Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Gli istituti clinici di perfezionamento


Parole chiave: Milano, Rapporti istituzionali

In termini generali una proposta di quel tipo venne in effetti avanzata l’anno successivo dalla Commissione nominata dalla Associazione medica lombarda. Presieduta da Mangiagalli, essa concluse che la miglior forma di utilizzo del lascito sarebbe consistita nell’istituzione di nuovi «studi clinici negli Ospedali di Milano»[1], trovandosi però poi in difficoltà quando si trattò di definire le relative priorità. Alcuni suoi componenti puntavano infatti sulle cliniche generali, la medica e la chirurgica, ritenute, anche per il costo più modesto, effettivamente realizzabili con il lascito a disposizione; altri insistevano invece per la attivazione di cliniche specialistiche, quali ancora non ne esistevano nelle università italiane. Prevalse per il momento la prima linea, ma non in modo tale da eliminare le altre opzioni. E ulteriori difficoltà insorsero in seguito, di fronte al riemergere di proposte in precedenza scartate. La questione finì così con l’essere momentaneamente accantonata, unitamente al lascito ed alle sue ipotesi di utilizzo. Quanto al Consorzio tra lo Stato e gli enti locali, esso venne bensì rinnovato nel gennaio 1897, ma senza gli ampliamenti e le novità a suo tempo auspicate.

Lo stesso ritorno di Mangiagalli all’insegnamento universitario – e proprio a Pavia, quale titolare di Ostetricia – parve comportare un atteggiamento di minor attenzione per le possibili strategie di potenziamento delle strutture cliniche milanesi. Ma si trattò di un passaggio assolutamente transitorio. Ascritto politicamente alla democrazia radicale e massonica che faceva capo al «Secolo», Mangiagalli fu eletto consigliere comunale nella lista dei partiti popolari vincitori delle elezioni amministrative milanesi del dicembre 1899. Nel programma elaborato per l’occasione venne introdotto un esplicito cenno all’opportunità di dotare la città «di nuovi istituti di studio, non insidianti, ma completanti quelli universitari, profittando del prezioso materiale scientifico ed intellettuale ed anche finanziario (legato Valerio) che la nostra città può offrire»[2]. Entro un anno la nuova Giunta insediò in effetti una Commissione, incaricata di riprendere in esame la possibile destinazione del lascito Valerio, affrontando nel contempo l’altra pendenza, fattasi nel frattempo urgente tra Comune e Provincia, riguardo alle strutture ospitate, al di là del Naviglio, nell’ex convento di Santa Caterina, insieme brefotrofio e ospedale per le partorienti, con annessa Scuola di ostetricia. Quale relatore della Commissione comunale, Mangiagalli sostenne l’opportunità di impiegare il lascito Valerio per costituire «istituti clinici aperti ai laureati desiderosi di completare la loro istruzione pratica», ponendo nel contempo l’accento, visto il rischio che, in mancanza di accordi tra gli enti finanziatori, la Maternità potesse venire chiusa, sull’urgenza di dar vita ad una nuova clinica ostetrico-ginecologica, opportunamente finanziata, ed alla quale aggregare anche il relativo reparto dell’Ospedale Maggiore. Nel medesimo tempo venne ventilata la possibilità di realizzare una nuova struttura da destinare alle malattie professionali e del lavoro, secondo il piano caldeggiato dal genovese Luigi Devoto, dal 1899 professore di Patologia medica a Pavia, e da Ersilia Maino Bronzini, presidente dell’«Unione femminile», nonché moglie dell’avvocato e deputato socialista Luigi Maino, a sua volta coinvolto attivamente nel progetto[3]. Rispetto alle conclusioni della Commissione dell’Associazione medica lombarda del 1894, la strada imboccata era dunque quella delle cliniche «speciali», a quell’epoca rimaste invece ancora in minoranza.

Le trattative, subito avviate, tra Comune, Provincia e Ospedale Maggiore, portarono ad un esito positivo e nel novembre 1902 la convenzione costitutiva degli Istituti clinici di perfezionamento, comprensivi, per il momento, delle due istituende cliniche, ostetrico-ginecologica e delle malattie del lavoro, poté essere sottoposta alla approvazione del Consiglio comunale. Nel frattempo, nel maggio 1902, Mangiagalli si era presentato con successo per un’elezione suppletiva al IV Collegio cittadino, proponendo tra gli elementi qualificanti della sua candidatura a deputato l’opera svolta per dotare la città di «Istituti superiori per medici già laureati che riempiano la lacuna esistente nella catena dei nostri istituti di alta coltura» e per farvi sorgere, «prima in Europa, quella Clinica del lavoro, che, collo studio amoroso, coordinato, sapiente di ogni infermità che dal lavoro tragga le sue origini, possa ad un tempo indicarne e la prevenzione e la cura»[4]. Era di poco posteriore l’assunzione da parte sua, quale successore di Edoardo Porro, della direzione della Maternità di Santa Caterina e della annessa Scuola di ostetricia: una posizione con la quale si rafforzava il suo ruolo diretto nell’iter dell’intera operazione. E fu ancora principalmente suo merito se si ottenne la concessione ai professori degli erigendi Istituti clinici milanesi di una posizione in tutto equiparata a quella degli universitari: senza mettere in discussione il carattere post-lauream degli insegnamenti che vi si sarebbero professati, se ne sanzionava in tal modo la configurazione di istituti speciali, ma con un proprio corpo docente da reclutare tra quello universitario, e potendo anzi contare sulla possibilità di accrescerne ulteriormente gli emolumenti, «onde chiamare i più degni»[5]. Sarebbe in realtà occorso del tempo, e il superamento di vari ostacoli, perché la norma trovasse effettiva applicazione; ma il principio era stato intanto affermato. Su un altro punto Mangiagalli non riuscì invece a superare le resistenze romane: quello relativo alla possibilità, che egli avrebbe voluto senza vincoli, di estendere in futuro il ventaglio degli insegnamenti. Nella legge istitutiva del luglio 1905 si stabilì infatti che allo scopo occorresse l’approvazione del ministro, previo parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione.

Inutile dire che la nuova iniziativa milanese suscitò rinnovati allarmi e preoccupazioni a Pavia. Disposto a riconoscere, al delinearsi del progetto, la «vera necessità» del nuovo Istituto ostetrico-ginecologico, l’allora rettore Camillo Golgi espresse invece le sue perplessità nei confronti dell’erigenda Clinica per le malattie del lavoro, temendo che potesse configurarsi come «un nuovo policlinico»[6]. L’iniziativa non veniva comunque contestata: purché, beninteso, si fosse mantenuta entro i confini prefissati, senza indebite sottrazioni o forme dirette o subdole di concorrenza. Golgi avvertiva, d’altra parte, che Pavia avrebbe potuto sottrarsi al pericolo solo provvedendo attivamente «all’incremento dei suoi Istituti, così che di essi non si possa mai dire che non corrispondono alle esigenze degli studi e dell’insegnamento»:

 

il giorno in cui Milano per avventura avesse Istituti clinici all’altezza a cui potrebbe arrivare colla larghezza dei mezzi di cui dispone, mentre Pavia avesse Istituti di educazione medica trascinanti l’esistenza fra le strettezze e con scarsità di materiale di studio, quel giorno fatalmente si imporrà l’idea che gli studi medici debbano trasferirsi là dove possano svolgersi con mezzi adeguati; né a preservare Pavia dal pericolo varranno le ragioni storiche o giuridiche[7].

 

Tutto stava a vedere se Pavia sarebbe stata davvero in grado di raccogliere la sfida. Anche perché a Milano, grazie anche al concorso della Cassa di Risparmio, presero alacremente il via i lavori per la realizzazione, lungo la via Commenda, della prima e più urgente tra le cliniche previste, quella ostetrico-ginecologica – in seguito intitolata al nome del suo promotore e primo direttore – il cui edificio venne inaugurato nel settembre 1906, in concomitanza con l’apertura del XII Congresso ostetrico-ginecologico e in tempo per entrare tra gli eventi collegati alla grande Esposizione internazionale cittadina di quell’anno. Prendendo la parola nell’occasione, Mangiagalli ribadì il carattere non alternativo della nuova realizzazione rispetto alla Facoltà medica pavese, assimilandola per contro alle scuole post-universitarie statunitensi ed alle accademie mediche tedesche: in particolare a quella aperta due anni prima a Colonia, l’«antica e superba Metropoli dei paesi Renani, vicina alla simpatica Bonn, adagiata essa pure sulle rive del Reno e sede di gloriosa Università»[8]. Impegnato com’era nello sviluppo e nell’estensione di un progetto che comportava il rinnovamento e la modernizzazione, entro nuove coordinate, dell’intero complesso sanitario cittadino, Mangiagalli assegnava all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere – tradizionale punto di riferimento, in effetti, delle élites accademiche e colte delle due città – il compito di «rappresentare la sintesi del sapere lombardo» e di promuovere «una più larga ed intima unione dell’Università Ticinese cogli Istituti Superiori di Milano»[9]. L’obiettivo dichiarato, vecchio sogno che cominciava a quel punto a prendere finalmente forma, era bensì quello della fondazione di una Facoltà medica, ma «di perfezionamento», ove convogliare i migliori tra i laureati nazionali, in alternativa al richiamo tradizionalmente esercitato dai grandi istituti scientifici e clinici esteri. In essa si sarebbe altresì svolta opera di aggiornamento per i medici già attivi e bisognosi di riqualificare le loro conoscenze e capacità. Il ricorso al termine «facoltà» era in ogni modo indicativo della volontà di estendere la gamma delle specializzazioni, e la conseguente capacità di richiamo dell’ente appena costituito, ben oltre i settori appena inaugurati.

Il cambio di maggioranza a Palazzo Marino e l’avvento della nuova giunta moderata guidata da Ettore Ponti non crearono ostacoli al procedere dei progetti. Nel giugno 1907 sopravvenne l’acquisto da parte del Comune dell’area sulla quale far sorgere la Clinica del lavoro, inaugurata solennemente nel marzo 1910. Parallelamente intervenivano gli accordi con l’Istituto stomatologico, il primo del genere, creato per iniziativa della Federazione dei medici-dentisti d’Italia, e costituito in Scuola di odontoiatria e protesi dentale; quelli con la Clinica dermatologica dell’Ospedale Maggiore, con la Clinica ortopedica presso l’Istituto dei rachitici, diretta da Riccardo Galeazzi, con l’Istituto sieroterapico diretto da Serafino Belfanti, con la Clinica delle malattie epidemico-contagiose di Dergano. Una serie di aggregazioni palesemente facilitate dalla disponibilità, nel contesto cittadino, di strutture cliniche e di competenze professionali che dalla associazione agli Istituti clinici traevano l’occasione di meglio valorizzarsi e di sancire il proprio rango. Ma non mancarono neanche le resistenze e gli ostacoli, in particolare da parte di settori dell’Ospedale Maggiore, preoccupati del crescente spazio che gli Istituti clinici venivano acquisendo, si temeva, a loro danno. Se ottenne l’attivazione di un insegnamento di Anatomia, convenzionato con l’Ospedale Maggiore e affidato in qualità di straordinario a Ferdinando Livini, Mangiagalli non riuscì invece a promuovere per il momento la costituzione, essenziale nella sua strategia, di un Istituto di Anatomia patologica, nonostante le «condizioni veramente lagrimevoli» in cui si trovavano i relativi servizi presso l’Ospedale[10]. E si configuravano come un attacco diretto alla sua posizione le crescenti pressioni per restituire al Maggiore il comparto ginecologico, al momento integrato nella Clinica da lui diretta, in base agli accordi costitutivi degli Istituti clinici.

Fu anche per meglio consolidare l’ancora precario edificio messo insieme in così breve lasso di tempo che Mangiagalli si impegnò in una più larga azione di coordinamento e di rivendicazione a vantaggio dell’insieme degli Istituti superiori cittadini. «Creata la facoltà medica di perfezionamento, sarà facile riunire tutti i nostri istituti superiori ora slegati e senza vincoli in una grande Università politecnica»: Mangiagalli l’aveva d’altronde sostenuto già nel novembre 1907, nel discorso inaugurale del secondo anno di attività[11]. L’anno successivo riprese nella medesima circostanza anche più ampiamente il tema, addirittura collegandolo alle idee espresse nel 1862 da Cattaneo al ministro della Pubblica istruzione Matteucci circa la necessaria varietà e non uniformità da attribuire all’erigendo sistema universitario nazionale: un modo, da parte sua, per salvaguardare le possibilità di sviluppo degli istituti milanesi evitando ogni sospetto di concorrenza indebita con l’ateneo pavese. L’«Università politecnica», entro cui fondare «in un solo e grande movimento didattico gli istituti di scienza applicata già esistenti in Milano», avrebbe pienamente rispecchiato

 

l’evoluzione necessaria del concetto universitario, per cui, di fronte all’università umanistica, sorgono nelle grandi città del lavoro gli istituti che mirano a dare la conoscenza delle leggi che presiedono all’attività tecnica, a rendere possibili le vaste sintesi e a darci quei Doctores rerum tecnicarum dei quali tanto abbisogna la patria nostra, non attenuando, (…), ma rendendo anzi più fervente il culto che noi tutti professiamo per la gloriosa Università ticinese, sede antica ed illustre del sapere[12].

 

A riprova dell’assoluta infondatezza del sospetto che Milano volesse insidiare «l’Università della sorella Pavia», Mangiagalli citava la collaborazione avviata proprio con Golgi, il campione inflessibile dell’intangibilità delle prerogative dell’ateneo ticinese, nell’avvio del progetto di Istituto dei tumori e l’attribuzione a lui riservata della presidenza del relativo Comitato. E ribadiva l’assunto di fondo:

 

Milano coi suoi Istituti medici di perfezionamento completa ed integra la facoltà medica di Pavia, e le due città sempre più fra loro avvicinate e quasi confuse nelle alte intellettuali aspirazioni, costituiscono colla colleganza dei loro Istituti superiori, se mi è lecita l’espressione anatomica parlando di studi medici, gli emisferi di un solo cervello[13].

 

Rassicurazioni alle quali faceva comunque riscontro l’azione parallelamente svolta per stabilire un migliore raccordo tra gli istituti superiori milanesi. Mangiagalli si premurò di raccogliere il consenso del direttore del Politecnico, Giuseppe Colombo, e del preside-rettore dell’Accademia scientifico-letteraria, il filologo Francesco Novati, lanciando l’idea che, quale sanzione del principio della necessaria «unione morale» tra i diversi istituti, si organizzasse una comune «inaugurazione solenne» del nuovo anno accademico, da tenersi presso il Castello Sforzesco, di cui erano stati da poco completati i grandi lavori di restauro e rispristino promossi e condotti da Luca Beltrami[14].


1

Visconti, Relazione, cit., p. 168.

2

«Il Secolo», 2-3 dicembre 1899, Il programma democratico delle Elezioni amministrative.

3

Cfr. al riguardo E. Majno, La fondazione della Clinica del lavoro di Milano attraverso il carteggio Luigi Devoto-Ersilia Majno Bronzini, Milano 1985.

4

«Il Secolo»,7-8 maggio 1902, Il programma del prof. Mangiagalli.

5

L. Mangiagalli, L’insegnamento della medicina in Milano nel passato e nel presente, in Gli Istituti clinici di perfezionamento in Milano. 25 settembre 1906-31 dicembre 1911, Milano 1912, p. XXVIII.

6

Annuario della Regia Università di Pavia. Anno accademico 1902-1903, Pavia 1904, p. 23.

7

Ivi, pp. 24-25. Nello stesso senso Golgi s’era già espresso l’anno precedente, nella sua prima relazione rettorale: cfr. Annuario della Regia Università di Pavia. Anno accademico 1901-1902, Pavia 1902, p. 16. L’argomento, assolutamente centrale nelle sue impostazioni, veniva significativamente ripreso anche nella relazione d’apertura dell’anno accademico successivo: cfr. Annuario della Regia Università di Pavia. Anno accademico 1903-1904, Pavia 1904, pp. 30-32. Su Golgi, anche con riferimento alla sua azione contraria alla costituzione di un ateneo milanese, cfr. ora P. Mazzarello, La struttura nascosta. La vita di Camillo Golgi, Milano 1996.

8

Inaugurazione dell’Istituto ostetrico-ginecologico e del monumento ad Edoardo Porro in occasione dell’apertura del XII Congresso ostetrico-ginecologico, in Gli Istituti clinici di perfezionamento, cit., p. 13.

9

Ivi, p. 16.

10

Mangiagalli, L’insegnamento della medicina, cit., loc. cit., p. XXXVI.

11

L. Mangiagalli, Il presente e l’avvenire dell’insegnamento medico di perfezionamento in Milano, in Gli Istituti clinici di perfezionamento, cit., p. 39.

12

L. Mangiagalli, Gli Istituti clinici di perfezionamento di Milano e i loro nuovi orizzonti, ivi, p. 41.

13

Ivi, p. 52.

14

Ivi, p. 55.

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