Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

I primi cinquant’anni della Bocconi


Parole chiave: Rettore Sapori Armando

Il 15 dicembre 1952, alla presenza del presidente della Repubblica, venne festeggiato il primo cinquantennio di vita dell’Università[1]. Cinquant’anni celebrati sull’onda dei ricordi: di Ferdinando e Luigi Bocconi, di Leopoldo Sabbatini, del sacrificio di Edoardo Manfredini, delle lezioni di Scienza delle finanze di Luigi Einaudi, di quanti si erano succeduti alla guida dell’Ateneo, della lunga e preziosa attività di coordinamento di Girolamo Palazzina, evocato da tutti gli oratori come il silenzioso, insostituibile e onnipresente custode dell’eccellenza dell’Università[2].

Il senatore Casati e il nuovo Rettore, Armando Sapori, in particolare, si accollarono il compito di ripercorrere la storia del mezzo secolo che si concludeva in quei giorni, ricordando le origini dell’istituzione e le tappe percorse dalla stessa in cinque decenni; riandando alle innovazioni didattiche di volta in volta introdotte, che avevano consentito alla Bocconi di porsi al centro del sistema formativo nel campo degli studi economici; e non mancando di sottolineare come anche fenomeni all’apparenza negativi, come la recente contrazione del numero degli iscritti, non facessero che confermare la «rinnovata serietà degli studi, succeduta allo sbandamento del periodo postbellico»[3].

Il compiersi del cinquantennio parve a tutti l’occasione per ripensare l’Università, definendo nuove strategie di crescita e prendendo atto della necessità di incrementare gli organici al fine di ampliare la gamma degli insegnamenti e di ridurre, nel contempo, la precarietà in cui vivevano i docenti più giovani, di potenziare gli istituti e la biblioteca e di aumentare gli spazi fisici a disposizione degli studenti[4].

All’approfondimento di questi temi venne dedicato il Consiglio di facoltà del 27 novembre 1953, il primo tenutosi dopo la celebrazione del cinquantenario. In quella occasione si decise di affrontare una volta per tutte, senza grande successo in verità, un problema più volte denunziato dagli studenti, quello delle duplicazioni, delle sovrapposizioni e delle ripetizioni che connotavano molti insegnamenti, affidando a docenti di diverse discipline il compito di razionalizzare i percorsi didattici. Si deliberò di chiamare un linguista sulla cattedra lasciata libera da Francesco Flora, da poco chiamato a Bologna[5], al fine di ridare una guida e un interlocutore autorevole alla sezione Lingue dell’Università. Si chiese al C.d.A. di incrementare la dotazione finanziaria e il personale dei vari istituti, in vista di un loro rilancio, sia sul piano della ricerca scientifica, secondo quanto sosteneva Demaria, sia su quello della consulenza alle aziende, come proponeva Dell’Amore. Si convenne, infine, di affiancare a Fausto Pagliari, ormai entrato nel settantacinquesimo anno di età e seriamente malato, «un giovane che possa mettersi gradatamente in grado di assumere la direzione della biblioteca»[6]. Decisione quest’ultima di facile soluzione, posto che lo stesso Pagliari – perduto Aldo De Maddalena, suo precedente collaboratore, definitivamente migrato verso altri lidi – ne aveva individuato il possibile sostituto in Tancredi Bianchi, un giovane bergamasco, da poco laureato con lode e al momento assistente volontario di Giordano Dell’Amore. Della cosa venne informato Palazzina[7], che si affrettò a darne notizia al Rettore, chiedendo una delibera consiliare che aprisse la strada all’auspicata collaborazione. Armando Sapori e lo stesso Demaria, che avrebbero visto con favore l’inserimento di Bianchi in biblioteca, si trovarono la strada sbarrata da Dell’Amore che, pur dichiarando che lasciava al suo allievo la facoltà di decidere, non nascose la sua contrarietà all’idea che egli potesse abbandonare la docenza e la ricerca, per le quali gli sembrava particolarmente dotato[8]. Il futuro gli avrebbe dato ragione.

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Il vago accenno fatto in Consiglio di facoltà da Giordano Dell’Amore a una possibile apertura del suo istituto al mondo degli affari, nascondeva in realtà intenzioni precise. Esse sarebbero venute alla luce di lì a poco con la decisione di avviare, d’intesa con l’Istituto superiore per la direzione aziendale e con l’Associazione italiana dirigenti d’azienda, un «Corso biennale per la formazione di dirigenti d’azienda». Come Giuliana Gemelli[9] ha messo in luce nella sua ricerca sulle origini e gli sviluppi delle scuole di management in Italia all’inizio degli anni ’50, nel clima di entusiasmo suscitato dai primi fermenti di quello che, in seguito, sarebbe stato ricordato come il «miracolo economico italiano», si cominciò a manifestare un certo interesse per la management education, che aveva piantato solide radici negli Stati Uniti e in alcuni Paesi dell’Europa occidentale. Si trattava, in verità, di un interesse più formale che sostanziale, legato a una entusiastica ma superficiale adesione alle novità provenienti da oltreoceano, che in realtà nascondeva il profondo scetticismo del mondo industriale nei confronti di tecniche e di saperi che venivano vissuti come eccessivamente teorici e, per di più, scarsamente atti a essere applicati a una realtà economica assai peculiare come quella italiana.

La singolare «diffidenza del corpo professionale dei managers verso iniziative formative, considerate astratte ed inadeguate e verso le quali venivano spesso utilizzate strumentalmente le accuse […] di richiamo acritico al modello americano»[10], unitamente alla durezza del paradigma scientifico proposto da Gino Zappa, concorsero indubbiamente a fare da barriera alla penetrazione delle nuove discipline aziendali in seno all’accademia italiana. E non è un caso se, in un primo momento, tali conoscenze si svilupparono in ambiti molto particolari, quali quello voluto a Torino da Adriano Olivetti. Ma se, a Milano, l’influenza di Gino Zappa, da poco uscito dai ruoli, era ancora molto forte, Giordano Dell’Amore e gli altri allievi del «Maestro» veneziano erano ben coscienti della necessità di non chiudersi a riccio in difesa del paradigma zappiano, ma di fecondarlo con le novità che andavano scoprendo, grazie anche alle esperienze che i loro allievi più giovani andavano facendo nelle business schools d’oltreoceano, avvalendosi di borse di studio messe a disposizione dal Comitato nazionale per la produttività, creato presso la presidenza del Consiglio dei ministri.

Il modello al quale probabilmente si ispirarono gli aziendalisti della Bocconi era quello proposto nel Corso superiore per dirigenti d’azienda, che la Graduate School of Business Administration della Harvard University organizzava in quegli anni per uomini d’affari europei[11]. Come si legge sui dépliants pubblicitari inviati a tutte le maggiori università italiane, esso aveva lo scopo «di fare dell’uomo che vi partecipa un uomo migliore nell’espletamento del suo lavoro, sia che questo riguardi il controllo della produzione, la direzione delle vendite, la direzione dei rapporti con il personale o qualsiasi altro ramo d’attività»; di prepararlo «ad assumere incarichi di maggiore responsabilità». «Entrambi questi obiettivi» si scriveva «vengono raggiunti: (1) attraverso l’influenza generale di un’impostazione che richiede un’ampia concezione dei problemi aziendali al di là degli aspetti specifici funzionali o di reparto degli interessi dell’individuo […]; (2) attraverso una preparazione specifica nel campo delle procedure e dei metodi amministrativi, intesa ad aumentare la conoscenza di ciascun funzionario direttivo, qualsiasi sia la carica che egli ricopre. Con questo sistema, molti fattori – le materie che sono oggetto di studio, la tecnica di insegnamento del case method adottata nella scuola, la vasta gamma di aziende e responsabilità funzionali rappresentate dai partecipanti al corso, e la atmosfera che facilita l’acquisizione di nuovi punti di vista e di un atteggiamento obiettivo – si combinano onde accrescere le capacità individuali»[12].

Nella ipotesi primigenia[13], messa a punto in seno all’Istituto di Economia aziendale, con il contributo di alcuni docenti del Politecnico, la durata del «Corso per la formazione di dirigenti d’azienda» fu prevista in due anni, per un totale di 200 ore d’insegnamento da svolgersi il sabato e nel tardo pomeriggio dei giorni feriali, secondo lo schema riportato nella Tabella 3.

 

Tabella 3 Insegnamenti del Corso biennale serale per dirigenti d’azienda

Materie obbligatorie

Materie facoltative

I anno

Lezioni

I anno

Lezioni

Organizzazione aziendale

30

Imprese pubbliche

20

Elementi di tecnologia contabile

20

Tecnica della pubblicità

20

Costi di produzione e distribuzione

25

 

 

Bilanci delle imprese

25

 

 

Relazioni umane nelle aziende

20

 

 

Tecnica delle ricerche di mercato

20

 

 

Finanziamento delle imprese

20

 

 

Il anno

 

Il anno

 

Elementi di tecnologia industriale

30

Mercati finanziari con speciale riguardo a quello italiano

20

Sistema bancario italiano

25

Tecnica tributaria

20

Organizzazione scientifica del lavoro

25

 

 

Tecnica del commercio internazionale

25

 

 

Tecnica sindacale e legislazione del lavoro

20

 

 

Sistema dei prezzi

20

 

 

Responsabilità civili e penali nella direzione dell’impresa

20

 

 

 

Il tetto degli iscritti fu fissato in 120 laureati di varie discipline (economiche, giuridiche e scientifiche) che, frequentati i corsi e sostenuti i relativi esami, avrebbero conseguito il diploma in Economia e Direzione aziendale.

Giordano Dell’Amore, che assunse la direzione della Scuola, decise che due anni sarebbero stati sufficienti a testare la validità del corso, a valutare se e come continuarlo e, se del caso, a inserirlo tra le attività ufficiali della Bocconi[14]. Nella visione del direttore dell’Istituto di Economia aziendale, la sperimentazione, avviata avendo presente l’esperienza educativa degli USA, e il successivo confronto con i risultati ottenuti dalle diverse scuole nazionali d’Economia aziendale, avrebbero consentito la meditata scelta di una via italiana alla management education, evitando il rischio di un’a-critica accettazione del modello didattico proposto dalle business schools americane o, al contrario, l’ottusa chiusura nei confronti delle novità provenienti dal mondo anglosassone. Ricusata fu invece l’idea di utilizzare massicciamente la tecnica dei case studies: la cultura economico-aziendale italiana non era ancora pronta ad accogliere l’innovativa didattica.

Il compito di compendiare la «filosofia» sottostante le scelte operate dai fondatori della scuola postuniversitaria venne affidato ad Armando Sapori, in occasione dell’inaugurazione dell’a.a. 1954-55:

 

«Quanto al Corso per dirigenti sono noti, almeno a grandi linee, i termini di un problema fattosi sempre più vivo nel dopoguerra, il rapporto tra scuola ed economia, in concreto, del Paese. La preparazione che il giovane riceve nella Scuola superiore, organizzata secondo la secolare tradizione della nostra Università, che cosa rappresenta ai fini della immissione di quel giovane nella vita dell’azienda? Quale tirocinio il giovane dovrà fare nell’interno appunto dell’impresa per arrivare ai gradi direttivi? Una corrente ha auspicato di rinnovare ab imis i nostri programmi universitari, adattandoli ai modelli di quelli di altri Paesi dai quali irraggia il fascino del colossale. Un’altra corrente ha avvertito, invece, il pericolo di voler plasmare a somiglianza di altre civiltà una civiltà che ha avuto il collaudo di circa un millennio, e ha riconosciuto che la serietà dell’inquadratura scientifica è la premessa per un comportamento pratico veramente razionale. Quindi opportunità di corsi extra universitari, ma svolti sotto il controllo dell’Università, lezioni intese alla acquisizione di cognizioni specializzate, ma inserite in un metodo, e tenute da insegnanti che abbiano ad un tempo la conoscenza scientifica e la pratica aziendale; numero limitato degli allievi in possesso di determinate lauree; numero non eccessivo delle ore d’insegnamento, ma in compenso obbligo della frequenza per sostenere gli esami, a loro volta necessari al conseguimento del diploma finale. È facile comprendere che un simile corso, implicando sacrifici più severi di quelli del normale curriculum universitario, sarà anche scuola di volontà e darà misura, oltreché della intelligenza, anche del carattere indispensabile in chi sia destinato ad assumere posizioni di comando»[15].

 

Le prime esperienze furono sostanzialmente positive se, alla fine del biennio, il Consiglio di facoltà, preso atto della «rispondenza dell’iniziativa ad un’avvertita esigenza della metropoli lombarda»[16], provvide all’avvio delle procedure atte ad attenerne il riconoscimento ufficiale, secondo un piano degli studi leggermente modificato rispetto al passato.

 

Tabella 4 Insegnamenti del Corso biennale per dirigenti d’azienda

Primo anno

Secondo anno

Materie obbligatorie

Materie obbligatorie

Tecnica delle rilevazioni contabili

Organizzazione aziendale

Tecnica delle operazioni bancarie

Economia delle aziende industriali e commerciali

Costi di produzione e distribuzione

Economia delle aziende di credito

Finanziamenti delle imprese industriali

Sistema dei prezzi

Variazioni monetarie

Responsabilità penali delle aziende

Tecnica delle ricerche di mercato

Bilanci delle imprese

Tecnica del commercio e dei regolamenti internazionali

Legislazione del lavoro e tecnica sindacale

Tecnologia industriale

Materie facoltative

Materie facoltative

Economia delle imprese pubbliche

Mercato finanziario italiano

Organizzazione economica internazionale

Tecnica della pubblicità

Tecnica tributaria

 

Il corso, che aveva conosciuto un buon successo nelle prime edizioni (il primo anno aveva ospitato 162 allievi, di cui 96 laureati in Economia e 66 in Ingegneria, Chimica o Giurisprudenza), mostrò abbastanza presto i suoi limiti: l’enfasi eccessiva posta su problemi teorici, la lezione cattedratica come regola, la mancanza di una didattica innovativa che coniugasse armonicamente teoria e prassi, una certa disorganizzazione nella gestione degli insegnamenti, la discontinua presenza dei docenti alle lezioni (non di rado sostituiti da giovani laureati privi della necessaria esperienza), l’incapacità di bilanciare i programmi alle effettive conoscenze di managers e di professionisti con un curricolo di studi molto differenziato avrebbero ben presto messo in discussione l’efficacia dell’addestramento proposto[17], senza tuttavia indurre il comitato di direzione ad attuare sostanziali correzioni di rotta. La stessa formula adottata per finanziare l’iniziativa mediante contributi aziendali rendeva quasi automatico il rinnovo degli stessi e quindi impediva una vera e propria competizione sul mercato della formazione del capitale umano. La scarsa innovatività della Scuola era supportata anche dalla già menzionata diffidenza del management delle grandi aziende italiane rispetto alle novità provenienti dagli Stati Uniti. D’altro canto anche i frequentanti il corso, per lo più sovvenzionati con borse aziendali, vivevano lo stesso «più come una ricompensa per il lavoro svolto e per la loro condotta, che con il proposito di acquisire nuove capacità»[18], ed erano quindi poco incentivati a esercitare pressioni sul corpo docente al fine di sollecitare opportuni mutamenti di rotta.

Solo il ’68 con la sue profonde istanze di rinnovamento avrebbe concorso a modificare completamente questo stato di fatto ponendo le premesse per la creazione della Scuola di Direzione Aziendale (SDA).


1

Era la seconda volta che il Presidente veniva in visita alla sua Università.

Einaudi era già stato alla Bocconi l’anno prima, in forma privata, per presenziare al «Primo convegno sui costi della distribuzione», promosso dall’Unione dei commercianti milanesi, e anche in quella occasione si era a lungo trattenuto con «gli antichi compagni di scienza e di studio in quella Bocconi che lo ebbe per Maestro». Cfr. Il Presidente della Repubblica oggi ospite della nostra città, in «Corriere d’informazione», 19-21 marzo 1951.

2

Lo stesso Presidente, che in occasione della cerimonia aveva personalmente consegnato a Palazzina le insegne di un’alta onorificenza al merito della Repubblica, in una lettera autografa del 17 dicembre 1952 (ASUB. Busta R3), così scriveva al direttore della segreteria: «Caro Palazzina, vedendola così commosso per le ovazioni degli studenti di oggi e di ieri e per il ricordo della sua mamma, compresi che la giornata del cinquantennio della sua università era una giusta ricompensa per l’opera sua così tenace e così feconda. E quest’onere duri ancora molti anni. Nella ressa non vidi Pagliari. Gli faccia i migliori auguri. Cordialmente suo Luigi Einaudi».

3

Cfr. Il Presidente della Repubblica è sempre il professore Einaudi, in «Corriere della Sera», 16 dicembre 1952.

4

Nel discorso pronunciato in occasione dell’apertura dell’anno accademico 1953-54, Armando Sapori si soffermò in particolare su una importante decisione assunta dal C.d.A.: «Fra non più di due mesi […], sull’area retrostante agli edifici dell’Università, al di là della via Toniolo, su una superficie di circa 5.500 metri quadrati, sarà posta la prima pietra della costruzione (su progetto dell’arch. Muzio) dei pensionati studenteschi, e della nuova mensa universitaria. I due pensionati, maschile e femminile, di uguali dimensioni, sono distribuiti in edifici a pianta stellare di cinque piani oltre al piano terreno ed al seminterrato, separati tra loro da giardini nella parte interna e collegati lungo il lato sud […] da una lunga costruzione ad un solo piano, tutta a logge e finestroni, dedicata alla mensa. Ogni pensionato […] conterrà nei cinque piani superiori 178 camere per gli studenti, mentre al piano terreno e al seminterrato sono previsti locali di ingresso e di attesa, sale di soggiorno, parlatoi, palestre, rimesse per biciclette, motorette, ecc. Ogni piano degli edifici del pensionato […] conterrà 36 camere divise in tre gruppi di dodici camere ciascuno; ogni camera, di mq. 10,5 di superficie, avrà il proprio lavabo. Ogni gruppo avrà servizi igienici indipendenti; ogni piano 12 bagni. La forma, la illuminazione e l’arredamento delle camere saranno disposte in modo da offrire le migliori condizioni per una vita sana e gradevole e per uno studio proficuo. I due pensionati avranno ingresso indipendente con portineria. L’ingresso al pensionato maschile sarà il principale e servirà anche alla foresteria dei professori […]. La mensa, che sarà frequentata, oltre che dagli ospiti del pensionato, da tutti gli studenti dell’Università, e potrà avere una propria gestione indipendente, è disposta in un vasto salone di oltre 550 mq., al piano rialzato sul lato sud […], capace di 416 posti distribuiti in tavoli di quattro commensali, con annesse sale di sosta e di soggiorno. Cucine e annessi servizi sono nel seminterrato, con accesso diretto all’esterno. Complessivamente le costruzioni progettate raggiungono i 37.000 metri cubi, dei quali 30.000 per i due pensionati e 7.000 per la mensa. L’esecuzione dell’opera si farà gradualmente, in modo che nel primo esercizio dell’anno accademico 1955-56 siano allestite 100 camere per ciascun pensionato, maschile e femminile, e siano complete ed efficienti le mense e tutti i servizi. La capacità totale di 356 camere sarà raggiunta per l’apertura dell’anno accademico 1958-59» (ASUB. Busta 116/3. «Discorso inaugurale dell’anno accademico pronunciato dal Rettore Magnifico prof. Armando Sapori»).

5

Palazzina fu tra i primi a sapere della chiamata di Flora (ASUB. Busta 1) che, da Bergamo, gli scrisse in questi termini: «Bergamo 16 dicembre 1962. Caro dott. Palazzina, l’università di Bologna mi chiama alla cattedra di italiano. Prima di aderire all’invito che mi fu rivolto ufficiosamente, io esitai a lungo, ma esso era tale – e mi veniva fatto coralmente anche da scrittori e artisti che vivono fuori della scuola – ch’io non potevo sottrarmi, per pigrizia, all’obbligo di formare discepoli dalla cattedra che fu già del Carducci e del Pascoli. Voglio però subito dirle che io non creerò il minimo imbarazzo alla Bocconi e fin quando l’Università non sia stanca della mia opera, io collaborerò (come facevo prima di diventare titolare) con tutti i colleghi che insegnano in cotesto unico istituto».

6

Verbali del C.d.F. Seduta del 27 novembre 1953.

7

«Azzano di Mezzegra (Como), 15/9/53. Caro dott. Palazzina, […] l’ultima volta che ci siamo visti prima delle vacanze le avevo fatto ancora una volta presente la assoluta e urgente necessità di assumere un “vice” qualificato, che venisse a sostituire il dott. De Maddalena, e una dattilografa in rinforzo della sig. Vanzi. Per il vice le avevo anche prospettato la candidatura del dott. Tancredi Bianchi, nostro laureato con lode, che mi pare un ottimo elemento. Il dott. Bianchi mi aveva detto che, in linea di massima, sarebbe stato disposto ad accettare, naturalmente stabilite le condizioni. Ho chiesto anche su ciò, in via riservatissima, il parere del prof. Guatri, il quale si è dichiarato favorevole al Bianchi sotto tutti i riguardi. Bisognerebbe portar a termine il più sollecitamente queste pratiche, se lei considera il dott. Bianchi l’uomo adatto […] Di ciò avevo parlato anche al Rettore, prof. Sapori, che mi aveva assicurato il suo più cordiale interessamento. Ma la sua malattia gli avrà impedito di occuparsene di proposito. Quanto al vecchio direttore, lei tenga presente che se gli anni suoi sono cresciuti parecchio, anche troppo, la biblioteca è divenuta a sua volta molto grossa, e che, allo stato della cosa, nemmeno un giovane con le spalle da Carnera, probabilmente, ce la farebbe; lui comunque, il vecchio Anchise, su questo non c’è dubbio possibile, non ce la fa proprio più» (ASUB. Busta O. Pagliari a Palazzina).

8

Nella seduta consiliare del 17 novembre l’argomento era così presentato: «Per quanto concerne la biblioteca, il Rettore informa che l’attuale direttore, prof. Fausto Pagliari, è stato colpito da una paralisi, fortunatamente subito risolta, e che, d’altra parte, ha ormai superato 75 anni di età: è quindi necessario preoccuparsi della di lui sostituzione, affiancandolo con un giovane che possa mettersi gradatamente in grado di assumere la direzione della biblioteca. Il Consiglio di Facoltà unanimemente prende atto con profondo rammarico della comunicazione del Rettore, incaricandolo di esprimere al prof. Pagliari il proprio augurio e un vivo ringraziamento per l’appassionata attività svolta per tanti anni a beneficio dei docenti e degli allievi della Bocconi. Il Consiglio auspica poi che, almeno temporaneamente, il prof. Pagliari possa continuare a prestare la propria preziosa attività come alto consulente dell’Università. Il Rettore dice che questo è anche il punto di vista suo e della Presidenza […]. Il prof. Dell’Amore propone comunque ai colleghi di occuparsi della ricerca di qualche bravo giovane, che abbia le necessarie attitudini a ricoprire un posto di così grande importanza. Il prof. Sapori comunica al riguardo che è stata ventilata la proposta di nominare Bianchi, attuale assistente del prof. Dell’Amore. Quest’ultimo, a conferma di quanto già ebbe occasione di dichiarare allorché gli fu prospettata questa eventualità, afferma che egli ha lasciato il dr. Bianchi completamente libero di decidere se accogliere o meno l’offerta. Egli aggiunge tuttavia che a suo giudizio il dr. Bianchi ha delle spiccate attitudini alla diretta ricerca scientifica ed ha quindi buone probabilità di riuscire ad affermarsi nella carriera accademica».

9

Cfr. G. Gemelli, Introduzione, in G. Gemelli (ed.), Scuole di management. Origini e primi sviluppi delle business schools in Italia, Bologna 1997, pp. 21-22.

10

Ibidem, p. 21.

11

Cfr. ASUB. Busta 91/98. Harvard University. Graduate school of business administration. Corso superiore per dirigenti d’azienda. Alla intensa campagna pubblicitaria che la scuola americana fece per conquistare il mercato europeo della business education accenna anche M.T. Coperland in And mark an era. The story of the Harvard Business School, Boston 1958, pp. 254 e ss.

12

I «Metodi di istruzione» della business school americana erano così presentati: «Tutte le risorse sono messe a disposizione di questo programma di addestramento. Si fa uso sia di speciali indagini condotte dai membri del corpo insegnante in diversi settori aziendali, sia di una casistica raccolta presso specifiche aziende. Questi case studies sono descrizioni di reali situazioni aziendali che vengono attualmente affrontate dai funzionari esecutivi. Insegnanti ed assistenti li ottengono direttamente da amministrazioni sindacali di aziende o statali [sic] e li presentano durante le lezioni per discussione. La discussione in aula rimpiazza in gran parte, o addirittura totalmente, la conferenza come mezzo per la presentazioni di concetti. Lo sviluppo del pensiero in base al sistema della casistica parte sempre dal concreto per arrivare all’astratto, dalla situazione particolare al concetto più vasto. Una caratteristica particolare che rende tale sistema un efficace strumento d’insegnamento, è l’interesse che esso desta nello studente grazie al suo sapore di realtà, inducendolo così a partecipare attivamente anziché passivamente al processo di educazione attraverso il quale egli impara a considerare i problemi aziendali in modo analitico e sistematico. Un altro vantaggio offerto dal “case system” risiede nel fatto che l’adeguata presentazione di problemi fornisce allo studente la possibilità di ampliare le sue conoscenze in differenti settori industriali sia dal punto di vista strettamente tecnico che da quello dell’informazione generale, non attraverso lo studio dei fatti separati ma con l’incidere sul processo mentale che porta al raggiungimento di decisioni. Questo sistema semplice e naturale di acquisire nuove cognizioni è pienamente coerente con il compito più importante di educare la mente all’analisi e all’elaborazione di decisioni. Attraverso lo studio di tali fasi gli uomini sono portati a dare un’impostazione pratica ai problemi connessi con la direzione di un’azienda, e attraverso la discussione in aula – che spesso diviene un argomento scottante – essi possono allo stesso tempo avvalersi reciprocamente delle differenti cognizioni dell’uno e dell’altro».

13

Cfr. ASUB. Busta 103/1. 22-12-1954. Corso di specializzazione per la formazione di dirigenti di azienda.

14

Le intenzioni di Dell’Amore risultano chiare nella minuta di una lettera senza firma, ma a lui sicuramente attribuibile, inviata all’amministratore delegato della Esso Standard Italiana che gli chiedeva notizie dell’iniziativa: «Milano 25 novembre 1954. Caro dott. Comba, rispondo con qualche ritardo alla sua dell’8 corr., sia perché temporaneamente assente da Milano, sia perché proprio in questi giorni ho avuto occasione di discutere ampiamente con docenti e con industriali il problema della formazione e della selezione dei dirigenti e quindi sono meglio in grado di esprimere il mio pensiero. In linea generale ho sentito confermare a tutti gli industriali la necessità di potere trovare dei metodi che da un lato rendano più sollecito ed economico il periodo di formazione del dirigente e dall’altro ne permettano una selezione più ponderata. Per quanto riguarda la formazione, questa si svolge in genere su una doppia linea fondamentale; da un lato l’acquisizione delle cognizioni specializzate da parte del futuro dirigente sì che egli possa trattare con competenza i diversi problemi che potrebbero essergli sottoposti; dall’altro lato la formazione del carattere e la dimostrazione dell’attitudine al comando. Seguendo questi concetti, l’Università Bocconi in accordo con l’Istituto superiore di studi aziendali, con ogni probabilità già a partire dal prossimo dicembre, inizierà un corso di specializzazione dove le materie specifiche per un dirigente d’azienda saranno insegnate con lezioni a frequenza obbligatoria e con esami finali, lezioni tenute da docenti che abbiano ad un tempo la conoscenza scientifica e la pratica aziendale. A titolo di esempio le cito i corsi che ci si propone di tenere con insegnamento a carattere biennale (allegato). Questo insegnamento verrà fatto in aggiunta alle ore del lavoro normale dell’impiegato e cioè dalle 18 alle 19 e al pomeriggio del sabato. Il comportamento allo sforzo che verrà richiesto al candidato potrà anche essere un indice della sua volontà e del suo spirito di sacrificio. Per venire poi al suo progetto penso che la discussione su problemi concreti da farsi fra un numero limitato di persone prese dalle più svariate categorie possa essere molto utile sotto il duplice aspetto di allenare alla discussione e fornire elementi di giudizio sulla capacità. Sotto questo profilo quindi trovo il corso perfettamente rispondente allo scopo che si prefigge. È evidente ormai che da varie parti si cerca la via migliore, più rapida e più economica, per la preparazione dei futuri dirigenti. Io ritengo che, ad esempio, entro due anni si potranno raccogliere in Italia i primi risultati di tutte le esperienze dei diversi criteri adottati caso per caso (Esso, Ipsoa, Corso Bocconi, Istituto superiore di studi aziendali di Roma, Università Cattolica) e da questi trarre norme per una organizzazione e un sistema particolarmente adatti all’ambiente e agli elementi italiani. Allegato. Anno accademico 1954-55: Costi di produzione e di distribuzione: Luigi Guatri. Finanziamenti alle imprese industriali: Ugo Caprara. Variazioni monetarie: Carlo Masini. Tecnica delle ricerche di mercato: G. Tagliacarne. Tecnica del commercio e regolamenti internazionali: Lorusso. Relazioni umane nell’azienda: Bardoscia. Tecnologia industriale: Massarani. I bilanci delle imprese: N. Rossi. Anno accademico 1955-56: Vengono confermati gli incarichi dell’anno accademico precedente con la sola variazione nel titolare di “Finanziamenti alle imprese industriali” che viene affidato al prof. R. Aregenziano. Si tengono inoltre i seguenti corsi: Tecnica delle rilevazioni contabili: N. Rossi. Tecnica delle operazioni bancarie: T. Bianchi. Organizzazione aziendale: C. Masini. Economia delle aziende industriali e commerciali: Pivato. Economia delle aziende di credito: Dell’Amore e Caprara. Il sistema dei prezzi: Aldrighetti. Responsabilità penali nelle aziende: Chiaraviglio. Legislazione del lavoro: Grassetti. Economia delle imprese pubbliche: Marcantonio. Tecnica tributaria: Bompani» (ASUB. Busta 99/4).

15

Armando Sapori, Discorso inaugurale dell’anno accademico 1954-55, Milano 1955, pp. 7-8.

16

ASUB. Verbali del C.d.F. Seduta del 12 marzo 1956. Le modifiche dello statuto sarebbero state approvate con decreto del Presidente della Repubblica n. 1607 del 14 dicembre 1956 (cfr. ASUB. Busta 103/1).

17

In una lettera inviata a Giordano Dell’Amore (ADA. Busta P. Milano 7 aprile 1965), Gianfranco Zuccato, uno studente del corso per dirigenti, così sintetizzava la sua disillusione e le sue critiche: «Le confesso che sono rimasto sorpreso e deluso. Credevo di trovare qualche cosa di nuovo ed ho trovato invece la solita “routine”: si arriva a scuola, si ascolta il professore che svolge la sua lezione teorica, si partecipa magari con qualche obiezione, si discute un po’ e, alla fine, si va a casa. In definitiva, dopo anni e anni di scuola media e di università, dove si è studiato ed appreso soltanto della teoria, dopo anni in cui si è parlato e scritto che la scuola italiana dà una formazione troppo generica e che le lauree non servono ad una preparazione professionale, ma solo ad una preparazione mentale che costituisce la base di studi futuri, si ritorna a scuola fiduciosi di arrivare finalmente a quei corsi di specializzazione tanto necessari per un inserimento nella vita pratica dell’economia attuale e si finisce, invece, ancora nella teoria e nella discussione accademica […] Mi aspettavo molto ma molto di più da questo corso. Mi aspettavo una vera applicazione di quello che si trova all’esterno della scuola, casi concreti di vita aziendale, situazioni economiche da capire ed interpretare, settori ben precisi da studiare dal vero e seguire nella loro attività per un certo periodo, interventi diretti per promuovere, dirigere, influenzare con i vari mezzi dell’economia moderna e così via. Provengo dal settore assicurativo, ma non ho sentito quasi niente circa il vasto campo di questa attività […], così come non ho sentito come vive e si muove un’impresa industriale e commerciale, come vive e fluttua la borsa valori. Non ho trovato, insomma realizzate in questo corso, che vuole dare una formazione di dirigente, quelle tecniche che sono state ormai indiscutibilmente provate come necessarie per raggiungere questo scopo. I management games, i panels, ecc. Tutto questo dal lato sostanziale, ma accennerò brevemente anche al lato formale, perché di una certa importanza ai fini del corso. È mancata la prolusione, che avrebbe cancellato in noi quell’impressione di trascuratezza che abbiamo ricevuto nelle prime settimane, quando disorientati ed incerti siamo venuti alle prime lezioni attendendo che qualcuno ci accogliesse e ci illustrasse il nostro programma di studio ed invece siamo stati sballottati da un’aula ad un’altra tutte le sere, senza sapere nulla di preciso, con cambiamenti d’orari improvvisi, con ritardi ed assenze degli insegnanti, con mancanza assoluta di un’assistenza, anche se un assistente è stato nominato. Non è stato dato il minimo peso alla nostra particolare fisionomia di studenti, tutti professionisti, qualcuno già con figli, qualcuno anziano […] e lo dimostra il fatto che non viene data la minima importanza al nostro tempo, strappato alle nostre occupazioni con fatica e sacrificio. Non siamo più ragazzetti ventenni e, mi sia permesso dirlo, non lo dovrebbero scordare i nostri insegnanti, qualcuno dei quali non tralascia di usare con noi il confidenziale “tu”, dimenticando che il fatto di trovarsi l’uno da una parte e l’altro ancora dall’altra della cattedra è un fatto puramente accidentale e noi non ci sogneremmo mai di dare del tu a qualsiasi persona venisse nelle nostre imprese a richiederci un servizio. Non vengono applicate, insomma, verso noi quelle relazioni umane che siamo venuti ad apprendere, purtroppo sempre in teoria perché la scuola stessa si dimentica di metterlo in pratica».

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Così Vittorio Coda in una intervista a M. Draebye e F. Pennarola (Il caso SDA Bocconi (1968-1985), in G. Gemelli, Scuole di management, cit., p. 355). Il prof. Coda così continuava: «Si aveva l’impressione che una volta terminato il corso, i partecipanti tornassero al loro lavoro senza che nulla cambiasse all’interno delle loro aziende».

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