Storia della Bocconi
1945-1968. Dalla liberazione al '68
Gli effetti della riforma del piano di studi non si fecero attendere. Nel ’72, assieme a 303 studenti laureatisi in Economia e Commercio, vi furono i primi 30 dottori in Economia aziendale e i primi 12 laureati in Economia politica. All’inizio del terzo anno di corso, un piccolo gruppo di giovani iscrittisi nel 1967-68 aveva optato per le nuove lauree.
Nel ’78 vi fu il primo laureato in Discipline economiche e sociali[1], mentre i fuori corso che completavano Economia e Commercio andavano rapidamente scemando, anche perché le nuove lauree prevedevano meno esami. Sull’arco dei sei anni 1972-77, su 1.956 dottori più della metà (il 52,3%) preferì il CLEA, un terzo abbondante (36,6%) concluse Economia e Commercio e il rimanente 11,1% optò per il CLEP[2].
L’ultima tesi del vecchio corso di laurea fu discussa nell’89, a vent’anni dall’avvio della riforma, e quando i rapporti quantitativi fra i diversi corsi si erano ormai stabilizzati. Dal ’78 all’89, a parte il peso ormai simbolico – 0,7% – di Economia e Commercio, prevalse in misura schiacciante il CLEA con 1’84,7% di lauree[3] mentre CLEP[4] (8,5%) e DES[5] (6,1%), presi assieme, finirono per rappresentare vere e proprie nicchie disciplinari con poco più di cento laureati l’anno.
Come ho già ricordato, la riforma bocconiana coincise con la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie del dicembre ’69 e con l’avvio di una costante, generale diminuzione delle iscrizioni alle facoltà economiche, proseguita fino al ’77-78, quando in Italia le immatricolazioni quasi dimezzarono rispetto al 1970-71. Nell’immaginario collettivo, la grave crisi politica e sociale italiana – gli «anni di piombo» –, sulla quale s’innestò la crisi economica internazionale all’insegna del binomio rincaro del petrolio e abolizione del gold-dollar standard, indusse i giovani a disertare le facoltà di Economia.
È senz’ altro istruttivo misurare gli effetti quantitativi del sommarsi di avverse congiunture mettendo in controluce la serie storica delle lauree in via Sarfatti rispetto a quella dell’intero sistema universitario italiano[6]. Dopo un’impennata nel biennio 1970-72[7], la serie bocconiana ristagnò lungamente attorno ai 300 dottori l’anno e decollò dal ’79, quando prese un ritmo di crescita che può ben essere definito esponenziale. Le frequenze di lauree economiche del resto d’Italia[8], invece, denotano un’ininterrotta quanto netta flessione dal ’70 al ’77 e poi risalgono, come quelle bocconiane, seppure meno celermente.
Figura 20 Laureati in Bocconi e nel resto delle facoltà economiche italiane, 1970-1989
L’andamento ristagnante della serie dei laureati bocconiani in Economia aziendale e in Economia politica, con un minimo di 268 dottori nel 1978, l’anno a partire dal quale cominciarono ad aggiungersi i laureati in Discipline economiche e sociali, non solo è discordante rispetto a quello complessivo delle facoltà economiche d’Italia, ma è anche assai diverso da quello dell’altro ateneo milanese che, all’epoca, rilasciava lauree in Economia e Commercio: l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Nella facoltà economica di largo Gemelli si verificò un vero e proprio crollo: da 759, nel 1970, i laureati scesero fino a un minimo di 157 nell’80. In seguito, la tendenza s’invertì gradualmente, fino a riguadagnare nel 1989 livelli non troppo inferiori a quelli già toccati negli ultimi anni Sessanta[9].
Alla luce della dinamica della serie di laureati dell’altro libero ateneo milanese, sembra di poter dire che l’innovazione dei piani di studio premiò l’intraprendenza della Bocconi attirando un crescente numero di studenti in via Sarfatti e decretando il lusinghiero successo del corso di laurea che preparava e specializzava giovani destinati a entrare soprattutto nelle imprese grandi, medie e piccole del terziario dell’alta Italia.
Figura 21 Laureati in Economia in Bocconi e in Cattolica, 1970-1989
Si trattava degli effetti didattici della rivoluzione disciplinare realizzata quarant’anni prima da Gino Zappa, che aveva convenientemente ricollegato «il divenire dell’economia aziendale con il processo dell’economia generale». Se, infatti, nell’anno accademico 1970-71, fra matricole, studenti in corso e fuori corso, la Bocconi contava 3.200 iscritti, nel 1989-90 era arrivata ad averne 10.362, vale a dire ben più del triplo.
Gli anni Ottanta coincisero con un vero e proprio decollo dimensionale. Nel 1976-77, per la prima volta gli iscritti (4.225) superarono i livelli di trent’anni prima (4.004 studenti nel 1945/46)[10]. Per di più, i trasferimenti in entrata e in uscita dalla Bocconi si ridussero a livelli fisiologici: 5% negli anni Settanta e ancor meno nel decennio seguente, coerentemente con la diminuzione degli studenti lavoratori.
Figura 22 Frequenze di laureati dei quattro corsi di laurea in Bocconi, 1970-1989
Il salto di quota dei laureati (389) si verificò nell’anno 1979, a partire dal quale le frequenze non fecero che crescere vistosamente, fino a sfiorare le 1.500 unità nel 1989. I numerosi laureati del biennio 1970-71 completarono i loro curricoli in tempi medi analoghi a quelli degli ultimi anni Sessanta[11]. Dopo di allora, si aprì un ciclo orientato alla diminuzione del tempo passato nelle aule bocconiane fino alla discussione della tesi, conclusosi nel 1977, con un minimo di 58 mesi, effetto, questo, del minor numero di esami – 26, più due lingue – rispetto all’eclettico e lungo itinerario di Economia e Commercio.
Dal ’78, le durate medie si riportarono attorno agli 80 mesi, come dire sei anni e mezzo: effetto dell’azione congiunta di un crescente carico didattico causato dall’introduzione degli otto indirizzi nel CLEA e dell’esaurirsi di un’attitudine indulgente generalmente diffusa fra i giovani docenti, molti dei quali, da studenti, avevano attivamente preso parte alle «battaglie» del Movimento o con esso avevano semplicemente simpatizzato.
Figura 23 Durate medie, in mesi, degli studi dei laureati nei quattro corsi di laurea bocconiani, 1970-1989
Un’inchiesta campionaria effettuata nell’occasione di un convegno dedicato al futuro della Bocconi, indetto nel marzo del ’77 dalle tre organizzazioni sindacali, permise di accertare l’insediamento economico, sociale e culturale di provenienza degli studenti di via Sarfatti. Due terzi (65%) erano rampolli dell’alta e media borghesia, poco più di un quarto (26,4%) veniva dalla piccola borghesia e il rimanente 8,6% dal mondo operaio e contadino[12].
Nell’Annuario pubblicato nel 1988, che riuniva informazioni relative al triennio 1982-1984[13], figura una statistica delle professioni dei padri dei circa 8.000 iscritti[14]. Essa offre un profilo molto simile a quello disegnato dai sindacalisti una decina d’anni prima, con qualche significativo ritocco delle percentuali a favore del ceto medio emergente, in un Paese nel quale gli addetti al terziario non cessavano di aumentare.
Nei primi anni Ottanta, gl’iscritti provenienti da famiglie alto e medio-borghesi erano un po’ meno dei due terzi (62,8%)[15], la piccola borghesia, toccando il 29,6%[16], aveva guadagnato terreno, mentre dall’ambiente operaio e contadino veniva solo il 7,6% degli studenti.
Figura 24 Insediamento sociale dei padri (%) dei laureati (1916-25) e dei padri degli studenti (1982-84) della Bocconi
La stabilità nel lungo periodo della società italiana del Novecento è ben testimoniata dal raffronto fra il profilo sociale dei genitori dei laureati bocconiani del decennio 1916-1925[17] e quello, a due generazioni di distanza, dei padri degli studenti dei primi anni Ottanta. I genitori dei laureati del decennio 1916-25, nati attorno al 1870, due lustri dopo l’unificazione sotto la corona dei Savoia, perfezionarono la loro identità economica e sociale in un Paese arretrato e solo marginalmente interessato dal processo di modernizzazione economica, politica e sociale in corso nell’Europa occidentale da almeno un secolo. Milano fu senz’altro l’unica città italiana che, fra la fine dell’Ottocento e i primi quindici anni del Novecento, visse un processo di modernizzazione tumultuoso e assai rapido[18].
La libera Università nella quale si studiavano le Scienze economiche attirò studenti da tutta l’Italia, secondo una miscela sociale sostanzialmente inalterata ancora nei primi anni Ottanta, quando il Paese aveva sperimentato l’industrializzazione ed era divenuto una delle sette maggiori potenze economiche del mondo. La ricostruzione postbellica e il «miracolo», insomma, non avevano mutato i rapporti fra i ceti, almeno a giudicare dall’identità sociale delle famiglie dei giovani che approdavano in via Sarfatti.
In numero assoluto, le immatricolazioni degli anni Ottanta superarono del 74,2% quelle degli anni Settanta[19], per larga parte dei quali, come si è potuto notare, i flussi in ingresso ristagnarono. Il successo dei due e poi – dal ’74, col DES – dei tre corsi di laurea innovativi fu decretato dai giovani originari di Milano e della sua provincia e dagli altri lombardi[20], dai piemontesi-valdostani e dai liguri. Negli anni Ottanta, ben 1’83% degli iscritti, vale a dire dieci punti in più rispetto agli anni 1958-69[21], provenne dalle regioni del triangolo industriale, nonostante la statalizzazione dei corsi di laurea in Economia di Brescia e di Bergamo.
La percentuale, già bassa, degli studenti del Nord-est, per contro, dimezzò[22]. Si mantennero stabili quelli del Centro-Meridione evoluto e dell’estero e calò consistentemente la presenza di giovani del Centro-Meridione arretrato. Sull’arco del ventennio considerato, i mutamenti di maggior peso sociale e culturale furono certamente dati dal quasi raddoppio del numero di studentesse, che, dal 17% degli anni Settanta, giunsero a rappresentare il 30% nel decennio immediatamente successivo, e dalla minima percentuale di studenti lavoratori (3%)[23].
Figura 25 Origine geografica (%) degli studenti della Bocconi negli anni ’70 e ’80 del Novecento
Mutamenti non meno rilevanti si profilarono a proposito dei titoli di studio esibiti dai giovani al momento dell’immatricolazione. È interessante raffrontarli con quelli relativi al decennio Sessanta, l’ultimo nel quale la Bocconi rilasciò esclusivamente lauree in Economia e Commercio e, parimenti, nel quale agirono le tradizionali limitazioni agli accessi nelle facoltà universitarie di cui si è già detto.
Solo la presenza dei giovani usciti dal classico permase costante. Per contro, si ebbe un vero e proprio crollo dei ragionieri e dei geometri che, presi assieme, dalla fine della guerra al 1960 non erano mai scesi al di sotto del 51% degli iscritti. Sull’arco di un trentennio, vi fu una perfetta inversione delle proporzioni fra ragionieri – crollati dal 51 al 18% – e maturi dello scientifico, passati dal 18 al 50%.
Figura 26 Scuole superiori di provenienza (%) degli studenti, 1960-1989
Nell’insieme, le percentuali dei primi tre generi di diplomati (in Figura) assommavano come minimo all’86% degli iscritti e, negli anni Settanta, addirittura al 93%. Meritano un cenno il crollo delle percentuali di periti industriali e geometri, la piccola quota di stranieri costantemente presenti nel secondo cinquantennio di vita della Bocconi e, da ultimo, la significativa crescita di un’eterogenea varietà di provenienze curricolari – «Altro» – profilatasi negli anni Ottanta.
Da parte loro, sull’arco del trentennio 1960-89, le percentuali dei diplomati delle superiori italiane si mossero secondo dinamiche sensibilmente differenti. I maturi dello scientifico raddoppiarono e quelli del classico dimezzarono, nell’insieme compensandosi quasi perfettamente. I ragionieri continuarono a crescere passando dal 14 al 24%, geometri e periti industriali mantennero lungo il trentennio le rispettive quote. I numerosissimi licenziati d’ogni altra scuola superiore, che nei primi anni Sessanta assommavano a poco meno della metà dei maturi italiani, dopo una breve fase d’intensa crisi nel triennio 1978-80, scesero attorno al 30%.
Figura 27 Diplomi delle superiori (%) in Italia, 1970-1989
Il più che raddoppio d’iscritti in Bocconi provenienti dallo scientifico, dunque, è perfettamente coerente con la dinamica espressa dai giovani studenti del Paese. La tenuta del classico mentre i suoi maturi dimezzavano è, invece, indice di una crescita del prestigio delle scienze economiche presso gli umanisti per eccellenza.
In perfetta controtendenza si mossero i ragionieri, consistentemente cresciuti in Italia e scesi di sotto da un quinto in Bocconi; processo, questo, almeno in parte dovuto alla liberalizzazione degli accessi iniziato nel 1970. Fra gli iscritti in via Sarfatti divennero sempre più rari geometri e periti industriali che, mentre conservavano i rispettivi pesi relativi nella compagine nazionale, preferirono continuare gli studi a Ingegneria e Architettura.
↑ 1
Nell’anno civile 1978, il primo e unico laureato del nuovo corso – avviato nel 1974 – fu Guido Consonni, cfr. 1906-1999, cit.
↑ 2
Cfr. nell’Appendice le serie storiche dei laureati.
↑ 3
Dal 1977, la laurea in Economia aziendale offrì otto indirizzi di specializzazione: Economia delle aziende industriali; Economia delle aziende commerciali; Economia delle aziende di credito; Finanza aziendale; Marketing; Organizzazione aziendale; Amministrazione e controllo; Economia delle pubbliche amministrazioni.
↑ 4
La laurea in Economia politica prevedeva due indirizzi: Economia politica e Statistica e Ricerca operativa.
↑ 5
L’istituzione del corso di laurea in Discipline economiche e sociali, aperto nel 1974-75 con 79 iscritti, perseguì l’allargamento e l’approfondimento delle discipline economiche e sociali. «La durata degli studi (cinque anni), il tipo di didattica, lo spazio riservato alla discussione e alla ricerca guidata da una équipe di docenti mirano a formare degli economisti che vadano a colmare quella domanda proveniente dalle associazioni, imprese, organismi di studio e ricerca sia pubblici che privati che da tempo si era creata»; cfr. L. Gasparini, La libera università Bocconi nella metropoli lombarda (testo inedito di una conferenza, senza data, ma post 1975), p. 6 (ASUB. Sezione in riordino).
↑ 6
Depurato della serie bocconiana.
↑ 7
La semestralizzazione, la riduzione dei corsi istituzionali, la sessione d’esame mensile per i fuori corso e la tesi di relazione accelerarono i tempi di completamento dei curricoli.
↑ 8
I valori sono stati ridotti al dieci per cento per facilitare il raffronto delle tendenze.
↑ 9
Le informazioni quantitative sono state tratte dagli Annuari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, per le annate 1946-1999, editi da Vita e Pensiero, Milano.
↑ 10
Cfr. nell’Appendice le serie storiche degli iscritti.
↑ 11
Si veda, più addietro, la Figura 5, nel § 5.8.
↑ 12
ASUB. Sezione in riordino. Quale futuro per l’Università Bocconi, documento presentato alla Conferenza di Ateneo del 15 marzo 1977. L’inchiesta fu condotta sui laureati tra il 1971 e il 1974 usando questionari e riguardò iscritti nei secondi anni Sessanta. Nel 1970, rispondendo a un’intervista nella quale si enfatizzava l’innovazione dei due corsi di laurea, il Rettore Dell’Amore dichiarò: «Il 53,54% degli iscritti alla facoltà di Economia e Commercio proviene da famiglie di lavoratori dipendenti, operai e impiegati; il 29,7% da nuclei familiari il cui capofamiglia è professionista, dirigente o industriale; il 17,39% da nuclei familiari il cui capofamiglia è esercente o commerciante. […] nella facoltà di Lingue i figli di operai e impiegati raggiungono il 65% circa»; Ibidem, Le nuove lauree dell’Università pilota, in Fortuna Italiana, 1970, p. 171.
↑ 13
Annuario, Anni Accademici 1982/83-1983/84-1984/85, Milano 1988, p. 387.
↑ 14
A parte la diversa dimensione dei casi osservati, qui si consideravano tutti gli studenti e non i soli laureati, oggetto dell’inchiesta dei sindacati.
↑ 15
Comprendeva: dirigenti 25,8%, lavoratori autonomi 15,9%, liberi professionisti 11,5% e imprenditori 9,6%; cfr. Annuario, cit.
↑ 16
Ibidem. Comprendeva: impiegati di concetto 18,6%, impiegati d’ordine 7,2%, insegnanti 2,5% e coadiutori di aziende familiari 1,3%.
↑ 17
D. Musiedlak, Université privée et formation de la classe dirigéante: l’exemple de l’Université L. Bocconi de Milan (1902-1925), Parigi-Padova 1990, pp. 75 e ss.
↑ 18
AA.VV., Il Mondo Nuovo, Milano 1890-1915, Milano 2002.
↑ 19
Nel decennio Settanta gli iscritti ammontarono a 10.136, in quello successivo raggiunsero le 17.662 unità; cfr. nell’Appendice le serie storiche di immatricolazioni, iscrizioni e lauree.
↑ 20
Fra i quali prevalevano comaschi e varesini, cfr. Annuario, cit., Milano 1985, p. 414.
↑ 21
Cfr., più addietro, la Tabella 5 (§ 5.7).
↑ 22
Ibidem; nel periodo 1958-69 era stata del 10,3%.
↑ 23
Cfr. il Prospetto statistico relativo al numero degli studenti lavoratori iscritti nel triennio 1982-85, pubblicato in Annuario, cit., Milano 1988, p. 386.
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Prefazione
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Il ritorno alla normalità: gli anni del rettorato di Giovanni Demaria (1945-1952)
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Il lungo rettorato di Armando Sapori (1952-1967)
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Gli anni difficili: il rettorato di Giordano Dell’Amore
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Ridestare un quarto di secolo di storia bocconiana (1945-1968)
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Gli studenti e la loro Università (1945-2001)