Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

La vita studentesca fra goliardia e passione politica


Parole chiave: Circolo bocconiano

Sorto alla fine del ’47 per iniziativa di un gruppo di «goliardi vecchi e nuovi della nostra cara Bocconi»[1], pur dichiarandosi emanazione dell’Ordine goliardico del biscione, nelle sue articolazioni culturali e tecniche, il Circolo Bocconiano finì per operare come un efficace gruppo d’interessi. Col passare del tempo, infatti, esso andò ben oltre gl’intenti programmatici dichiarati nel numero d’apertura «del primo giornale universitario italiano inviato gratuitamente a tutti gli studenti iscritti»[2], uscito diciotto mesi dopo la fondazione[3].

La prima presa di posizione del Circolo fu suscitata dall’elaborazione di un disegno di legge di riforma dell’istruzione attorno alla quale l’opinione pubblica dibatté animatamente nel 1950. Sul secondo numero del giornale, dopo aver polemicamente notato che sulla riforma in preparazione – poi miseramente abortita – erano stati «ascoltati tutti: rettori, professori, studiosi e uomini politici», ma che nessuno si era peritato di interpellare gli studenti, in un denso articolo centrato sulla facoltà di Economia e Commercio, N. Wagner affermava: «[È] necessario […] uno sdoppiamento della laurea in modo da consentire una più profonda conoscenza di particolari problemi a coloro che desiderano dedicarsi alla carriera scientifica, agli studi di economia pura, mentre il secondo tipo dovrebbe essere più pratico, avere un maggior numero di esercitazioni soprattutto di ragioneria»[4]. In nuce, era l’idea che, vent’anni dopo, avrebbe dato origine a un corso di laurea in Economia politica e a uno in Economia aziendale.

Un paio di mesi dopo, mentre il dibattito ferveva, la Bocconi ospitò un convegno organizzato dal Circolo sui problemi della facoltà di Economia e Commercio al quale parteciparono delegazioni studentesche delle maggiori università italiane. Al termine dei lavori, fu votata una mozione nella quale si proponeva di ammettere alla facoltà economica solo i ragionieri e i maturi dei due licei. Tutti gli altri diplomati avrebbero dovuto superare un esame integrativo. L’assemblea auspicò anche una maggiore uniformità fra i piani di studio dei diversi atenei e la moltiplicazione degli insegnamenti con applicazioni pratiche[5].

In tema di riforma, contestando le tradizionali interdizioni d’accesso alle facoltà universitarie, lo studente E. Stanghellini proponeva che, oltre a quelli del classico, anche i maturi dello scientifico accedessero a Giurisprudenza, come avveniva per Economia e Commercio, ove si era ammessi indipendentemente dal titolo di studio col quale si era usciti dalle superiori[6]. In quell’anno, a prova dell’incipiente politicizzazione del mondo studentesco bocconiano, favorita anche dal dibattito accesosi attorno alle ipotesi di riforma degli studi, alle annuali elezioni dei 21 delegati del consiglio del Circolo, in competizione con la Lista bocconiana, si presentò quella degli Studenti lavoratori, che si aggiudicò quattro seggi[7].

Nell’inverno 1950-51, con due documentati articoli, Franco Angeli, candidato eletto nella lista degli Studenti lavoratori, vagliò costi, ricavi e margini di utile dei libri di testo adottati dai professori[8]. L’anno dopo, ormai alla vigilia della laurea, assieme ai compagni di «Università nuova», la lista di sinistra, Angeli contestò l’aumento delle tasse universitarie stabilito per legge che, sull’arco di un triennio, entro il 1953 avrebbe accresciuto gl’importi dell’85%[9] e auspicò che, in Bocconi, ai rincari corrispondessero miglioramenti nei servizi di riscaldamento, della mensa e di pulizia della biblioteca[10].

In un corsivo dell’agosto ’53, Alberto Bernardi esplicitava lucidamente i compiti dei delegati universitari: «I rappresentanti degli studenti sono chiamati […] a discutere dei problemi comuni, a trovare per essi una soluzione indipendentemente da discipline di un qualsivoglia partito. Ma noi siamo anche chiamati a fare della politica, perché difenderemo degli interessi, perché affronteremo dei problemi, perché li risolveremo»[11].

Nel marzo del ’55, all’indomani di elezioni per le quali erano state presentate ben undici liste, sette delle quali avevano avuto eletti, un fondo di Umberto Padalino riproponeva la dimensione politica della rappresentanza studentesca: «Dalla Liberazione sono potuti sorgere gli organismi rappresentativi, perché nell’Università noi studenti sentiamo il bisogno di correggere il sistema di studi che ci vengono imposti, sentiamo il bisogno di contribuire proprio noi a mantenere all’Università il significato insito nel suo nome, cioè di un istituto che mediante studi generali mira a formare l’ordine stesso (della società) e non solo il commercialista o l’ingegnere o il veterinario»[12].

I valori della Resistenza, della Costituzione repubblicana e del confronto delle opinioni per giungere alla composizione dei conflitti erano sottesi alle prese di posizione dei responsabili del Circolo Bocconiano. La valenza delle loro azioni travalicava largamente la mera dimensione degli studi. Si trattava di contribuire a mutare l’ordine stesso della società a partire dal principio di cittadinanza. Formatisi nelle aule universitarie, i laureati avrebbero contribuito a migliorare la società italiana, come si conveniva a un ceto dirigente[13], fedeli alla missione proposta all’inizio del secolo da Leopoldo Sabbatini.

L’apertura di un pensionato, capace di 360 studenti[14], avvenuta nel novembre del ’56, in coincidenza col cinquantesimo anniversario delle prime lauree (luglio 1906), nel rafforzare le quotidiane relazioni fra giovani provenienti dalle più diverse aree della penisola, favorì la formazione di una massa critica che, alla lunga, ne avrebbe accentuato l’impegno in chiave politica. Il pensionato ebbe una propria rappresentanza: il Comitato studentesco, composto di undici membri, che manteneva relazioni con la direzione[15].

17

Nel febbraio del ’60, i risultati delle votazioni riattizzarono il dissidio fra i goliardi e gli studenti politicizzati, accusati d’essere asserviti ai partiti. In polemica con i secondi, su «Il Bocconiano», G. Olivares affermava: «Ormai anche la nostra università, unica superstite fra gli Atenei italiani, è sulla strada delle liste politiche. I goliardi fino a quest’ anno l’avevano spuntata sui maneggioni. […] Non sta a noi, visto che non ne abbiamo il potere, di modificare la struttura scolastica o se volete politica del nostro Paese (ammesso che ce ne sia bisogno)[16]». Manifesto di conservazione remissiva[17], lo scritto di Olivares offre una convincente testimonianza di quanto la sensibilità democratica ancora stentasse ad affermarsi in un mondo formale e gerarchizzato quale era l’università italiana prima che sulla scena irrompesse la massa, inevitabile effetto delle trasformazioni strutturali dell’economia e della società.

Gli anni Sessanta sarebbero stati una palestra di confronto sempre più serrato con le autorità accademiche, anche se, come già accennato, fin dal ’58 malumori e lamentele – esempi di proto-sindacalismo universitario – erano stati prospettati a proposito del corso di Economia politica di Demaria, il cui programma gli studenti reputavano esageratamente vasto, per non dire delle difficili e costose ricerche addossate ai gruppi di lavoro[18]. Nel Consiglio di facoltà del maggio del ’58 il Rettore diede conto dei malumori che serpeggiavano nelle aule[19]. In ottobre, la questione fu ripresa e i colleghi ordinari invitarono Demaria ad attenuare il rigore del corso e ad alleggerire i lavori di ricerca di gruppo che preludevano all’esame[20].

Nella primavera del ’60, i componenti del Consiglio di facoltà[21] indugiarono a riflettere sulle linee programmatiche di riforma dell’ordinamento didattico di cui si stava occupando una commissione ministeriale, adottando una prospettiva in sostanza coincidente con quella abbozzata dagli studenti dieci anni prima. Il lavoro della commissione non ebbe sviluppi e la Bocconi si limitò a offrire suggerimenti soprattutto con riguardo al comparto delle discipline aziendali.

Alla fine del ’62, dopo aver raccolto informazioni sui piani di studio di sette facoltà di Economia e Commercio[22], il presidente del Circolo inviò ai Consigli di facoltà di Economia e di Lingue due lettere nelle quali lamentava il disagio degli studenti circa il «valore formativo e contenuto informativo dei corsi, [l’]attuale rapporto tra Università e Società, [la] ristrutturazione dei corsi, degli esami, delle sessioni». Egli precisava che lo spunto per l’inchiesta che aveva condotto era venuto dalla «minacciata abolizione degli esami per i fuori corso»; continuava affermando: «Sarebbe […] un errore gravissimo […] pretendere di risolvere il problema dell’abolizione dei suddetti esami in modo del tutto indipendente, come un problema a sé stante»[23] e concludeva: «Porre il problema non significa risolverlo, ma invitare a discutere, suscitare un dibattito per una risoluzione»[24].

La proposta riaffermava l’esigenza, già affacciata dodici anni prima, di creare «due indirizzi nel corso universitario: l’uno economico-aziendale, l’altro economico-sociale, di portare a cinque anni la durata del corso, di ridurre gli insegnamenti fondamentali ed accrescere i complementari»[25]. Erano pure proposti «provvedimenti parziali e a breve termine», volti a «risolvere, almeno temporaneamente ed in certi settori gli squilibri della facoltà» mediante la moltiplicazione delle sessioni d’esame, una redistribuzione degli insegnamenti nei quattro anni di corso, lo sdoppiamento delle lezioni del primo anno per evitare l’affollamento dei frequentanti[26]. La missiva si chiudeva con l’auspicio che «anche in questa occasione [potesse] continuare la organica collaborazione tra studenti e docenti per una vantaggiosa risoluzione dei problemi della facoltà di Economia e Commercio»[27].

Nei verbali dei consigli tenuti nel 1963 non v’è traccia di discussioni attorno alle proposte avanzate dagli studenti. A movimentare gli assetti didattici fu piuttosto una novità legislativa dagli effetti rilevanti: l’istituzione dell’assegno di studio[28]. Per facilitare gli adempimenti previsti in fatto di esami da superare e di media dei voti da rispettare, sentiti anche gli studenti del Circolo, il Consiglio di facoltà deliberò alcuni spostamenti di corsi[29]. Nell’imminenza dell’apertura dell’anno accademico 1963-64, i rappresentanti dell’organismo studentesco – come fu definito nel verbale del Consiglio di facoltà – fecero «richieste e pressioni» sul Rettore Sapori per poter leggere, nel corso della cerimonia inaugurale del nuovo anno, «una breve relazione sulle attività svolte dal Circolo Bocconiano»[30]. L’autorizzazione fu accordata a condizione che si trattasse di una «relazione breve» e che il Rettore ne avesse preventivamente presa visione. Si trattava di un parziale riconoscimento del Circolo quale soggetto politico.

Nell’esortazione a partecipare alle elezioni del dicembre ’63 per il rinnovo della giunta, sulle pagine del loro giornale, i delegati del Circolo ribadivano l’impegno a «maturare come classe dirigente aperta e democratica, conscia della tradizione e capace di elaborare, partendo da questa, soluzioni e riforme nuove»[31]  e arrivavano a porsi come obiettivo l’ingresso di rappresentanti degli studenti nel Consiglio di Amministrazione e nei Consigli di facoltà «dopo gli anni in cui la Rappresentanza studentesca ha sostenuto tante battaglie, non solo verbali»[32].

Fra le iniziative culturali autonomamente prese dal Circolo, senza avvertire il Rettore, ci fu l’invito al ministro del Bilancio Antonio Giolitti a tenere in Bocconi una conferenza sul tema della programmazione economica[33]. Il Consiglio di facoltà censurò l’episodio, tanto più che da Roma era giunto un telegramma ministeriale che stigmatizzava i «tentativi di esponenti dei partiti politici […] di indire riunioni propagandistiche in aule ed ambienti universitari destinati ad attività di studio e di ricerca»[34]. Da parte sua, il Consiglio di facoltà esorcizzò l’avvenimento affermando: «Una politicizzazione della vita universitaria segna la fine dell’Università come istituzione libera ed autonoma e [il Consiglio] ritiene suo dovere reagire vigorosamente contro ogni tentativo volto a turbare la serenità e la dignità degli studi»[35].


1

Così nella lettera che annunciava la fondazione del Circolo inviata a Palazzina il 28 novembre 1947, su carta intestata, firmata dal presidente S. Melissano, già laureatosi in quell’anno, da E. Nathan, incaricato della sezione culturale, che si laureò nel ’51, e da L. Maineri, incaricato della sezione assistenziale, che non figura fra i laureati in Bocconi; cfr. ASUB. Sezione in riordino; e 1906-1999, Annuario dei laureati, Milano 2000.

2

Così L. Maineri in una lettera aperta inviata al periodico quindici anni dopo, cfr. ASUB. «Il Bocconiano», a. XIV, n. 2, dicembre 1962, p. 3.

3

ASUB. «Il Bocconiano», n. 1, aprile 1949.

4

ASUB. «Il Bocconiano», a. II, n. 2, aprile 1950. N. Wagner si laureò nel 1952, cfr. 1906-1999, cit.

5

Ibidem, n. 3, maggio 1950.

6

Ibidem, n. 4, luglio 1950. Stanghellini non si laureò in Bocconi, cfr. 1906-1999, cit. Nella stessa pagina, G. Mainardi proponeva un indirizzo commerciale del corso di Lingue. Nemmeno Mainardi si laureò in Bocconi, cfr. 1906-1999, cit.

7

Ibidem, nella rubrica «Opinioni», la studentessa F. Rigamonti metteva in evidenza l’orientamento politico delle due liste, la minore delle quali era considerata di sinistra. F. Rigamonti si laureò in Lingue nel 1951, cfr. 1906-1999, cit.

8

Ibidem, a. II, n, 5. novembre 1950; e a. III, n. 1, gennaio 1951.

9

Secondo il disposto della legge Ermini-Marchesi, n. 1551, votata il 18 dicembre 1951. La norma prevedeva tra l’altro che gli studenti le cui famiglie disponevano di un reddito complessivo annuo superiore ai tre milioni di lire pagassero a favore dell’Opera universitaria, l’istituzione deputata all’assistenza degli studenti bisognosi, un supplemento del 30% della tassa annuale. Cfr. «Il Bocconiano», a. VII, n. 3, settembre 1955.

10

ASUB. A. Bernardi, Aumentate le tasse, in «Il Bocconiano», a. V, n. 6, settembre 1953. Bernardi si laureò in Economia e Commercio nel 1961, cfr. 1906-1999, cit.

11

Ibidem, A. Bernardi, I conformisti.

12

ASUB. «Il Bocconiano», a. VII, n. 2, marzo 1955, p. 3. Lo scritto esordiva citando una frase del saggio di Bruno Vigezzi apparso su «Nord e Sud» che diceva: «L’Organismo Rappresentativo non è un centro d’agitazione politica del mondo giovanile; non si mortifica nella piccola amministrazione di alcuni interessi quotidiani degli studenti; non è una organizzazione sindacale… L’Organismo Rappresentativo si pone come uno degli strumenti più idonei per il rinnovamento dell’Istituto universitario». U. Padalino si laureò in Economia e Commercio nel 1957, cfr. 1906-1999, cit.

13

U. Dragone, in un articolo di fondo, nel novembre del ’57, riproponeva la questione del ruolo degli organismi rappresentativi degli studenti: «Appare chiaro» scriveva «come gli Organismi rappresentativi possano costituire un’efficace scuola di autogoverno, sviluppando il senso di responsabilità degli studenti che costituiranno la classe dirigente che avrà le maggiori responsabilità nella vita nazionale, educandoli fin dall’inizio al metodo democratico. […] Vogliamo essere uomini che pensano, giudicano, agiscono e sul metro di questa condizione umana vogliamo adattare la società che ci circonda»; cfr. ASUB. «Il Bocconiano», a. IX, n. 3, novembre 1957, p. 3. Dragone si laureò in Lingue nel 1959, cfr. 1906-1999, cit.

14

180 maschi e altrettante femmine, selezionati coniugando i prìncipi della residenza lontana da Milano, delle condizioni economiche disagiate e del merito.

15

Il responsabile del primo Comitato studentesco del pensionato fu Vittorio Coda, laureatosi nel 1958, (cfr. 1906-1999, cit.). A un anno di distanza dall’apertura del pensionato, nel novembre del ’57, S. Di Tonno su «Il Bocconiano» dava conto della vita quotidiana degli ospiti, a cominciare dal carattere di signorilità che tanta impressione faceva sui visitatori. Notava che molto era stato fatto dalla direzione per correggere le pecche maggiori: vitto e servizi, e che la retta media di 32.000 lire mensili era congrua. L’autore concludeva il suo articolo lamentando che erano mancate, da parte degli ospiti, iniziative culturali, ricreative e sportive capaci di unire e affiatare. In breve. latitava lo spirito adatto a creare «un ambiente più amichevole e soprattutto più goliardico»; cfr. ASUB. La vita al Pensionato, in «Il Bocconiano» a. IX, n. 3, novembre 1957, p. 2. Di Tonno non si laureò in Bocconi, cfr. 1906-1999, cit.

16

Ibidem, a. XII, n. 1. febbraio 1960, p. 4. G. Olivares si laureò in Economia e Commercio nel 1965, cfr. 1906-1999, cit.

17

Una nota firmata con uno pseudonimo, nell’aprile del 1960, faceva la storia dell’alternanza alla guida del Circolo dei «tecnici», o «qualunquisti», e dei «politici» e della crisi cui era giunta la forma di rappresentanza. Al punto che per avere un consiglio si era proceduto all’elezione di S. Di Tonno, «conosciutissimo in Bocconi per essere l’ex impiegato del Circolo». L’anonimo notista auspicava che le elezioni del dicembre 1960 provassero che l’èra del qualunquismo universitario era definitivamente finita e concludeva: «Se ciò non dovesse accadere, il Circolo Bocconiano comincerebbe la sua rapida decadenza fino a quando sarebbe molto più funzionale stipendiare 3 impiegati e far utilizzare un poco meglio il tempo ai 21 congressisti che annualmente vengono eletti da tutti noi»; cfr. La fine di un’era, Ibidem, a. XII, n. 2, p. 4.

18

ASUB. Libro dei Verbali delle sedute del Consiglio di Facoltà, dal 2.10.56 al 20.2.60, libro n. 2, seduta del 21 maggio 1958, p. 78.

19

Ibidem.

20

Ibidem, seduta del 18 ottobre 1958, p. 89. Dall’anno accademico 1959-60 furono eliminate le tesine orali a Lingue, mentre se ne decise il mantenimento a Economia; cfr. Ibidem, seduta del 15 aprile 1959, p. 116.

21

Parteciparono alla riunione il Rettore A. Sapori, G. Demaria, G. Dell’Amore, A. Zanco, F. di Fenizio, F. Brambilla e G. Pivato; cfr. ASUB. Libro dei verbali, cit., libro n. 3, seduta del 7 maggio 1960, p. 16.

22

Cattolica, Ca’ Foscari, Cagliari, Genova, Urbino, Parma e Pisa; cfr. ASUB. «Il Bocconiano», a. XIV, n. 2, dicembre 1962, pp. 14-15.

23

G. Cavalca, La riforma delle facoltà, Ibidem, pp. 12-13. G. Cavalca si laureò in Economia e Commercio nel 1966, cfr. 1906-1999, cit.

24

Ibidem.

25

Ibidem. La proposta era così argomentata: «L’allargamento degli studi ha accentuato l’eterogeneità del piano di studi della facoltà, già di per sé molto carico, ed ha accentuato la sua naturale tendenza ad ampliarsi per far fronte alle crescenti richieste delle tecniche nuove, imposte dallo sviluppo del sistema produttivo. Questo stato di cose ha finito per costringere in un unico piano di studi due distinti indirizzi, con le difficoltà conseguenti implicite nella necessità di portare ambedue gli indirizzi a più puntuali approfondimenti scientifici».

26

Nel 1962-63 le matricole furono 722, il 45% in più di quelle di un decennio avanti. Cfr. in Appendice la serie storica delle immatricolazioni.

27

ASUB. «Il Bocconiano», a. XIV, n. 2, cit., p. 12.

28

La legge n. 80 del 14 febbraio 1963 fu applicata a partire dalla circolare ministeriale (n. 24) prontamente emanata il 20 febbraio; cfr. ASUB. Registro dei verbali del Consiglio di Facoltà di Economia e commercio, 10.5.62-15.7.68, seduta del 21 marzo 1963, p. 36.

29

Statistica metodologica fu spostata al II anno, Storia economica al IV e Merceologia dal IV al primo. Cfr. Ibidem. Registro dei verbali, cit., seduta del 14 maggio 1963, pp. 41-42.

30

Ibidem, seduta del 19 ottobre 1963, p. 49.

31

ASUB. Votare non basta, in «Il Bocconiano», a. XV, n. 4, dicembre 1963.

32

Ibidem.

33

ASUB. Registro dei verbali, cit., seduta del 6 marzo 1964, p. 57.

34

Ibidem.

35

Ibidem. La vicenda della conferenza di Giolitti ebbe strascichi che accentuarono la tensione fra le parti, tanto da indurre le autorità accademiche a tacciare di sindacalismo lo stile antagonistico della rappresentanza studentesca. Sull’episodio si veda il saggio di MA. Romani.

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