Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Gli studenti della guerra e della ricostruzione


Parole chiave: Rettore Demaria Giovanni

Non pochi fra gli iscritti alle università italiane – in grande maggioranza maschi fino ai primi anni ’80 del Novecento[1] – quando «sotto le armi» si passavano diciotto mesi, e non era ancora possibile optare per un servizio civile alternativo, rinnovavano annualmente l’iscrizione al solo fine di rimandare a dopo il compimento del ventiseiesimo anno d’età l’assolvimento dell’obbligo militare. La regola da osservare per continuare a ottenere il rinvio consisteva nel sostenere con successo almeno un esame per ogni anno accademico. Quest’uso, ben radicato nelle abitudini dei giovani maschi italiani che avevano conseguito una qualsiasi licenza di scuola superiore, si accentuò a partire dall’autunno del 1940[2], dopo che, nel giugno di quell’anno, l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania[3].

Di fatto, l’impennata delle iscrizioni alle facoltà universitarie dal 1940 al 1944, che portò al raddoppio, e oltre, del numero di studenti in corso rispetto alla media del triennio 1936-39, anzitutto si spiega col tentativo di evitare la chiamata alle armi, specie nel biennio 1940-41, quando prevaleva la convinzione che il conflitto sarebbe stato intenso, ma breve, e che l’Italia non avrebbe tratto che vantaggi dall’alleanza con la Germania.

Nel caso della Bocconi, il visibile aumento delle immatricolazioni negli anni della seconda guerra mondiale, fino al 1945, è in linea con – e, addirittura, sopravanza – il generale andamento delle iscrizioni nelle università italiane di quel periodo. Il lieve ripiegamento dell’autunno del 1943 sembra riconducibile al disorientamento causato dalla firma dell’armistizio con gli Alleati e dalla fondazione della Repubblica Sociale di Salò, per non dire degli sfollamenti dai centri urbani e della condizione di renitenti alla leva e di «imboscati» di molti giovani chiamati alle armi o richiamati, come ex combattenti, in quanto residenti entro i confini della Repubblica Sociale.

Nel caso dell’ateneo milanese, un non trascurabile incentivo provenne anche dal vero e proprio crollo dell’ammontare delle tasse universitarie che, dalle 1.875 lire di allora – equivalenti a 680 € – corrisposte dagli iscritti fino all’anno accademico 1943-44, a parità di potere d’acquisto, in una fase d’inflazione galoppante, scesero a poco meno di un quinto (132 €) per disposizione del Comando alleato nel 1944-45, per poi risalire lentamente, a cominciare dal 1945-46 (151 €), fino a riportarsi attorno a 600 € a dieci anni dal crollo[4].

 

Tabella 2 Numeri indici delle immatricolazioni nelle università italiane e nell’Università Bocconi (1940-46)[5]

Anni accademici

Indici di tutti gli iscritti

 

Indici degli iscritti in Bocconi

% bocconiani su tutti gli iscritti

1936-38

base 100

 

base 100

1,43

1940-41

170

<

190

1.60

1941-42

195

<

254

1,86

1942-43

226

<

317

2,02

1943-44

211

<

205

1,39

1944-45

229

<

225

1,41

1945-46

254

<

283

1.60

1946-47

241

<

268

1,46

 

Nei primi tre anni di guerra, dal giugno del ’40 al settembre del ’43, gli studenti della Bocconi aumentarono secondo ritmi nettamente superiori a quelli della compagine universitaria nazionale; e ciò, nonostante Milano non cessasse di perdere abitanti[6]. Fra le altre, una spiegazione convincente dell’aumento d’iscrizioni sembra riconducibile al fatto che si trattava dell’unico corso di laurea al quale potevano accedere geometri, ragionieri e periti tecnici di varie specialità per ritardare la chiamata alle armi.

Dal ’43 all’inizio dell’anno accademico 1946-47, gl’indici computati sugli iscritti in corso marciano in parallelo rispetto a quelli dell’intera popolazione universitaria italiana[7]. Per di più, nell’autunno del ’46, quando la difficile congiuntura bellica era ormai superata[8], la percentuale di studenti in corso nell’Università commerciale rispetto all’intera popolazione universitaria italiana era tornata alla quota proporzionale (1,46%) di dieci anni prima (1,43%).

A questo punto, conviene chiedersi quanti dei 5.867 studenti – esattamente cento in più rispetto a quelli approdati in Bocconi nell’arco dell’intero ventennio 1919-39 – immatricolatisi nei cinque anni della guerra riuscirono nel non facile intento d’ottenere la laurea. Per cominciare, è il caso di misurare gli iscritti al terzo anno di corso perché, in Bocconi, analogamente ai corsi di laurea in Ingegneria, quell’iscrizione era condizionata al superamento degli esami del primo biennio, nel quale si concentravano gl’insegnamenti istituzionali, formativi della cultura economica e giuridica generale[9].

La percentuale di matricole che, fra il 1940 e il 1944 – gli anni di guerra – riuscirono ad approdare al terzo anno rappresenta un vero e proprio indice di tenuta. Ebbene, nell’insieme solo 2.514 giovani riuscirono a «sbiennare», come a dire poco più di quattro su dieci (42,8%), contro i cinque su dieci (50,3%) del ventennio 1919-39[10]. La percentuale di iscritti che giunsero a conseguire la laurea rappresenta un ancora più significativo indice di successo. Quest’ultimo è stato computato considerando la media della durata degli studi dei giovani e delle rarissime ragazze[11] che in quegli anni completarono il loro curricolo: un tempo compresa fra i sei e i sette anni dall’epoca dell’immatricolazione. Si tratta di un periodo relativamente lungo, che si spiega con la lontananza dovuta alla guerra, con lo sfollamento dalla città[12], con la clandestinità per quanti parteciparono alla Resistenza, nonché con la diffusa condizione di studenti lavoratori. Insomma, in quegli anni particolarmente difficili meno di una matricola su dieci (il 9,4%) coronò con la laurea un non facile, né agevole, curricolo di studi. Si trattava di un indice di successo davvero ridottissimo e, comunque, addirittura inferiore alla terza parte di quello calcolato per gli studenti del ventennio 1919-39, risultato pari al 31,7%[13].

Dall’estate del 1945, le autorità accademiche, coadiuvate da quelle politico-amministrative, intrapresero la difficile opera di ripristino di una normale vita universitaria a cominciare dall’eliminazione dei trattamenti di favore ch’erano stati adottati dalla Repubblica Sociale. Il Commissario Regionale per l’educazione dispose: «Gli studenti, figli di richiamati alle armi già appartenenti all’esercito e alle altre formazioni della Repubblica sociale italiana ovvero appartenenti ai reparti dell’esercito germanico debbono corrispondere, con decorrenza dagli anni 1943-44 e 1944-45 tutte le tasse, la soprattassa e i contributi scolastici, […] ai fini della continuazione degli studi, dell’ammissione agli esami, del rilascio di certificati, ecc.»[14].

Nell’imminenza degli esami estivi del 1945, a conferma del mutato clima politico, una circolare ministeriale dispose che «[…] tutti gli studenti già appartenenti alle Brigate Nere, alla Legione “Muti”, alle Formazioni delle SS, alla X Mass e alle altre Organizzazioni Fasciste del tipo Squadrista, siano esclusi da tutti gli esami della sessione estiva del corrente anno»[15].

Per contro, nell’intento di favorire quanti, avendo «partecipato a formazioni partigiane o comunque per legittime cause (deportazioni, internamento, prigionia di guerra, renitenza a chiamate in servizio militare o del lavoro e simili)», non si erano iscritti ai corsi e non avevano frequentato le relative lezioni, il pro Rettore Demaria – come le autorità accademiche del Politecnico e della Statale – dispose che, fra settembre e dicembre del 1945, si tenessero corsi accelerati di alcune materie fondamentali[16]. Una sessione speciale di esami[17] sarebbe stata riservata ai frequentanti di quei corsi. Analogamente, per accelerare il progresso dei curricoli, all’inizio del ’46, il ministero autorizzò i Consigli di facoltà ad «ammettere all’appello straordinario di febbraio (di norma riservato ai fuori corso) tutti gli studenti indistintamente»[18].

Nel gennaio di quell’anno, mentre annunciava la ripresa delle lezioni per il giorno 24, Demaria ricordava «ai giovani l’obbligo della frequenza» e avvertiva: «Coloro per i quali non risulterà un numero minimo di presenze da fissarsi dai singoli professori perderanno il diritto di essere ammessi a sostenere esami nella sessione estiva p.v.»[19]. Si trattava del primo solenne richiamo al rispetto delle regole didattiche da molti anni sospese. L’abitudine consolidata di disertare le lezioni e di recarsi in università solo per sostenere gli esami era dura da vincere. A un mese di distanza dall’invito del Rettore, con un apposito avviso[20], Palazzina ricordava agli assenteisti che quanti, «senza impedimenti legittimi», non erano in grado di provare un minimo di presenze rischiavano l’esclusione dagli esami della sessione. Il segretario generale invitava gli studenti ad «apporre le firme sugli appelli che verranno fatti saltuariamente dai singoli insegnanti» e chiariva che, tenuta nota delle firme, «avanti ogni sessione d’esami, la Segreteria comunicherà agli insegnanti esaminatori l’elenco degli studenti la cui presenza in classe è stata accertata a mezzo degli appelli»[21]. Al pro Rettore, infine, era demandato il compito di giudicare della legittimità delle dichiarazioni e delle prove che gli studenti impossibilitati a frequentare avrebbero dovuto presentare per iscritto[22].

Nel febbraio del 1948, la preoccupante bassa frequenza alle lezioni indusse il Rettore a indirizzare un messaggio a «tutti gli studenti dell’Università Bocconi»[23]. Dopo aver richiamato l’attenzione sui vantaggi che avrebbero ottenuto frequentando assiduamente le lezioni, i seminari e le esercitazioni, Demaria faceva appello allo spirito di appartenenza e all’orgoglio di gruppo affermando: «Se la Bocconi è quello che è, se i bocconiani hanno ottenuto in tutti i campi – dai commerci alle amministrazioni pubbliche, dalle attività professionali ai rapporti con l’estero e all’estero – quel successo di stima e di posizione economica e sociale, universalmente conosciuto, è perché essi, pur sopportando sacrifici non sempre lievi, hanno sperimentato da se stessi che il disertare anche menomamente le grandi possibilità di studio offerte dall’attrezzatura accademica e scientifica della Bocconi, avrebbe recato loro conseguenze dannose estremamente gravi»[24].

Pur tenendo conto di attenuanti quali il difficile «periodo di dopo guerra» e le «molte situazioni familiari che non consentono una frequenza regolare spinta al massimo»[25], come misura adeguata alle circostanze il Rettore auspicava una via intermedia fra assenteismo e massima frequenza. Dopo aver ricordato, di passaggio, che le regole vigenti in Italia imponevano l’obbligo di frequentare le lezioni, Demaria avvertiva che Consigli dei docenti, Rettorato e Consiglio d’Amministrazione intendevano «che si ritorn[asse] al più presto alla frequenza normale»[26] e che, nei casi gravi, l’Università avrebbe «chiamate le famiglie per invitarle a sconsigliare direttamente i giovani a continuare studi per i quali non [erano] in grado di compiere il necessario tirocinio di lavoro Universitario»[27]. Oltre alla non ammissione agli esami della sessione estiva, già reiteratamente minacciata a partire dal 1946, per i «casi estremi e in alcun modo giustificati» il Rettore prevedeva l’annullamento «della iscrizione al presente anno accademico»[28].

Nell’appello di Demaria risalta la consapevolezza dell’eccellenza del processo formativo bocconiano per quanti si avvalevano – pur con sacrificio – delle grandi possibilità di studio offerte dall’attrezzatura accademica e scientifica dell’Ateneo, emerge l’esigenza di un tirocinio formativo per ogni studente, ma traspare anche la convinzione che fra gli iscritti non mancassero giovani inadeguati sia all’impegno preteso, sia al genere di studi intrapreso.

In ogni caso, la campagna di invito a frequentare non ebbe lo sperato successo se, nell’autunno del 1950, quando ormai le difficoltà del dopoguerra erano ampiamente superate e il tenore di vita delle famiglie era nettamente migliorato, nell’annunciare la data d’inizio dei corsi, G. Palazzina avvisava che «a norma dell’art. 8 del R.D. 4 giugno 1938 n. 1269 per la validità del corso è necessario aver ottenuto almeno tre firme di frequenza»[29]. La Bocconi si adattava, dunque, al rispetto da parte degli studenti della presenza minima prevista dalla legge. In realtà, il più efficace fattore di stimolo a frequentare assiduamente le lezioni era dato dal fatto che i frequentanti superavano con meno incidenti gli esami più difficili e che, a parità di preparazione, riportavano voti più alti.

Laddove, come in tema di organizzazione didattica, la Bocconi poteva stabilire norme proprie, essa esigeva dagli studenti adempimenti assai impegnativi e selettivi. A parte lo svolgimento di corsi comunemente considerati molto difficili sia per gli argomenti che vi venivano trattati, sia per le basse percentuali di successi all’esame[30], la scelta dell’argomento della tesi di laurea e di due tesine orali, per esempio, era minutamente regolamentata[31]. Dopo una parziale sospensione negli anni di guerra e nell’immediato dopoguerra, pienamente ripristinata dal 1° gennaio 1947, la norma prevedeva che gli studenti scegliessero il tema per la tesi entro il mese di febbraio dell’anno che precedeva «quello in cui si intende sostenere l’esame di laurea»[32]. Gli argomenti delle due tesi orali andavano scelti a febbraio nel caso si prevedesse di discutere la tesi a giugno ed entro maggio per quei laureandi che avrebbero concluso gli studi in autunno.

In relazione alla scelta dei temi, le materie d’insegnamento erano riunite in tre gruppi: discipline economiche, discipline giuridiche e discipline aziendali. Ogni gruppo, a sua volta, si componeva d’insegnamenti fondamentali e complementari[33]. Gli argomenti andavano scelti in modo che «ognuno dei tre gruppi di materie fosse rappresentato»[34] e che il tema di una tesina fosse di carattere teorico e quello dell’altra applicativo. Gli argomenti affrontati nei tre elaborati non potevano «presentare alcuna analogia nella materia esposta per evitare duplicati nella dissertazione». Era infine prescritto che le tesine fossero formulate e svolte in modo interrogativo o dubitativo[35]. Concordati gli argomenti della tesi e delle tesine con i relatori, gli studenti avrebbero dovuto depositare presso l’Istituto di Economia – diretto dal Rettore – i relativi moduli perché se ne verificasse la conformità alle disposizioni. Le regole circa la redazione della tesi e la preparazione delle due tesine orali esplicitavano l’opzione scientifica di fondo: i tre gruppi disciplinari avevano la medesima dignità; l’insegnamento ambiva a trasmettere una preparazione di largo spettro che integrasse le discipline e rifuggisse da specialismi.

Nell’anno 1946, per molti versi il più ricco di misure prese per riportare la vita universitaria nell’alveo della norma e della tradizione, col convinto appoggio del Consiglio d’Amministrazione e dei colleghi docenti, Demaria avviò anche la istituzione di un corso di laurea in Lingue e Letterature straniere. Come mostra Marzio A. Romani in altre pagine di questo volume, all’origine dell’iniziativa c’erano alcuni corsi paralleli organizzati in Bocconi, fin dal 1944, a beneficio di quegli studenti milanesi e lombardi iscritti alla facoltà di Lingue di Ca’ Foscari, che l’emergenza bellica teneva lontani da Venezia.

Il graduale ritorno alla normalità dei mezzi di trasporto pubblico, nel tardo ’45 e nei primi mesi del ’46[36], quando l’esperienza poteva dirsi conclusa, indusse studenti e istituzioni educative milanesi[37] a sollecitare la Bocconi a emanciparsi e a mettersi in proprio. Il prestigio della facoltà di Economia e Commercio era generalmente considerato garanzia più che sufficiente per le prospettive di un corso di Lingue moderne attivato dall’Università milanese in una città che intratteneva legami commerciali e industriali con l’estero di un’intensità senza eguali nel Paese. «Che la nuova Sezione (di Lingue) rispondesse veramente ai bisogni di Milano e della Lombardia è luminosamente provato dal fatto che nel 1946-47 vi si iscrissero 1.756 allievi[38], mentre all’inizio del 1947-48 ascendono già a 1.475 e sono in corso numerose domande d’iscrizione da parte di giovani che hanno chiesto il congedo da altri istituti»[39]. Così Palazzina, in un rendiconto sintetico del primo anno di attività, all’inizio del ’48 rimarcava il successo del nuovo corso di laurea che, in breve, avrebbe gareggiato per iscritti e laureati con quello ben più sperimentato di Economia e Commercio[40].


1

Nel 1940, nelle università italiane le studentesse rappresentavano il 20,5%. Nel 1945 arrivarono al 24,2%. Nulla di simile era avvenuto fra l’inizio e la fine della prima guerra mondiale, quando la percentuale di iscritte era rimasta invariata, poco al di sotto del 18%. Il sostenuto incremento del ’45 sembra riconducibile, da un lato, al clima democratico in rapida affermazione nella vita sociale e culturale del Paese e, dall’altro, ai duraturi effetti dell’impegno politico di molte giovani donne della piccola e media borghesia che, avendo preso parte in vario modo alla Resistenza, si sentivano socialmente emancipate. Cfr. A. Cammelli, A. Di Francia, Studenti, università, professioni: 1861-1993, in M. Malatesta (a cura di), I professionisti, Storia d’Italia Einaudi, Annali 10, Tabella 2. p. 21.

2

Tra gli studenti bocconiani che non si sottrassero al servizio delle armi e combatterono, 63 persero la vita. L’elenco dei caduti è riportato da T. Bagiotti, Storia dell’Università Bocconi 1902-1952, Milano 1952, pp. 275-77.

3

Peraltro, anche in tempo di pace, per un giovane arruolato la condizione di studente universitario o di laureato offriva non pochi vantaggi, non ultimo quello di essere ammesso a un corso per ufficiali di complemento che gli avrebbe attribuito un grado, un adeguato salario e la possibilità d’intraprendere la carriera militare senza passare per l’Accademia. Nell’Archivio della Bocconi non mancano documenti delle autorità militari che richiedono attestati della condizione di studente universitario o che concedono speciali licenze per permettere alle reclute di sostenere esami o discutere la tesi di laurea. Cfr. ASUB. B. 3 (1-4), Autorità Militare.

4

Cfr. la tavola sinottica delle tasse universitarie redatta da G. Palazzina alla p. 311 del Diario conservato in ASUB. Deflazionate le cifre ed equiparato a 100 l’importo globale dovuto nel 1942-43, l’indice scese a 19,4 nel ’44-45; risalì a 22,1 nel ’45-46; a 27,3 nel ’46-47; a 41 nel ’47-48; a 42,3 nel ’48-49; a 57,2 nel ’49-50; ripiegò a 56,2 nel ’50-51; sali a 70,2 nel ’51-52; a 79,2 nel ’52-53 e, finalmente, a 85,4 nel 1953-54.

5

Per la Bocconi, i dati sono tratti da T. Bagiotti, op. cit., p. 253; per l’intera università cfr. Istat, Annuario statistico dell’istruzione, annate varie.

6

Nel ’44 scese a 700.000 abitanti secondo M. Tesoro, Spirito pubblico, ideologie e partiti politici: verso il conflitto e nei primi anni repubblicani; in Storia di Milano, il Novecento, XVIII***, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Milano 1996, p. 689.

7

Dinamiche del tutto analoghe contraddistinsero le iscrizioni nella facoltà di Bari, cfr. A. Di Vittorio, Cultura e Mezzogiorno. La facoltà di Economia e Commercio di Bari, Bari 1987, Tab. 18, p. 148, e in quella di Genova, cfr. P. Massa Piergiovanni (a cura di), Dalla Scuola Superiore di Commercio alla facoltà di Economia, Genova 1992, p. 339.

8

Il 14 settembre 1946, il ministro della Pubblica istruzione G. Gonella revocò le «disposizioni eccezionali in materia di frequenze e di esami» che avevano autorizzato «gli studenti a frequentare lezioni e dare esami fuori della propria sede universitaria. […] Dallo stesso anno accademico (1946-47) nessun anno di corso sarà valido se lo studente non si sia iscritto almeno in tre insegnamenti nel proprio corso di studi o non ne abbia ottenuto l’attestazione di frequenza giusta l’articolo 8 del Regolamento 4 giugno 1938, n. 1269». Cfr. ASUB. Avvisi Economia e Commercio.

9

Sulla regola di accedere al terzo anno solo a condizione di aver superato gli esami del primo biennio dr. M. Cattini, Gli studenti e la loro università nei trent’anni da una guerra all’altra (1915-1944), in M. Cattini, E. Decleva, A. De Maddalena, M.A. Romani, Storia di una libera Università, cit., p. 558. Oltre all’ostacolo dello sbiennamento, vigeva una severa quanto complessa regola relativa alle propedeuticità: «Sono da considerarsi insegnamenti propedeutici: l’Economia politica e la Statistica rispetto alla Scienza delle finanze e diritto finanziario, alla Politica economica e finanziaria, all’Economia e politica agraria, all’Economia dei trasporti e all’Economia e finanza delle imprese di assicurazione; la Ragioneria generale e applicata (1° anno) rispetto alla Tecnica bancaria e professionale, alla Tecnica industriale e commerciale, alla Tecnica del commercio internazionale; le Istituzioni di diritto privato e di diritto pubblico rispetto al Diritto commerciale, al Diritto industriale, al Diritto internazionale, al Diritto del lavoro, al Diritto processuale civile, al Diritto amministrativo; l’Economia politica rispetto al Diritto del lavoro; le Istituzioni di diritto pubblico rispetto alla Scienza delle finanze e diritto finanziario; la Scienza delle finanze e diritto finanziario rispetto alla Politica economica e finanziaria; la Tecnica industriale e commerciale rispetto alla Tecnica del commercio internazionale; la Matematica generale rispetto alla Matematica finanziaria». Cfr. ASUB. Avvisi Economia e Commercio. 14 aprile 1951.

10

Furono 2.901 su 5.767, secondo la tabella 1 pubblicata a p. 253 da T. Bagiotti, op. cit.

11

Sui 551 laureati, solo 26 erano femmine per una percentuale del 4,7%. Cfr. Annuario dei Laureati 1906-1999, Università Bocconi, Servizio orientamento professionale e placement, Milano 2000.

12

«Gli studenti sfollati dalle città sedi dei loro atenei che per ragioni inerenti alla situazione bellica non erano in condizioni di produrre la documentazione occorrente per l’iscrizione potevano ottenerla sulla base di un atto notorio» a norma di una circolare ministeriale dell’8 novembre 1943. Cfr. ASUB. Diario, cit., p. 289. Dalle carte di Palazzina si evince che, in tempo di guerra, non pochi studenti avevano seguito corsi, sostenuto esami e discusso la tesi di laurea lontano dalla Bocconi. Cfr. Ibidem. Nel settembre del ’46, quando ancora molte posizioni erano in corso di regolarizzazione, il pro Rettore Demaria denunciò al procuratore della Repubblica del Tribunale penale di Milano tale Sergio Carraro (nato a Milano nel dicembre del ’24) che, nel novembre del ’44, aveva presentato domanda d’iscrizione esibendo, in luogo del diploma di ragioniere, un atto notorio, ricevuto dal notaio A. Giuliani di Milano, «in cui si dichiarava che il Signor Carraro Sergio si era diplomato Ragioniere e Perito commerciale, nei giorni dal 2 all’8 giugno 1943, presso il R. Istituto Tecnico Commerciale a Indirizzo Amministrativo “Mario Pagano” di Napoli». Iscritto al I anno sub conditione, a norma delle disposizioni emanate dal ministero competente, appena ristabilite le comunicazioni con l’Italia del Sud, la segreteria della Bocconi il 14 maggio 1946 richiese al preside dell’Istituto «M. Pagano» conferma dell’avvenuto rilascio del diploma. Questi, «con lettera riservatissima in data 24 maggio n. 265 rispondeva: che il giovane Carraro Sergio […] non risulta fra gli alunni di questo Istituto, né partecipò in qualità di candidato privatista agli esami di abilitazione tecnica della sessione estiva 1942-43, né ad altri esami». Cfr. ASUB. B. 11. Provvedimenti disciplinari.

13

Dei 5.767 iscritti al primo anno fra 1919 e 1939 se ne laurearono 1.829, pari al 31,7%.

14

ASUB. Avvisi Economia e Commercio. 23 giugno 1945. L’avviso fu iterato il 12 dicembre di quello stesso anno nell’imminenza della chiusura delle iscrizioni, cfr. Ibidem. Il 7 gennaio 1946, la segreteria comunicava che il ministero Assistenza postbellica aveva disposto «il pagamento di tasse e sopra tasse e contributi arretrati per conto di studenti universitari che abbiano determinati requisiti». In pratica, si costruiva un dossier per ogni richiedente in base al quale: «Gli uffici provinciali vaglieranno le richieste con la dovuta serietà, soprattutto per quanto riguarda le condizioni economiche e l’appartenenza alle categorie assistite naturalmente tenendo nell’opportuna considerazione il profitto dello studio e provvederanno direttamente a versare alle rispettive università gli importi accertati per i quali è stato deliberato il pagamento» (Ibidem). Posto che le domande andavano presentate agli uffici provinciali di residenza, era un modo efficace per schedare i richiedenti e per premiarli o penalizzarli.

15

Ibidem, p. 96 (senza data). La disposizione fu emessa dal ministero della Pubblica istruzione d’intesa con la Divisione Educazione della Lombardia del governo alleato. Un altro segnale del mutamento in atto traspare dall’avviso col quale il segretario Palazzina indiceva la sessione autunnale d’esami del ’45. Nel ricordare ai fuori corso che dovevano sostenere gli esami sui programmi svolti nell’anno in cui erano iscritti, affermava: «Deve tuttavia ammettersi per ovvie ragioni che negli esami venenti su discipline il cui contenuto abbia subìto, da allora, sostanziali modificazioni (come ad esempio Istituzioni di diritto pubblico, Diritto commerciale, Geografia ecc.) la Commissione esaminatrice potrà estendere le proprie interrogazioni agli sviluppi recenti e più importanti della materia oggetto della prova d’esame, in modo da accertare che l’esaminando abbia aggiornato la sua preparazione». Cfr. Ibidem (senza data).

16

Ibidem, 28 giugno 1945.

17

In due appelli: l’uno a dicembre, l’altro a gennaio 1946, cfr. Ibidem.

18

Ibidem, 1° novembre 1945.

19

Ibidem, p. 105.

20

Ibidem, 22 febbraio 1946, p. 106. Fra marzo e giugno di quell’anno gli studenti posero al corpo docente e al Consiglio di Amministrazione questioni di grande peso politico e organizzativo che M.A. Romani documenta nel suo saggio, alle note 33 e 34 del primo capitolo.

21

Ibidem.

22

Ibidem.

23

Ibidem, 4 febbraio 1948, p. 140.

24

Ibidem.

25

Ibidem.

26

Ibidem.

27

Ibidem.

28

Ibidem.

29

Ibidem, 24 ottobre 1950.

30

Gli esami più impegnativi si concentravano nel primo biennio. In ordine decrescente di difficoltà, misurata con le percentuali di insuccessi, erano Ragioneria generale I e II, Statistica, Matematica generale, Economia politica I e II, con bocciature che oscillavano fra il 49,5 e il 20,3% dei candidati. Cfr. M. Cattini, Gli studenti, cit., p. 560.

31

Ibidem; il 20 luglio 1946, nel comunicare le date entro le quali si dovevano presentare le domande per sostenere gli esami autunnali, Palazzina fissava al 15 settembre la scadenza per la presentazione della domanda per l’esame di laurea.

32

Ibidem, 30 dicembre 1946.

33

Il primo gruppo, economico, era composto da: Economia politica, Economia e Politica finanziaria, Matematica generale e finanziaria, Statistica, Scienza delle finanze, Storia economica, Economia e Politica agraria; e dagli insegnamenti complementari di: Demografia, Economia dei trasporti, Economia e Finanza delle imprese assicurative. Il secondo gruppo comprendeva le discipline giuridiche: Diritto commerciale, Diritto del lavoro, Diritto finanziario, Tecnica professionale, Diritto privato, Diritto pubblico; e gli insegnamenti complementari: Diritto industriale, Diritto internazionale, Diritto amministrativo, Diritto processuale civile, Legislazione bancaria. Nel terzo gruppo rientravano: Ragioneria, Tecnica bancaria, Tecnica industriale, Tecnica commerciale, Merceologia e Geografia; gli insegnamenti complementari di quest’ultimo gruppo erano: Tecnica commerciale internazionale e Tecnica commerciale dei prodotti agricoli. Cfr. Ibidem.

34

Ibidem.

35

Ibidem.

36

Il 13 aprile Gino Luzzatto, rettore di Ca’ Foscari, scriveva a Demaria: «[…] noi avremmo preferito che con la sessione autunnale del 1944-45 cessasse la facoltà di sostenere esami fuori sede, tanto più che numerosi studenti di regioni lontane hanno cominciato ad affluire a Venezia, non solo per gli esami, ma anche per la frequenza dei corsi. Ma poiché la circolare ministeriale del 28 gennaio u.s. ha prorogato quella facoltà anche per l’anno in corso, noi dovremo riconoscere gli esami sostenuti fuori sede. Soltanto, se non verrà imposto il contrario [dal ministero] non riconosceremo gli esami nella lingua e letteratura (quadriennali) scelta come materia di magistero. Sono questi, infatti, gli esami di maggiore responsabilità, che gli studenti nostri rinviano al quarto e quinto anno e che più volentieri sostengono fuori sede [perché meno difficili di quelli veneziani]». Cfr. ASUB. B. 7/5.

L’11 maggio, il console milanese del Dogadum Cafoscarinum – l’associazione goliardica degli studenti veneziani – in una lettera che testimonia l’esistenza di un’infrastruttura organizzativa scriveva a Demaria: «A nome degli studenti di Ca’ Foscari milanesi e lombardi, la ringrazio dell’aiuto e dell’appoggio che la sua università ci ha dato e continua a darci. Abbiamo saputo che il Rettore di Venezia ci ha concesso di sostenere gli esami fuori sede e che li potremo dare sia all’Università Bocconi, sia all’Università di Stato. […] Il giorno 13 ci aduniamo in assemblea generale, e vorrei poter tranquillizzare definitivamente sia gli studenti, sia le loro famiglie. Anche gli studenti di alcune provincie dell’Emilia e del Piemonte mi chiedono se possano usufruire dello stesso beneficio concesso agli studenti della Lombardia, soprattutto perché i viaggi sono sempre più difficili: cosa devo loro rispondere? Le pratiche per l’ammissione agli esami saranno svolte esclusivamente attraverso il Consolato, che le inoltrerà poi all’Università. […] Il Console di Milano Liliana Steiner». Cfr. Ibidem.

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In particolare, il Comune, l’amministrazione provinciale e la presidenza della Civica Scuola Superiore Femminile «A. Manzoni» di Milano il cui diploma era titolo d’iscrizione per Ca’ Foscari. Cfr. ASUB. B. 7/2 bis. Verbale del Consiglio di facoltà del 16 settembre 1946, p. 1.

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Le provenienze degli studenti che approdarono in Bocconi da altre facoltà sono sintomatiche della mobilitazione profilatasi a seguito dell’apertura del nuovo corso bocconiano. Il 5 dicembre ’46 il Consiglio di facoltà deliberò l’iscrizione di 51 persone (29 delle quali femmine) che avevano tutte alle spalle una carriera universitaria in corso o già completata. Sei studenti provenivano da Lettere e Filosofia della Statale e altrettanti dalla facoltà di Magistero, tre venivano da Giurisprudenza e uno da Economia e Commercio, tre da Ingegneria, due da Medicina e altrettanti da Architettura e uno per ciascuna da Scienze naturali. Scienze biologiche e Matematica. Tre venivano dall’Istituto Orientale di Napoli. Fra i dottori che chiedevano l’iscrizione e il riconoscimento di una parte degli esami già sostenuti altrove, 15 erano laureati in Lettere e Filosofia, tre in Magistero, tre in Giurisprudenza, uno in Scienze politiche e uno in Pedagogia.

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Ibidem, 9 gennaio 1948.

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Come già nel 1902, all’avvio del primo anno di corso, la Bocconi aveva scelto con cura i docenti. Palazzina elencava i loro nomi con malcelato orgoglio: «I prof. F. Neri e B. Revel per il Francese, i prof. Zanco ed Hazon per l’Inglese, il prof. Vincenti per il Tedesco, i prof. Flora e Fubini per l’Italiano, il prof. Castiglioni per il Latino, il prof. Pisani per la Filologia germanica, il prof. Valeri per la Storia, il prof. Viscardi per la Filologia romanza, il prof. Alfieri per la Storia della Filosofia, il prof. Banfi per la Filosofia, il prof. Maresca per la Pedagogia. Una eletta schiera di lettori e di assistenti completa il quadro del corpo insegnante. Per corrispondere alle esigenze della nuova sezione fu subito organizzata una Biblioteca speciale che conta oramai più di dodicimila pubblicazioni mentre si può valere della cospicua collezione di Enciclopedie, dizionari di cui da tempo dispone la Biblioteca generale dell’Università Bocconi». Cfr. ASUB. B. 7/2 bis. 9 gennaio 1948.

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