Storia della Bocconi

1945-1968. Dalla liberazione al '68

1945-1949


Non lasciare che si affievolisca la luce della speranza, pur se, lungo il sentiero, sarai costretto ad inerpicarti.

Parole chiave: Rettore Demaria Giovanni, Palazzina Girolamo, Personale tecnico-amministrativo, CdA, Vice presidente Casati Alessandro, Facoltà di lingue

Riemerso, dopo un quinquennio di deprimenti e degradanti esperienze, nel chiarore di un’aurora attesa e benedetta, anche il villaggio bocconiano cominciò a guardare al futuro sospinto da rinnovate tensioni, da consolanti speranze, da rincuoranti aspettative. Dopo gli orrori, le atrocità di cui si era stati impotenti testimoni e vittime per lunghi anni sui tanti fronti bellici e nelle retrovie; dopo le feroci vendette consumatesi nella primavera del 1945 (ma già un anno prima la Bocconi aveva dovuto dolorosamente annotare la tragica scomparsa del suo vicepresidente, Giovanni Gentile, il quale tanto si era prodigato perché l’Ateneo ambrosiano avesse a superare debilitanti difficoltà d’ogni tipo); dopo gli scontri fratricidi che, nel nostro Paese, durante gli ultimi tempi del conflitto si erano sovrapposti a quelli accanitamente portati a termine dagli eserciti alleati contro le sempre più disgregate, sgretolate truppe naziste; dopo l’apocalittica conclusione della guerra, come qualcuno scrisse: «La pace, l’ordine, la tolleranza, il perdono, di cui molti avevano bisogno, non tornarono subito»[1].

Per parlare, tuttavia, di conclusione effettiva del conflitto si sarebbe dovuto attendere il 2 settembre di quell’anno (1945) quando, finalmente, il Giappone firmò la sua capitolazione. Da noi Parri, che dal 19 giugno reggeva, con una certa fatica, il Paese, il 10 dicembre si vide costretto a rassegnare le dimissioni. Per la prima volta, le redini del governo furono prese da Alcide De Gasperi.

Nonostante codesti pur tumultuosi accadimenti, nella fiducia che si stessero creando le condizioni indispensabili per il ritorno alla normalità, in via Sarfatti non si era perso tempo.

Per prima cosa ci si era dedicati con lena a ripristinare la situazione ambientale, che portava ancora le tracce delle pesanti, ma per fortuna non irrimediabili, conseguenze delle incursioni aeree dell’agosto del ’43. E si era ripresa, con incalzante entusiasmo, l’attività didattica e scientifica, ben sorretta dal lavoro degli uffici amministrativi.

Il rettorato era, allora, nelle mani di Giovanni Demaria che, subentrato a Paolo Greco, e con il consenso anche delle forze alleate di occupazione, non aveva perso tempo nel dare vigore e intelligenti itinerari di ricerche al corpo insegnante e al crescente numero di discenti. Demaria, il cui valore scientifico era già stato ampiamente riconosciuto non solo dagli economisti nazionali, ma anche dai più eminenti studiosi stranieri, aveva posto in luce le sue inconsuete doti nella guida dei lavori della Commissione economica istituita, per volere della Consulta, con decreto luogotenenziale del 31 luglio 1945, n. 435 e insediata, sotto la sua presidenza, il 29 ottobre dello stesso anno. In quell’occasione il ministro Pietro Nenni aveva, tra l’altro, espresso l’augurio che «la Commissione possa preparare studi che costituiranno per i lavori della prossima Costituente un materiale indispensabile per gli indirizzi che dovranno essere dati nel campo sociale ed economico alla futura nuova costituzione del nostro Paese […] Credo che la Commissione economica sia la più importante fra quelle destinate a preparare i lavori della Costituente, perché è quella che dovrà fornire alla futura Assemblea tutto il materiale scientifico di ordine economico e sociale che ispirerà i lavori necessari alla preparazione del disegno della sovrastruttura politica della nostra futura Costituzione […]».

Se nei locali del rettorato, dell’Istituto di Economia, così come in quelli degli altri laboratori scientifici, nonché nelle aule bocconiane, l’attività di ricerca e di studio era andata fervorosamente riprendendosi e sviluppandosi, non meno intenso e dilatato era divenuto il ritmo di lavoro negli uffici di segreteria, d’amministrazione e di biblioteca.

Il dottor Palazzina, singolare e ineguagliabile nostromo, sospinto quasi da una ritrovata giovinezza, si installava quotidianamente, alle nove in punto, dietro la sua larga scrivania, al primo piano del palazzo di via Sarfatti. Di là gettava di tanto in tanto una rapida occhiata alla via sottostante, non prima però di essersi ritagliato un cantuccio nella montagna di carte, dietro la quale amava rifugiarsi per meditare e per scrivere – in uno stile asciutto, che conosceva però l’importanza dei sentimenti e dell’arguzia – una delle sue tante lettere quotidiane, nelle quali la storia della Bocconi s’andava ogni giorno di più dipanando e cristallizzando. Sempre disponibile a ricevere un professore, uno studente, un impiegato, un importante personaggio o una timida madre preoccupata per gli esiti non troppo brillanti degli esami del figliolo, Girolamo Palazzina incuteva una certa soggezione, che però si dissolveva non appena si cominciava a dialogare con lui. Senza dubbio un ignoto studente non ebbe esitazione alcuna nell’appendere alla maniglia della porta dell’ufficio di segreteria un biglietto che Palazzina, ridendo di gusto, mi ebbe a mostrare. V’era scritto: «Attenzione! Molosso di piccola taglia, ma affettuoso e inoffensivo». L’incoraggiante invito a varcare senza tema la soglia della stanza di lavoro del direttore della segreteria sarà certamente rintracciabile fra le «carte Palazzina» nei fondi degli archivi bocconiani[2].

Fausto Pagliari, l’impareggiabile bibliotecario, col ritorno della pace aveva riacquistato appieno la sua vitalità e il suo buonumore. Aveva quasi dimenticato la brutta, ma per fortuna breve avventura capitatagli nel luglio del 1940, quando fu arrestato per essere inviato al confino. Coi suoi «clienti» (così egli chiamava i frequentatori della biblioteca) indugiava in lunghe conversazioni che non erano solo una ragionata esposizione di preziosi consigli bibliografici o, più in generale, biblioteconomici. Esse debordavano nel variegato terreno della storia recente e in quello della storia futura nelle lusinganti prospettive politiche che il suo cuore di ex turatiano gli suggeriva. Un affascinante, spiritoso resoconto di una historia facta miscelato con quello di una possibile historia in fieri, raccontate in un sapido, stupendo vernacolo, italiano, ambrosiano e cremonese, di cui mi sarei giornalmente saziato quando, di lì a poco, nella seconda metà del ’46, entrai a far parte della biblioteca bocconiana, perché l’entità e l’utilizzazione del materiale librario andavano crescendo senza soste e il caro, zelante prof. Pagliari non era più in grado di dirigere da solo l’attività della biblioteca in continuo sviluppo.

Se si spostava l’attenzione dalle fasce più elevate del corpo didattico-scientifico ai gradini inferiori dell’apparato gerarchico-amministrativo bocconiano l’intensità del lavoro esercitato, mutatis mutandis, appariva altresì in graduale aumento, quanto più si lasciavano alle spalle gli angustianti anni di guerra. Bastava osservare – per portare un esempio – con quanto sorridente impegno l’anziano capo degli inservienti dell’Università, il bonario, «mitico» Cavazza, si prestava a favore degli studenti, soprattutto delle matricole che, spaesate, ricorrevano al suo aiuto. Per fortuna erano finiti i tempi in cui, dietro compenso di qualche moneta, gli studenti che s’apprestavano a sostenere l’esame di Geografia economica, si ritiravano, qualche minuto prima del colloquio, nelle toilettes per indossare la camicia nera (Cavazza ne aveva una mezza dozzina di diverse misure), conditio sine qua non per presentarsi alla prova. Il buon Cavazza ancora ricordava che il sottoscritto, come sempre distratto, si era dimenticato di cambiare, con la camicia, anche la cravatta e, sfoggiandone una sgargiante a righe gialle e blu, sedutosi davanti al professore, l’intemerato sansepolcrista Filippo De Magistris, fu investito da una dura filippica (ovviamente) e bruscamente invitato a ritirarsi, «per meditare sull’alto senso del dovere, sull’ammirevole amor patrio di chi si sacrificava e moriva al fronte per l’Italia, per il Duce e per il Re».

E, per portare un secondo esempio, nei primi anni del dopoguerra l’attività di un collaboratore bergamasco (musicista, pittore e scultore: qualche anno dopo, quando Armando Sapori sarebbe stato chiamato al rettorato, egli non tardò a modellarne un busto in creta che piacque assai al neo Rettore) conobbe una crescita di cui non si poteva non tenere conto. Innocente Campana, gioioso confidente di molti studenti, era assai benvoluto per il suo sereno, disincantato modo di affrontare la vita. Provvedeva, nel suo bugigattolo sistemato al piano terreno dell’edificio bocconiano, a procurare agli allievi dispense e libri per la preparazione agli esami.

Non persero tempo i nuovi reggitori della nostra Università nel programmare un rafforzamento dell’Ateneo. La prima soluzione adottata fu quella di incrementare il numero dei componenti del corpo insegnante e di adeguarne le retribuzioni, applicando un contributo di contingenza, pari a quello stabilito dalle altre università dell’Alta Italia (di fatto, rispettando le disposizioni ministeriali, non superando la cifra di L. 6.000). In secondo luogo si intendeva proporre l’istituzione di corsi di lezioni «liberi» e di un programma di conferenze. In terzo luogo era da prendersi in seria considerazione l’apertura di una «sezione americana» dell’Università Bocconi, operazione che stava particolarmente a cuore al prof. Demaria. Infine, decisione di fondamentale importanza, si sarebbe dovuto ufficialmente istituire alla Bocconi un nuovo corso di laurea: la «sezione di Lingue e Letterature straniere», invero entrata in funzione col novembre del 1946.

In quel non breve lasso di tempo il Paese passò attraverso esperienze che si sarebbero riverberate anche entro le mura bocconiane. Non si era potuta celare l’emozione prodotta dall’abdicazione di Vittorio Emanuele III (9 maggio del ’46) e dai risultati del referendum istituzionale che avrebbero fatto dell’Italia una Repubblica (2 giugno dello stesso anno) e indotto il nuovo sovrano, Umberto II, a prendere, invero con dignitosa tristezza, la via dell’esilio mentre Enrico De Nicola, rifiutandosi di varcare le soglie del Quirinale, si insediava come presidente provvisorio della Repubblica a Palazzo Giustiniani (28 giugno). Non si poteva che partecipare con interesse alla formazione del secondo governo De Gasperi (16 luglio) e seguire con passione i lavori della Commissione per la Pace, iniziati a Parigi il 21 luglio. E non si potevano considerare con distacco i lavori del binomio De Gasperi-Gruber per tentare di risolvere la questione altoatesina. Né si potevano oltrepassare senza reazioni la scissione del PSIUP (11 gennaio 1947) e la costituzione del terzo e del quarto governo De Gasperi (3 febbraio e 30 maggio). E si possono capire le insoddisfazioni per la firma, a Parigi (10 febbraio), del trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati. Mentre sono ben comprensibili il compiacimento e le speranze in seguito alla votazione (5 giugno) del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa e, naturalmente, le aspettative per le preliminari discussioni, e i successivi ripensamenti, stesura della Costituzione (22 dicembre 1947).

Si avvertiva, ormai, la necessità di considerare da vicino e di mettere a punto i piani di gestione e di sviluppo della macchina bocconiana. Ci si trovò d’accordo, quindi, sul convocare per il 28 novembre 1947 il Consiglio di Amministrazione.

I presenti (presidente Donna Javotte Bocconi, vicepresidente il senatore Casati, consigliere delegato il dottor Cicogna, Rettore il prof. Demaria, consiglieri il professor Greco, i dottori Croccolo e Martegani, l’avv. Solmi, segretario federale della Provincia, in rappresentanza dell’avv. Migliori, nuovo rappresentante della Cassa di Risparmio, e il sindaco Greppi; assenti il prof. Del Vecchio e i dottori Donzelli, Falck, Foligno, Marzotto) furono informati dal Rettore, tra l’altro, che: 1) con decreto del 21 luglio già pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» s’era ottenuto il riconoscimento ufficiale della sezione di Lingue e Letterature straniere; 2) al primo convegno dei Rettori, a cui Demaria aveva presenziato, si era approvato il raddoppio delle tasse universitarie; 3) gli enti culturali americani, malgrado le difficoltà, aderivano en principe all’apertura d’una sezione americana della nostra Università, inclusa anche la nuova sezione di Lingue; e, infine, 4) il governo statunitense s’era dichiarato disposto a condurre in porto un’altra importante iniziativa: la costituzione d’una Academia Americana for Italy[3].

Le comunicazioni del Rettore furono accolte con vivo compiacimento e indussero a procedere subito alla «conferma di Giovanni Demaria nella carica di Rettore per l’a.a. 1947-48». Non mette conto di ricordare i provvedimenti di routine che conclusero quell’importante seduta del Consiglio d’Amministrazione[4].

Nei mesi precedenti, il Paese aveva attraversato momenti di tensione e assistito a eventi di rilevante importanza che avevano tenuto in agitazione le componenti politiche (e in particolare le forze giovanili) e, di certo, non avevano giovato al processo di ricostruzione economica, invero da tempo in atto e generalmente dagli esperti riconosciuto e sottolineato. All’inizio dell’anno, esattamente il 23 gennaio 1948, comunisti e socialisti avevano dato vita al Fronte democratico popolare, creando non poco fermento specie nelle leve giovanili politicamente impegnate. E si possono immaginare i contraccolpi generati dal successo della Democrazia cristiana e dalla sconfitta delle Sinistre alle elezioni politiche del 18 aprile (ben ricordo i fermenti, le agitazioni nell’ambito della popolazione studentesca bocconiana). Sembrava che la situazione si fosse notevolmente chetata dopo l’elezione di Luigi Einaudi a presidente della Repubblica (11 maggio) e l’ascesa al governo del quinto ministero De Gasperi (23 maggio). Ma il 14 luglio l’inaspettato attentato a Togliatti generò reazioni molto violente in tutto il Paese (anche la Bocconi conobbe giornate molto agitate), reazioni che si attenuarono, in superficie, grazie al rapido superamento delle critiche condizioni del ferito, ma continuarono a tenere vivi i profondi contrasti politici che dividevano il Paese. Non ci si meravigliò, tra l’altro, della scissione maturata in seno alla CGIL e portata a compimento il 18 ottobre 1948.

Quasi un anno dopo l’ultima convocazione (il 10 novembre 1948) il Consiglio di Amministrazione tornò, dunque, a riunirsi. Rispetto a quella precedente la composizione non risultava sostanzialmente cambiata: vi figurava un nuovo consigliere, il dott. Corti, non era registrato l’avv. Solmi, e il dott. Alessandro Croccolo era incluso nel Comitato esecutivo in qualità di consigliere aggiunto. Fu riacclamato Rettore Giovanni Demaria.

Quanto al conferimento degli incarichi d’insegnamento, a sostituire il defunto prof. Ugo Borroni, docente di Tecnica bancaria, fu chiamato il prof. Giordano Dell’Amore, mentre il prof. Amoretti (insegnante di Lingua tedesca anche all’Università di Pisa) occupò il posto del prof. Visconti, anch’egli torinese. Si deliberò di far tacere il corso di Pedagogia, e si diede l’incarico del corso complementare di Lingua e Letteratura russa al prof. Aurelio Zanco, altro torinese, riaffidandogli pure l’insegnamento di Letteratura inglese. Al prof. Porta, direttore della Civica scuola femminile «Manzoni» di Milano, su proposta del prof. Baridon, docente di Lingua e Letteratura francese, fu assegnato un corso libero di Lingue e Letterature comparate. Tutti gli assistenti e i lettori che avevano prestato la loro opera nel decorso anno furono confermati per l’a.a. 1948-49.

La proposta di Cicogna di rinunciare, pur riconoscendo la nobiltà del gesto, a una modesta eredità (neanche accettata dall’Università Cattolica) fu approvata dopo una breve discussione. Il Consiglio decise, invece, di affidare al Comitato esecutivo l’incarico di studiare e attuare i miglioramenti del trattamento del personale della Università e dei professori assistenti «avendo riguardo alle risultanze del bilancio in corso di compilazione».

Secondo il Rettore la necessità di far conoscere la sezione di Lingue e Letterature straniere, da poco funzionante, avrebbe consigliato la pubblicazione da parte della Bocconi di un «Bollettino o Rivista di lingue e letterature straniere». Impresa che sarebbe tornata proficua anche per la biblioteca dell’Università, per via degli scambi che si sarebbero innescati con riviste analoghe, donde un accrescimento del patrimonio librario, tanto più apprezzabile tenuto conto della recentissima istituzione dei corsi di Lingue e Letterature straniere. Un’operazione che, oltretutto, sarebbe stata favorita dall’adesione all’iniziativa da parte di un editore che aveva già predisposto un piano ad hoc. La direzione del nuovo periodico avrebbe potuto essere affidata al prof. Flora. Le proposte di Demaria trovarono consenzienti tutti i consiglieri. Tuttavia Cicogna, pur giudicando «l’iniziativa indubbiamente meritevole di ogni considerazione», non nascose la preoccupazione che si tenesse ben conto della situazione di bilancio, particolarmente in relazione alle esigenze del «Giornale degli Economisti»: consigliava pertanto «che si studiasse la possibilità d’accantonare allo scopo la somma di mezzo milione».

Mette conto di sottolineare che in quei primi anni del secondo dopoguerra la Bocconi aveva potuto e saputo rafforzare le proprie intelaiature. In una situazione politica e sociale ognora più solida e promettente, grazie al manipolo di validi e instancabili uomini che seppero intelligentemente reggere nelle proprie mani le redini dello Stato e del governo (malgrado i subbugli generati dagli avvenimenti succedutisi nel corso del ’48: abbiamo fatto solo un cenno ai più clamorosi), il nostro Ateneo aveva visto crescere notevolmente il numero degli iscritti, in particolare delle matricole.

A vero dire il 1949 fu un anno costellato di eventi e situazioni difficili di cui anche la Bocconi avrebbe potuto risentire. Si pensi da un lato alla situazione venutasi a creare all’interno della Democrazia cristiana per la crescente attività di uomini nuovi e agguerriti (Dossetti, Fanfani, Moro, per ricordare gli esponenti più dinamici della cosiddetta sinistra democristiana) con i quali De Gasperi, e i suoi fedeli, si trovavano inevitabilmente in disaccordo su molti aspetti della vita politica ed economica. Tanto più che il Patto Atlantico (firmato a Washington il 4 aprile) suscitò una sequela di contrasti quando si trattò di discutere l’adesione dell’Italia. Ma non è questa la sede per parlarne. Certo è che anche la gioventù bocconiana non mancò di partecipare caldamente alle dispute, dando non poche preoccupazioni al buon dott. Palazzina.

Tutto considerato, tuttavia, la nostra Università seppe rimanere ai margini della tempesta. E non v’è dubbio che la nuova sezione di Lingue e Letterature straniere concorse a rinforzarne le fondamenta. Il richiamo del nuovo corso di laurea era avvertito non solo nell’area milanese e lombarda, si era fatto sentire in altre più lontane contrade. E, dunque, si può capire lo sforzo dei reggitori bocconiani per perfezionare e arricchire, in uomini e mezzi, le dotazioni dei nuovi corsi i quali, ormai, cominciavano a essere definiti usando una sola parola, ancora abusiva: «facoltà». Ne fa prova l’ordine del giorno stilato per la seduta del l° dicembre 1949 del Consiglio di Amministrazione, i cui componenti erano gli stessi dell’anno precedente, compresi gli assenti (tutti giustificati) e cioè: Casati, Del Vecchio, Greppi, Migliori, Marzotto.

Dopo la conferma del Rettore per l’a.a. 1949-50 (effettuata per acclamazione), il Consiglio di Amministrazione affrontò la chiamata di un secondo professore di ruolo. Ancorché prevista dallo statuto, per quasi mezzo secolo non si era avvertita la necessità di rafforzare il corpo insegnante, accrescendo il numero dei docenti di ruolo. Ma l’istituzione della sezione di Lingue pose il problema sul tappeto, se non altro per evitare una sorta di pur non dichiarata sudditanza della nuova sezione rispetto a quella di Economia e Commercio. Senza dire che la pseudofacoltà di Lingue e Letterature straniere si presentava, in un certo senso, acefala: il Collegio dei professori (non si poteva ancora parlare, invero, di un «Consiglio di facoltà») era costituito soltanto da docenti incaricati e operava sotto la guida di uno di loro. L’inserimento di un professore di ruolo avrebbe sicuramente recato beneficio alla nuova sezione, sia sotto il profilo dell’immagine, sia sul piano dell’organizzazione dell’attività didattica, culturale e amministrativa in senso lato. Tutto questo spiega perché la stessa presidente, Donna Javotte Bocconi, considerato «che rimanevano scoperti posti di ruolo», segnalò l’opportunità, anzi la necessità che «malgrado l’onere che la nomina di Professori di ruolo comportava per il bilancio dell’Università […] si impone […] di provvedere, senza ulteriori indugi, a coprirne almeno uno. Invitava quindi il Rettore a comunicare il voto espresso al riguardo dal Consiglio di facoltà». E Demaria riferì ai colleghi che, «considerato il fiorente sviluppo del Corso per la laurea in lingue e letterature straniere [si noti la formula, scritta in corsivo, la quale attesta che era già entrato nell’uso comune il termine «corso» in luogo di «sezione»], il Consiglio di facoltà ha ritenuto opportuno che uno dei posti di ruolo sia assegnato ad un insegnante del Corso stesso e che, esaminati in confronto di altri possibili aspiranti, i titoli scientifici e didattici del prof. Francesco Flora e la magnifica prova da lui data nel triennio di insegnamento in lingua e letteratura italiana nella nostra Università […] ha deliberato di proporre che il Prof. Flora […] sia chiamato a coprire presso questa Università […] la cattedra di Lingua e Letteratura Italiana» (Flora, oltre tutto, si era appena classificato secondo nella terna del concorso per la cattedra di Italiano presso l’Università degli Studi di Milano). Tutto sommato, insomma, i membri del Consiglio di Amministrazione furono felici che il prof. Flora occupasse da subito uno dei posti di ruolo presso la Bocconi.

Nel corso della stessa seduta, su proposta del Rettore, furono confermati per il 1949-50 tutti i corsi fondamentali e complementari svolti nel precedente anno accademico e i relativi docenti. Rivolto un mesto pensiero al prof. Borgatta, da poco scomparso, si stabilì di affidare l’incarico dell’insegnamento di Scienza delle finanze al genovese Aldo Scotto, professore all’Università di Sassari. Quanto ai corsi liberi si decise di assegnare quello di Letterature comparate al già ricordato prof. Porta e quello di Tecnica della Borsa, congiuntamente, ai proff. Giorgio Pivato ed Egisto Ginella. Confermati tutti i lettori e assistenti dell’anno precedente, delegati il Rettore, Cicogna, Croccolo e Palazzina all’esame delle domande per l’assegnazione di borse di studio, nominato un rappresentante nel Consiglio dell’Opera Universitaria (provvedimenti ogni anno ricorrenti e che più non menzionerò) e accolto il dono di una borsa di studio intestata al dott. Mario L. Magnani, la seduta fu tolta.


1

Ricordo qui i principali avvenimenti che caratterizzarono l’anno 1945: Conferenza di Yalta (4-11/2); insurrezione a Milano (25/4); uccisione di Mussolini (28/4); governo Parri che succede a Bonomi (9/6); atomiche su Hiroshima e Nagasaki (6-9/8); capitolazione Giappone (2/9); dimissioni Parri, primo governo De Gasperi (10/12).

2

Chi volesse rendersi conto delle doti di Palazzina come segretario e prolifico estensore di lettere potrà scorrere il voluminoso, interessante epistolario Palazzina-Gentile dato alle stampe recentemente a cura di M.A. Romani, Da ieri ho l’inferno nel cuore. Girolamo Palazzina-Giovanni Gentile. Un epistolario (1939-1944), Milano 1999, pp. VI-427. Aggiungo che, a partire dal maggio del 1940, Palazzina ebbe un aiuto dall’attivo e appena nominato segretario di facoltà dott. Italo Munari, il quale fu poi nominato, nel 1956, direttore del pensionato.

3

L’Academia Americana avrebbe dovuto, in Italia, operare in cinque centri: a Roma (per studi e ricerche in Archeologia, Storia antica, Lingue orientali, Pittura, Scultura, Arti cinematografiche, Letteratura italiana); a Milano (attività nel campo dell’Economia e Scienze sociali, Finanza pubblica, Scienze politiche, Sociologia, e Teatro); a Firenze (Pittura, Scultura, Storia medievale e rinascimentale, Diritto e Musica italiana); a Napoli (Filosofia italiana, Storia moderna italiana, Biologia marina). Il capitale di dotazione e d’esercizio sarebbe stato pari a 10 annualità di 500 milioni di lire a carico dell’Italia e a un milione di dollari annuo messo a disposizione per 10 anni dal governo degli Stati Uniti.

4

Si sarebbe dovuto procedere a qualche ritocco nella chiamata di professori della nuova sezione di Lingue, alla nomina di assistenti e incaricati, all’istituzione di corsi liberi e di un programma di conferenze, ancorché non si sarebbe voluto affidare, per non creare un precedente, un corso di lezioni-conferenze di cultura religiosa al domenicano, vicepriore del Convento delle Grazie, padre Poli, fresco laureato bocconiano.

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