i testi integrali dei due regolamenti. Ne ricorderemo soltanto la «capitolazione» generale che rivelava i punti fondamentali presi in considerazione dalla normativa.

Per quanto atteneva al «Regolamento dell’Università» i primi cinque articoli erano dedicati a precisare i «diritti e doveri degli insegnanti»; tre articoli all’«anno scolastico e orario» (l’anno scolastico cominciava il 15 ottobre e terminava il 20 luglio); sette articoli riguardavano gli «studenti» (titoli di ammissibilità ecc.); in cinque articoli erano raccolte le disposizioni generali per gli «esami» (commissioni, sessioni – prima decade di luglio e seconda metà di ottobre –, votazioni, esame di laurea, per il quale si pensava ad una particolare disciplina, ecc.); sette articoli consideravano tempi, forme, modi ecc. degli esami per le «materie scientifiche e tecniche»; altri quattro articoli precisavano i caratteri peculiari degli esami per le «lingue straniere»; «uditori e loro esami» erano presi in considerazione in quattro articoli; alle «tasse» (entità, modalità di versamento ecc.) erano riservati quattro articoli; in due articoli soltanto erano contemplate le norme per garantire la «disciplina universitaria». In totale il regolamento dell’Università constava di 41 articoli (quello pubblicato sull’Annuario ne riporta 42: per un evidente errore di stampa si fa seguire all’art. 39 l’art. 41).

In dieci articoli, in tutto, erano contemplate le disposizioni per la partecipazione, assegnazione, godimento, conferma o perdita della «borse di studio» (VCD del 14 maggio 1904, allegati A-D).

40

Il già citato Musiedlak osserva che le commissioni d’esame assortite nel modo rammentato «… avaient la particularité d’associer le corps des professeurs à des personnalité extérieures à l’établissement, hommes d’affaires, politiciens, etc. En ce sens les commissions d’examens peuvent se comparer à des pratiques de cooptation, le monde des hommes d’action cherchant en dernière analyse des associés pour l’exercice du pouvoir» (op. cit. p. 68, ma vedansi anche le seguenti). Lo stesso studioso in altro suo saggio (La création de l’Université L. Bocconi et le développement de l’enseignement supérieur commerciale en Europe (1856-1914) in «Mélanges de l’Ecole française de Rome, Moyen Age, Temps Moderne», 92, 1980, n. 2) analizza, con finalità di studio socio-politologiche, «l’espace positionnel» dei componenti delle commissione e giunge alla conclusione che, nel periodo 1902-1915, il 44,6% dei commissari apparteneva al «polo intellettuale» e il 55,4% al «polo del potere» (vedi tavola fuori testo nel saggio testé citato).

41

VCD del 6 giugno 1904.

42

Quelli già inseriti nelle commissioni erano: ing. Enrico Roullier (esami di francese), Melchiorre Noerbel (tedesco), ing. Adolfo Nathan (inglese), comm. Giuseppe Brocca (spagnolo), rag. Gaspare Ravizza (statistica), ing. Luigi Mazzocchi (matematica finanziaria), avv. sen. Mario Martelli (diritto privato e costituzionale). Purtroppo nei verbali delle sedute successive non si menzionarono più gli esaminatori «estranei». Tuttavia chi voglia avere l’elenco completo dei «membri estranei» che fecero parte delle commissioni d’esami nelle sessioni via via tenute alla Bocconi non ha che da sfogliare gli Annuari dell’Università. Si renderà conto non solo dell’alto numeri degli invitati, ma della loro appartenenza ed enti, pubblici e privati, d’ogni tipo ed importanza.

43

Il laboratorio sarebbe stato allestito a spese della Società, ma a carico della Bocconi restavano la retribuzione dell’assistente e la metà di un assegno da versare ad un inserviente. In totale la spesa annua per l’Università sarebbe aumentata di L. 1.500. L’accordo sarebbe valso per l’anno scolastico 1904-05.

44

Sabbatini, e con ragione, faceva rilevare una inaccettabile incongruenza, nascente dalla abolizione nel nuovo «Regolamento» di norme differenziate per le materie scientifiche e quelle linguistiche con riguardo all’esito degli esami. Secondo lui, e giustamente, «per le lingue si era inteso [prima che il «Regolamento» fosse ufficialmente varato] che esse avessero uno speciale curricolo indipendente da quello delle altre materie, e la disposizione ad esse relativa suonasse così: «Gli studenti, se cadono in qualche lingua, ne ripetono il corso, ma senza pregiudizio del corso regolare degli studi» [avrebbero potuto, cioè, anche se bocciati in una lingua iscriversi all’anno successivo e, dunque anche al secondo biennio]. Soppressa nel nuovo di Regolamento la distinzione dei due capitoli, riguardanti l’uno le materie scientifiche e tecniche e l’altro le lingue, il concetto rimase oscurato… [perciò] sarebbe prudente – sia per ragioni intrinseche al merito della questione, sia per ragioni riflettenti l’impegno morale preso l’anno scorso cogli studenti – di ricostituire in separati capitoli le materie scientifiche e tecniche, e quelle relative alle lingue, confermando l’interpretazione data con le precedenti norme regolamentari. E ad accettare questa proposta conforta anche il fatto che i risultati pratici, già ottenuti con tale sistema nel passato anno, mostrano come l’importanza dell’insegnamento delle lingue non ne sia stata menomata». I consiglieri si dichiararono d’accordo nell’accogliere la proposta di Sabbatini, ma Pirelli e Weil fecero mettere a verbale che «nessuno possa conseguire la laurea se non abbia dato prova di conoscere tre lingue straniere» (VCD del 20 maggio 1904).

45

Quest’ultima delibera comportò la modifica dell’art. 24 del «Regolamento» (Ibidem).

46

Cfr. A.S.U.B., busta 276/3. Vi sono raccolte le risposte di certo prof. Theodor Huber di Mannheim, dell’«Ecole Supérieure de Commerce et d’Industrie» di Bordeaux, dell’«Ecole Supérieure de Commerce» di Nancy, dell’«Ecole Supérieure de Commerce» de Paris (la quale appare chiaramente essere una «dépendance» della Chambre de Commerce de Paris), così come dalla stessa Camera di Commercio erano dipendenti l’«Ecole Commerciale» e l’«Ecole des Hautes Etudes Commerciales», anch’esse di Parigi.

Nella stessa busta si trova anche la risposta della direzione della Scuola superiore di commercio di Bucarest, alle dirette dipendenze del Ministero della Cultura e dell’Istruzione Pubblica romeno. La richiesta di Sabbatini era stata fatta ben prima, il 10 ottobre del 1903, e la risposta era del 30 ottobre, ma in effetti era del 16 novembre, giacché in Romania, come si precisava, vigeva ancora il calendario giuliano.

47

Ecco, per esteso, la lettera personale indirizzata da Sraffa a Sabbatini (è vergata su carta intestata della «Rivista di diritto commerciale», rivista diretta dallo stesso Sraffa):

«Lanzo Val d’Intelvi

30 luglio 1904

Caro Poldo, sono lieto che Eugenio [il figlio] stia bene e che tu abbia accettato di fare da Rettore. Tu sai che io fui sempre contrario alla nomina di un Rettore perché credo all’utilità dell’opera tua personale e non credo che te Presidente ed un qualunque altro Rettore sareste andati d’accordo. Son lieto, ti dicevo, che tu abbia accettato di fare da Rettore, perché s’impone, pel nuovo anno, un’opera direttiva e costantemente vigile, perché, a giudizio anche dei colleghi che funzionano da due anni, il secondo anno segna un regresso sul primo, sia per la frequenza degli alunni, sia, conseguentemente, per i risultati degli esami. Noi amici dell’Università, di Platone (cioè di Poldo Sabbatini) e della verità insieme, queste cose dobbiamo dirtele. E dobbiamo aggiungertene anche un’altra: che vi è del malcontento fra i professori, me compreso, che hanno troppe più ore, od anche poche più ore di lavoro degli altri, per un compenso eguale. Tu farai il conto che vorrai della notizia di questo stato d’animo; ma bada che esso è basato un po’ sulla giustizia ed un po’ su (illeggibile) che tu, se sei sempre un discreto psicologo, devi sapere quanto è forte. Quanto a me ti ripeto quanto già a voce ti dissi: se tu fai appello alla mia amicizia (vent’anni dopo, per dirla alla Dumas), io ti fo lezione per quante ore vuoi ed anche gratis, finché tu non abbia trovato un krumiro che mi supplisca e che si adatti al Sweeting system; ed io non faccia per tre mila lire all’anno lorde, molto lorde, tre o quattro viaggi settimanali da Parma a Milano per fare quattro o cinque ore lezioni pensate e studiate.

Ti sarò grato se non sottoporrai la presente al trattamento che subì la mia precedente del 22 maggio 1904, altrimenti… ricorro alla Camera del lavoro!

Saluti ed auguri ai tuoi e un abbraccio a te dal tuo aff.mo

A. Sraffa»

(A.S.U.B., busta 1).

48

I membri del consiglio non mancarono di manifestare il loro rammarico per la perdita di così prestigiosi esponenti della cultura, pure comprendendo le valide ragioni delle dimissioni, tanto cortesemente comunicate (VCD del 14 settembre 1904).

Va però aggiunto che, per quanto nulla risulti da successivi verbali del consiglio direttivo, il prof. Bolaffio sembra essere, successivamente, tornato sui suoi passi, in quanto anche negli anni successivi lo ritroviamo inserito nel corpo accademico bocconiano e titolare di corsi d’insegnamento.

49

Tra l’altro egli, «preoccupato anche dell’aggravio che da queste deliberazioni poteva venire al bilancio dell’Università», si era «proposto di vedere se la separazione dei due corsi delle singole materie biennali fosse indispensabile per tutte». Ed era giunto alla conclusione che «… non vi possa essere difficoltà a unire le studentesche dei due corsi per le lezioni di Geografia commerciale, perché si tratta di materia espositiva e che non richiede una parte propedeutica; e per quelle di Diritto commerciale e industriale, perché in realtà questa materia risulta da un complesso di corsi monografici, che possono stare anche separati, e perché viene insegnata non a giovani appena usciti dalle scuole secondarie, ma solo a quelli del secondo e del terzo anno dell’Università» (Ibidem).

50

Commentava, a proposito di questa richiesta Sabbatini «… considerato come, mentre nelle altre Università i Professori riescono a pena a tenere in un anno 50 lezioni, in questa invece la media delle lezioni tenute per ogni corso di tre ore settimanali fu di oltre 73, e per alcuni si elevò fino ad 80, la riduzione proposta dal Prof. Benini sia, in via di esperimento, accettabile» (Ibidem).

51

Gli stipendi annuali di Gobbi e dell’ancora ignoto successore di Alessio passarono da 3 a 4 mila lire; quelli di Benini e Maglione da 3 a 3.300 lire; quello di Piazza da 2.500 a 3.000 lire («tenuto conto della sua speciale posizione nell’insegnamento governativo»). In totale, dunque, la rivalutazione degli onorari avrebbe gravato sul bilancio bocconiano per 3.100 lire (Ibidem).

52

Ibidem.

53

Per affidare al Loria anche l’insegnamento della «Storia del commercio» bisognò operare una transitoria modificazione del piano di studi: la «storia» si sarebbe collocata al quarto anno trasferendo al terzo anno tre ore di corsi speciali. Il consiglio direttivo deliberò, dunque, di nominare Loria insegnante sulla cattedra di «Storia del commercio» per l’a.a. 1905-06. (Ibidem).

54

Non si dimentichi che molti studenti risiedevano in località lontane da Milano.

55

La lettera fu stesa di propria mano da Einaudi su foglio intestato del «Comitato superiore delle Strade Ferrate» e indirizzata a Sabbatini:

«Roma 19 ottobre 1904

Stimatissimo Dottore,

Avendo ricevute nuove lettere dalla mia Signora, che è completamente tranquillizzata, posso scriverLe senz’altro la mia accettazione definitiva della onorifica proposta che Ella ha voluto farmi.

Le comunico i miei desideri riguardo all’orario, come Ella desidera: tenute ferme 4 ore di orario complessivo, sarebbe per me conveniente di poterle fare in due volte, la prima ora dalla 1 1/2 alle 2 1/2 e la seconda dalle 2 1/2 alle 3 1/2. Uno dei due giorni dovrebbe essere il mercoledì, mentre l’altro a scelta il martedì, giovedì o sabato. Sarà forse preferibile il sabato, per non avere due lezioni in due giorni consecutivi.

Le sarei grato se potesse farmi in seguito una comunicazione definitiva, onde io possa alla mia volta comunicare al Ministero che io cesso dall’insegnamento all’Istituto Tecnico, a partire dalla data in cui assumerei l’insegnamento a Milano.

Sino a sabato 22 sarò a Roma; dopo a Torino, via Giusti 4.

Mi ritenga, con rinnovata espressione di ringraziamento per l’onore fattomi,

Suo devotissimo

Luigi Einaudi».

(A.S.U.B., busta 1).

I rapporti epistolari tra Sabbatini ed Einaudi continuarono, anche nei giorni seguenti. In data 29 ottobre Sabbatini scriveva ad Einaudi addirittura due lettere che qui riportiamo:

«Chiarissimo Professore,

Con riferimento allo scambio di idee che già abbi l’onore d’avere con Lei, mi dico molto lieto di poterle comunicare che il Consiglio Direttivo dell’Università Commerciale Luigi Bocconi Le ha affidato l’incarico dell’insegnamento della Scienza delle Finanze e Contabilità di Stato.

La nomina è annuale, ed è quindi fatta per l’anno scolastico 1904-05; l’impegno è di sei ore settimanali di lezione, ed il compenso è fissato in lire 4.000, oltre il rimborso del biglietto ferroviario da Torino a Milano.

Il Consiglio Direttivo, altamente soddisfatto di essersi potuto assicurare la sua preziosa collaborazione, confida nell’attività dell’opera sua pel migliore raggiungimento dei fini della Scuola.

Per quanto già edotto e ben lieto della sua accettazione, pure Le sarò grato di un suo cenno di conferma. Coi più distinti saluti. Il Presidente Sabbatini»

«Chiar.mo Professore,

Le ho già fatto trasmettere la lettera ufficiale della sua nomina e Le rinnovo l’espressione del mio grande compiacimento.

Fiducioso di ricevere la conferma della sua accettazione La pregherei sin d’ora [sic] a volermi trasmettere i programmi analitici della materia che Ella intenderebbe di svolgere. Essendo imminente l’apertura dei corsi, mi farebbe cosa assai gradita, se si compiacesse farmelo avere al più presto.

Le sarei pure grato se volesse far conoscere all’Ufficio di Segreteria, con quella maggior larghezza che faciliti la compilazione dell’orario, quali giorni e quali ore Ella preferirebbe per il suo insegnamento.

Anticipandole sin d’ora [sic] le più vive grazie, voglia aggradire i miei più distinti saluti.

Il Presidente

aff. Sabbatini»

In allegato v’era un prospetto con l’orario delle lezioni. Il martedì dalle 14 alle 15 e dalle 15 alle 16; il giovedì le stese identiche ore. In totale, dunque 4 ore settimanali; ma non avrebbero dovuto essere sei?

56

Scriveva, di suo pugno, Pantaleoni:

«Caro Direttore,

Vi ringrazio della v/buona lettera del 19 corr. mese.

In quanto alla sostituzione, io non avrei che un consiglio da dare in linea generale ed è questo: il corso era già diviso fra Loria e me, cioè, fra un socialista e un liberista. Se lo assumesse per intiero Loria, avreste messo in mano di un socialista il corso di Econ. Applicata professato in una Scuola Sup. di Commercio!

Ora, io dico a Voi, perché dico a tutti, e a Loria istesso, che quanto ho stima per lui, come persona privata, come studioso, come lavoratore indefesso e energico, altrettanto lo apprezzo poco in quello che realmente produce e ho la convinzione che di quanto egli sostiene non è dimostrato una linea e non sopravivrà a lui, nella Scienza, un rigo.

Avendo questa opinione di lui e considerando quindi il suo insegnamento come non fondato sulla osservazione dei fatti, non posso consigliare di dare a lui altresì l’altra metà del corso; anzi! La darei al suo maggiore avversario, che a mio avviso ha ragione da vendere nella critica fatta al Loria, cioè al Valenti, ora a Padova e quindi vicino abbastanza a Milano per poter fare regolarmente il tragitto.

Se poi il Loria dovesse riuscire deputato, sarà resa anche difficile la sua regolare venuta a Milano.

Saluti cordiali dal v/ aff.mo

M. Pantaleoni

20 ottobre 1904

(A.S.U.B., busta 1).

57

Per usare le parole di Sabbatini: «A favore del Valenti starebbe il fatto che egli è di scuola opposta a quella del Loria, il che in un corso superiore di scienza economica applicata, e data l’indole e le tendenze del nostro istituto, lo farebbe preferire» (VCD del 28 ottobre 1904).

58

Valgono, a proposito dei programmi, le osservazioni già fatte in merito a quelli del 1902-03.

59

A tal proposito sarà il caso che si precisi che non daremo conto delle variazioni di programmi e di bibliografie registrate negli anni seguenti: basterà fare capo ai successivi Annuari dell’Università per esserne edotti. Senza dire che, come abbiamo anticipato, queste modificazioni, questi ammodernamenti dottrinari e pedagogici saranno oggetto di riflessione nell’ultimo volume di questa storia bocconiana.

60

Due nuove borse da L. 400 annue erano state istituite dalla Casa Ed. A. Mele di Napoli (VCD dell’8 novembre 1904).

61

Sabbatini non nascose, tuttavia, il suo timore di non riuscire a trovare insegnanti pienamente idonei (Ibidem).

62

Le proposte erano le seguenti: 1) «Le operazioni di Borsa» del prof. Supino; 2) «L’Oriente europeo, medio ed estremo» del prof. Catellani; 3) «L’ordinamento ferroviario italiano» dell’Ing. Tajani; 4) «Le Assicurazioni» dell’Ing. Toja.

Anche il prof. Serafino Ricci aveva proposto un corso speciale sulla «Circolazione monetaria»; ma fu subito scartato perché sarebbe stato «svolto con intendimenti piuttosto storici ed archeologici che non economici, e [si] crede che si debba dare la precedenza allo studio di problemi, che abbiano carattere di modernità ed anche d’attualità» (Ibidem).

63

Sabbatini aveva reputato passibile di una duplice interpretazione la risposta ministeriale: «o quei licenziati vengano ammessi di diritto come studenti all’Università, o in linea subordinata venga concessa di volta in volta [l’ammissione], quasi in via di esperimento». Richiesto di un parere il Collegio dei Professori rispose che non sarebbe stato «prudente accordare la massima [ammissione, cioè come studenti a pieno diritto], ma neppure opportuno respingere la subordinata [ammissione sub condicione]». Il rettore concludeva, in maniera alquanto curiosa, che «per effetto dell’ambiente e della vita delle colonie quei giovani [licenziati] debbono avere uno spirito più pronto ed una maggiore facilità di adattamento». E pertanto era propenso ad una «accoglienza subordinata» (Ibidem).

64

Si tenga presente che i corsi speciali già entrati in funzione – quelli di Camillo Supino su «Le operazioni di borsa», di Filippo Tajani sull’«Ordinamento Ferroviario» e di Enrico Catellani su «Le tre questioni d’Oriente» – occupavano, rispettivamente, 15, 14 e 35 ore di lezione (U.B., Annuario del 1903-04, pp. 131 e ss.).

65

Ecco il testo definitivo del «Regolamento per gli esami di Laurea» approvato dal consiglio ed allegato al verbale della seduta.

Art. 1 - L’esame di laurea di cui all’art. 20 [dello statuto bocconiano] consiste:

I. In una dissertazione scritta sopra un tema che dovrà essere concordato con Professore della materia prescelta dal candidato. Fra le materie, sulle quali può cadere la scelta del tema, non sono comprese le lingue straniere.

Per la prima sessione il tema dovrà essere concordato non più tardi del 15 marzo, per la sessione autunnale prima della fine dell’anno scolastico.

II. In una discussione orale sulla dissertazione, che dovrà essere preceduta da una relazione a voce del Professore della materia.

III. In una discussione orale di due quesiti, proposti dai Professori durante l’esame, sopra argomenti precedentemente scelti dal candidato in due materie diverse da quella su cui verte la dissertazione scritta.

Gli argomenti dovranno comprendere una parte ben definita della materia, e la loro scelta dovrà essere approvata dal Professore della materia.

Art. 2 - La dissertazione dovrà essere depositata in Segreteria non più tardi rispettivamente del 10 luglio e del 10 ottobre. Alla stessa epoca lo studente indicherà gli argomenti scelti per la discussione orale di cui al comma 3 dell’art. 1.

Art. 3 - L’esame di laurea durerà complessivamente non meno di 45 minuti.

Art. 4 - La Commissione esaminatrice sarà composta dal Rettore che la presiede, da sei Professori dell’Università e da quattro Membri estranei scelti del Consiglio Direttivo su proposta del Collegio dei Professori.

Art. 5 - Per l’approvazione si applicano le disposizioni dell’art. 18 del «Regolamento generale». [Tale art. 18 così suonava: «Il candidato, per riportare l’approvazione, deve ottenere almeno sei decimi (di fatto le votazioni erano in trentesimi) del totale dei voti di cui la Commissione può disporre. In caso di voti unanimi, la Commissione può, se parimente unanime, conferire la lode»].

La Commissione potrà dichiarare degna di stampa quella dissertazione che essa riconosce ad unanimità di merito eccezionale, e proporne al Consiglio Direttivo la pubblicazione a spese dell’Università.

Gli allievi, conseguendo la laurea, hanno il titolo di Dottori in Scienze economiche e commerciali.

Il Segretario

Dr. G. Castelli»

(VCD dell’8 aprile 1905, allegato).

66

Lettera del sen. Orlando a Sabbatini:

Roma, 13 maggio 1905

Chiarissimo Signore,

con vero rincrescimento lascio l’ufficio di Ministro della Pubblica Istruzione senza aver potuto adempiere alla promessa, che corrispondeva ad un mio intimo desiderio, di visitare l’Università Commerciale «Bocconi», promessa che avevo data con tanta maggiore prontezza, in quanto presentivo quell’intimo compiacimento con cui noi uomini moderni, dalle volontà rapide e attive, constatiamo la rispondenza fra l’idea e il fatto.

L’Università Commerciale «Luigi Bocconi», sorta per la generosa idea di un uomo, che sente con tanta responsabilità sociale della ricchezza, è divenuta organo di dottrina e di cultura per la evidenza e la sicurezza con cui Ella, chiarissimo Dottore, ha intuito un bisogno profondo della moderna vita italiana, bisogno che era nello stesso tempo da far chiaramente comprendere e da appagare.

Ella ha con fine e precisa intuizione segnato i limiti tra la preparazione tecnica corrente e l’alta cultura commerciale, quella cultura che sola può aprire gli occhi sulla totalità dei rapporti, onde uomini e società e Stati si uniscono nella solidarietà e nella gara della economia generale.

Il programma degli studi che l’Università «Bocconi» persegue può ben dirsi il programma di una ideale vita commerciale italiana non più dibattentesi fra vani sforzi di ciechi tentativi, ma cosciente e sicura dei suoi fini e dei suoi mezzi.

Con Lei, chiarissimo Dottore, che ha così felicemente attuato nell’ordine degli studi un tale programma, coi signori Professori, che Le sono collaboratori dotti e convinti, coi signori studenti, che li seguono in una via maestra di somma ed utile dottrina, mi congratulo cordialmente. A tutti porgo da lontano quel saluto che avrei avuto sommamente caro di dare di persona.

Non dubito che i miei successori faranno tutto quanto sarà in loro per riconoscere e ravvalorare con la loro autorità l’opera civile e patriottica dell’Università «Luigi Bocconi».

Io sarò in ogni caso lieto di visitare anche soltanto da professore un Istituto che onora altamente il nostro Paese.

Gradisca, chiarissimo Signor Dottore, i sensi del mio distinto ossequio

aff.mo Suo

Vittorio Emanuele Orlando

[La lettera, calligraficamente manoscritta, è redatta su carta intestata del Ministro dell’Istruzione] (A.S.U.B. cart. 7 fasc. 1).

67

Del Comitato d’Onore, Sabbatini aggiungeva, erano stato chiamati a fare parte i direttori delle R. Scuole Superiori di Commercio ed i presidenti di tutte le Camere di Commercio italiane: nazionali e all’estero.

68

Rinunciamo a riportare l’elenco lunghissimo degli invitati: chi volesse rendersi conto dell’ampio ventaglio dei personaggi presenti al congresso non ha che da risalire ai già citati Atti dell’VIII Congresso Internazionale per l’Insegnamento Commerciale, pp. 7 e ss. Il congresso si sarebbe tenuto dal 17 al 21 settembre 1906.

69

Al prof. Friedmann la tassa per il biennio 1903-05 sarebbe stata pagata dall’Università in quanto il consiglio «credette che non si potesse dubitare dell’affermazione del Professore» e cioè che al momento della nomina «ebbe dal Presidente la dichiarazione verbale che il suo onorario si intendeva netto della tassa di ricchezza mobile». Una dichiarazione che, invero, Sabbatini non ricordava di aver fatto. Insomma Friedmann poté risparmiare 684,25 lire.

70

In effetti il calo che si era precedentemente verificato e che non abbiamo mancato di segnalare non suscitò preoccupazioni particolarmente gravi.

71

Non si dimentichi che i docenti erano legati alla Bocconi da un contratto annuo che doveva essere rinnovato, se al consiglio l’insegnante pareva degno di essere confermato. Si noti che, fino a pochi anni or sono, quando la figura del «professore incaricato» fu per legge abolita, la «forza» della Bocconi era proprio rappresentata dalla «possibilità» da parte sua (non dall’«obbligo») di conservare il posto a chi vi insegnava.

72

Invero, pur figurando nei primi anni tra i docenti bocconiani, Pantaleoni non tenne corsi, per lo meno «corsi regolari». Nei primi Annuari dell’Università non appaiono mai, affiancati agli altri, i programmi dei pur annunciati corsi di Pantaleoni. Del quale, peraltro, si riporta l’elenco delle pubblicazioni. Di là dalle contingenti e richiamate «gravi difficoltà famigliari» le ragioni dell’assenza sono da ritrovarsi negli impegni didattici e politici del Pantaleoni (docente all’Università romana e membro del Parlamento).

73

Ne ricordiamo i nomi: Gobbi (economia politica); Benini (statistiche); Supino (storia); Marchi (geografia); Maglione (contabilità); Maldifassi e Molinari (merceologia); Comelli (banco modello); Mosca (diritto commerciale); Ascoli (diritto privato); Bolaffio e Sraffa (diritto commerciale e industriale).

74

Il verbale recita, testualmente: «A proposito del Prof. Comelli il Presidente coglie questa occasione per esprimere direttamente al Consigliere Weil tutta la viva riconoscenza sua e del Consiglio per aver dato modo all’Università di avere la collaborazione di questo valoroso insegnante, dando così un grande aiuto al funzionamento della Scuola e permettendo di risolvere con larghezza di risultati un problema molto complesso e di tanta importanza per lo sviluppo della cultura degli studenti qual è quello della Pratica bancaria. Egli si augura che, per la cortesia personale del Consigliere Weil, sia possibile di approfittare anche nel prossimo anno dell’opera amorosa [sic!] e competentissima del Prof. Comelli» (VCD del 14 luglio 1905).

75

Erano: Castelfranco (francese); Friedmann (tedesco); Sanvisenti e Solera (spagnuolo). Furono anche confermati gli assistenti: Greco (ragioneria); Adamoli (banco modello); Tornani (merceologia).

76

Sabbatini, peraltro, volle che fosse precisato che «… Il provvedimento, consigliabile per quest’anno, e che i risparmi fatti permetterebbero di attuare senza difficoltà, dovrebbe essere preso solo per quest’anno, in una forma che non impegni l’Università e non costituisca un precedente al quale essa debba uniformare le deliberazioni future». Insomma il carattere «celebrativo» del gesto era chiaramente affermato. Le annualità resesi disponibili si riferivano a borse istituite dalla Camera di Commercio di Milano, dal Sig. Wurster e dall’on. Miliani (VCD del 12 agosto 1905).

77

VDC del 18 ottobre 1905. Naturalmente le domande dei candidati erano state prima vagliate dalla solita commissione all’uopo istituita (era quella che già aveva operato negli anni precedenti).

78

Il corso di pratica bancaria era biennale, e impegnava i docenti per 4 ore settimanali al terzo e, da quello che stava per incominciare, al quarto anno.

79

Sabbatini, in quell’occasione, informò i colleghi che qualche difficoltà si presentava anche per il corso speciale sull’«Ordinamento ferroviario» tenuto dall’Ing. Tajani. Il quale prestava i suoi servizi all’amministrazione ferroviaria a Venezia ed ivi risiedeva; donde, talvolta, complicazioni per raggiungere Milano. Messosi in contatto col direttore generale del compartimento ferroviario di Milano, comm. Bianchi, Sabbatini ebbe assicurazione che Tajani o sarebbe stato trasferito a Milano o sarebbe stato sostituito da altro valido docente. Della questione si sarebbe in seguito riparlato (VCD del 16 ottobre 1905).

80

Nel 1903-04, e con soddisfazione, aveva temporaneamente sostituito il «cattedratico» bocconiano.

81

V. qui sopra nota 106.

82

La possibilità di opzione era stata decretata all’inizio dell’anno scolastico 1904-05.

83

Per Sabbatini il nuovo centro di studi sarebbe riuscito assai utile anche per potenziare la biblioteca. Ecco le sue parole. «… il Museo Sociale deve avere la sua sede nella sede dell’Università; e la nostra Biblioteca, che oggi è prevalentemente ed anzi pressoché esclusivamente economico-commerciale, deve costituire il centro di questa nuova più larga Biblioteca, che avrà per oggetto la studio di tutte le manifestazioni della vita sociale» (VCD del 23 novembre 1905).

84

Val la pena di stralciare qualche passo dagli interventi dei consiglieri che presero la parola. Salmoiraghi, anche come presidente della Camera di Commercio, aderiva con molto piacere all’iniziativa: «… però raccomandava che se il nuovo Istituto deve sorgere non vengano diminuite le energie destinate all’Università che è ancora molto giovane … che si studi preventivamente il modo perché l’Istituto possa avere i mezzi sufficienti, e rileva… che qualche difficoltà potrà sorgere nella ricerca delle persone che abbiano le attitudini necessarie a far funzionare l’Ufficio…». Sabbatini lo tranquillizzò dicendo che i mezzi sarebbero stati assicurati dal «volonteroso concorso dei diversi Enti cittadini»: il contributo della Università sarebbe soprattutto consistito nell’uso di spazi. Quanto a quello degli altri enti, egli credeva di aver compreso che Comune e Cassa di Risparmio sarebbero stati disposti a versare 5 mila lire annue «non escludendo che la Cassa potesse concorrere anche per le spese d’impianto». In merito alle persone ammetteva le difficoltà che, però, sarebbero state affrontate al momento dell’attuazione del progetto. Vanzetti riconosceva, alla fine, che «… i vantaggi morali che ne deriverebbero all’Università sono largo compenso a quel lieve aggravio finanziario che per essa si presentasse».

Bocconi, in merito alle spese cui l’Università sarebbe andata incontro, sottolineava che «… la nostra Biblioteca, che ha raggiunto un ingente valore, potrà costituire sin dall’inizio un grande contributo al Museo Sociale, senza nessun sacrificio della Università… le spese annualmente sostenute dalla Università per la sua Biblioteca [rappresenteranno] la massima parte del suo contributo speciale al nuovo Istituto».

Majno ribadì concetti da altri già espressi e «avuto riguardo a tutta la discussione avvenuta dichiara che darà il suo voto favorevole» (Ibidem).

85

Vedasi più oltre p. 239.

86

Ad Ulrico Hoepli, come è noto, Milano è debitrice dello splendido «Planetario» che ancor oggi esercita notevole richiamo.

87

Aveva riportato 30/30 in francese ed inglese e 28/30 in tedesco. E gli esami di lingue alla Bocconi erano condotti severamente.

88

Vedi Appendice Bilanci.

89

Vedi Appendice Bilanci.

90

Osservava Sabbatini: «L’insegnamento di questa materia di così grande e sempre crescente importanza, non viene finora impartito in nessuna delle nostre città continentali, e parrebbe assai opportuno che – almeno nelle sue linee generali – fosse attuato qui a Milano, dove si accentrano tanti interessi intimamente legati col commercio marittimo»).

91

Ferdinando Bocconi fu nominato Senatore del Regno per la XXI categoria, con Decreto Reale del 21 gennaio 1906, «ma la sua malattia, già molto avanzata, non gli permise di prendere parte attiva ai lavori del Senato» (E. Resti, op. cit., p. 121).

92

Il discorso-saluto pronunziato da Sabbatini al cospetto del Re è riportato in Annuario del 1906-907, Milano 1907, p. 5 e ss.

93

Dalla succinta cronaca della visita del Sovrano pubblicata in testa all’Annuario dell’Università del 1906-07.

94

Lettera di Mosca a Sabbatini:

«Milano 4 dicembre 1905

Caro Sabbatini,

Ricevo in questo momento il tuo telegramma. Del mio colloquio con Rossi relativo all’Università Bocconi posso dirti questo:

1) L’avviso di concorso per la carica di concetto nel Ministero d’Istruzione non specifica tassativamente che sono ammessi a concorrere anche i laureati dell’Università Bocconi. Essendomene io lamentato, Rossi mi disse che l’avviso era già fatto prima che egli avesse parlato con te. Inoltre mi fece presente che per quest’anno era inutile fare menzione dei laureati dell’Università Bocconi, visto che ancora non ce n’erano e non ce ne saranno fino a luglio prossimo.

Quanto a Fusinato [se leggiamo correttamente] mi disse che non aveva ancora risposto riguardo all’ammissibilità dei nostri laureati in concorsi per la carriera consolare. Viceversa aveva risposto acconsentendo circa alla partecipazione del Ministero degli esteri al congresso dell’insegnamento commerciale che avrà luogo prossimamente a Milano.

Questo quanto posso dirti. Farai benissimo a riparlarne con Rossi che è sempre molto ben disposto per la nostra Università.

Saluti cordiali e credimi

tuo aff. G. Mosca»

(A.S.U.B., busta 1).

95

Il Rossi già avvicinato da Sabbatini e poi visitato da Mosca era, probabilmente, l’on. Rossi autorevole personaggio nel settore dell’emigrazione.

Il Fusinato che il Mosca visitò per la questione consolare era stato relatore del progetto Baccelli (Atti Parlamentari del 1895, n. 67-A, pp. 18-20).

96

Abbiamo riportato le due lettere di Mosca a Sabbatini in Appendice Mosca.

97

Preciso che i laureati nelle due sessioni (estiva e autunnale) del 1906 furono trentotto.

98

VCD del 10 giugno 1906. In effetti, come diremo a suo tempo, la distribuzione dei diplomi (138) sarebbe avvenuta il 25 aprile 1910.

99

Cfr. A. Croccolo, Discorso celebrativo. Celebrazione del cinquantenario dell’Associazione Laureati dell’Università Bocconi, Milano, 1956, p. 48.

100

L’avv. prof. sen. Mario Martelli era del 1838 e morì nel 1915. Liberale lombardo, partecipò molto alla vita parlamentare, nel 1881 propose con Bizzozzero l’abolizione dei tribunali di commercio, più tardi effettuata. Ricoprì molte cariche amministrative. Assai vicino a Sabbatini.

101

Ugo Pisa (1845-1910), ferrarese, per molti anni in diplomazia. Consigliere comunale di Milano divenne presidente della Camera di Commercio, ove svolse feconda attività, così come senatore, presiedette il Comitato permanente del Consiglio Superiore del Lavoro. Meritevole di lettura un suo saggio sui moti di Milano del 1898.

102

Ing. Giulio Vigoni, deputato e senatore (1837-1926). Liberale, sedette molto lavorando al centro-destra del Parlamento. Fu membro, per la sua preparazione tecnica, di giunte e commissioni, riferì su diversi progetti di legge.

103

Ing. Giovanni Celoria (1862-1920). Direttore dell’Osservatorio di Brera dal 1900, acquistò alta fama come astronomo. Presidente della Reale Commissione Geodetica italia, professore di geodesia al Politecnico di Milano. Fondatore del Circolo Filologico di Milano, consigliere e assessore comunale di Milano, senatore dal 1909.

104

Non avrebbero potuto concorrere all’attribuzione delle borse gli studenti che avessero ottenuto agli esami di lingue meno di 24/30. Si sarebbe tenuto conto delle condizioni di famiglia. Considerate le differenti difficoltà delle singole lingue si sarebbero assegnate due borse per l’inglese e il tedesco, una borsa per il francese e lo spagnuolo.

105

Vedi tra l’altro la lettera di Mosca del 4 dicembre 1905, qui sopra a nota 121.

106

Si deliberò pure, in aggiunta, che «questi nuovi Corsi prendano posto fra quei Corsi speciali previsti dal Programma [leggi regolamento] generale, ai quali sono assegnate 3 ore settimanali nel terzo anno e 9 ore pure settimanali nel quarto, che la loro istituzione abbia principio col prossimo anno scolastico 1906-1907, e che sul certificato finale degli studi venga distintamente attestato il profitto ottenuto degli studenti in queste nuove materie» (VCD del 3 luglio 1906).

107

Unione delle Camere di Commercio, Per la riforma del servizio Consolare. Disegno di legge 27 novembre 1906, n. 549, Dott. Leopoldo Sabbatini, Relatore, Roma, 20 aprile 1907.

108

Per avere gli elenchi degli erogatori di borse di studio a favore degli allievi bocconiani si vedano gli Annuari dell’Università.

109

Le rinunce erano state provocate dal fatto che gli studenti «o speravano ottenere le Borse di maggiore valore [ad esempio quelle offerte dalla Cassa di Risparmio della PP.LL.], o credevano che oltre la Borsa fosse loro concesso l’esonero delle tasse scolastiche» (VCD del 7 dicembre 1907).

110

Fu ratificata la nomina del nuovo portiere dell’Università dal nome altisonante: Romano Prometeo Cerutti. La Bocconi aveva addirittura tre portieri che guadagnavano 100 lire al mese. Per la sua capacità di compiere lavori di «scritturazione a macchina» all’ultimo arrivato fu assegnato un compenso supplettivo di 20 lire (sempre al mese). L’onorario dell’«addetto alla Biblioteca» sig. Carlo Buccione fu aumentato da 1.800 a 2.400 lire (all’anno) (Ibidem).

111

Il Congresso fu tenuto, come abbiamo già avuto occasione di dire, dal 17 al 21 settembre nell’Aula Magna dell’Università sotto la presidenza di Leopoldo Sabbatini, in quanto Rettore e presidente del Comitato Esecutivo. Sabbatini si presentava anche in veste di Delegato di S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione e di Delegato di S.E. il Ministro degli Affari Esteri («Atti dell’VIII Congresso, ecc.», ecc., cit. p. 53). Oltre a Sabbatini il convegno vide tra i relatori altri docenti bocconiani: L. Toja con la memoria «Dell’insegnamento della scienza attuariale nelle scuole commerciali» e S. Marchi con la comunicazione «Base economica dell’insegnamento della geografia commerciale».

112

Nel presentare quest’altro gesto generoso del «fondatore» si faceva notare che il «Congresso internazionale per l’insegnamento commerciale, tenutosi a Milano nel settembre 1906 sotto gli auspici dell’Università… ha espresso appunto il voto che sia dato modo agli allievi delle Scuole commerciali di integrare lo studio scolastico delle lingue straniere col loro esercizio pratico nei paesi ove quelle lingue stesse si parlano». E si aggiungeva che («tale voto ha avuto nel Congresso una eco immediata. Il prof. G.E. Clark, direttore del Clark’s College di Londra, con atto cortese, ha voluto dimostrare la sua piena adesione istituendo per tre anni una Borsa di annue 25 lire sterline a favore di un allievo dell’Università Commerciale, che intende perfezionarsi nella lingua inglese, ed ha inoltre offerto di accogliere nel suo Collegio altri due dei nostri studenti, concedendo loro l’esenzione da ogni tassa scolastica» (U.B., Annuario del 1906-07 p. 195).

113

Vedi Appendici Bilanci.

114

Lettera di Sraffa a Sabbatini:

«Torino 24 dicembre 1906

Via Arsenale 28

Carissimo Poldo,

hai perfettamente ragione… specie ora che non mi dai più torto. A voce ci spiegheremo meglio: ad ogni modo resta fino da ora inteso che se e quando avverrà che non mi si offra l’occasione favorevole per un’esercitazione pratica farò in quell’ora una lezione di diritto commerciale. Per l’anno prossimo non si verificherà più nessun inconveniente, essendo fra noi d’accordo che la terza ora sarà dedicata al diritto industriale. E quando vuoi ingiuriarmi a sangue dammi ancora dell’avvocato! caro dottore… in legge!

Resto qui per le vacanze ed il 10 sarò a Milano. Ti saluta l’amico Martinengo, che parte per Roma, ove sperava incontrarti.

Mi fai il piacere di farmi mandare la tua Relazione sulla riforma in materia di borsa, di cui mi parlasti?

Vivissimi auguri a te e ai tuoi ed un abbraccio a te dal tuo

A. Sraffa»

[La lettera è manoscritta su foglio intestato della «Rivista di Diritto Commerciale»] (A.S.U.B., busta 1).