Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Il ritorno alla normalità


Parole chiave: Rettore Greco Paolo, Rettore Demaria Giovanni, Pagliari Fausto, Circolo bocconiano

Il 22 maggio 1945 l’Università riapriva i battenti. Il nuovo pro Rettore, Paolo Greco, accoglieva gli studenti con queste parole:

 

«Studenti della Bocconi! Designato a dirigere in questo laborioso periodo di transizione l’attività del nostro Ateneo, vi rivolgo il mio cordiale saluto e al tempo stesso invoco la vostra fervida cooperazione perché la Bocconi riprenda, nel clima della libertà e della democrazia, la sua missione educatrice dell’intelletto e dello spirito. A questa missione essa, a dire il vero, non è mai venuta meno, anche nei tempi in cui più odiosamente imperversò sulla scuola e sulla cultura italiana l’oppressione fascista. Il tiranno e i suoi gerarchi sapevano di avere in questo libero Ateneo un ambiente sordamente ostile, un centro di tenace e irriducibile resistenza e più volte perseguitarono i suoi docenti e i suoi studenti, vietando le sue pubblicazioni, tentando di fiaccarne l’opposizione. Non poterono mai raggiungere il loro intento, ma tuttavia la nostra vita universitaria risentì fortemente il peso delle limitazioni frapposte alla sua libera manifestazione, del bavaglio imposto alla pubblica espressione della probità e della verità scientifica. L’8 settembre 1943 seguì anche per la Bocconi la data della riscossa: i suoi professori, i suoi studenti, sospesa quasi del tutto la consueta attività didattica, dedicarono la loro opera e le loro energie alla guerra redentrice, prodigandosi nelle organizzazioni militari e civili del C.L.N., distinguendosi per spirito di sacrificio e coraggio, contribuendo con tutte le loro forze al riscatto del popolo italiano dall’onta del fascismo.

L’esperienza della tirannide è stata dura, è stata tragica, disseminata di rovine e di lutti, ma non sarà trascorsa invano se sapremo trarne i debiti ammaestramenti e comprendere finalmente l’inestimabile valore della libertà, il dovere di rispettarla e di difenderla ad ogni costo per noi e per i nostri simili, per i nostri compagni di fede e per i nostri avversari di idee. Ispirati da questo principio di condotta morale e sociale, iniziamo, con piena fiducia nell’avvenire, la nuova vita della scuola italiana»[1].

 

Nessuno meglio di lui poteva rappresentare, in quel momento, lo spirito della Bocconi: la novità nella continuità; Rettore nei difficilissimi anni della Repubblica Sociale era ora stato nominato pro Rettore, con l’incarico di traghettare l’Università verso la democrazia.

Si tornava dunque alla normalità. O meglio: si tentava di tornare alla normalità, ricercando un nuovo difficile equilibrio in un quadro istituzionale completamente mutato; anche se, in questo, la Bocconi risultava particolarmente favorita, rispetto ad altri atenei, dall’appoggio dato da alcuni suoi professori al movimento di resistenza al fascismo e al nazismo[2]. C’era anzitutto da rimediare ai danni dei bombardamenti del ’43 e ai furti del primo dopoguerra[3]; si dovevano inoltre reimpostare i corsi, reclutare nuovi docenti per colmare i vuoti lasciati dalla guerra e dall’epurazione, reperire i fondi necessari per adeguare i compensi erosi dall’inflazione e, più in generale, era necessario dare nuovo slancio all’istituzione ricucendo i tradizionali rapporti con la borghesia produttiva della città; rapporti che, in qualche misura, erano venuti meno negli ultimi sanguinosi anni del conflitto. La fine dell’emergenza imponeva, inoltre, la ricostituzione di un organo di governo dell’Università che assumesse le decisioni di sua competenza.

In questo senso Giovanni Demaria, da poco nominato pro Rettore in sostituzione di Paolo Greco[4], scrisse al maggiore Vesselo, nuovo responsabile regionale per l’educazione, sollecitandolo, con molta cautela, a prendere atto del particolare status giuridico della Bocconi e ad autorizzare la modifica dello statuto dell’Ateneo per adeguarlo alle mutate condizioni istituzionali, consentendo così la nomina di un nuovo Consiglio di Amministrazione[5].

Nel frattempo, al Consiglio accademico, che sull’onda della riacquistata democrazia vedeva ora la presenza degli incaricati[6], venne affidato il compito di decidere sulla validità degli esami sostenuti nei campi universitari di Mürren e Huttwil, in Svizzera[7], dove, nel ’44, una parte degli esuli aveva costituito, con l’appoggio del governo federale, vere e proprie «università in esilio». Il dibattito, in seno al Consiglio di facoltà, vide la dura contrapposizione fra chi anteponeva l’eccezionalità della situazione alla regolarità degli studi (in questa direzione premevano anche il C.L.N.A.I. e le autorità alleate) e quanti sostenevano che, proprio in omaggio ai nuovi principi etici su cui andava ricostituendosi la democrazia in Italia, la serietà e la completezza degli studi dovevano essere l’unico metro di giudizio. Alla fine il giudizio fu salomonico; nel senso che, ricordate la serietà degli studi e la severità degli accertamenti, che sempre avevano caratterizzato le scelte dell’Università, si decise di affidare ai singoli docenti il compito di accertare, attraverso un colloquio, la effettiva preparazione dei reduci dai campi universitari svizzeri.

Un’altra delle scelte della prima ora fu quella di riallacciare i rapporti internazionali che l’inizio del conflitto prima e l’estate del ’43 in seguito avevano messo in crisi, ristabilendo i contatti con la fondazione Serena[8] e con quanti, individui e istituzioni del mondo anglosassone, con la Bocconi, in passato, avevano stipulato accordi di collaborazione[9].

Alla ricostituzione del patrimonio librario dell’Università si dedicava, invece, con assiduità il direttore della biblioteca che, tempestando di lettere istituzioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, università, aziende, consolati, ambasciate, riusciva a ottenere gratis, o in cambio del «Giornale degli Economisti», che da poco aveva ripreso la pubblicazione[10], riviste e volumi italiani e stranieri. In questa direzione, oltre ai canali ufficiali, Fausto Pagliari ricorreva a specialissimi emissari: laureati vecchi e nuovi, ex docenti o semplici amici dell’istituzione milanese (a Piero Sraffa e a Giorgio Mortara, con i quali i rapporti epistolari non si erano mai interrotti; a Paolo Baffi, Alberto Campolongo, Emanuele Ortoleva, Giorgio Fuà, Riccardo Bauer, Fabio Luzzatto e a molti altri) che, in forza delle eminenti posizioni raggiunte, erano spesso in grado di soddisfare le sue insaziabili richieste[11].

Oltre a questi ambasciatori, egli ricorreva poi ai laureati e ai giovani docenti che, grazie ai particolari rapporti che Giovanni Demaria aveva intessuto con la fondazione Rockefeller, venivano inviati a completare i loro studi nelle università americane[12].

Importanti segnali di rinnovamento delle strutture didattiche e scientifiche giungevano, infine, dall’interno dell’istituzione. Nuovi centri di ricerca, anzitutto, quali l’Istituto di studi sulle borse valori, voluto dagli agenti di cambio di Milano per onorare la memoria di Andrea Lorenzetti, procuratore di borsa «eroe e martire della lotta di liberazione, perito in un campo di concentramento tedesco»[13]; ma anche nuovi corsi su discipline fino a quel momento mai insegnate in Italia (l’organizzazione del lavoro, le relazioni sindacali, il marketing, la gestione del personale ecc.) e soprattutto una rinnovata presenza degli studenti in Università.

Riprendevano così slancio la goliardia, le feste matricolari, i balli di facoltà; mentre la ritrovata democrazia ispirava una gran voglia di partecipazione alla vita universitaria e un desiderio di fare politica in Università. Da qui le prime aggregazioni politiche studentesche, le prime elezioni (e i primi brogli elettorali)[14]; da qui manifestazioni di vario tipo, volte a far sentire la voce degli studenti in Ateneo, a farli tornare protagonisti della vita dell’Università, arrivando a coinvolgere l’opinione pubblica e la stampa[15] per dare maggior peso a iniziative volte a istituire un minimo di controllo sociale sull’operato di professori ai quali il ritorno alla democrazia e l’erosione delle retribuzioni provocata dall’inflazione avevano fatto scordare alcuni obblighi accademici[16], o per protestare contro la rigida separazione fra i sessi imposta anche in mensa[17]: un provvedimento, definito «di gemelliana memoria», vissuto dagli studenti come un autentico attentato ai principi laici e liberali dell’Ateneo.

La convulsa attività studentesca del primo biennio postbellico trovò, alla fine, un suo spazio istituzionale nel «Circolo Bocconiano», costituito nel 1947[18], il cui organo ufficiale «Il Bocconiano» avrebbe accompagnato la vita degli universitari milanesi sino al ’68. Il sodalizio, al quale tutti gli studenti erano iscritti d’ufficio, sarebbe divenuto uno dei poli della vita universitaria, il centro della gran parte delle attività politiche, culturali, turistiche, ludiche e sportive degli universitari, l’autorevole interlocutore del Rettore e del corpo accademico e, di fatto, il portatore e il difensore degli interessi dell’intera popolazione studentesca[19].


1

ASUB. Busta R5.

2

Tra le numerose testimonianze dell’attività svolta dall’Università a favore del movimento partigiano, vale la pena di ricordare anche quella che, in una lettera del 25 novembre 1947, Pagliari segnalava a Palazzina. «Caro dott. Palazzina, le accludo due estratti dal libro recentissimo di Leo Valiani che parla della Bocconi nella resistenza e che forse lei al quale nulla sfugge su ciò che interessa la “Casa”, conoscerà già […]. La Bocconi e la resistenza! Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma. Diario di un uomo nella guerra di un popolo, Roma 1947, p. 123: “In un’aula dell’Università di scienze economiche “Bocconi”, che da tempo è uno dei centri della cospirazione, ci scambiavamo con M. Damiani, R. Lombardi, V. Albasini le novità degli ultimi 15 giorni. Lombardi e Albasini sono i segretari politici del Partito d’Azione in Lombardia” [Tanti rallegramenti dott. Palazzina!]. A p. 245. “Mi misi a frequentare la biblioteca della ‘Bocconi’ per fare una cernita di opere straniere di scienze economiche da tradurre. Una sera non mi accorsi ch’era venuta l’ora della chiusura; il guardiano si scordò della mia presenza e mi chiuse a chiave nella sala di lettura. Dovetti saltare dalla finestra come un ladro, col rischio di venir acciuffato per una faccenda che non riguardava la lotta” [N.B. Bella sentinella, questo nostro funzionario]».

3

Piccoli furti che interessarono lo stesso Palazzina al quale venne a mancare l’intero abbigliamento invernale, nonché una bicicletta, da poco comprata a caro prezzo; ma toccarono soprattutto la biblioteca, dove non passava giorno senza che si verificasse la scomparsa di qualche volume o di oggetti di vario tipo, come si accenna in questa lettera: «20 novembre 1945. Caro Palazzina, credo doveroso richiamare personalmente la sua attenzione sul fatto, di cui ho già informato il dott. Munari, del furto di tutte le lampadine della sala di consultazione. Il furto, probabilmente compiuto in un sol giorno, è avvenuto in buona parte dal sabato al lunedì della scorsa settimana. Questo nuovo spiacevole caso, che si aggiunge allo scasso della porta della biblioteca di pochi giorni or sono, deve preoccupare anche per il pericolo a cui è da considerare esposto lo stesso materiale bibliografico e non occorre far presente che i libri, nelle circostanze presenti, costituiscono un patrimonio di grande valore oltreché culturale, economico e che ora più che mai, occorre perciò provvedere alla salvaguardia…» (Pagliari a Palazzina. ASUB. Corrispondenza di Fausto Pagliari).

4

Greco fu costretto alle dimissioni non avendo accettato il diktat impostogli dal comando americano di assumere la residenza a Milano: «Torino 13 agosto 1945. Caro Palazzina, non comprendo quanto, a proposito delle mie dimissioni, […] avrei dovuto far presente a Vesselo. Gli dissi come stavano le cose, e al suo invito di stare in permanenza a Milano, e a disposizione del suo telefono, non potevo non replicargli che questo per me era impossibile. Non mancai anche di fargli considerare che l’amministrazione alla Bocconi non richiedeva questa mia continua permanenza in loco, che le cose andavano benissimo e nessun inconveniente poteva essere addebitato al sistema finora seguito. E che per l’epurazione avevamo provveduto a tutto quello che occorreva fare. Non volle sentir ragioni e pretese che io gli designassi una terna per la successione» (ASUB. Busta H). Anche a Palazzina non garbò troppo la sostituzione di Greco, con il quale aveva ottimi rapporti, e della stessa si lamentò con Eugenio Bravi: «Milano 18/8/45. Carissimo Dottore! Da quanto tempo mi propongo di scriverle senza poi trovare un po’ di calma per attuare il buon proposito! Sono ormai circa 2-3 mesi che ho risposto – mentre ne sento tanto bisogno – e da parecchie settimane alle ordinarie occupazioni universitarie se ne sono aggiunte straordinarie assai delicate. Le scrivo tra una seduta della corte d’assise e della commissione di epurazione della R. Università di Milano. Aggiunga poi che nel frattempo si è verificata una crisi pro rettorale: si è dimesso il prof. Paolo Greco, non potendo corrispondere alle esigenze del comando alleato, che pretendeva la sua costante residenza a Milano, ed è stato sostituito dal Prof. Demaria, che peraltro ha la famiglia a Cintano in Val d’Aosta… d’onde viene a periodi! Come saprà i prorettori hanno anche i poteri del consiglio d’amministrazione, tutto automaticamente decaduto! Ed Ella immagina cosa significa avere un Uomo nuovo!» (ASUB. Busta H).

5

Demaria a Vesselo (ASUB. Busta 49/3). S.d. (ma 28 luglio 1945); «… La nostra Università, che è una fondazione privata e libera […], ha saputo con grandissima tenacia e non meno intenso fervore di opere affermarsi così vigorosamente durante il cinquantennio della sua vita, da diventare uno dei maggiori centri di scienza e di cultura economica, non solo d’Italia […]. Indubbiamente, se una larga parte del prestigio di cui essa si onora, devesi agli insigni suoi Maestri e ai meriti degli studenti in massa che con affetto filiale ne hanno sempre ascoltato gli insegnamenti diffondendoli in virile e animante gara per il meglio, una parte certo notevole del generale riconoscimento della sua attività le proviene dal modo secondo cui si è data gli ordinamenti che la reggono, ordinamenti i quali per felici e fortunate vicende sono tutti volti a garantire l’adempimento assiduo e silenzioso del proprio dovere da parte di coloro i quali vivono della sua vita, come in una grande famiglia dove prima ancora dei tratti onde distinguonsi autorità, insegnanti, studenti, personale di amministrazione, conta lo spirito di colleganza generale, alieno dai meschini contrasti meramente egoistici e personali. Ora cotesto aspetto dell’Università trova testimonianza e si traduce nella sua tradizione, che forse potrà opportunamente essere mutata in certe forme per meglio coordinare le esigenze nuove o crescenti del mondo culturale odierno, ma mai osteggiata radicalmente. Per essere esatto, tutto il grande lavoro di direzione generale della nostra Università si incentra nel Consiglio di Amministrazione, tratto soprattutto da quelle grandi forze delle attività economiche, industriali e commerciali del Paese, che i giovani sono chiamati a studiare e di poi, superata la suprema prova, a lungo andare dirigere secondo le migliori tradizioni nazionali, che poi sono quelle stesse della fondazione testé rilevate […]. Avanti di abbandonare questo punto è uopo riflettere come il principale e urgente compito da farsi è di rimettere in piedi questo primo e fondamentale organismo dell’Università […] La nostra storica esperienza è guarentigia che silenziosamente, sebbene lentamente, potremo ricreare la direzione aristocratica che ha condotto finora con tanto successo il destino della nostra fondazione».

6

Consiglio accademico (art. 8 dello statuto dell’Università): «Il Consiglio accademico è costituito del Rettore, che lo presiede, e dei professori di ruolo dell’Istituto. Tuttavia possono farne parte i professori incaricati limitatamente alle adunanze non concernenti l’assegnazione di posti di ruolo e il conferimento di incarichi di insegnamento» (ASUB. Busta 63/68).

7

Come ricorda una relazione di Alberto Montel, direttore del campo di Huttwil: «Nella primavera del 1944 […] le autorità svizzere vennero nella deliberazione di creare due campi di studio universitari per tutti quegli universitari militari italiani che non avevano potuto trovar posto nei quattro campi annessi alle università di Ginevra, Losanna, Friburgo e Neuchâtel. Fu scelto Mürren come sede del campo di studi universitari per ufficiali e Huttwil come sede di quello per sotto ufficiali e soldati […]. Quando […] fu tenuta la prima riunione plenaria apparve anzitutto la possibilità di istituire in Huttwil le seguenti facoltà universitarie: facoltà di scienze economiche e commerciali, facoltà di giurisprudenza, di scienze politiche e di scienze coloniali, facoltà di belle lettere e di lingue e letterature straniere, facoltà di ingegneria (limitatamente al primo biennio)» (ASUR. Busta 49/4. Università italiana di Huttwil).

8

Cfr. M.A. Romani, Bocconi über alles, cit., pp. 147-152.

9

Della ripresa dei contatti con la fondazione Serena è testimonianza la lettera che Palazzina inviò alla Trevelyan per illustrarle la situazione della Bocconi e richiederne l’aiuto (ASUB. Busta 83/4): «Milano, 6 ottobre 1945. Illustre Signora Janet M. Trevelyan. Trinity College Cambridge (Inghilterra). Proprio in questi giorni avevo pregato l’ufficiale regionale per l’educazione di aiutarci a riprendere contatto con la Serena Foundation […] ed oggi ho avuto la graditissima sorpresa della visita di Piero Sraffa dal quale ho appreso con profonda soddisfazione ch’Ella e i Suoi sono costì e in buona salute. Nella mia precedente le dicevo che la nostra Università, malgrado le incursioni aeree che l’avevano colpita specialmente nel febbraio e nell’agosto 1943, […] aveva sempre continuato a funzionare. Le dicevo altresì che la biblioteca così ricca di pubblicazioni inglesi fortunatamente è rimasta intatta ed è l’unica che a Milano è rimasta aperta durante tutto il periodo di guerra. Il nostro “Giornale degli economisti” ha subito tre sequestri e poi ha dovuto sospendere la pubblicazione, che sarà ripresa col gennaio prossimo venturo. Fedele alle sue tradizioni, la nostra libera Università aveva, coi suoi docenti ed allievi, largamente partecipato al movimento clandestino per la resistenza e per la liberazione. L’insegnamento della lingua inglese è sempre affidato al prof. Hazon e la massima parte degli studenti è iscritta ai corsi d’inglese come a lingua obbligatoria. Col nuovo anno accademico si vorrebbe poter riprendere anche i corsi di conversazione svolti in passato con successo sotto gli auspici della Serena Foundation e quelli di conferenze su argomenti economico-finanziari, storia e letteratura. Sarebbe quindi gradito conoscere in proposito il suo pensiero e ricevere sue istruzioni anche per la disponibilità delle somme non riscosse gli anni scorsi…».

10

Sulle vicissitudini che portarono alla sospensione della pubblicazione del «Giornale» negli ultimi anni di guerra e sulla sua ripresa cfr. M.A. Romani, 1938: un anno difficile per Giovanni Demaria e per il Giornale degli Economisti, in Giovanni Demaria e l’economia del Novecento, Milano 1999, pp. 48-72.

11

Vale la pena di rileggere due delle tante lettere che Pagliari inviò ai suoi «ambasciatori» (piccoli capolavori di letteratura e diplomazia) per sollecitare il loro intervento a favore della biblioteca dell’Università: «Milano 19-2-47. Caro dott. Baffi, Lei nella sua ultima cartolina, mi ha lisciato il vecchio pelo per conto suo e per procura del prof. Einaudi in maniera da far inorgoglire anche un Lucifero diventato bibliotecario. L’amicizia è immaginifica come la fede e gli epitaffi; ma la realtà, come si sa, mette poi le cose a posto. Così, per esempio, quel bibliotecario fenomeno, come il fanciullo grasso del circolo Pickwick, ha appreso solo ora che ci sarebbe la possibilità per gli istituti culturali e persino privati studiosi di fare pagamenti in Inghilterra e negli Stati Uniti per acquisti di pubblicazioni o abbonamenti a periodici a condizioni di cambio di favore, dopo essersi finora grattato la pera per non sapere come avere pubblicazioni da quei lontani paesi, salvo attraverso i librai e a mezzo di cambi col “Giornale degli Economisti” che sono stati per noi una vera cuccagna. Dell’americana “Econometrica” e dell’inglese “Journal of the Royal Statistical Society” non abbiamo però potuto avere gli arretrati a sbaffo; come dell’“Economic Journal”, dell’“Economica”, del “Quarterly Journal of Political Economy”, della “Review of Economics”, ecc. ecc. Abbiamo dovuto procurarli attraverso il nostro Rettore prof. Demaria membro di quelle Società, ma impegnandoci al pagamento in vece sua delle quote sociali di quegli anni fatidici. Le riviste sono già arrivate, perché si fidano dei loro soci, anche italiani; ma ora dobbiamo pagare lo scotto: 28 dollari per “Econometrica” e sterline 12 e 12 scellini per il “Journal”: una bella sommetta, almeno per noi che non siamo la Banca d’Italia, con tutto quel suo oro e la sua carta. Vorrebbe lei illuminare questo “principe della biblioteconomia”, vero pulcino nella stoppa, facendogli sapere se c’è proprio questa cuccagna; voglio dire la possibilità di fare questi due pagamenti a condizioni vantaggiose, e indicargli come e cosa si deve fare per raggiungere l’onesto intento di pagare i debiti col minor sacrificio? In attesa dei suoi lumi da tecnico consumato in queste materie e ringraziandola anticipatamente, La saluta con affetto il suo antico fedele bibliotecario». E ancora: «Milano 20-12-50. Mio caro dott. Baffi, anche quest’anno mi è venuto addosso il Natale, improvviso come “il ladro nella notte”, sebbene Goethe, contro Jean Paul, secondo il quale “l’uomo non ha che due minuti e mezzo; uno per ridere, uno per sospirare e mezzo per amare, perché a metà di questo terzo minuto muore”, Goethe, dico, in uno di quei suoi famosi aforismi ha scritto:

Ihrer sechzig hat die Stunde,

Über tausend hat der Tag.

Söhnchen, werde dir die Kunde

Was man alles leisten mag.

Ma prima che il Natale arrivi e finisca l’anno, desidero che Le giungano i miei affettuosi auguri, i quali sono, ne prenda atto, l’oggetto unico e solo di questa lettera senza fini pratici. Una lettera, quindi, senza precedenti nella lunga storia del nostro carteggio, tutto cose da avere per opera Sua, dopo il suo confinamento a Roma, che è il paradiso di “quelli delle mezze maniche”, ovverossia i “ronds de cuir”, laici e pretini, dei primi dei quali il prof. Mortara, come egli mi scrive, sta assaggiando, il caro uomo, con suo poco gusto, quelli della varietà brasiliana. Ma non è questo che ramo di un’unica grande razza diffusa prima nella vecchia Europa e poi trapiantata in America e che ora si prepara ad invadere, colla marcia irresistibile delle termiti, il resto dell’orbe terracqueo ed in Asia, pare nel supertipo perfezionato, quel vero “superuomo”, che ha conquistato l’U.R.S.S. Abbiamo ricevuto la relazione, della Banca d’Italia e La ringraziamo molto cordialmente, sebbene con qualche ritardo, dell’invio del prezioso documento, frutto delle Sue assidue fatiche. Rispondendo ieri al prof. Mortara che mi ha scritto una affettuosa lettera natalizia dall’esilio nel ringraziarlo dell’omaggio dei suoi scritti recenti, gli ho ricordato l’opera sua di Maestro, della quale, gli dicevo, il gruppo dei fedeli discepoli fa vivente testimonianza, e tra questi il primo che mi è venuto in mente è stato, naturalmente, il mio dott. Baffi e, come credo, anche a lui, sebbene io non abbia fatto nomi. Spero di vederLa in qualche Sua venuta quassù per servizio a risciacquar la Sua lingua nel Naviglio pavese, se non l’ha ormai dimenticata del tutto nel lungo esilio tra i barbari, come sta facendo il prof. Mortara al punto da scrivere i suoi libri in brasiliano! Meno male che Lei ha trovato laggiù in un poeta quasi grande come quassù il Porta, traduttor di Dante in bosino, in Gioacchino Belli, un buon succedaneo per le ore libere dall’economica… che credo, ben poche! Tanti affettuosi saluti dal suo dev.mo e obbl.mo bibliotecario».

12

Di tono non differente erano le lettere che Pagliari inviava ai suoi più giovani rappresentanti negli USA. Così, ad esempio, il 26 maggio 1950, egli scriveva a Francesco Brambilla, da poco approdato a Washington: «Caro Brambilla, ho ricevuto la tua lettera e ho letto, con altrettanto piacere e interesse quella da te scritta al prof. Cazzaniga ed al dott. Palazzina. Vedo che sei “dépaysé”, come capita di solito al provinciale che va in una grande città, e ti comprendo benissimo per propria esperienza. Cinquant’anni fa giusti giusti, giunto, piccolo borghese ventitreenne, a Vienna direttamente da Cremona, mi sono sentito dapprincipio come un pesce fuor d’acqua – una tinca del Po nel mare dei Sargassi – ed ho anche scritte queste mie impressioni in una serie di articoli per il giornale democratico cittadino “Gli interessi cremonesi”, che a mio padre parevano molto brillanti, ma che stampati alla brava, tante parole tanti errori, sono poi stati presi in giro bonariamente in un quotidiano milanese dal buon Albini, tuttora vivente più che ottantenne, con grande disappunto di mio padre e colla rinuncia da parte mia a scriverne altri. Il che non vuol dire che tu veda giusto, per quanto un matematico confluenziale sia portato a guardar le cose dal tetto in su e non dal tetto in giù, come la gente sensata che bada all’arrosto più che ai principî; un modo di guardar le cose che, bisogna convenirne, ha anch’esso i suoi meriti, almeno per l’uomo della strada, quello che tu dici il “quarto stato”. Comunque hai tempo di pensarci prima di valerti delle prime impressioni, che archiviamo per il tuo ritorno. Ma non ho tempo di scrivere come vorrei, perché sto per essere ormai completamente sommerso dalla carta stampata che ha ormai invaso tutti i tavoli e le sedie dell’ufficio e dilaga e cresce, cresce a vista d’occhio ogni giorno di più e mi arriva alla bossa. Se tarderai a tornare oltre l’agosto, verrai a estrarmi dalla catasta, morto asfissiato anzi tempo. Ti raccomando: non fiori, ma opere di bene! Vorrei soltanto utilizzare questo poco tempo che ancora mi resta per richiamarti alla coscienza, se la statistica te ne ha lasciata, l’impegno di farmi avere tutte le pubblicazioni ufficiali possibili, gratis s’intende, come, per esempio, una vera inezia, quelle indicate in calce, da me richieste invano. Vedi se con la tua autorità di rappresentante ufficiale della statistica italiana, puoi ottenere che mi sia continuato l’invio in cambio col “Giornale degli Economisti” della “Review of economic statistics” […], il cui editore […] mi comunicava il 5 aprile di essere stato “costretto” a togliere il nostro giornale dalla lista dei cambi. Tu sai che, salvo gli anni di guerra, abbiamo tutta la collezione della Rivista dal principio e che l’abbiamo sempre avuta in cambio. Ne scrivo anche al De Maddalena che ormai è di casa […]. Sento che lavori come un negro tutto il giorno a tavolino, solo o in comitiva. Ma per questo non c’era bisogno di andar in America ed affrontare il mal di mare, e l’America non è a Corsico, a Precotto o a Conca Fallata, da venirci col “gamba de legn” o col cavallo di S. Francesco, quando nei hai voglia. Guardati intorno, ché la statistica non è tutto il mondo, come voi statistici matematici siete portati a credere, e ricordati soprattutto che c’è al mondo anche la Biblioteca della Bocconi da approvvigionare col sistema ERP» (ASUB. Corrispondenza Pagliari).

13

ASUB. Busta 103/1. Statuto dell’Istituto di studi sulle borse valori «Andrea Lorenzetti». Art. 1. L’Istituto Lorenzetti, affidato alla direzione di Giorgio Pivato, si proponeva «lo studio sistematico e scientifico della funzione delle Borse, sia in regime di economia liberista, sia in regime di economia controllata. Esso intende istituire presso l’Università Bocconi un corso di lezioni sull’economia e la tecnica delle Borse… [e] intende farsi centro degli studi nazionali ed esteri sull’importante materia: intende concorrere a diffondere nel pubblico in genere, attraverso studi monografici, attraverso dibattiti su una propria rivista, nozioni corrette sulla funzione di borsa e predisporre il materiale scientifico e didattico, del quale potrà giovarsi il legislatore per una prossima e organica riforma della nostra legislazione di borsa». (Cfr. Istituto di studi sulle borse valori «Andrea Lorenzetti», Commemorazione di Andrea Lorenzetti e inaugurazione dell’Istituto di studi, Como-Milano 1945, p. 12).

14

Cfr. ASUB. Busta 64. Consiglio di facoltà. Corrispondenza varia. Ercole Garattoni al Consiglio (26 marzo 1946) e risposta di G. Palazzina (27 marzo 1946).

15

Valga per tutte la lettera, indirizzata al direttore del «Corriere» (ASUB. Busta B. Varie. 19-20 giugno 1946), così concepita: «Lettera aperta. Milano, li 18 giugno 1946. Caro Borsa, a maggior precisazione di quanto gentilmente pubblicato dalla stampa cittadina circa l’agitazione in corso fra gli universitari della Bocconi, ti saremmo immensamente riconoscenti se tu volessi ospitare sul “Corriere” queste nostre righe affinché più accessibile sia il nostro programma e più che giustificato il nostro malessere. I cardini sui quali vertono le nostre rivendicazioni, se così vogliamo definirle, per sommi capi si possono così riassumere: 1) – pubblicazione a fine esercizio del bilancio dell’Università affinché gli studenti tutti possano prender visione dell’andamento della gestione; 2) – nomina di un Rettore il quale dedichi la sua attività esclusivamente all’Università; 3) – corresponsione di una equa (quanto dignitosa) remunerazione ai docenti affinché possano essi dedicarsi all’insegnamento senza ricorrere a ripieghi consistenti in altre più redditizie occupazioni le quali oltre a sminuire la loro dignità tornano a tutto danno dello studente il quale per conoscere i vari programmi deve rivolgersi per rintracciarli in tutti i luoghi più impensati, fuorché nell’Università; 4) – astenersi almeno per il momento dalla stampa di nuove dispense e libri di testo che altro fine non hanno che creare confusione nei programmi nonché eccessivi oneri; 5) – porre per quanto riguarda i programmi, le due Facoltà di Economia di Milano: Bocconi e Cattolica su uno stesso piano; oppure, caso contrario, maggior valorizzazione della laurea della Bocconi ove, come è noto il programma è più vasto, le difficoltà maggiori, la selezione più rigida; 6) – la sospensione e il rinvio a tempi migliori del previsto obbligo di frequenza poiché la maggior parte degli studenti è occupata per proseguire gli studi; 7) – revisione e snellimento dei programmi, troppo teorici, poco pratici; 8) – una più rigida selezione di elementi negli istituti medi ove la situazione è caotica e mercanteggiata la serietà della scuola italiana. L’Università tende al perfezionamento del futuro professionista ed esula quindi dal suo compito la selezione che in quelli è fine precipuo; 9) – ricondurre la scuola alla sua serietà ed obbiettività: quindi estirpare specie nelle scuole private il malvezzo e l’abuso degli assurdi “acrobatici salti quadriennali” e conseguenti promozioni a evidente scapito di coloro che affrontando il corso regolare di studi hanno conseguite, attraverso un numero non indifferente di anni e di spese, una maggior selezione e quindi una discreta cultura generale; 10) – una sincera democrazia nell’ambito della Università non disdegnando il consultare gli studenti prima dell’emanazione di un provvedimento; 11) – in linea di massima è stata esaminata una eventuale adesione dell’Università stessa come Facoltà di Economia di Stato, pur mantenendo una certa autonomia dato il particolare vasto campo di studi. Fiduciosi dell’accoglienza che la stampa cittadina tutta alla quale ci siamo rivolti vorrà riservare a questa nostra, ed al “Corriere” in ispecie, chiediamo venia per disturbo arrecato inviandoti goliardi saluti. Gli Universitari della Facoltà di Economia presso l’Università Bocconi. (L’articolo in questione riporta una chiosa di Giovanni Demaria: Il prof. Lenti che ne pensa? G.D.). Alla lettera pubblicata sul «Corriere» Borsa dedicò un breve commento dal titolo: Insoddisfatti gli studenti dell’Università Bocconi: «Gli studenti dell’Università Bocconi, che sono da qualche giorno in agitazione, ci hanno scritto una lunga lettera per riassumerci “i cardini” su cui vertono le loro rivendicazioni. I ragazzi non sono soddisfatti né del Rettore, né dei Docenti, né dei programmi, né della gestione dell’istituto, né del suo statuto giuridico. Vogliono un Rettore che si occupi sul serio della Bocconi, dei Docenti il cui trattamento economico non sia tanto insufficiente da costringerli alle più strane e impegnative professioni complementari, dei programmi meno teorici, la pubblicazione a fine esercizio del bilancio dell’Università e, infine, l’adesione dell’Università stessa alla consorella di Stato, come “facoltà di economia”. Non chiedono altro. Ci sarebbe veramente la preghiera alle autorità competenti di astenersi dalla stampa di nuove dispense e libri di testo, che creano confusioni ed aumentano gli oneri e il monito ad una più rigida selezione degli elementi che affollano l’Istituto e tendono ai famosi “acrobatici salti quadriennali” di privatistica memoria. Poi sul serio niente altro».

16

È per esempio del 6 marzo 1946 (ASUB. Busta 63/68) una richiesta inviata al Magnifico Rettore, corredata da qualche decina di firme di studenti, nella quale si denunziava: «L’assenteismo inavvertito dei signori professori che provoca dannosa ed inutile perdita di tempo, che potrebbe essere con maggiore utilità volto allo studio» e si richiedeva: «a) la rispettosa osservanza dell’orario; b) avviso anticipato per tempo per la lezione che non verrà effettuata, oppure sostituzione (che sarebbe senza dubbio la migliore soluzione) da parte di assistenti; c) chiarimenti sul tema: obbligo di frequenza».

17

Esemplare a questo proposito lo scritto anonimo che per qualche tempo circolò nei corridoi della Bocconi: «Milano, 26/11/46. Le donne di sopra e gli uomini di sotto! Sic! Anche invertendo le più naturali leggi umane che vorrebbero sempre le donne di sotto, a prescindere dall’illegalità di un provvedimento che separa nella gioia della parca mensa i colleghi di Scienze Economiche e le colleghe di Lingue, è assai doloroso riconoscere nel provvedimento adottato dagli organi superiori un costume che sa di sagrestia e di stantio come vecchie cose che il tempo ammuffisce. Oggi in pieno anno di grazia 1946, in quella che si vanta di essere la più organizzata delle Università Commerciali d’Europa e forse del Continente, il separare per presunti scopi morali e inconcepibili motivi ambientali gli studenti dalle studentesse, ci riporta ad una concezione di gemelliana memoria (vedi Cattolica) che disonora ed umilia l’integrità e la vera moralità della goliardia italiana. Gli studenti della Bocconi».

18

ASUB. Busta 12/7. «Milano 28 novembre 1947. Magnifico Rettore della Libera Università commerciale L. Bocconi. Certi di farle cosa gradita, siamo lieti di comunicarle che, per iniziativa di un gruppo di studenti della Bocconi, si è costituito il Circolo Bocconiano, il quale è una associazione di carattere prettamente goliardico. Tale Circolo si propone di riunire “anziani” e “matricole” dell’Università, coll’intento di formare un’unica grande famiglia, realizzando un vivo, reale e cordiale affiatamento fra goliardi, facendone dei veri amici e mantenendoli fra loro uniti, anche fuori delle aule accademiche, con un complesso di manifestazioni di carattere culturale, ricreativo e assistenziale, che mantengano alta la bandiera della Bocconi nel consesso della vita universitaria nazionale. Ci è grato pensare che la serietà dei nostri intenti valga a meritare la sua ambita stima ed approvazione, in modo di poter contare sul suo appoggio alle nostre iniziative. Ci permetta di esprimerle i sensi del nostro più devoto rispetto. Il presidente: dr. Santino Melissano. Sez. assistenziali. L’incaricato: Lino Maineri. Sez. culturale. L’incaricato: Ernesto Nathan».

19

Sul primo numero del periodico «Il Bocconiano» (aprile 1949) Lino Maineri, presidente del Circolo Bocconiano, così presentava la rivista, in uno con gli scopi dell’istituzione studentesca: «Chi siamo? Non importa chi siamo, non i nostri nomi contano, siamo Universitari Bocconiani, delle facoltà di Economia e di Lingue, come tutti voi, non importano le nostre persone, ma come assolviamo il mandato ricevuto. Siamo i rappresentanti degli studenti della Bocconi, quindi ognuno di noi deve essere un po’ tutti voi, non è un bisticcio di parole! La nostra ambizione, dopo aver dato un compiuto efficiente organismo generale di rappresentanza studentesca qual è il Circolo Bocconiano, del quale tutti indistintamente gli iscritti del nostro Ateneo fanno parte, quella di dimostrare con la nostra opera la funzionalità, la ragione di essere del Circolo Bocconiano e di fare di questa associazione goliardica la tipica espressione dello studente bocconiano. Dimostrare la piena validità del metodo democratico anche nella organizzazione studentesca. Il Circolo Bocconiano è la nostra associazione, noi vogliamo che attraverso i suoi organi partecipino alla sua vita tutti indistintamente gli universitari del nostro Ateneo. Partecipare pienamente alla vita del Circolo, frequentare le sue sale, intervenendo alle sue manifestazioni. Partecipare alla vita di ogni giorno dell’associazione col chiederne la sua assistenza; assistenza che si svolge dalla pratica da evadere in segreteria, alla organizzazione di un viaggio di scambio con una università straniera. Partecipare alla funzionalità del Circolo nella piena efficienza dei suoi centri col portare ognuno il proprio contributo di critica e di esperienza […] Il Circolo Bocconiano comprende tutti gli studenti della nostra Università; in esso v’è dunque posto per tutti, deve esservi lavoro per tutti, deve essere l’espressione di tutti, desideriamo dunque caldamente la collaborazione di tutti quanti, questa la nostra aspirazione, ed in questo spirito di collaborazione avere il senso della vostra partecipazione alla nostra attività».

Indice

Archivio