Parole chiave: Presidente Spadolini Giovanni, Rettore Guatri Luigi, Piano Bocconi 2000, Post laurea
Storia della Bocconi
1945-1968. Dalla liberazione al '68
Nel 1964, proprio mentre il miracolo economico giungeva a compimento, in Italia le nascite raggiunsero, anzi, superarono di poco il picco massimo di un milione[1]. L’anno seguente, la natalità imboccò una dinamica depressiva proseguita fino all’87[2], quando le frequenze ammontarono a poco più di 550 mila[3]. Dal 1988 in poi, le nascite oscillarono fra alti e bassi toccando un minimo assoluto nel ’95; minimo[4] dal quale presero a risalire di qualche migliaio l’anno sino al 2001.
Il sensibile calo demografico continuato fino all’87 e, poi, il ristagno che seguì sino al ’95, non influenzarono la dinamica delle immatricolazioni universitarie perché, in quel periodo, nel nostro Paese il grado di scolarizzazione migliorò sensibilmente. I giovani che nel 1984 conseguirono la maturità furono più numerosi, nella misura di più di un terzo (35,8%), di quelli nati diciannove anni prima (1965). Di lì a sette anni, nell’estate del ’91, più della metà (51%) dei diciannovenni conseguì un diploma di scuola superiore.
Durante gli anni Novanta, la tendenza si rafforzò ulteriormente. Due terzi dei nati nel ’77 si diplomarono nell’estate del ’96 e, nel ’99, i maturi arrivarono a rappresentare i tre quarti dei nati nel 1980. Il calo delle nascite, insomma, fu ampiamente compensato dalla crescita della scolarità superiore e, dunque, dei potenziali studenti universitari.
Fra 1’84 e il 2000, mentre raddoppiava la percentuale dei diciannovenni che ottenevano il diploma delle superiori (dal 36 al 71%), anche la quota degli iscritti al primo anno dell’università sul numero dei nati aumentò dal 25,6 al 43,9%. In valori assoluti, da un capo all’altro del periodo osservato (1984-2000), le immatricolazioni nelle facoltà di Economia disegnarono una campana schiacciata, con un massimo nel 1991 e un minimo costantemente ripetuto negli ultimi tre anni del secolo.
Figura 28 Dinamica delle immatricolazioni in Italia, nelle facoltà di Economia e nella Bocconi, 1984-2000
Dopo la riforma didattica realizzata fra il 1970 e il 1974, con l’introduzione del CLEA, del CLEP e del DES, in capo a un quindicennio di sostenuta crescita delle iscrizioni culminato nel 1983 con 2.372 matricole, più che triplicate rispetto a quelle del quinquennio 1970-74, le autorità accademiche decisero di applicare un filtro all’ingresso per garantire la qualità della vita universitaria, attuando una misura più volte ventilata, e dagli studenti paventata, fin dai tempi della contestazione. Nel 1984, su 2.422 giovani preiscrittisi, ne furono selezionati 1.610, pari al 45% delle potenziali matricole.
Il consolidato prestigio dell’Ateneo, unito all’esigenza di superare una prova d’accesso che combinava il voto della maturità col risultato di un test attitudinale tendente a valutare l’area verbale, quella logico-matematica e quella figurale-spaziale[5], non fece che attirare in via Sarfatti un crescente numero di candidati, secondo una progressione che raggiunse i 5.897 preiscritti nell’a.a. 1991-92 e che si svolse in quasi perfetto parallelismo con la dinamica delle iscrizioni ai corsi di laurea economici in tutto il Paese. Il gran numero di pretendenti rispetto ai relativamente pochi posti disponibili, circa 1.700, nel corso del quinquennio 1987-91, permise a un solo studente ogni tre di entrare in via Sarfatti.
Dai primi anni Ottanta, una congiuntura economica tornata finalmente favorevole accrebbe la domanda d’immatricolazioni nei corsi di laurea in Economia mentre in tutta Italia andava moltiplicandosi l’offerta di corsi universitari[6]. Fu in quella congiuntura che il presidente del Consiglio d’Amministrazione Giovanni Spadolini e il Rettore e amministratore delegato Luigi Guatri concepirono e lanciarono il piano «Bocconi 2000», la cui prima formulazione organica fu presentata e discussa in Consiglio di facoltà il 21 aprile 1989[7].
I prìncipi ispiratori del piano facevano capo all’autonomia dell’istituzione, al pluralismo culturale, all’orientamento all’eccellenza e al proposito di formare giovani provenienti da ogni regione d’Italia come anche da altri Paesi. Di fronte all’accelerazione dei mutamenti tecnologici ed economici e alla conseguente accresciuta complessità gestionale e strategica, gli autori del piano identificavano l’esigenza di una formazione al contempo generalista e specialistica dei futuri operatori economici.
A vent’anni giusti dalla riforma del 1968-69, di nuovo si giudicò indispensabile procedere a una revisione dei piani di studio e alla formulazione di nuovi curricoli che favorissero l’apertura mentale, culturale e professionale di studenti che, giunti alla laurea, nell’espletamento della professione avrebbero fatto «vivere le teorie e i modelli appresi in modo critico e originale».
In Bocconi, l’esperienza del numero programmato aveva ridotto al 25% il tasso di abbandono degli studi, contro una media nazionale del 70%, sicché gli estensori del piano affermavano con convinzione che, selezionando gli accessi in base alle motivazioni degli studenti, i laureati sarebbero cresciuti di numero pur in presenza di un calo degli iscritti. Le prove di selezione e le relative graduatorie sarebbero state separate per ogni corso di laurea. Non meno di 12 insegnamenti comuni avrebbero garantito un’omogenea formazione culturale dei diversi curricoli, ciascuno dei quali avrebbe compreso 24-26 annualità organizzate in semestri.
Il piano Bocconi 2000 prevedeva, a regime, la riforma dei tre corsi di laurea esistenti e l’avvio di altri tre corsi del tutto nuovi. La revisione del CLEA muoveva dalla convinzione che i numerosi indirizzi di specializzazione introdotti a metà degli anni ’70 tanto sul piano della ricerca scientifica, quanto su quello della didattica, avessero favorito il progresso delle singole branche e allineato la laurea in Discipline aziendali a quelle dei più prestigiosi atenei esteri. Del resto, anche i cambiamenti occorsi nell’ambiente esterno nel corso dell’ultimo ventennio esigevano interventi in quella direzione. L’impianto didattico di fondo rimaneva immutato. Orientativamente, si sarebbe proceduto a un aggiornamento degli insegnamenti aziendalistici caratterizzanti e a un riordino di quelli di specializzazione. A regime, il nuovo CLEA non avrebbe accolto più di un migliaio di matricole all’anno. Ciò significava ridurre considerevolmente il peso relativo del corso di laurea tradizionalmente più frequentato dal 1970.
La revisione del CLEP sarebbe stata orientata a permettere ai laureati di raccogliere, selezionare e interpretare le informazioni sul sistema economico entro il quale operano le imprese e a decifrare adeguatamente le istituzioni pubbliche preposte al governo del sistema stesso. La tradizionale solida base matematica e statistica avrebbe rappresentato la leva per adottare nel mondo operativo concettualizzazioni e «modelli». Fra il quarto e il quinto semestre, gli studenti avrebbero optato per uno dei sette percorsi d’indirizzo[8] o per il corso di studi libero, costruito dal singolo studente e accettato dalle autorità accademiche. La dimensione auspicata per il CLEP era ottimisticamente ipotizzata attorno ai 400-600 giovani.
La riforma più pesante riguardava il DES che anzitutto sarebbe stato normalizzato, passando da cinque a quattro anni di corso, e disciplinarmente orientato verso le scienze politiche, economiche e delle amministrazioni pubbliche, nell’intento di adeguare la formazione alle esigenze affacciatesi sulla scena economica nazionale e internazionale degli ultimi anni Ottanta[9]. L’originario intento del DES d’addestrare i giovani a saper «aprire e integrare» gli studi economici con le altre scienze sociali e a saper analizzare i fatti e le strutture secondo approcci multidisciplinari veniva arricchito dall’apprendimento degli aspetti istituzionali e organizzativi del mondo politico interno e internazionale.
In fase progettuale, furono identificati due indirizzi: uno in Scienze politiche ed economiche e l’altro in Economia e Direzione delle amministrazioni pubbliche; fu prevista un’ottimistica dimensione del corso di laurea a regime dell’ordine di 400-500 matricole l’anno quando, nel quinquennio 1984-88, la media annua dei laureati DES si era aggirata attorno a 60. In realtà, il progetto fu in parte realizzato con un nuovo corso di laurea – il CLAPI – per le resistenze di una parte del corpo docente a ristrutturare e snaturare il DES.
Il piano Bocconi 2000 disegnò anche il profilo di tre nuovi corsi di laurea. Col primo, in Economia e Diritto, s’intendevano formare dottori commercialisti e giuristi d’impresa e delle istituzioni economiche[10]. Il secondo, in Economia dei mercati e delle istituzioni finanziarie, avrebbe formato laureati adatti a gestire il rinnovato settore dei mercati finanziari e degli intermediari interni ed esteri che, proprio allora, non cessavano di crescere in complessità mentre innovavano di continuo le tipologie operative[11].
Il terzo e ultimo corso progettato ex novo era quello di Scienze statistiche, economiche e informatiche e riprendeva, arricchendola, una proposta avanzata da Francesco Brambilla negli ultimi anni Sessanta, ai tempi della prima riforma dei piani di studio. Per di più, all’epoca, nel triangolo industriale mancava del tutto un corso di laurea che coniugasse i metodi dell’analisi quantitativa applicata ai processi decisionali con la progettazione e gestione dell’informatica aziendale[12].
Il piano prospettava che, nell’insieme, le immatricolazioni passassero da 1.700 a 3.000 all’anno, sicché gli iscritti sarebbero aumentati da 10.500 a 15.000 circa[13]. Gradualmente, da 4.775 che erano nell’89, con adeguati investimenti immobiliari i posti nelle aule, nei laboratori e in biblioteca sarebbero arrivati a 10.750, con un raddoppio degli spazi totali disponibili[14].
Per primo, nel 1992, fu avviato il nuovo corso di laurea in Economia delle istituzioni e dei mercati finanziari (CLEFIN). L’anno seguente, fu la volta del corso di laurea in Economia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali (CLAPI) avviato assieme al corso di laurea in Economia e Legislazione per l’impresa (CLELI) destinato a formare commercialisti.
Nel 1999, benché avesse formato un’eletta schiera di economisti, statistici, matematici, giuristi, politologi e storici affermatisi, oltre che in via Sarfatti, anche in atenei italiani ed esteri, e benché avesse forgiato esperti d’alto livello, attivi presso primarie istituzioni pubbliche e grandi imprese nazionali e internazionali, il DES fu soppresso. Il sostituto fu un corso di laurea in Economia (CLE), che coniugava i curricoli del CLEP e del DES, al quale ci s’aspettava si sarebbero iscritti giovani animati da intenti analoghi a quelli delle leve che, tra il 1974 e il ’98, avevano scelto i nuovi corsi. La deludente risposta in fatto di preferenze per il nuovo corso di laurea negli anni 1997 e ’98 indusse le autorità accademiche a «resuscitare» il DES dal 2001-02.
Sullo scorcio finale del Novecento, durante il rettorato di Roberto Ruozi, con grande coraggio, la Bocconi avviò altri quattro corsi di laurea uno dei quali, il Degree in International Economics and Management, impartito in lingua inglese, rientrava negli àmbiti disciplinari solidamente presidiati dal 1970. Gli altri tre, viceversa, contemplavano nuove questioni e nuovi insegnamenti. Il corso di laurea in Economia dei mercati internazionali e delle nuove tecnologie (CLEMIT) sorse per trasmettere strumenti adatti all’analisi dei mercati internazionali e dei settori innovativi. Sulla tradizionale laurea in Giurisprudenza, nell’intento di formare un giurista che operasse in prevalenza per e nell’impresa, la Bocconi innestò insegnamenti di Metodi quantitativi, di Economia politica e di Economia aziendale. Da ultimo, il corso in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione propose un curricolo nel quale micro e macroeconomia, metodi quantitativi e diritto si combinassero con discipline umanistiche storiche, filosofiche e artistiche, così da integrare il sapere economico con le conoscenze generali, in vista della gestione delle istituzioni culturali.
Nell’ultimo decennio del suo primo secolo di vita, mentre l’offerta formativa andava ben oltre gli schemi progettati nel 1989, in Bocconi mutavano anche molti caratteri del mondo studentesco lungamente rimasti stabili. Anzitutto, secondo una dinamica avviatasi dal secondo dopoguerra, sull’insieme degli studenti iscritti, nei secondi anni Novanta, la percentuale di ragazze raggiunse il 45% e, fra le matricole del 2001-02, arrivò addirittura a superare il 50%[15].
Nel corso dell’ultimo decennio, il passaggio dai tre iniziali a nove corsi di laurea concorse a ridefinire sia i pesi relativi delle iscrizioni, sia quelli dei tipi di laurea. Il CLEA, che aveva fatto la parte del leone nel decennio 1978-89 con quasi 1’85% dei laureati, cominciò ad arretrare a mano a mano che giungevano a regime curricoli che, di fatto, emancipavano al ruolo di corsi di laurea i suoi maggiori indirizzi di studio.
Figura 29 Percentuali dei laureati nei diversi corsi di laurea, 1997-2001
Le preferenze degli studenti preiscrittisi in Bocconi nel quadriennio 1999-2002 per sottoporsi alla prova d’accesso esprimono bene le tendenze in atto e permettono di prevederne l’evoluzione a medio periodo.
Esse accentuano le dinamiche già chiaramente emerse dalle serie storiche delle lauree. Il ridimensionamento del CLEA, programmato col piano dell’89, prosegue. Il calo dai due terzi delle lauree a poco più dei quattro decimi di oltre 15.000 preferenze conferma che il corso di laurea che, a partire dal 1970, fu dominante, ultimamente perde terreno a vantaggio specialmente dei due ultimi nati: CLEACC e CLG che, assieme, si accaparrano il 30% di tutte le intenzioni. A parte il CLEFIN, gli altri tre rimanenti si rivelano corsi di laurea di nicchia, che contribuiscono ad ampliare la gamma di curricoli «aziendali» oggi proposti dalla Bocconi.
Figura 30 Percentuali delle preferenze nella scelta del corso di laurea al momento della preiscrizione per la prova d’accesso, 1999-2002
Trasformazioni non meno rilevanti, negli ultimi tre lustri, concernono anche le aree geografiche di provenienza degli studenti di via Sarfatti.
Come si ricorderà[16], nel corso degli anni Settanta e Ottanta la percentuale di studenti milanesi si era rafforzata portandosi ben oltre il 50%. Era di poco calata la quota dei giovani provenienti dal Nord-ovest, mantenutisi comunque oltre il 25%, era rimasta stabile la percentuale degli studenti originari del Centro-Meridione evoluto e dei Paesi esteri ed erano viceversa diminuiti quelli provenienti dal Nord-est e dal Centro-Meridione arretrato. Dall’84 in avanti, la presenza di milanesi è andata costantemente calando sino al livello del 30%. Assai più stabili risultano le presenze di studenti originari delle regioni del Nord-ovest (25% circa) e di quelle del Nord-est (7-8%).
Figura 31 Aree di provenienza degli studenti, 1984-1999
Nell’insieme, dunque, alla fine del XX secolo, i due terzi degli iscritti provenivano dal Nord Italia. Il terzo rimanente era rappresentato da soggetti originari delle regioni del Centro-Meridione evoluto, in notevole espansione, da quelli del Centro-Meridione arretrato, in lieve crescita, e da stranieri. Sembra di poter dire che la diversificazione dell’offerta formativa ha contribuito a sprovincializzare la Bocconi e ad attirare un crescente numero di stranieri.
Da ultimo, anche i titoli di studio esibiti dai giovani approdati in via Sarfatti sul finire del XX secolo hanno subìto una decisa polarizzazione, giacché i liceali sono arrivati a sfiorare i tre quarti degli iscritti[17] mentre il diploma di ragioniere, che per decenni era stato il titolo di studio più diffuso, è ormai ridotto al ruolo di comprimario. Ultimamente, tutti gli altri generi di diploma, compresi quelli conseguiti in scuole estere, nell’insieme, rappresentano solo il 10%.
Figura 32 Titoli di studio presentati dagli studenti all’immatricolazione
La più recente inchiesta condotta dalla Bocconi[18] sui destini dei suoi laureati a circa due anni dalla data in cui si addottorarono mostra con efficacia il ventaglio di attività esercitate da circa 1.600 giovani, professionalmente inseriti in piccole (34%), medie (34%) e grandi imprese (32%)[19].
Una prima aggregazione delle informazioni, secondo lo schema adottato nella Figura 19 relativamente a laureati attivi nel 1956, permette di operare istruttivi confronti.
Figura 33 Settori economici di attività dei laureati nell’anno accademico 1998-99 a due anni dalla laurea
Anzitutto, i pesi relativi nei settori primario e secondario risultano praticamente identici a quelli emersi per gli anni del miracolo economico (1956). Addirittura accresciuto risulta il peso del dominante settore terziario con 1’85% di addetti, contro il 49% di quarant’anni prima[20]. A parte l’ovvia assenza di docenti universitari, l’unica notevole differenza riguarda i commercialisti, la cui percentuale, dal 31% degli anni Cinquanta, appare consistentemente ridimensionata (9%) e, tuttavia, sembra comunque alta dato che, com’è ben noto, gli inizi della carriera di commercialista non sono né facili, né rapidi.
Figura 34 Comparti d’attività nel settore terziario dei laureati nel 1998-99, a due anni dalla laurea (85% = 100)
Conviene ora considerare l’articolazione, per comparti, degli addetti al terziario (85%) perché mette in evidenza consolidate polarità e nicchie, ma rivela anche nuovi àmbiti legati al recente processo d’informatizzazione delle tradizionali funzioni di servizio e all’avvento di nuove professioni. Come già in passato, sbocchi prevalenti sono credito, finanza e assicurazioni (36%), da un lato, e i servizi dall’altro, compresa la libera professione (27 + 11 = 38%). Al commercio (15%) spetta una quota tripla rispetto alla new economy (5%), in momentanea stasi, e ai trasporti e comunicazioni (5%). Da ultimo, è confermata la minima (1%) percentuale di bocconiani che entrano a far parte della pubblica amministrazione.
In conclusione, l’inchiesta più recente sui destini dei dottori di via Sarfatti conferma tendenze e stili profilatisi lungo i primi cinquant’anni di vita dell’Ateneo commerciale e proseguiti, senza apprezzabili mutamenti, fino alla metà degli anni Novanta. Di là dalle riforme dei piani di studio, l’identità culturale dei bocconiani è rimasta largamente immutata, sicché essi hanno continuato a svolgere funzioni analoghe entro un mondo economico nazionale che, in un secolo, ha sperimentato almeno tre fasi storiche di strutturale mutamento: la prima, all’insegna della modernizzazione e della crescita commerciale (1895-1914), si chiuse drammaticamente con lo scoppio della Grande Guerra; la seconda coincise con l’industrializzazione del Paese compiutasi fra il 1952 e il ’72; la terza, e più recente, fu data dal superamento del modo fordista di produrre la ricchezza; superamento profilatosi a partire dai primi anni Ottanta con l’informatizzazione delle filiere produttive, il consolidamento dei distretti industriali e la prepotente emersione del terziario avanzato.
Fedele alla propria missione originaria, la Bocconi ha continuato a coniugare le teorie macro e microeconomiche con prassi soggette a costante mutazione in un Paese uscito tardivamente, e a fatica, dall’arretratezza. Il recente avvio di corsi di laurea i cui statuti disciplinari in parte si discostano dai tradizionali curricoli bocconiani rappresenta una coraggiosa sfida che, nel riportare le scienze economiche nell’alveo delle discipline umanistiche e sociali, consegna ai manager di domani un difficile ruolo di mediazione culturale.
↑ 1
1.016.120; cfr. Istat, Compendio statistico italiano, 1969, p. 29.
↑ 2
Solo negli anni 1969 e ’71 le nascite superarono, seppur di poco, quelle dell’anno immediatamente precedente. Cfr. Istat, Compendio statistico italiano, 1974, p. 45.
↑ 3
Istat, Compendio statistico italiano, 1990, p. 49.
↑ 4
526.064; cfr. Istat, Annuari statistici della popolazione italiana, Roma 1998, p. 31.
↑ 5
Il test si propose di valutare le seguenti capacità: esprimere con chiarezza e precisione il proprio pensiero attraverso l’utilizzo della logica induttiva, deduttiva e formale; trattare adeguatamente le informazioni; usare correttamente numeri e simboli, operare nella logica matematica con rapidità e precisione; cogliere le relazioni rappresentate con figure; avere un buon livello di attenzione e di vigilanza; disporre di elevate capacità di apprendimento; saper trattare le informazioni e avere attitudine all’uso di tecnologie informatiche; essere capaci di cogliere criticamente un problema; disporre di attitudine e motivazione (non conoscenza) per gli studi economico-giuridici. Dal 1995, è stato aggiunto un questionario motivazionale tendente ad accertare quali attese stimolino studenti diplomati nei differenti generi di scuole superiori, e originari di regioni e Paesi diversi, a presentare domanda d’immatricolazione in Bocconi. Cfr. M. Cesa-Bianchi, C. Di Naro, M. Poli, G. Candrini, S. Fiorelli, A. Piazzini, Le prove di selezione per l’ammissione all’università: l’esperienza della Bocconi, Milano 2001.
↑ 6
Nel 1989, la percentuale italiana di laureati del gruppo economico era di poco più della metà rispetto alla media dei Paesi dell’Europa occidentale; cfr. ASUB. Sezione in riordino. Università L. Bocconi Piano 1990-2000, aprile 1989, III, p. 14.
↑ 7
Ibidem, passim.
↑ 8
I sette indirizzi erano i seguenti: 1) Economia generale e dell’impresa; 2) Teoria e Analisi economica; 3) Economia internazionale; 4) Economia monetaria e finanziaria; 5) Economia del lavoro; 6) Economia pubblica; 7) Statistica e Ricerca operativa; cfr. ASUB. Sezione in riordino. Università L. Bocconi Piano 1990-2000, aprile 1989, III, pp. 51-52.
↑ 9
Ibidem, passim.
↑ 10
Ibidem, pp. 59-63. Anche per questo corso, le dimensioni a regime prevedevano 400-500 matricole l’anno.
↑ 11
Ibidem, pp. 64-67. La dimensione prevista era di 400 matricole all’anno.
↑ 12
Ibidem, pp. 68-71. La dimensione congetturata era di 200-300 matricole. L’attivazione era rimandata all’anno accademico 1993-94.
↑ 13
Ibidem, p. 113.
↑ 14
Ibidem.
↑ 15
La Bocconi oggi, Milano 2002, p. 17.
↑ 16
Si veda la Figura 25 (§ 5.12).
↑ 17
I dati di base per i computi sono stati tratti da La Bocconi oggi, cit., p. 18, e dal documento interno distribuito ai direttori d’istituto in occasione della riunione dell’11 settembre 2002.
↑ 18
In collaborazione con Eurisko, cfr. Placement report 2001, aziende, laureati, università, Milano 2002. L’inchiesta, fra l’altro, conferma che in meno di tre mesi i nostri laureati trovano impiego.
↑ 19
Ibidem, p. 11.
↑ 20
Cfr. la Figura 19 (§ 5.9).
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Prefazione
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Il ritorno alla normalità: gli anni del rettorato di Giovanni Demaria (1945-1952)
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Il lungo rettorato di Armando Sapori (1952-1967)
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Gli anni difficili: il rettorato di Giordano Dell’Amore
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Ridestare un quarto di secolo di storia bocconiana (1945-1968)
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Gli studenti e la loro Università (1945-2001)