Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Matricole, laureati, curricoli e carriere (1946-1974)


Parole chiave: Post laurea

Dagli anni del secondo dopoguerra all’epoca in cui (1970) fu avviata la liberalizzazione degli accessi a tutte le facoltà universitarie per chiunque avesse completato il quinquennio in una qualsiasi scuola superiore, la dinamica generale della popolazione studentesca italiana conobbe due fasi distinte[1]. La prima, ininterrottamente durata dal 1946 al ’59, fu contraddistinta da un ripiegamento e da un lungo ristagno. La seconda, per contro, coincise con una crescita costantemente sostenuta che, in meno di un quindicennio, da un livello di quasi 250 mila portò gli iscritti a sfiorare i 900 mila[2].

 

Figura 9 Immatricolati e laureati al Politecnico (medie quinquennali), 1946-1975

Figura 9

I dati relativi a tre università milanesi su quattro, il Politecnico, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Bocconi, mostrano andamenti solo in parte fra loro analoghi e in linea con quello della popolazione universitaria dell’intero Paese. I giovani immatricolatisi al Politecnico, per esempio, in calo fino alla fine degli anni Cinquanta, alla metà del decennio Sessanta innescarono una crescita di proporzioni identiche a quella nazionale (+260%)[3].

Pur orientata nel medesimo verso, la dinamica delle lauree fu invece assai più blanda (+158% dai secondi anni Cinquanta alla metà dei Settanta), a riprova della durezza dei corsi d’Ingegneria, col fatale sbarramento al termine del primo biennio.

Il profilo delle immatricolazioni in Cattolica, invece, differisce sia dalla serie nazionale, sia da quella del Politecnico. La popolazione studentesca dell’Università di padre Gemelli, non ancora terminati gli anni Quaranta, prese a lievitare e, poi, crebbe con decisione, tanto da essere quadruplicata, nel 1966, rispetto al livello del ’49. Dopo di che subentrò un declino prolungatosi fino alla metà degli anni Settanta.

 

Figura 10 Iscritti e laureati all’Università Cattolica, 1946-1974

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La serie dei laureati delinea tre fasi ben distinte. La prima va dal ’46 al ’54 con un profilo piatto analogo a quello del Politecnico. Col ’55, in Cattolica prese corpo una netta crescita, repentinamente interrotta, però, da un non meno netto ripiegamento nell’anno 1961. A partire dal ’62, la fisiologica ripresa si tramutò in una stupefacente scalata giunta al culmine nel 1970, anno in cui dai numerosi corsi di laurea di largo Gemelli uscirono ben 7.590 dottori. Fra l’altro, il divario temporale tra i massimi delle due serie storiche attesta che, in Cattolica, i tempi che mediamente intercorrevano fra immatricolazione e laurea erano ben inferiori a quelli della Bocconi. Dal ’71, il numero delle tesi crollò in misura ancor più marcata rispetto alle iscrizioni, tornate ai livelli del ’55-56.

Bocconi e Cattolica, per un ventennio, furono in concorrenza per i corsi di laurea di Economia e di Lingue. Nell’estate del 1968, con decisione improvvisa, sulle ragioni della quale si sofferma diffusamente Marzio A. Romani, il Rettore Giordano Dell’Amore e il presidente del Consiglio d’Amministrazione Furio Cicogna eliminarono il corso di laurea in Lingue, limitandosi a garantirne la prosecuzione per i già iscritti[4]. Nelle intenzioni dichiarate, la facoltà sarebbe stata soppressa il 31 ottobre 1972[5]. In realtà, le commissioni d’esame continuarono a operare sino al febbraio del 1974 e quelle di tesi fino all’ottobre dello stesso anno[6].

La decisione di bloccare le immatricolazioni alla facoltà di Lingue, assieme alla liberalizzazione dei piani di studio, impresse un’accelerazione formidabile alle relative lauree, come mostra la Figura 11. Nel quadriennio 1969-72 si laurearono 2.588 studenti, vale a dire un numero superiore a quello degli addottoratisi in Economia e Commercio nel ventennio 1945-1964. Sono dell’avviso che la spiegazione della repentina soppressione del corso di laurea[7] inaugurato vent’anni prima vada ricercata soprattutto nel timore del Rettore che la facoltà umanistica oscurasse la primogenita e che l’originaria identità bocconiana fosse seriamente minacciata.

 

Figura 11 Laureati in Economia e in Lingue all’Università Bocconi, 1946-1974

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In effetti, per tutti gli anni Cinquanta e fino al 1961, in Bocconi, gli iscritti a Lingue avevano superato di poco quelli di Economia, ma dal 1962 era cominciata una scalata che aveva portato i primi a sopravanzare di quasi 1.500 unità i secondi, tanto da convincere sia Cicogna, sia Dell’Amore che, in mancanza di filtri all’ingresso e di un numero programmato, la situazione stesse ormai sfuggendo di mano.

 

Figura 12 Laureati in Economia e in Lingue all’Università Cattolica, 1946-1974

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Nell’Università Cattolica, invece, le frequenze dei laureati si muovevano diversamente. Mentre Lingue ristagnava, Economia e Commercio conosceva un vero e proprio boom che moltiplicò per sette i laureati per anno durante il decennio Sessanta.

Giunti a questo punto, conviene indugiare sui profili dei laureati bocconiani in modo da precisarne le caratteristiche fino al momento in cui si chiuse drasticamente la vicenda della facoltà letteraria. Anzitutto, consideriamo le dimensioni relative dei due mondi culturali che vissero fianco a fianco dal 1947 al 1974, quando anche l’ultima studentessa di Lingue discusse la sua tesi.

È ipotizzabile che lo sviluppo repentino e sostenuto delle iscrizioni e delle lauree al corso di Lingue si spieghi tanto con il suo essere situato nell’unica metropoli moderna d’Italia, quanto con l’«effetto alone» della prestigiosa istituzione che l’attivò. La domanda d’istruzione superiore in Lingue e Letterature straniere, lungamente repressa durante il ventennio, esplose letteralmente negli ultimi anni Quaranta richiamando a Milano giovani d’ogni dove.

 

Figura 13 Percentuali dei laureati in Lingue e in Economia, 1946-1974

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Figura 14 Laureati per sesso nei due corsi di laurea, 1946-1974

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A Lingue la componente femminile divenne quasi subito dominante[8], con grande soddisfazione dei numerosissimi ragazzi iscritti a Economia e Commercio, dove le studentesse viceversa erano rare, pur continuando a crescere di numero, col passare del tempo, secondo una progressione perfettamente geometrica: erano il 4% negli anni Quaranta, 1’8% nei Cinquanta e il 16% nei Sessanta e primi Settanta[9]. Per entrambi i corsi di laurea, le percentuali di dottoresse provano che, più determinate, diligenti e costanti dei maschi, le ragazze riuscivano a completare gli studi con maggior frequenza rispetto ai loro coetanei.

Rispetto agli uomini, le donne erano anche molto più mobili. Per i primi quindici anni (1946-60), il divario nei flussi dei trasferimenti in entrata e in uscita da via Sarfatti, fra i due corsi di laurea, fu molto marcato: oltre cinque volte nei secondi anni Quaranta (2% degli studenti in movimento nella facoltà a maggioranza maschile contro il 10,5% di quella femminile), quattro volte nel decennio Cinquanta (4% contro 16,2%). Solo negli anni Sessanta la relazione s’invertì con un improvviso balzo dell’andirivieni dei futuri economisti (25%), mentre non cessava di crescere la propensione a entrare e uscire dalla facoltà degli iscritti e, soprattutto, delle iscritte a Lingue (21,3%).

L’introduzione di sessioni continue di esami da fine settembre a metà luglio, della tesi di relazione, accanto alla più impegnativa tesi tradizionale, e la contemporanea soppressione delle tesine orali, misure tutte deliberate nel maggio del ’69[10], nel semplificare e abbreviare gli studi, abbatterono la percentuale (5%) di quegli iscritti alla facoltà di Economia e Commercio – in corso di riordino didattico – che cercavano altrove condizioni meno onerose e selettive per concludere i loro studi. In conclusione, se si guarda ai periodici movimenti in entrata e in uscita dei giovani come ad altrettanti segnali indiretti del grado di severità degli studi, non si può fare a meno di notare che, per entrambi i corsi di laurea, gli anni Sessanta rappresentarono il periodo peggiore. Per contro, grazie alle riforme statali e a quelle introdotte dal Consiglio di facoltà bocconiano, nel decennio seguente la qualità di vita del corpo studentesco sarebbe sensibilmente migliorata.

 

Figura 15 Origine geografica dei laureati in Economia[11], 1946-1975

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Le informazioni che abbiamo a proposito delle aree di provenienza dei laureati – esclusi gli stranieri – offrono profili assai diversi dell’identità culturale dei giovani addottoratisi nei due corsi di laurea. In estrema sintesi, si può affermare che, fino alla metà degli anni Sessanta, tre studenti su quattro, fra quelli che riuscivano a percorrere sino in fondo il difficile itinerario degli studi economici, erano milanesi. Se si considera che, all’atto dell’iscrizione, il gruppo degli ambrosiani rappresentava «solo» il 40% circa delle matricole, viene spontaneo chiedersi che cosa ne favorisse il successo. È ipotizzabile che una più assidua frequenza alle lezioni, l’assenza di disagi logistici e una bassa percentuale di studenti lavoratori contribuissero a fare degli studenti milanesi i migliori. Dopo di loro, a grande distanza, venivano quelli originari del resto del Nord-ovest, il cui peso percentuale, sul finire del periodo osservato, tendeva addirittura a crescere. Quanto agli studenti provenienti dal Centro e dal Meridione, i successi riguardavano sparuti gruppi di coraggiosi che s’installavano a Milano per formarsi mentre, a decine di migliaia ogni anno, i loro conterranei meno fortunati si trasferivano nel capoluogo lombardo e nei comuni limitrofi in cerca di lavoro.

 

Figura 16 Origine geografica dei laureati in Lingue[12], 1946-1975

Figura 16

I laureati e le laureate in Lingue provenivano invece da tutta l’alta Italia e, soprattutto, i milanesi non facevano certo la parte del leone. Erano piuttosto le altre province della Lombardia, assieme a quelle liguri e piemontesi, ad annoverare la maggioranza dei dottori in Lingue e Letterature straniere. I nativi del Nord-est, pur in graduale ripiegamento numerico per effetto dell’apertura in Emilia e in Veneto di facoltà concorrenti, vantavano e conservavano ragguardevoli quote percentuali, mentre pochissimi provenivano dalle regioni centrali e meridionali.

In conclusione, il corso di laurea in Lingue, molto più di quello in Economia e Commercio, era fedele alla missione affidata da Leopoldo Sabbatini all’Università commerciale delle origini: essere un ateneo veramente nazionale. La facoltà di Economia si era invece ridotta a formare quasi solo giovani milanesi che, a parte l’esercizio della libera professione, avrebbero trovato lavoro in imprese del capoluogo lombardo e nelle città economicamente più dinamiche della regione.

Per altri versi, il profilo culturale dei dottori in Economia e Commercio è ben testimoniato dagli àmbiti disciplinari entro i quali i laureandi scelsero i titoli delle loro tesi. La tripartizione delle discipline nei settori economico, giuridico e tecnico – in seguito si sarebbe detto aziendale – escogitata da Sabbatini e ribadita da Demaria al tempo del suo rettorato, proprio con riguardo alla tesi di laurea e alle tesine orali, ben si presta a misurare le polarità scientifiche di formazione dei bocconiani.

Non c’è dubbio che per tutto il periodo considerato, come del resto era sempre accaduto prima di allora, a cominciare dalle tesi discusse nel 1906, l’Economia politica, con le sue molteplici varianti disciplinari e assieme alle Matematiche, alle Statistiche e alla Storia economica, mantenne un primato incontrastato raccogliendo costantemente più del 40% delle preferenze degli studenti. Le discipline aziendali, che nel periodo 1931-45 raccoglievano il 23% delle tesi[13], guadagnarono spazio, benché nel periodo osservato prevalesse una tendenza uniformemente calante. Ultime per frequenza erano le dissertazioni d’argomento giuridico, com’è ovvio in una facoltà i cui studenti mancavano di una cultura giurisprudenziale solidamente fondata. E, tuttavia, anche in questo settore v’erano stati considerevoli progressi rispetto agli anni 1931-45, quando i relativi elaborati arrivavano a coprire appena il 5%[14].

 

Figura 17 Distribuzione degli argomenti di tesi trattati dai laureati in Economia, 1946-1971

Figura 17

Merita una qualche riflessione anche il raffronto fra le medie dei voti riportati agli esami di laurea d’Economia e di Lingue fino al 1969, l’anno successivo alla fatidica soppressione. Per cominciare, vale la pena di sottolineare che, nei secondi anni Quaranta, le votazioni medie riportate dai laureati di entrambi i corsi furono molto simili e singolarmente basse.

Tenuto conto del fatto che più il voto è basso, più è alto il livello di condizionamento esercitato dalla media dei voti riportati nei singoli esami, e che, come già si è notato, la molteplicità disciplinare del corso di Economia e Commercio premiava col massimo dei voti solo qualche eccellente personalità eclettica, è giocoforza concludere che nei libretti degli studenti degli ultimi anni Quaranta e dei primi Cinquanta abbondassero votazioni comprese fra il 18 e il 24. Per di più, gli studenti usciti dagli istituti tecnici non vantavano certo una cultura generale ben fondata, per non dire del gran numero di studenti lavoratori, che, secondo osservatori affidabili, superavano la metà degli iscritti. Come se ciò non bastasse, i programmi dei corsi istituzionali[15] del primo biennio erano estesi e difficili.

 

Figura 18 Votazioni medie degli esami di laurea in Economia e in Lingue, 1946-1968

Figura 18

Tra il ’46 e il ’56, otto volte su dieci, le medie dei voti di laurea in Lingue superarono, seppur di poco, quelle di Economia. Dal ’57 in avanti, il vantaggio dei letterati aumentò repentinamente di 5 punti e, nel 1962, arrivò addirittura a 10. La cosa, da un lato, rafforzava la nomea di durezza accumulata nei decenni dal corso di Economia, dall’altro, però, eguagliava il corso umanistico a quelli delle più permissive facoltà pubbliche. Difficile dire perché, improvvisamente, si produsse uno iato così forte e duraturo nelle votazioni da rafforzare il sospetto, da parte dei docenti di Economia che Lingue stesse diventando troppo «facile» per corrispondere alla fama di eccellenza dell’Università Bocconi.

Alla fine di ottobre del 1964, nell’imminenza dell’avvio del nuovo anno accademico, in assenza di Aurelio Zanco, l’unico ordinario di Lingue, in Consiglio di facoltà fu posta per la prima volta la questione dell’emancipazione del corso di Lingue a facoltà autonoma. Le differenti opinioni espresse nella circostanza testimoniano delle preoccupazioni degli economisti. Di Fenizio auspicò che la separazione avvenisse al più presto «per evitare che i suoi metodi [di Lingue] e i giudizi sulla stessa si riverberino sulla facoltà di Economia»[16]. Demaria, che nel ’46 aveva avviato Lingue, sostenne: «La sezione […] deve restare sotto il nostro controllo. Essa porta il nostro nome»[17]. Infine, Dell’Amore dichiarò che aveva «sempre cercato di frenare gli entusiasmi della sezione di Lingue e il suo sviluppo. Ad esempio, un blocco delle iscrizioni, qualunque sia la formula prescelta, dovrà evitare che sia soffocata la facoltà di Economia dalla marea montante»[18]. Era l’annuncio delle misure che, divenuto Rettore, in condizioni di emergenza, egli avrebbe preso di lì a quattro anni.

Se serviva una prova dell’orgoglioso sentimento di appartenenza a un’istituzione scientifica ed educativa, percepita come eccellente dai professori che v’insegnavano, il verbale di quella riunione di facoltà ce ne offre una singolarmente esplicita.

I giovani formatisi in quell’ambiente duro e selettivo, usciti da via Sarfatti laureati in Economia e Commercio, s’inserivano in un mondo economico proprio in quegli anni soggetto a tumultuose trasformazioni. L’annuario dell’ALUB[19], pubblicato nel 1957[20], nella sezione «Laureati in ordine di occupazione» elenca 1.334 persone specificandone il ruolo lavorativo e la sede.

Una classificazione sulla base dei settori economici, con una disaggregazione del terziario per considerare quanti insegnavano nelle università ed esercitavano la libera professione, offre un’efficace immagine dei settori nei quali operavano i dottori in Economia e Commercio bocconiani alla metà del secolo scorso.

Conviene precisare che un terzo di loro aveva preso la laurea fra il 1945 e il ’56, sicché aveva intrapreso la vita professionale per l’appunto negli anni della ricostruzione e dell’avvio di una crescita economica che si sarebbe presto tramutata in sviluppo. Ebbene, nel settore protagonista del miracolo economico italiano – l’industria – lavorava solo il 14% dei bocconiani in carriera[21].

 

Figura 19 Settori economici di attività, nel 1956, di 1.334 laureati in Economia e Commercio

Figura 19

Il settore di gran lunga dominante era piuttosto il terziario (49%), con alte concentrazioni nei settori del credito[22], delle assicurazioni[23], dell’import/export, della pubblica amministrazione e del parastato[24]. Un caso a parte è dato dai 421 commercialisti che rappresentavano poco meno di un terzo (32%) di tutti i censiti. Dal 1907 al 1938, i liberi professionisti si erano stabilmente attestati attorno al 20%[25] dei laureati in carriera, sicché la loro recente, vistosa crescita andava di pari passo col moltiplicarsi delle piccole e medie imprese.

Un’ultima notazione meritano i numerosi docenti universitari bocconiani. Per quanti di loro è stato possibile precisare la disciplina di appartenenza, è emerso che 20 si occupavano[26] di Economia politica[27], di Politica economica[28], di Storia delle dottrine economiche[29], di Scienza delle finanze[30], di Statistica[31], di Storia economica[32] e di Geografia economica[33] e 24 di Ragioneria e di Tecniche commerciali, industriali e bancarie[34]. A mezzo secolo dalla prima sessione di laurea (1906), gli allievi dedicatisi alla carriera accademica erano divenuti abbastanza autorevoli e numerosi da fondare scuole in ben 15 università lontano da via Sarfatti[35].


1

Si veda, più addietro, la Figura 1 del paragrafo 5.6.

2

Per la precisione gli iscritti nel 1959-60 furono 247.717, quelli del 1974-75 886.894; cfr. Istat, Compendio statistico italiano, Roma, varie edizioni e Idem, Annuari statistici sull’università, 1946-1961, Roma 1962.

3

I dati statistici mi sono stati gentilmente passati da Edoardo Borruso, che ringrazio di cuore.

4

ASUB. B. R4. Schema di deliberazione. 12 luglio 1968. Nell’anno accademico 1967-68 furono attivati i corsi del secondo, terzo e quarto anno. Gli studenti, riunitisi in assemblea nei pressi della Bocconi la mattina del 30 agosto, si recarono a manifestare il loro dissenso dinanzi alla sede di Confindustria e, poi, in Galleria. «Nel pomeriggio si è riunita un’assemblea ristretta per formulare un documento da diffondere alla cittadinanza. Questa “carta” verrà particolarmente indirizzata agli studenti di ogni ordine e grado: tra gli interessati sono soprattutto le diplomate e le allieve della Civica Scuola Femminile “Manzoni” che non hanno altro sbocco ai loro studi»; cfr. Niente occupazione solamente un corteo, in «Il Giorno», sabato 31 agosto 1968, pagine della cronaca cittadina.

5

ASUB. B. R4. Schema di deliberazione. 12 luglio 1968.

6

ASUB. Registro dei verbali delle sedute del «Senato Accademico». 30 novembre 1973, p. 154.

7

Il 12 luglio 1966, un D.P.R. aveva tenuto a battesimo la facoltà di Lingue e Letterature straniere, staccandola da quella di Economia presso la quale era nata come corso di laurea; cfr. ASUB. Registro dei verbali del Consiglio della Facoltà di Economia e Commercio, 5, 20 settembre 1966, p. 151.

8

Fra il 1947 e il 1955 i maschi oscillarono annualmente fra il 21,4 e il 14,9%, dal 1956 calarono portandosi attorno al 14% nei secondi anni Sessanta.

9

In Italia, le donne iscritte erano il 24,2% nel 1945; il 26,8% nel ’55; il 33,5% nel ’65 e il 39,2% nel 1975; cfr. A. Cammelli, A. Di Francia, Studenti, università, cit., Tab. 2, p. 21.

10

ASUB. Registro dei verbali delle sedute del «Senato Accademico», pp. 81-82. Restò valida la regola di non poter ripetere più di due volte in un anno accademico un esame, anche se la verbalizzazione delle bocciature divenne sempre più rara, fino a scomparire. Restando traccia documentaria solo degli esami scritti, la norma che limitava la ripetizione delle prove non superate fu di fatto aggirata. La tesi di relazione, preparata al massimo in tre mesi, accelerava i tempi e garantiva un voto finale pari alla media.

11

Nel computo non si sono considerati gli stranieri.

12

Nel computo non si sono considerati gli stranieri.

13

M. Cattini, Gli studenti, cit., II, p. 571.

14

Ibidem.

15

Economia politica I e II, Ragioneria generale (I) e Ragioneria generale e applicata (II), Statistica, Matematica generale e Diritto privato erano gli scogli più duri. Quanto a Economia politica I, si era ammessi a sostenere l’esame dopo avere partecipato, con altri tre compagni di corso, a una ricerca seminariale guidata dagli assistenti di Demaria. Il diffuso malessere causato dalla strana procedura che esigeva una «monografia» di gruppo come prova preliminare per poter sostenere l’esame fu oggetto di discussione nel Consiglio di facoltà dell’11 gennaio 1958, in occasione del quale Demaria affermò che sarebbe stato accomodante verso studenti fuori corso e studenti lavoratori e che, in ogni caso, una monografia giudicata insufficiente non avrebbe impedito di sostenere l’esame; cfr. ASUB. Libro dei verbali delle sedute, cit., n. 2, pp. 57-58. Tornando a trattare della questione «monografie» il21 maggio del ’58, il Rettore Sapori rilevò che «è dubbia la legalità dell’obbligo imposto dal prof. Demaria a tutti i propri allievi, comunicando che gli sono giunte sull’argomento numerose proteste. Egli ritiene anzi che la constatata diminuzione delle matricole sia in parte dovuta a questo obbligo, che non esiste nelle altre università», cfr. Ibidem, p. 78. Nell’aprile del ’59 la questione era ben lungi dall’essere stata risolta. Il presidente del Circolo Bocconiano scriveva sul giornale: «Innazi tutto vi è il problema del “quadruplice esame”, “quadruplice” perché sostenuto con quattro esaminatori differenti e perché ognuna delle prove è eliminatoria rispetto alle altre. […] non si riesce a comprendere perché il fallimento di una delle prove comporti la ripetizione delle altre. Nel caso, invece, […] l’esame venga considerato un tutto unico e solo “per comodità” sostenuto nel modo sopradetto, si dovrebbe tener conto delle singole parti ai fini di un giudizio medio complessivo. […] Altri appunti potrebbero essere mossi riguardo ad altri settori dell’Istituto, come il fatto che l’organizzazione degli esami sia caotica, non vengano rispettate le liste di iscrizione e come talvolta l’intervallo [fa le varie parti dell’esame] sia limitatissimo oppure di varie settimane e, in alcuni casi, di mesi»; cfr. ASUB. «Il Bocconiano», a. XI, n. 2, aprile 1959, p. 14.

16

ASUB. Registro dei verbali, cit., 26 ottobre 1964, p. 78.

17

Ibidem.

18

Ibidem.

19

L’Associazione Laureati Università Bocconi sorse il 23 luglio 1906, per iniziativa del Rettore L. Sabbatini, e accolse i primi 18 laureati. Nel 1933, per effetto di norme che abolirono le libere associazioni, si sciolse. Fu ricostituita come associazione autonoma nel 1937, ma solo dal luglio del ’43 riprese a funzionare secondo gli scopi originari. Cfr. Discorso celebrativo del Dott. Alessandro Croccolo Presidente dell’Associazione Laureati Università Bocconi, in Inaugurazione Pensionato Studenti Università Bocconi, Celebrazione cinquantenario Associazione Laureati Università Bocconi, Milano 1957, pp. 30 e ss., e inoltre M. Cattini, Gli studenti, cit., II, pp. 538-42.

20

A.l.u.b., Annuario del Cinquantenario 1906-1956, Milano 1957.

21

Le industrie a più alta densità di bocconiani erano Alfa Romeo, Falck, IBM Italia, Montecatini, Olivetti e Pirelli.

22

Credit, Comit, Banco di Roma, BNL, Casse di Risparmio e Banche popolari, prese assieme, assommavano 220 funzionari di medio-alto livello. In Bankitalia lavoravano otto persone, fra le quali Rinaldo Ossola e Paolo Baffi.

23

21 persone alla Riunione Adriatica di Sicurtà.

24

Intendenze di Finanza, Comuni, Province e Camere di Commercio.

25

Cfr. M. Cattini, Gli studenti, cit., II. Tab. 4.11., p. 584.

26

Mi limito a ricordare i più celebri per la carriera accademica compiuta.

27

D. Cantarelli.

28

A. Frumento.

29

T. Bagiotti.

30

E. D’Albergo, all’epoca preside di Economia e Commercio a Bologna.

31

M. Boldrini e G. Tagliacarne a Roma, L. Lenti a Pavia, F. Brambilla in Bocconi e il matematico E. Levi a Parma.

32

G. Mira ordinario a Perugia e A. De Maddalena straordinario a Parma.

33

G. Beltramini de’ Casati.

34

A. Amaduzzi, T. Bianchi, U. Caprara, A. Confalonieri, T. D’Ippolito, C. Masini, G. Pivato, P. Saraceno, N. Rossi, T. Zerbi.

35

Bari, Bologna, Buenos Aires, Cagliari, Cattolica, Messina, Milano Statale, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

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