Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Dal circolo bocconiano al movimento studentesco


Parole chiave: Rettore Dell’Amore Giordano, Circolo bocconiano

L’anno 1965 coincise con un mutamento di fondo nell’intensità e nello stile delle rivendicazioni dei bocconiani che, nei loro documenti, presero a definirsi «Movimento studentesco». La giunta del Circolo, eletta alla fine del ’64, constava di undici giovani della lista «Intesa»[1] che nel programma avevano dichiarato di volersi battere per ottenere «la corresponsabilità degli studenti al potere decisionale (per quanto concerne la politica culturale e gli indirizzi generali della didattica e della ricerca) nell’Università attraverso l’istituzione di una Commissione paritetica (studenti, assistenti, professori) per la riforma della facoltà e del piano di studi»[2].

Nel maggio ’65, con tre anni di anticipo rispetto al celebre maggio ’68[3], gli studenti occuparono l’Istituto di Economia per non aver avuto risposta a una lettera di protesta a proposito della famigerata questione degli esami di Demaria[4]. Il Consiglio di facoltà, riunitosi d’urgenza, diede mezz’ora di tempo agli occupanti per sgomberare l’Istituto, pena la chiusura dell’Università, e dichiarò: «Si prenderanno i nomi degli studenti disubbidienti, contro i quali si procederà per via giudiziaria e per via disciplinare»[5]. Per rafforzare la minaccia, aggiunse che avrebbe provveduto a chiedere l’intervento della forza pubblica all’esterno dell’Università[6]. Il presidente e i membri del Circolo Bocconiano, dopo breve seduta, deliberarono lo sgombero delle aule[7].

A distanza di un mese, il Consiglio di facoltà dovette riunirsi per affrontare di nuovo agitazioni studentesche originate da disparità di trattamento e di procedure negli esami[8]. L’esito di un’animata discussione fu una delibera imperniata sulla trasparenza e l’uniformità delle procedure, in modo da limitare gli arbìtri dei docenti o il perpetuarsi di stili che rimandavano a una gestione privatistica dell’insegnamento[9]. L’altra questione calda era quella dell’aumento delle tasse, «per la seconda volta in due anni»[10], che offriva agli studenti lo spunto per discutere le fonti d’entrata della Bocconi e per scoprire che i finanziamenti del mondo imprenditoriale, così ben rappresentato nel Consiglio d’Amministrazione, erano irrisori[11]. La rivelazione che la maggior parte delle entrate veniva dalle tasse universitarie rafforzò la richiesta, comune agli studenti d’ogni orientamento politico, di partecipare con loro rappresentanti sia al Consiglio di Amministrazione, sia al Consiglio di facoltà[12]. La giunta del Circolo fece addirittura ricorso in Consiglio di Stato contro gli aumenti delle tasse universitarie[13].

Anche il secondo semestre dell’anno fu contraddistinto da prese di posizione del Movimento, che lamentava di non riuscire a intavolare discussioni con i docenti, che ripropose per l’ennesima volta la questione dell’insegnamento e degli esami di Economia politica e del funzionamento del relativo Istituto, che giunse a proporre con forza l’istituzione dei dipartimenti[14]. L’unico risultato concreto dell’azione studentesca fu la concessione del terzo appello d’esami nella sessione autunnale[15].

Il biennio 1966-67 trascorse senza che si verificassero conflitti accesi. Nel febbraio del ’67, mentre a Pisa gli studenti occupavano l’Università e diffondevano le «tesi» della Sapienza[16], in Bocconi «dando prova di maturità» l’organismo rappresentativo accettò la proposta del preside Gasparini di anticipare a gennaio, a partire dall’anno seguente, l’appello straordinario invernale[17]. Nel novembre del 1967 a Trento gli studenti di Sociologia istituirono l’università «negativa», a Milano quelli della Cattolica occuparono l’Ateneo, presto imitati dai torinesi[18].

In occasione del Consiglio di facoltà del 12 febbraio 1968, mentre Trento e Roma restavano occupate, nel varare un allungamento dell’orario d’apertura quotidiana della biblioteca più volte richiesto dagli studenti, nel confermare gli esami di marzo e aprile per i fuori corso e nell’organizzare il coordinamento dei programmi dei corsi «cercando di concretare i miglioramenti da introdurre già nel nuovo anno accademico», Gasparini sottolineava «la delicatezza del momento attuale e la necessità di fare ogni sforzo onde conservare l’attuale favorevole situazione di cui gode la nostra Università»[19].

A distanza di sole due settimane, il Consiglio si ritrovò per discutere della richiesta dei rappresentanti del Circolo di aprire gli appelli straordinari di marzo e aprile anche agli studenti del IV anno, limitatamente agli esami non superati nei primi tre anni[20]. Si trattava di una deroga significativa rispetto alle norme. Eppure, a prova del clima del momento, la deroga fu accordata all’unanimità[21]. In marzo, in un articolo comparso su «l’Unità», la Bocconi fu definita «esamificio» e fu accusata d’essere manovrata da Confindustria attraverso il Consiglio di Amministrazione[22]. In quel mese vi furono aspri scontri fra studenti e polizia a Roma e a Milano nei pressi della Cattolica[23].

A una quindicina di giorni di distanza dal Consiglio di fine febbraio, in un clima sempre più teso, i professori della Bocconi si radunarono per discutere dei «problemi attuali della facoltà»[24]. Ariberto Mignoli notò che «di fronte al turbamento e a volte allo spirito di eversione che ha colpito le nostre università» il Rettore Dell’Amore – subentrato a Sapori dal 1° novembre del ’67 – aveva dato prova di «moderazione e di fermezza». Il Rettore descrisse la situazione in cui versava la Bocconi, dando atto che il Movimento studentesco aveva sempre mantenuto un comportamento «contenuto e corretto» e mai era «trasceso ad episodi d’intolleranza e di violenza»[25] e propose di chiamare «a far parte del Consiglio di facoltà, con voto consultivo, per tutte le questioni attinenti alla organizzazione dei corsi e al funzionamento didattico delle (due) Facoltà: un rappresentante dei professori incaricati, un rappresentante degli assistenti, un rappresentante degli studenti» per ciascuna facoltà[26].

Al termine di una lunga e animata discussione, nel corso della quale emersero opinioni abbastanza diverse a proposito del clima politico e delle misure più adatte a controllare una situazione in costante evoluzione, passò all’unanimità la deliberazione di affiancare al Consiglio di facoltà «commissioni rappresentative dei professori di ruolo, degli studenti, degli assistenti e dei professori incaricati per lo studio dei problemi universitari odierni e la sollecita proposta di nuove iniziative che permett[essero] di raggiungere il consenso di più vaste parti della popolazione universitaria al fine di ottenerne la collaborazione per la migliore soluzione dei problemi universitari»[27].

23

Al Consiglio convocato il 22 aprile parteciparono Sergio Rossi, per i professori incaricati, e Giorgio Faini per gli assistenti e borsisti. Mancarono i rappresentanti degli studenti perché l’assemblea del Movimento non li aveva ancora espressi. Il preside Gasparini ricordò che l’assemblea studentesca gli aveva inviato proposte in tema di ordinamento degli studi e che su quel tema conveniva impegnarsi in modo da introdurre le innovazioni fin dall’anno accademico 1968-69[28].

La prima riunione del Consiglio cui parteciparono i rappresentanti di tutte le componenti si tenne a metà luglio, dopo che l’occupazione della facoltà di Lingue era cessata[29]. Gasparini ricordò che i temi posti all’ordine del giorno erano stati discussi nell’àmbito di «serene e fruttifere riunioni di lavoro nel corso delle quali si [era] efficacemente proceduto da parte delle diverse categorie universitarie a una concorde ricerca delle soluzioni»[30]. In via sperimentale, fu deliberato di sospendere la discussione delle tesine orali[31]. Il preside s’impegnò a ottenere dai professori liste di tesi, in armonia con una proposta di Mignoli, «per fornire ai laureandi almeno gli indirizzi generali onde facilitare le loro scelte»[32].

Il terzo punto di grande valenza programmatica dell’ordine del giorno riguardò la riforma del piano di studi da attuarsi con l’inizio del nuovo anno accademico, «pur nei limiti dei vincoli legali esistenti»[33]. Si trattava di riprendere la ben nota questione abbozzata dagli studenti nel 1950, considerata dagli ordinari nel 1960 per contribuire ai lavori di una commissione ministeriale, poi a più riprese sollevata dagli organismi studenteschi negli anni Sessanta.

Il profilo disegnato dal preside si rifaceva, arricchendolo, allo schema già discusso, deliberato e mai applicato nell’attesa che Roma varasse una riforma generale dell’università[34]. Anzitutto i due indirizzi: economico-politico – non più «sociale», per effetto dei tempi – ed economico-aziendale; materie obbligatorie e opzionali, «con ampia libertà di scelta dello studente»; ampia e organica gamma delle materie con un gruppo di insegnamenti fondamentali comuni ai due indirizzi, equivalenti, «in termini di carico di studio, a due anni accademici»[35].

Entrando in maggiori dettagli operativi, Gasparini suggeriva che la riforma partisse col 1° novembre di quell’anno e valesse per le matricole. Gli studenti che s’iscrivevano al terzo anno avrebbero optato per uno dei due indirizzi. Gli insegnamenti complementari avrebbero avuto durata semestrale. Gli insegnamenti non comuni sarebbero stati svolti a due livelli: «l’uno a carattere di base e l’altro specializzato»[36]. La parte specializzata sarebbe stata affidata a docenti stranieri su temi avanzati o a esperti testimoni invitati per «svolgere lezioni o conversazioni […] atte ad integrarsi nel corso»[37]. Infine, toccando una corda molto cara al Movimento studentesco, il preside proponeva il «ricorso diffuso a seminari come parte integrante dei corsi: alcuni seminari potranno essere di ricerca onde addestrare i giovani all’impiego coordinato delle diverse tecniche di ricerca» e prospettava pure «seminari interdisciplinari che saranno certamente stimolanti»[38].

Nel suo intervento, il rappresentante degli studenti giudicò positivamente il piano proposto e sottolineò «l’importanza di un nuovo tipo di didattica, senza la quale gli studenti non potranno cogliere il valore della riforma»[39]; dichiarò anche che appoggiava la bozza di regolamento della commissione paritetica per la riforma del piano di studi presentata dal rappresentante degli assistenti[40].

Alla riunione del Consiglio convocata per il 2 ottobre, dopo le note vicende estive che avevano portato alla chiusura delle immatricolazioni a Lingue, il rappresentante degli studenti non si presentò. In una lettera inviata a Gasparini e ai delegati delle altre due componenti, S. Migliavacca[41] spiegò che l’assemblea generale degli studenti aveva deciso per la non partecipazione. E aggiunse: «Una chiara presa di posizione degli studenti sui problemi posti dall’ordine del giorno da Lei inviatomi potrà giungere solo dopo un approfondito dibattito in assemblea»[42].

Era il segnale di un mutamento di fondo nell’azione della rappresentanza studentesca: l’assemblea s’impossessava del potere deliberante spodestando i delegati espressi per via elettiva. «Nelle chiassose e interminabili assemblee dove si discuteva la “linea” a nessuno venivano negati la performance oratoria, l’esibizione narcisista, lo psicodramma, l’ora di notorietà sancita da un applauso o dall’approvazione di un documento, un ordine del giorno, una mozione»[43].

Il Movimento studentesco bocconiano si mantenne sull’Aventino. Alla fine di novembre, un volantino emesso in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico evocava i gravi motivi di scontro con le autorità: «A primavera l’occupazione della facoltà di Lingue, durata due mesi, ed a settembre la deliberazione antidemocratica e classista di chiusura della facoltà stessa, presa dal Consiglio di Amministrazione della Bocconi (leggi Confindustria), come provvedimento repressivo di ritorsione contro gli studenti»[44]. Il messaggio si chiudeva con una dura critica: «[Si tenta] di porre la nostra università al di fuori dei conflitti che travagliano le università italiane, quando invece anche qui esplodono le contraddizioni, imperversa la reazione e gli studenti lottano per una nuova democrazia»[45] e lanciava un appello: «Venite a discutere la situazione al Circolo Bocconiano dove, da oggi, inizia una serie di gruppi di lavoro alle ore 16»[46].

Il confronto tra Movimento studentesco e autorità accademiche si radicalizzò, al punto che gli studenti occuparono l’Università[47] e nell’occasione del Consiglio di facoltà indetto per il 13 febbraio ’69, che eccezionalmente, causa occupazione, si tenne in via Brera nella sede dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere[48], un gruppo di studenti di Economia «designato dall’Assemblea tenendo conto delle diverse correnti che in essa prevalgono»[49], chiese e ottenne di partecipare alla seduta, nel corso della quale si sarebbe discusso di innovazioni nell’ordinamento degli studi e nei metodi didattici[50].

La delibera presa in via Brera dal corpo docente all’unanimità definiva radicale la riforma, rivendicava la libertà della facoltà di ricercare un ordinamento ottimale e riconosceva agli studenti la libertà di scelta nella costruzione del piano di studi. Un primo requisito era quello dell’introduzione di una larga gamma d’insegnamenti opzionali e di corsi specializzati d’insegnamenti fondamentali. Dal successivo anno accademico (1969-70) tutti gli insegnamenti sarebbero stati semestralizzati, con una sessione d’esami alla fine di ciascun semestre. Furono anche nominati dei consiglieri, scelti fra i docenti e gli assistenti, ai quali gli studenti avrebbero potuto rivolgersi per avere consigli e informazioni circa il curriculum degli studi[51].

In ogni corso, i seminari s’aggiungevano alle lezioni e alle esercitazioni e «la partecipazione attiva e positiva a un seminario assolve[va] perciò agli obblighi d’esame per una parte del corso e concorre[va] alla determinazione del voto finale»[52]. Gli studenti lavoratori avrebbero fruito di seminari ad hoc e avrebbero potuto presentare rapporti scritti da valutare ai fini dell’esame[53]. La scelta dei temi dei seminari sarebbe scaturita dall’accordo fra docenti e studenti. Almeno trenta di questi ultimi avrebbero potuto proporre temi, purché rientrassero nel programma del corso[54]. Sarebbero stati organizzati anche dei colloqui a contributo aperto con la partecipazione di studiosi e di operatori economici esterni all’Università[55].

Altri aspetti innovativi riguardavano gli esami e le lauree. Ai docenti fu raccomandato di suggerire molteplici letture fra le quali scegliere per preparare gli esami. La facoltà incoraggiò anche prove scritte durante i corsi, in modo da accertare periodicamente il grado d’apprendimento. Gli studenti che superavano un esame potevano ripeterlo in una sessione successiva per migliorare il voto. Il libretto personale dello studente sarebbe stato consultato solo dopo la comunicazione dell’esito. La tesi di laurea poteva consistere nella breve esposizione scritta di un argomento[56]. Qualora fosse stata giudicata adeguata, avrebbe fruttato un voto di laurea pari alla media delle votazioni degli esami sostenuti. Nel caso la tesi fosse una ricerca approfondita, la commissione di laurea avrebbe potuto elevare la media delle votazioni in rapporto al valore dell’elaborato presentato[57]. L’orario settimanale delle lezioni sarebbe stato congegnato in modo tale da lasciare un intero pomeriggio libero per le iniziative degli studenti[58].

Nella parte di delibera dedicata agli auspici furono riassunte e fatte proprie dalle autorità accademiche molte delle richieste «storiche» del Movimento studentesco, quali la differenziazione delle tasse per scaglioni di reddito, la piena pubblicità dei bilanci annuali della Bocconi, la modifica dello statuto intesa a consentire una permanente e organica collaborazione delle varie componenti universitarie col Consiglio d’Amministrazione[59]. I docenti auspicavano anche l’istituzione di un apposito servizio di orientamento professionale per gli studenti, un aumento delle borse di studio e dei posti gratuiti in pensionato e l’impiego a tempo parziale di giovani per poter prolungare l’apertura serale della biblioteca[60].

Non v’è dubbio, tanto in generale, quanto in ogni aspetto particolare, che il ricco pacchetto di misure deliberate rappresentasse un’efficace e adeguata risposta alle istanze del Movimento studentesco e, prima ancora, alle questioni che i membri del Circolo Bocconiano avevano reiteratamente posto a cominciare dal 1950. La prova che Dell’Amore e Gasparini avevano saputo mediare e coraggiosamente innovare si ebbe in occasione del Consiglio di facoltà dell’11 aprile, al quale intervennero cinque studenti designati dall’assemblea[61]. Al Consiglio seguente dei primi di maggio parteciparono altri quattro studenti[62], a riprova che il regime assembleare non praticava l’istituto della delega.

Studenti e assistenti contestarono animatamente i pronunciamenti del Consiglio d’Amministrazione a proposito della riforma del piano di studi presentata dal Consiglio di facoltà; pronunciamenti che furono giudicati evasivi ed equivoci[63]. In sostanza, il vero antagonista del Movimento rimaneva quasi esclusivamente il Consiglio d’Amministrazione.

Nell’adunanza di maggio, il Consiglio di facoltà deliberò di limitare a tre semestri[64] gli insegnamenti comuni per i due indirizzi di studio e affidò a un gruppo di lavoro l’identificazione delle discipline da impartire a tutti gli studenti della facoltà[65]. Il 6 giugno, il Consiglio si riunì per valutare la proposta del gruppo di lavoro[66]. Dopo una lunga e vivace discussione, animata soprattutto dalla vis polemica di Giovanni Demaria, che poi si assentò dai lavori, la proposta fu approvata all’unanimità assieme al calendario degli esami e delle lezioni dell’anno accademico ’69-70[67].

Il 10 luglio, Gasparini informò il Consiglio che il calendario deciso nella riunione precedente «per ragioni legali ed organizzative» non poteva essere attuato giacché l’inizio previsto sarebbe caduto un mese prima che terminasse l’anno accademico in corso[68]. Il calendario fu riorganizzato a cominciare dal 5 novembre, mantenendo lo schema già approvato e facendolo slittare fino alla fine di maggio del 1970.

Nel corso di quella seduta, prolungatasi nel giorno seguente, al termine di un confronto durante il quale tutti i partecipanti, compresi gli studenti, esposero le loro opinioni, furono approvati i piani di studi degli indirizzi economico-politico ed economico-aziendale[69]. La lunga seduta si chiuse con l’auspicio che in autunno il Parlamento finalmente licenziasse il progetto di legge di riforma dell’università al quale uniformare «lo schema di massima [bocconiano] sempre suscettibile di miglioramenti».

Da parte loro, gli studenti intervennero per tramite di Di Nola, nel frattempo laureatosi, il quale «dopo aver espresso un plauso anche per l’alto valore innovativo dell’inizio di attuazione del biennio comune dall’anno accademico 1969-70, richiamò alcune delibere votate nel Consiglio di facoltà svoltosi a Brera: partecipazione delle componenti universitarie al Consiglio di Amministrazione e differenziazione delle tasse secondo i redditi, alle quali non era ancora stata data risposta»[70]. Come a dire, la riforma didattica era pienamente appropriata a parere del Movimento, ma restava aperto un contenzioso politico col Consiglio d’Amministrazione.

Nella riunione del 10 settembre, Gasparini informò i colleghi: «Il Presidente del Consiglio di Amministrazione, subito dopo la riunione in cui si approverà il bilancio, sentirà gli esponenti delle varie componenti universitarie per chiedere loro osservazioni e proposte al riguardo»[71]. Alla fine di quel mese, in un incontro appositamente indetto, il Consiglio di facoltà deliberò le varianti allo statuto dell’Università per istituire i corsi di laurea in Economia politica e in Economia aziendale, in aggiunta a quello in Economia e Commercio[72]. L’ordinamento degli studi, formalizzato di lì a una settimana, prevedeva per entrambe le lauree 26 esami più la conoscenza accertata di due lingue[73]. Il Consiglio d’Amministrazione fece rapidamente proprie le proposte di modificazione dello statuto per la creazione dei due nuovi corsi di laurea[74] e il Rettore lo inviò al Consiglio superiore per l’istruzione perché fosse altrettanto rapidamente approvato[75].

Il 13 ottobre il Movimento studentesco decise di occupare la facoltà di Economia per sostenere un diverso svolgimento degli esami[76]. Nel Consiglio del 20 ottobre, Gasparini, d’accordo col Rettore, decise di partecipare a un’assemblea degli studenti per «illustrare le linee essenziali della riforma proposta nel piano degli studi […] subito dopo la cessazione dell’occupazione»[77].

Nel febbraio del ’70, al primo Consiglio del nuovo anno, preside e Rettore proposero di istituire «una commissione studentesca che esamina[sse] le domande di variazioni dei piani degli studi ed esprime[sse] un parere»[78]  secondo una logica di trasparenza e di corresponsabilizzazione del Movimento studentesco nella gestione della riforma degli studi.

Pochi giorni dopo, nel secondo Consiglio del ’70, al quale parteciparono anche tre studenti[79], si fece il primo bilancio – largamente positivo – della semestralizzazione[80] e si decisero le linee operative per l’applicazione dei criteri di formazione dei piani liberi di studio alla luce della legge n. 910, votata l’11 dicembre 1969. Fra l’altro, furono automaticamente convalidati i curricoli conformi ai piani dei due nuovi corsi di laurea proposti da studenti iscritti al primo biennio[81].

Il 27 maggio, Gasparini aprì il Consiglio di facoltà comunicando ai colleghi che, dopo una lunga attesa, sulla «Gazzetta Ufficiale» era finalmente apparso lo statuto riformato che contemplava le nuove lauree[82]. Nella stessa circostanza, il Consiglio prese atto dell’uscita dai ruoli di Giovanni Demaria, la cui cattedra diveniva vacante[83]. Per una curiosa coincidenza, mentre usciva dalle aule bocconiane un grande maestro dell’economia italiana del Novecento, personalità scomoda e irriducibile, avversario dei nuovi piani di studio, ch’egli aveva giudicato fuori legge, Roma sanciva il cambiamento, per molti versi rivoluzionario, del curricolo degli studi e dell’organizzazione didattica.

Si potrebbe dire che, alla lunga, gli studenti bocconiani avevano vinto su tutta la linea, anche se di ciò ci si rese conto molto tempo dopo. In quel momento, le frange più estremiste e politicizzate del Movimento continuarono la «lotta al sistema» con le loro assemblee permanenti, con i loro dazebao, i loro samizdat, le veglie notturne e i sit-in, in una sorta di rituale che toglieva spazio alle riforme e li faceva sentire protagonisti. In realtà, dentro e fuori delle aule universitarie, continuava il processo di modernizzazione accelerata di un Paese nel quale le distanze sociali e culturali impedivano di socializzare, la diffusione di prassi democratiche era ostacolata e il potere politico era in genere esercitato senza alcuno spirito di servizio.

Le lotte per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici del «caldo» autunno ’69 favorirono la saldatura fra Movimento studentesco e movimentismo sindacale sicché, nel mondo operaio dell’industria, l’egualitarismo degli studenti assurse a valore centrale di riferimento[84]. Allarmate dallo slittamento a sinistra dell’elettorato e dell’opinione pubblica – grazie anche a complicità internazionali – le forze politiche al governo contribuirono ad aumentare la tensione derivante dallo scontro fra «opposti estremismi», servendosi dei fascisti per le operazioni «sporche»[85]. La situazione precipitò quando entrarono in scena i servizi deviati e i loro fiancheggiatori della destra, a cominciare dal colpo di Stato da operetta di J. V. Borghese del 7 e 8 dicembre 1970[86].

L’antifascismo militante accelerò la militarizzazione dei servizi d’ordine di gruppi come Lotta Continua e Potere Operaio, diffondendo all’intorno una cultura della politica guerreggiata che, nelle sue frange più estreme, sfociò nel «partito armato». Le stesse università furono teatro di fatti di sangue che coinvolsero tragicamente professori, studenti, magistrati, uomini politici, sindacalisti, giornalisti, poliziotti e carabinieri. In una fredda giornata del gennaio ’73 anche la Bocconi pagò il suo tributo di sangue[87].


1

Nell’articolo di presentazione della giunta, il segretario generale del Circolo Bocconiano Carlo Secchi spiegava le ragioni politiche di una giunta monocolore a tempo, in attesa che altre «associazioni democratiche e politicamente qualificate» entrassero a farne parte; cfr. ASUB. «Il Bocconiano», a. XVII, n. 1, (senza data), p. 4. C. Secchi, attuale Rettore, si laureò nel 1967, cfr. 1906-1999, cit.

2

Cfr. Intera, in «Il Bocconiano», a. XV, n. 4, dicembre 1963, p. 5.

3

Ai primi di maggio del ’66, dopo che il 27 aprile v’erano stati scontri tra studenti di sinistra e di destra che avevano portato alla morte di un giovane socialista, il Movimento studentesco occupò l’Università di Roma «per ristabilire la vita democratica nell’Istituto» e il Rettore si dimise. Cfr. L. Pes, Cronologia 1945-1991, in S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana dalla fine della guerra agli anni Novanta, Venezia 1992, p. 500.

4

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta dell’8 aprile 1965, p. 98.

5

Ibidem.

6

Ibidem; nella circostanza il Rettore ricordò che non era «consentita l’affissione nei locali dell’Università di avvisi, manifesti e bandi emessi dagli organi delle associazioni studentesche senza il preventivo visto di approvazione da parte del rettorato».

7

Ibidem.

8

Ibidem, p. 100, seduta del 12 maggio 1965.

9

Il Consiglio ribadì che gli esami sono pubblici e deliberò che la comunicazione della votazione doveva seguire immediatamente lo svolgimento della prova orale; che il candidato poteva scegliere di sostenere l’esame o sul programma del suo anno di corso o su quello dell’ultimo corso tenuto; che durante il corso o alla fine di esso il professore poteva decidere di sottoporre gli studenti a prove scritte dei risultati delle quali avrebbe dovuto dare sollecita comunicazione ai candidati; cfr. Ibidem, p. 101.

10

ASUB. I. Lucchini, Contributo al problema delle tasse, in «Il Bocconiano», a. XVII, n. 1 (senza data), pp. 5-6.

11

Lucchini notava con sconcerto che gli studenti contribuivano annualmente alle entrate con 300 milioni di lire e gli «Amici della Bocconi» con soli 12 milioni. E scriveva: «I vari Cicogna, Pella, Dubini, Faina, Ferrante, Marzotto, Radice Fossati, Falck dovrebbero entrare nell’ordine d’idee che l’Università non è una delle loro tante industrie in cui i costi non possono superare i ricavi, rappresentati dai soldi degli studenti, ma è un investimento che dovrebbero sentirsi onorati di sostenere perché la Bocconi, che tende a diventare un’università classista, acquisti quella funzione di spinta della società industriale che le compete senza preclusioni verso gli studenti provenienti dalle classi meno abbienti». Concludeva il suo articolo auspicando una ristrutturazione del Consiglio d’Amministrazione «che trov[asse] nelle forze attive dell’Università (professori, assistenti e studenti) un trait d’union tra industriali da una parte e classe politica dall’altra». Ibidem, p. 6.

12

ASUB. Sezione in riordino. Programma elettorale UGB (senza data, ma 1963).

13

Cenni in proposito nei programmi elettorali degli anni 1964 e ’65, cfr. ASUB. Sezione ln riordino, passim.

14

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 7 giugno 1965, p. 105; seduta del 17 novembre 1965, pp. 122-23. Gli studenti arrivarono a contestare il testo La teoria della produzione di Demaria, a sollecitare l’assunzione di assistenti, con echi anche sulla stampa considerati «lesivi del decoro dell’Università».

15

Ibidem, seduta del 14 giugno 1965, p. 113. Le date degli esami cadevano a non meno di 8 giorni e non più di 15 da quelle del secondo appello.

16

L. Pes, Cronologia, cit., p. 502.

17

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 6 marzo 1967, p. 163. Gli esami si sarebbero svolti dall’8 gennaio al 2 febbraio 1968; cfr. Ibidem, seduta del 9 ottobre 1967, p. 186.

18

L. Pes, Cronologia, cit., p. 502.

19

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 12 febbraio 1968, p. 201.

20

Ibidem, seduta del 27 febbraio 1968, p. 210.

21

Ibidem.

22

W. Greco, Esamificio Bocconi S.p.A., in «l’Unità», 1° marzo 1968.

23

L. Pes, Cronologia, cit., p. 504.

24

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 15 marzo 1968, p. 214. Lo stesso giorno, in una seduta del Senato accademico, Dell’Amore aveva fatto approvare la sua proposta di «far partecipare i rappresentanti dei professori incaricati, degli assistenti e degli studenti alle proprie sedute, onde rendere possibile un cordiale e permanente colloquio fra tutte le componenti universitarie»; cfr. ASUB. Sezione in riordino. Lettera a tutti gli studenti della Facoltà di Lingue e Letterature straniere, il Rettore, 28 maggio 1968.

25

Ibidem.

26

Ibidem, pp. 214-15. All’inizio di ogni anno accademico le componenti avrebbero designato i rispettivi rappresentanti; per gli studenti l’eleggibilità era limitata agli iscritti al III e IV anno.

27

Ibidem, pp. 217-18. La forma involuta denota un disagio diffuso presso i docenti ordinari a proposito dei vincoli statutari che definivano la composizione del Consiglio di facoltà e, insieme, la preoccupazione di corrispondere agli impegni già assunti dal Rettore con la rappresentanza studentesca.

28

Abile negoziatore, Gasparini aveva intuito che l’ordinamento didattico era il tema di maggior presa nell’immaginario collettivo studentesco. Cfr. ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 22 aprile 1968, pp. 221-22.

29

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 15 luglio 1968, p. 237.

30

Ibidem.

31

Ibidem, pp. 237-38. Fino alla sessione di laurea del febbraio ’69 era facoltà del laureando chiederne la discussione.

32

Ibidem, p. 238. L’osservazione fu dello studente Alessandro Migliavacca, che si laureò in Economia e Commercio nel 1969, cfr. 1906-1999, cit.

33

Ibidem, p. 239.

34

Il progetto di legge n. 2314, noto come «piano Gui», nonostante un’intera legislatura di discussioni attorno alle modifiche all’ordinamento universitario, si risolse in poco più di nulla. Soprattutto, non passarono né l’idea dell’autonomia degli atenei, né l’abolizione del controllo da parte del ministero sui provvedimenti presi dagli organi accademici; cfr. S. Lanaro, Storia dell’Italia, cit., pp. 349-50.

35

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 15 luglio 1968, pp. 239-42.

36

Ibidem, p. 240.

37

Ibidem, p. 241.

38

Ibidem, p. 242. M. A. Romani si diffonde sulla questione nel terzo capitolo del suo saggio.

39

Ibidem, p. 243.

40

Ibidem. La commissione della facoltà di Economia e Commercio fu composta da: a) professori ordinari; b) professori incaricati; c) assistenti; d) studenti. Il numero – non superiore a cinque – e le modalità di scelta dei componenti competerono alle singole categorie. Ogni categoria componente disponeva di un voto. La commissione era presieduta dal preside ed era validamente costituita quando vi partecipasse la maggioranza delle categorie. Le deliberazioni erano prese a maggioranza delle categorie presenti e impegnavano tutte le categorie, anche se assenti o dissenzienti. La commissione avrebbe studiato la riforma dei piani di studio e la necessaria organizzazione esaminando questioni attinenti all’innovazione dei metodi didattici e ai criteri con cui avrebbero dovuto svolgersi gli esami. La commissione avrebbe formulato proposte al Consiglio di facoltà, il quale avrebbe dovuto discuterle prima di deliberare sugli argomenti stessi.

41

Laureatosi nel 1969, cfr. 1906-1999, cit.

42

ASUB. Registro dei verbali, cit., n. 5, p. 2, seduta del 2 ottobre 1968.

43

S. Lanaro, Storia dell’Italia, cit., p. 349.

44

ASUB. Sezione in riordino. «Oggi il Rettore inaugura l’anno accademico», 27 novembre 1968.

45

Ibidem.

46

Ibidem.

47

Ai primi di gennaio, un’assemblea di circa 350 studenti decise di procedere a un’occupazione di lavoro per operare in stretto collegamento «nell’ambito delle commissioni con Assistenti, Professori e chiunque vorrà collaborare con noi». Il 9 gennaio Dell’Amore emise un comunicato stampa nel quale ricordava che l’esame dei problemi era «in corso da mesi da parte delle Autorità Accademiche» e che il Consiglio di facoltà dal 28 ottobre 1968 aveva chiamato a partecipare alle riunioni tre rappresentanti degli studenti, ma che l’assemblea aveva respinto tale invito, il Rettore fissava al 19 gennaio il termine dell’occupazione di lavoro e garantiva che le autorità accademiche avrebbero discusso i documenti con le proposte degli studenti. Cfr. ASUB. Sezione in riordino. Comunicato stampa del Rettore. 9 gennaio 1969.

48

ASUB. Registro dei verbali, cit., n. 5, p. 36, seduta del 13 febbraio 1969.

49

Ibidem, p. 37.

50

Ibidem. Prima che gli studenti fossero ammessi nella sala consiliare, delineato il profilo della riforma, Gasparini affermò: «Pur avendo il dovere di acquisire nella più ampia misura possibile elementi, informazioni e proposte da tutte le categorie, componenti ed ambienti, il Consiglio deve deliberare non in un’ottica per così dire di trattativa bensì di chiara ricerca di soluzioni valide in una prospettiva di lungo andare, di continuità di una tradizione viva e libera», cfr. Ibidem, p. 38.

51

Ibidem, pp. 38-39.

52

Ibidem, p. 39.

53

Ibidem.

54

Ibidem.

55

Ibidem.

56

Nel successivo Consiglio di facoltà dell’11 aprile fu stabilito in sei mesi il tempo massimo per svolgere la tesi che fu chiamata «di relazione». Cfr. Ibidem, seduta dell’11 aprile 1969, p. 54.

57

Ibidem, p. 40.

58

Il Rettore accettò la richiesta degli studenti «di mettere a disposizione un’aula per una sera in via sperimentale con l’impegno di far esaminare la richiesta al Consiglio d’Amministrazione sulla base dei risultati di questo esperimento»; cfr. Ibidem, pp. 39-40.

59

Ibidem, p. 41.

60

Ibidem.

61

Ibidem, seduta dell’11 aprile 1969, p. 53; gli studenti erano Carlo Pescetti (laureato nel ’71), Schneeberg (non laureatosi in Bocconi), Ivan Cordini (laureatosi nel ’69), Giuseppe Scicolone (laureatosi nel ’69), Umberto Carneglia (laureatosi nel ’70); cfr. 1906-1999, cit.

62

Gli studenti erano Cesira Legrenzi (laureatasi nel ’69), Marco Di Nola (laureatosi nel ’69), la signorina Formiggini (non laureatasi in Bocconi) e Giovanni Crivelli (laureatosi nel ’72); cfr. 1906-1999, cit.

63

ASUB. Registro dei verbali, cit., n. 5, p. 68, seduta del 2 maggio 1969.

64

«Il semestre è inteso come un ciclo equivalente a 50 ore comprensive anche dei seminari e dei colloqui a contributo aperto, in quanto essi debbono considerarsi a tutti gli effetti parte integrante e significativa del corso», cfr. ASUB. Registro dei verbali, cit., n. 5, p. 74, seduta del 6 giugno 1969.

65

Ibidem, pp. 70 e 72.

66

Ibidem, p. 75. M. A. Romani dedica numerose pagine alla questione.

67

Ibidem, p. 80. Gli esami sarebbero iniziati il 20 settembre, i corsi sarebbero durati dal 1° ottobre al 23 dicembre. Gli esami si sarebbero tenuti dal 15 gennaio al 15 febbraio. Il secondo semestre sarebbe durato dal 20 febbraio al 20 maggio.

68

Ibidem, p. 88.

69

Ibidem, pp. 89-123; gli studenti potevano seguire corsi obbligatori e opzionali offerti da altre università italiane e straniere avendo ottenuto il placet del Consiglio di facoltà, che avrebbe esaminato il programma. «Lo svolgimento di riconosciuta dignità scientifica della tesi di laurea può essere ritenuto equivalente al superamento di due esami opzionali, purché concernenti cumulativamente la materia trattata nella tesi di laurea», Ibidem, p. 101.

70

Ibidem, p. 122.

71

Ibidem, p. 125, seduta del 10 settembre 1969.

72

Ibidem, p. 136, seduta del 29 settembre 1969.

73

Ibidem, pp. 140-43, seduta del 6 ottobre 1969. Previa approvazione della facoltà, gli studenti potevano seguire un proprio piano (libero) degli studi purché esso comprendesse insegnamenti impartiti nella stessa; Ibidem, p. 142.

74

Ibidem, p. 162, seduta del 20 ottobre 1969.

75

Ibidem.

76

La semestralizzazione eliminava gli appelli mensili d’esame. Gli studenti chiedevano di abolire la registrazione delle bocciature, di discutere in assemblea il piano di riforma degli studi e, infine, di «sganciare il potere decisionale dal Consiglio di Amministrazione dell’Università»; cfr. ASUB. Registro dei verbali delle sedute del Senato accademico, p. 97, seduta del 14 ottobre 1969.

77

Ibidem, p. 165, seduta del 20 ottobre 1969; all’incontro avrebbero partecipato anche i professori Brambilla, Pivato, Masini e Mignoli e sarebbero stati invitati pure i professori incaricati e gli assistenti.

78

Ibidem, p. 179, seduta del 3 febbraio 1970.

79

Ibidem, p. 165, seduta del 12 febbraio 1970; erano presenti Michele (laureatosi nel ’70) o Mauro (laureatosi nel ’71) Beltrami, Umberto Pedol (laureatosi nel ’75) e Schneeberg (non laureatosi in Bocconi) che aveva preso parte al Consiglio dell’11 aprile ’69 (cfr. supra la nota 322).

80

Ibidem, p. 180, seduta del 12 febbraio 1970.

81

Ibidem, p. 181. Restavano ineludibili i dieci insegnamenti della parte propedeutica comune in considerazione della funzione formativa loro attribuita nel complesso.

82

Ibidem, p. 192, seduta del 27 maggio 1970.

83

Ibidem.

84

S. Lanaro, Storia dell’Italia, cit., pp. 354-57.

85

Ibidem, pp. 359-60.

86

Ibidem, p. 359.

87

All’indomani degli scontri che causarono l’agonia e poi la morte di Roberto Franceschi, le autorità accademiche dichiararono l’Università «inagibile all’insegnamento». Il 26 febbraio, il Collettivo autonomo Bocconi pubblicava una lettera aperta agli studenti nella quale identificava l’inizio di una «ristrutturazione»: «[Le] linee generali sono già chiare: 1) introduzione de facto del numero chiuso attraverso il raddoppio delle tasse, l’introduzione dell’esame catenaccio al 2° anno, esclusione dall’università dei fuori corso, introduzione del cosiddetto tempo pieno (naturalmente solo per gli studenti), il che significa esclusione di tutti i lavoratori studenti. 2) Camuffato dietro ipotetici miglioramenti della didattica, si attuerebbe invece un vero e proprio raddoppio dei carichi di studio e quindi della selezione. Tutto questo viene fatto passare come tentativo di aumentare la capacità critica e scientifica dello studente. 3) Regolamentazione della Agibilità Politica (assemblea, riunioni…) con proposte di deleghe, parlamentini, commissioni paritetiche, ecc. che hanno il solo scopo di evitare che gli studenti si possano esprimere liberamente, decidendo in proprio ciò che essi intendono fare. […] Secondo noi è necessario che si crei nella Bocconi un organismo che possa raccogliere tutte le esigenze della lotta degli studenti, organismo aperto a tutti i sinceri democratici, senza alcuna forma di delega da parte dell’assemblea, e dove possano dare il loro apporto professori e assistenti che ritengono opportuno opporsi attivamente alla “ristrutturazione”». Cfr. ASUB. Sezione in riordino. Perché hanno chiuso la Bocconi?

Indice

Archivio