Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Gli studenti della Bocconi fino alla liberalizzazione degli accessi


Nell’arco del trentennio 1945-75, una crescita altrettanto sostenuta riguardò gli studenti in corso e fuori corso delle università italiane, il cui numero aumentò di quasi quattro volte, passando da poco più di 236.000 a oltre 935.000[1].

 

Figura 1 Iscritti nelle università italiane, 1946-1975

Figura 1

In realtà, il decennio iniziale del periodo fu caratterizzato da uno strisciante calo, spiegato dagli osservatori come l’effetto di un processo di declassamento delle lauree dovuto al ritorno di alti tassi di disoccupazione intellettuale[2]. L’inversione della tendenza, verificatasi attorno al 1955, diede origine a un appariscente progresso delle iscrizioni continuato per tutto il ventennio 1956-75.

Al di là della dinamica generale dei grandi numeri, per chiarire i particolari di un processo tanto rapido quanto intenso conviene considerare le oscillazioni dei pesi relativi, nel tempo, degli iscritti ai diversi corsi di laurea in modo da confrontare le scelte degli studenti – e delle loro famiglie – in controluce rispetto agli altrettanto rilevanti mutamenti economici, sociali, politici e culturali intervenuti nel nostro Paese lungo il ventennio 1955-75. Conviene anche rammentare che, prima della liberalizzazione degli accessi alle diverse facoltà universitarie dall’anno accademico 1970-71, indipendentemente dall’indirizzo degli studi seguito nelle scuole superiori[3], solo i licenziati dei licei classici non subivano limitazioni di sotta nella scelta dei corsi di laurea e, per di più, godevano dell’esclusiva dell’accesso alle facoltà di Giurisprudenza, di Lettere e di Filosofia. I maturi provenienti dai licei scientifici potevano iscriversi a tutte le altre facoltà universitarie esistenti[4]. I diplomati degli istituti tecnici commerciali, industriali, agrari, nautici e per geometri avevano accesso a due sole facoltà: Economia e Commercio e Statistica. Infine, i diplomati degli istituti di agraria potevano iscriversi alla facoltà di Agraria superando un esame di cultura generale, mentre i maturi degli istituti d’arte accedevano liberamente alla facoltà di Architettura.

 

Tabella 4 Distribuzione percentuale degli studenti universitari nei gruppi disciplinari dei corsi di laurea, 1955-1975

Anni

Giurisprudenza

Medicina

Ingegneria

Economia

Scienze

Lettere

Altri

1955

20,2

13,4

13,7

13,4

14,7

9,7

14,9

1960

17,4

9,3

13,4

19,2

13,3

19,6

7,8

1965

10,2

7,8

13,4

22,6

13,1

29,2

3,8

1970

8,6

11,6

14,0

11,4

14,1

31,9

8,4

1975

12,3

18,0

15,3

13,5

13,3

23,5

4,1

 

Il peso relativo degli studenti di facoltà in cui s’impartivano insegnamenti di scienze della natura – Ingegneria, Architettura, Matematica, Fisica e Scienze – si mantenne singolarmente stabile nel tempo, quasi che la liberalizzazione degli accessi, dal 1970, e le congiunture economiche e sociali non esercitassero alcuna influenza sulle scelte di circa un quarto del corpo studentesco.

Le altalenanti percentuali di studenti immatricolati – per la stragrande maggioranza femmine – nelle facoltà letterarie, filosofiche, pedagogiche e linguistiche, oscillando fra un minimo del 9,7% nel ’55 e un massimo del 31,9 – ben più del triplo – nel 1970, primo anno di libero accesso a ogni corso di laurea, denotano comportamenti almeno in parte opportunistici, fra l’altro indotti dalla domanda pubblica e privata di docenti destinati a insegnare in una scuola che, in ogni ordine e grado, era contraddistinta da una costante espansione numerica.

L’oscillante andamento delle percentuali di studenti impegnatisi negli studi economici pare invece più direttamente riconducibile al variare delle congiunture. In crescita vistosa dal 1955 al ’65, quando tutti gli indicatori economici erano stabilmente e largamente positivi, gli iscritti ripiegarono bruscamente nei secondi anni Sessanta e tornarono a dare un qualche timido segnale di risveglio solo nel 1975. Il fatto è che gli ultimi anni Sessanta e i primi Settanta, anche nel Bel Paese, portarono inasprimenti delle relazioni industriali con conseguente radicalizzazione delle posizioni padronali e sindacali. L’abbandono da parte del dollaro della parità aurea (1973) e la quadruplicazione del prezzo del petrolio fra ’73 e ’75 furono all’origine di una caduta del prodotto interno lordo nazionale. Mentre il Paese si dibatteva in una ingovernabile stagflazione, il debito pubblico cresceva a passi da gigante[5].

È verosimile che l’azione combinata di tanti e così appariscenti fattori di complicazione del quadro congiunturale a medio periodo trasmettesse alle famiglie la percezione che lo sviluppo economico fosse ormai giunto al capolinea. Perché investire tempo, risparmi e fatiche in studi che riguardavano proprio gl’inceppati meccanismi della produzione, della distribuzione, del consumo e dell’impiego della ricchezza? Né va sottostimata la tendenza dei diplomati delle scuole tecniche a iscriversi nelle numerose facoltà che, fino ad allora, erano state loro precluse.

Tenuto conto del tradizionale primato di Giurisprudenza, la facoltà più affollata ancora nel 1955, il netto declino d’iscritti, con un minimo nel ’70, sembra interpretabile come la prova di un mutamento intervenuto nella società italiana legato anche al repentino sopravvento di una università di massa, alla quale accedevano agevolmente giovani provenienti da ogni ceto.

Medicina conobbe un andamento analogo a quello di Giurisprudenza. In questo caso, però, il valore percentuale che chiude la serie storica fu largamente superiore ai quattro precedenti e secondo solo a quello del gruppo disciplinare di Lettere. Il Servizio sanitario nazionale alle porte – la riforma sarebbe stata completata nel 1978 – indusse forse le famiglie a giocare d’anticipo su una prevedibile offerta di posizioni stabili di lavoro, a parte un «effetto moda» che talvolta interessa, per qualche anno, alcuni corsi di laurea.

Con alcune migliaia di iscritti, dal 1946 divisi fra due corsi di laurea pressoché equivalenti per numero degli studenti[6], la Bocconi ebbe un’evoluzione solo in parte analoga a quella generale dell’università italiana e delle facoltà di Economia in particolare. Superata l’emergenza della guerra e dell’immediato dopoguerra, con l’apertura fra l’altro di un corso di Lingue e Letterature straniere, che aveva gonfiato a dismisura le iscrizioni, la tendenza si orientò al declino. La serie storica della facoltà di Economia e Commercio bocconiana è la più direttamente influenzata dalle congiunture favorevoli e avverse dell’economia nazionale.

Conviene notare, tuttavia, che la crisi economica del 1964-65 è ben incisa nella serie storica degli studenti dell’Ateneo milanese, mentre non ha quasi riscontro nella serie nazionale degli iscritti alle facoltà economiche, che di lì a poco esplosero in una scalata durata dal 1967 al 1971, poi seguita da un netto ripiegamento proseguito fino a metà degli anni Settanta. La serie bocconiana, specchio della realtà economica, sociale e politica milanese e lombarda, si mosse diversamente. Non conobbe che una lievitazione degli iscritti e un lieve rialzo negli anni Settanta quando, nel resto d’Italia, le immatricolazioni nelle facoltà economiche letteralmente crollavano.

 

Figura 2 Iscritti nelle università italiane, nelle facoltà di Economia e nel corso di Economia e Commercio della Bocconi, 1946-1975

Figura 2


1

Idem, Annuari statistici sull’università, 1946-1961; Idem, Compendio statistico italiano, 1981, p. 72.

2

M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia (1859-1973), Bologna 1978.

3

Legge n. 910 votata dal Parlamento l’11 dicembre 1969.

4

Scienze politiche, Statistica, Economia e Commercio, Medicina, Chimica, Fisica, Matematica, Scienze naturali, Scienze biologiche, Scienze geologiche, Farmacia, Ingegneria, Architettura, Agraria, Veterinaria e Sociologia.

5

V. Zamagni, Dalla periferia al centro, cit., pp. 437-441.

6

Fra quattro e cinquemila iscritti nell’insieme dei due corsi.

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