Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

Il sogno americano


Parole chiave: Rapporti istituzionali, Rettore Demaria Giovanni, Einaudi Luigi, Gasparini Innocenzo

La fine della guerra significò per Demaria la ripresa dei rapporti con i colleghi americani e con la Rockefeller Foundation, dalla quale, nel 1947, fu invitato a tenere una serie di conferenze negli Stati Uniti (a New York, a Washington, a Stanford). Era quella l’occasione che l’economista aspettava per realizzare un’idea che aveva maturato in quegli anni, ispirato probabilmente dalle richieste di alcuni militari americani di stanza in Italia di frequentare i corsi della prestigiosa Università milanese[1]: quella di creare, a New York, una sezione della Bocconi, che avrebbe trovato un inesauribile bacino di utenza nella comunità italo-americana degli Stati Uniti. Dell’idea aveva fatto partecipe il solito Palazzina e, più tardi, con il suo entusiasmo aveva contagiato l’intero Consiglio d’Amministrazione che gli aveva dato carta bianca nell’organizzazione dell’impresa.

I documenti superstiti sui contatti avviati al proposito sono molto scarsi; ma, da quel che sappiamo, uno dei primi a essere interpellato fu Luigi Einaudi che, pur avendo lasciato la Bocconi da più di vent’anni, aveva continuato a mantenere buoni rapporti con l’amministrazione e con diversi membri del corpo accademico. A lui Demaria si rivolse per farlo partecipe del progetto e per proporgli di assumere il patrocinio dell’impresa. La risposta del grande economista torinese fu, come ci si poteva aspettare, prudente, ma non negativa e ciò spinse l’irruente Rettore a premere ulteriormente sull’acceleratore per convincerlo a essere della partita[2], insistendo sul prestigio che il Paese avrebbe acquisito da una operazione del genere, sulle sponsorizzazioni che sarebbero sicuramente venute da magnati italo-americani, sull’importanza che l’avvio di un processo di internazionalizzazione del sapere avrebbe avuto per la Bocconi e per l’intera università italiana.

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Le trattative avviate con il ministero degli Esteri dovettero dare risultati promettenti se, qualche mese dopo, Palazzina informando Francesco Flora della imminente partenza di Demaria per gli USA sollecitava il suo intervento al fine di ottenere una «lettera del ministro Sforza colla quale si plaude all’iniziativa della istituzione di una sezione staccata della nostra Università in America»[3]. Allo scritto, il direttore della segreteria allegava una «Proposta per l’istituenda sezione staccata di New York dell’Università Bocconi», che compendiava le norme che avrebbero dovuto reggere la futura istituzione: ammissione ai corsi sulla base dei titoli di studio riconosciuti dalla legge italiana e dagli Stati di origine dei candidati; consiglieri d’Amministrazione designati dall’Università milanese e «dalle maggiori associazioni culturali americane»; costi di funzionamento coperti in parte dalla Bocconi e in parte da istituzioni, aziende e uomini d’affari italiani e americani; diploma di laurea riconosciuto dai governi di entrambi i Paesi; insegnamenti fondamentali, quelli indicati nello statuto della Bocconi[4].

La partenza di Demaria fu preceduta da una nutrita corrispondenza con docenti, uomini politici e imprenditori italo-americani, che avrebbero dovuto fargli da apripista. Il viaggio dell’economista torinese si apriva, dunque, su grandi speranze; speranze che, in un primo momento, parvero essere in grado di realizzare il «sogno americano» dei bocconiani. In realtà, esse avrebbero offerto solo grandi illusioni e altrettanto grandi delusioni: a Stanford, ad esempio, non mancarono i buoni consigli, i suggerimenti, le promesse; ma allorché si cominciava a discutere di finanziamenti gli interlocutori si facevano improvvisamente reticenti o abbandonavano la scena[5].

Risultati non dissimili si ottennero, qualche settimana più tardi, nei grandi centri della East Coast e in seguito a New York, dove l’entusiasmo di Demaria fu definitivamente raggelato dall’ambasciatore italiano, che non gli nascose tutto il suo pessimismo sulla riuscita dell’impresa[6]. Verosimilmente le ragioni del nostro rappresentante diplomatico erano più che fondate se il Rettore tornò in Italia senza risultati di rilievo. Ciò nonostante egli non si diede per vinto e, ancora il 28 novembre 1947, in una riunione del C.d.A., affrontò il tema e, pur non nascondendo gli ostacoli incontrati e le delusioni sofferte, espresse «la speranza che le relazioni stabilite con Enti e personalità americane e della colonia italiana, valgano a far superare le difficoltà stesse e ad attuare l’iniziativa»[7]. L’anno seguente, fra le mansioni delegate a Innocenzo Gasparini, inviato a perfezionare i suoi studi a Stanford, c’erano anche quella di farsi in quattro per «introdurre [negli USA] il G.d.E. che è la forza propulsiva maggiore, in campo economico, del nostro Paese»[8] e quella di riprendere i contatti con personalità del mondo economico e finanziario americano, in modo da rilanciare l’ipotesi di una sezione dell’Università milanese[9]. Gasparini non mancava certo di tatto o di finezza diplomatica; ma il compito assegnatogli era sicuramente superiore alle forze di un ventisettenne che per la prima volta metteva il naso fuori dal suo Paese. Il futuro Rettore della Bocconi non aveva certo, in quel momento e in quella società, un ruolo istituzionale che gli consentisse di intavolare e portare a termine le trattative che il suo Maestro gli aveva affidato.

Ciò stava a significare che Giovanni Demaria aveva ormai perso ogni speranza di realizzare il suo sogno americano? I documenti su questo punto tacciono, lasciando però intendere che anche dal secondo viaggio negli Stati Uniti che l’economista compì nel 1949 per conto della Banca d’Italia ottenne scarsi risultati[10]: il processo di internazionalizzazione della Bocconi avrebbe richiesto ben più tempo di quanto il Rettore immaginasse.

Anche il «Giornale degli Economisti» non mancò di dare qualche delusione al Maestro torinese. La rivista, pur conservando un certo peso e un certo prestigio nel panorama internazionale, aveva ormai perduto il prestigio di un tempo, schiacciata com’era dal predominio della cultura economica e della lingua anglosassoni, con grande rammarico del suo direttore che, rispondendo a Giorgio Mortara[11], che gli annunciava il suo prossimo ritorno in Italia, osservava: «Carissimo Mortara […]. La tua venuta potrà essere occasione di una ripresa collaboratrice, anche per quanto concerne il G.d.E. Il quale, seppure a volte con qualche difficoltà, conserva l’alto livello di serietà e di impostazione scientifica per cui si distingueva sotto la tua direzione. Queste difficoltà non sono però imputabili a noi ma per così dire alle riviste concorrenti le quali nel generale spirito “coloniale” con cui sono condotti gli studi scientifici in Italia (mi riferisco naturalmente alle nostre scienze) non solo pagano regolarmente e abbastanza bene i collaboratori sia nazionali che esteri, ma sono giunte fino al punto di trasformarsi in riviste di lingua inglese (o lingua quasi inglese come capitò alle prime annate delle riviste scritte in inglese), non avvertendo che con ciò esse non acquistavano maggior pregio in campo internazionale ma anzi tendevano a far scadere all’occhio straniero tutta la scienza economica italiana presa in blocco. E la ragione è appunto quella già accennata: collaborazioni pagate da direttori che non si curano o non posseggono rilevanza scientifica e quindi collaboratori di mera occasione. Concedimi lo sfogo».


1

ASUB. Busta 135. Le domande in questione erano state precedute da una lettera circolare dello «Headquarters Command European Command» del 7 maggio 1947 in cui si chiedevano notizie intorno alle possibilità offerte dalle università europee ai soldati americani di completare la loro preparazione nel vecchio continente: «Dear Sir, This Headquarter has been the recipient of a considerable number of requests for information regarding educational opportunities in Europe. Most of these requests come from american soldiers who are to be discharged in the near future and they wish to take advantage of the aforesaid opportunity before returning to the United States. I regard such requests as of the highest significance to the future relations between nations and hope to gather from every approved educational institution in Europe the best possible information regarding courses in which american personnel are eligible to participate [… ]. R.E. Duff. Brigader general USA commanding». Fra le domande di militari americani va ricordata quella di Edmund Cooper, «an american high school graduate», iscritto all’Università di Miami, che avendo sposato «an italian girl» e dovendo stare altri due anni in Italia, chiedeva l’iscrizione alla Bocconi; nonché quella di Alfred Magone, un italo-americano di New York, desideroso di approfittare dei sussidi del governo americano per venire a studiare in Italia e contribuire così a «dare qualche mio contributo verso il riordinamento e la modificazione della vita pratica e della mentalità italiana».

2

ASUB. Busta H. Giovanni Demaria a Luigi Einaudi. «Milano 15-2-47. Caro prof. Einaudi, rispondo alquanto in ritardo alla Sua lettera del 16 novembre, perché essendo stato molto occupato non ho avuto modo di esaminare da vicino, come l’importanza della Sua lettera impegnava, le varie Sue ben meditate risposte […]. Venendo all’ultima questione relativa alla creazione di un dipartimento della Bocconi a New York, comprendo benissimo come vi siano molte difficoltà. Noi non vorremmo appoggiarci alla Casa Italiana, ma creare un Istituto del tutto indipendente del tipo forse dell’Istituto che pubblica la rivista “Social Sciences” e che rilascia titoli agli studenti. Si tratterebbe di vedere se le leggi amministrative locali consentono la cosa, e come stilare il Charter, come nominare il consiglio d’amministrazione (che dovrebbe essere composto in parte da americani, e in parte da italiani). Saremmo anche disposti, data la scarsa preparazione culturale degli italiani di New York, di fare un anno di corsi di preparazione per l’iscrizione al primo anno del dipartimento. Questa iniziativa dal punto di vista italiano è pienamente fattibile. Avremmo aiuti dal Ministero, aiuti e fondi dall’ambiente lombardo, ed anche pensiamo aiuti da compagnie di navigazione per ridurre al minimo il costo di viaggio per gli scambi dei professori e degli studenti. Con la creazione presso la nostra Università di un pensionato internazionale, il problema dell’alloggio e del vino per gli stranieri di scambio sarebbe soddisfacentemente risolto. Si tratta di risolvere quello dell’altra sponda. Entro un anno certamente io mi recherò in America anche per realizzare questo lavoro, ma desidererei che Lei, qualora la interessi, ne gettasse le prime basi e in sostanza fungesse come il responsabile della amministrazione e della gestione accademica del dipartimento. Mi abbia con vivo, cordiale affetto. Giovanni Demaria».

3

ASUB. Busta 199. Girolamo Palazzina a Francesco Flora. Milano 30 luglio 1947.

4

Per i complementari la scelta sarebbe, invece, dipesa «dalle particolari esigenze della funzione a cui i laureati porranno essere chiamati nella confederazione americana» (Ibidem).

5

ASUB. Busta H. Giovanni Demaria a Girolamo Palazzina, Stanford s.d.

6

ASUB. Busta H. Giovanni Demaria a Girolamo Palazzina. New York 12 settembre 1947. «[…] Ho parlato a lungo con Tarchiani per la Sezione Bocconiana. Egli ne è poco entusiasta e da perfetto ambasciatore ama ricordarmene gli ostacoli anziché dare un’efficace mano al loro superamento».

7

ASUB. Verbali del C.d.A. Seduta del 28 novembre 1947.

8

Ibidem.

9

ASUB. Busta H. Giovanni Demaria a Innocenzo Gasparini. 27 novembre ’48. «Carissimo Gasparini, […] Tenga presente il nostro scopo maggiore: costituire la Sezione americana della Bocconi. Ne parli con Miss Ruth Savord, Librarian Council of Foreign Relations (58 East 68th Str. N.Y.): dovrebbe cercare di mettersi in contatto. Del Vecchio (che pure tenne presente tale nostro scopo e ne parlò in America) mi dice di scrivere a E. Soro, 1° segretario della ns. ambasciata a Washington e specie al sign. Cesare Barbieri, un miliardario americano d’origine bolognese il quale in questo momento sta occupandosi dell’un. di Bologna. Suo indirizzo: 348 Park Avenue N.V.C. Bisognerebbe fargli vedere il vademecum, “magnificargli” la nostra Università e sentire da lui se sarebbe in grado di abbracciare o promuovere un’iniziativa come la nostra presso la Columbia o la New York University, o altra distinta Università americana, che creasse una sezione italiana con un certo numero di incaricati italiani semestrali per le materie economico-politiche […]. Quanto al Soro dovrebbe riprendere la questione con Tarchiani perché ne parli con lo State Departement in modo da utilizzare l’accordo Bonnet-Corbin per quella parte relativa alle relazioni culturali italo-americane. Dovrebbe pure, allo stesso scopo, cercare di vedere Henry Tasca primo segretario dell’ambasciata americana in Italia, buon amico dell’Italia […]. Dovrebbe pure parlarne con il console generale italiano a S. Frisco anche per ricercare probabili milionari italo-californiani. Bisognerebbe giungere alla creazione di un comitato finanziario che dovrebbe raccogliere i maggiori esponenti italiani, sempre allo stesso scopo. La cosa forse è molto meno difficile in California che a New York».

10

Anche se, dalle pagine del Diario americano del 1949 che Demaria, pochi anni prima della morte, donò ad Achille Agnati, ci si rende conto che egli non aveva definitivamente perso tutte le sue speranze: e in occasione del secondo viaggio non aveva mancato di sollecitare incontri al massimo livello: «[…] per creare una “branch” [della Bocconi] negli Stati Uniti o almeno ricerche scientifiche comuni italo-americane con scambi di studenti, professori, e, naturalmente, prestiti. Demaria», osserva Agnati, «era allora rettore dell’Università Bocconi, onde particolarmente significativa l’idea di una “branch” come rapporto tra Bocconi e università americane […]. Le 50 pagine del Diario americano del 1949 riportano una folla di incontri: Demaria dal 19 luglio al 29 agosto ha parlato, registrando gli incontri, con 75 persone […]. Ecco gli incontri di più spiccata distinzione […]: Buchanan che non vedeva possibilità d’intesa tra Università Bocconi e New York University per gli intendimenti che aveva Demaria; e quanto all’immediato futuro dell’economia statunitense non credeva in una recessione, ma invece in una disoccupazione tecnologica» (Cfr. Agnati, Giovanni Demaria atleta del nuovo: conversazioni e inediti dei suoi ultimi 5 anni, in AA.VV., Giovanni Demaria e l’economia del Novecento, Milano 1999, pp. 74 e ss.

11

ASUB. Busta H. Giovanni Demaria a Giorgio Mortara. Milano 21 dicembre 1950.

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