Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Nel turbine della guerra europea


Parole chiave: ALUB

Disponiamo di non poche informazioni quantitative, assieme al alcune dirette testimonianze di carattere qualitativo, circa le conseguenze sulla vita quotidiana dell’Università Bocconi ed attorno al clima ideale e morale che contraddistinse i più anziani laureati e quegli studenti chiamati alle armi che sperimentarono la dura e rischiosa vita del fronte o che vennero impegnati nelle retrovie ad organizzare la distribuzione di sussistenze e ad assicurare i rifornimenti di materiale strategico, ad amministrare ospedali da campo[1], a gestire panifici militari o a disporre requisizioni ed incette di derrate agricole e di materie prime.

L’effetto più vistoso e più facilmente misurabile del gran numero di giovani richiamati alle armi, allontanati dalle aule universitarie e distolti dagli studi, si ebbe sui ritmi delle dissertazioni delle tesi di laurea. Nel corso del quadriennio accademico prebellico, dal 1910-11 al 1913-14, un gran numero di allievi giunse a completare felicemente il curricolo di studi, coerentemente con le pur recenti tradizioni bocconiane. In effetti, se, dopo aver assommato le frequenze degli iscritti al quarto anno (235), le si raffronta con l’insieme dei giovani addottoratisi in ciascuno dei quattro anni accademici considerati (183)[2], posto che i due terzi di costoro completavano il loro ciclo di studi in un tempo compreso fra 44 e 50 mesi dal giorno nel quale si erano iscritti[3], si scopre che poco meno di otto su dieci (il 77,9%) avevano conseguito la laurea in Scienze economiche e commerciali.

Un confronto analogo, operato sui dati relativi a quei quattro anni accademici di guerra che proseguirono dal 1914-15 al 1917-18, mostra che, nonostante il gruppo di giovani approdati al quarto anno di corso fosse sensibilmente aumentato (321)[4], furono davvero pochi (63) quelli che riuscirono ad addottorarsi, non arrivando ad un quinto (19,6%) del gruppo di riferimento; con un divario in calo assai netto, come da quattro a uno, che esprime efficacemente le difficoltà incontrate da quanti si sforzavano di studiare, benché fossero arruolati nell’esercito in armi. A riprova del generale abbassamento del livello qualitativo degli studenti addottoratisi in quel difficile clima solo uno su venti (il 4,7%) conseguì il massimo dei voti e la lode contro una media pressoché doppia (9,8%) raggiunta dai laureati del quadriennio precedente lo scoppio della guerra. E ciò nonostante una serie di facilitazioni concesse come la possibilità accordata anche agli studenti in corso di presentarsi agli appelli d’esame riservati ai fuori corso che tradizionalmente si tenevano a marzo[5]; come l’opportunità di sostenere, nella medesima occasione, esami anche sui corsi che proprio allora si stavano tenendo, limitatamente ai programmi svolti dai docenti da novembre alla metà di marzo[6].

Fin dalla primavera del 1916, il Ministero dell’Istruzione aveva accordato agli universitari militari il permesso di presentarsi agli esami tecnici anche senza aver seguito i relativi corsi, sulla base della presunzione che, in quanto arruolati, quei giovani si stessero occupando empiricamente di pratiche e tecniche non troppo diverse da quelle che avrebbero potuto apprendere negli atenei[7]. Due anni dopo, ai primi di febbraio del ’18, il medesimo Ministero li autorizzò a sostenere gli esami dei corsi teorici esentandoli dall’obbligo di dimostrare di avere frequentato regolarmente le lezioni impartite nelle Università nelle quali erano iscritti[8]. Le attitudini permissive del Ministero dell’Istruzione vennero confermate e, se possibile, rafforzate da analoghe disposizioni impartite da quello della Guerra e dal Comando supremo con le quali «gli studi fatti, gli esami superati ed i diplomi o lauree conseguiti (erano) titolo per diventare sottufficiali e ufficiali o medico militare»[9]. Dopo la drammatica vicenda di Caporetto del ’17, per rinsaldare il morale delle truppe, ed in particolare quello degli ufficiali di complemento, da parte sua, con crescente frequenza, il generale Diaz aveva accordato licenze a quegli studenti in grigioverde ch’erano riusciti a preparare esami[10].

Uno sguardo indiretto, e tuttavia ben più ricco di sfumature, sulle condizioni e sui destini dei giovani italiani che si apprestavano a divenire ceto dirigente chiamati a combattere l’Austria, ci è offerto dall’ottavo numero del periodico Bollettino edito dall’Associazione tra i Laureati dell’Università Bocconi (Alub), pubblicato nell’autunno del 1916, a diciassette mesi di distanza dall’avvìo di un conflitto che, col passar del tempo, si sarebbe rivelato durissimo e molto più lungo del previsto. Nell’aggiornare la consueta scheda personale, che dava conto del genere di attività professionale svolta da ciascun socio, in quella speciale circostanza i redattori vollero raccogliere e pubblicare informazioni relative anche al reparto di appartenenza ed al grado militare degli almeno 183 laureati bocconiani che, in quello scorcio finale del secondo anno di guerra, erano intenti a servire la patria[11].

Nell’autunno del 1916, dunque, poco più dei due terzi (68,4%) dei 269 soci maschi[12] dell’Alub laureatisi fra il 1906 ed il 1915[13], prestavano servizio nei ranghi dell’esercito in posizioni e con mansioni di rilievo. In virtù della loro cultura tecnico-scientifica e della loro esperienza professionale, molti di loro erano stati associati a reparti speciali come il genio, l’aviazione[14], le trasmissioni telefoniche, la gestione logistica dei parchi automobilistici, la contraerea[15]. Altri combattevano al fronte nei battaglioni di artiglieria da campagna, nelle formazioni degli alpini[16], dei bersaglieri, della cavalleria, della fanteria[17]. In otto casi su dieci, i laureati bocconiani erano fra quegli ufficiali di complemento – tipicamente i Tenenti e i Sotto Tenenti – che seppero svolgere un fondamentale compito di raccordo socioculturale fra comandanti dei reparti, ufficiali di carriera supponenti ed altezzosi usciti dall’Accademia militare che trattavano la truppa alla stregua della servitù, e i soldati contadini, piccoli proprietari coltivatori, mezzadri e braccianti o cafoni, come si diceva nel Mezzogiorno tirrenico, per la gran parte analfabeti, chiamati a sopportare fatiche e rischi enormi senza disporre di alcuna motivazione ideale.

Quel poco che sappiamo dei soldati semplici italiani combattenti della prima guerra mondiale ci rivela che la base delle nostre forze armate era totalmente estranea alle motivazioni politiche ed ideologiche della guerra. Essa diventava facilmente bellicosa quando gli ufficiali dimostravano di saper pagare di persona. Pazienti e volonterosi, i soldati semplici non agognavano altro che la pace. Da parte italiana, la guerra era un’avventura propriamente borghese, sorretta da quegli ideali patriottici e nazionalistici tipici d’intellettuali che s’erano auto eletti eredi della generazione del Risorgimento[18]. Fortunatamente, alla maggioranza degli ufficiali di complemento, per gran parte provenienti dalla piccola e media borghesia, che al termine di un breve corso di addestramento venivano innestati nei reparti, mancava quella iattanza derivante dalle tradizioni aristocratiche degli ufficiali di carriera e dalla loro preparazione militare professionale[19].

Le lettere inviate dai giovani bocconiani caduti in guerra alle loro famiglie – delle quali Girolamo Palazzina cominciò la raccolta nel gennaio del 1919[20] – offrono una viva testimonianza dei valori e dello stato d’animo degli ufficiali di complemento provenienti dall’Università milanese. Il Tenente d’artiglieria Giacomo Galli, arruolato il 19 marzo 1917, all’età di 18 anni e mezzo, promosso Sotto Tenente quattro mesi dopo, il 20 agosto era al fronte nell’11° battaglione di artiglieria da campagna. Vittima di febbri malariche, dopo una breve convalescenza ritornò in prima linea. Alla metà del 1918, non ancora ventenne, scriveva ai genitori: «Dopo Dio e prima della famiglia, la Patria; dopo di essere buoni fedeli e prima di essere affettuosi figlioli, forse un giorno buoni padri di famiglia, fa d’uopo d’essere buoni italiani, che amino la loro patria e che siano spinti anche a sacrificarsi per Essa… Quassù noi soldati, compresi tutti del nostro dovere, combattiamo, contendiamo palmo a palmo a questo barbaro nemico il sacro suolo d’Italia… (bisogna) lottare, vincere, per poi godere una meritata pace. All’alba del 26 giugno 1918 sono passato sull’altra sponda del Piave. Ho provato un certo non so che nel calpestare quella terra nostra purtroppo per l’errore di pochi in mano al nemico, ma sarà per poco!»[21].

Anche il Sotto Tenente artigliere Baseggio, originario dell’Istria, violentemente antiaustriaco, arruolatosi nell’esercito italiano, fin dall’agosto del 1915 in occasione del suo diciannovesimo compleanno esprimeva dal fronte senza enfasi alcuna le proprie sensazioni: «La guerra comincia a farsi sentire, diviene dura per tutti, diventerà anche più dura, sempre più esigente di ardimento degli uni, di sacrifici degli altri… bisognerà guardarla in faccia e affrontarla con la più decisa energia, finché la grande sollevazione degli uomini liberi non abbia schiacciato e umiliato il branco delle bestie disciplinate, finché lo spirito intelligente non abbia dominato la informe materia organizzata»[22].

Nel riferirsi alle truppe austriache da lui percepite come massa subumana incapace di un pensiero autonomo, membro di un corpo specializzato come l’artiglieria, Baseggio aveva ben presente il problema del governo del soldato-massa, la prima dura prova cui veniva sottoposto ogni ufficiale di complemento. Due culture profondamente diverse si fronteggiavano: l’una primitiva e tradizionale, caratteristica dei contadini richiamati, nella quale mito e magia conservavano un enorme peso; l’altra imperniata su valori ideali, liberali o socialisti che fossero, sulla cultura umanistica, sulla conoscenza scientifica, sul calcolo e la misura. Le vie per cui i secondi giungevano ad accettare ed, anzi, a volere la guerra, rimanevano completamente estranee ai primi, nei quali a ridestare i sentimenti guerrieri erano ben altri processi elementari in cui un ruolo determinante era prevalentemente svolto dalle passioni e dagli istinti primitivi.

La truppa non arrivava a capire che, per qualcuno, la guerra potesse essere un’avventura capace di offrire soddisfazioni e forti emozioni gratificanti. Per i contadini in divisa si trattava piuttosto di uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, di un male assoluto, di un flagello inviato dal cielo per contrappeso dei peccati[23]. Una volta ch’era stata scatenata, essi l’accettavano e la sopportavano virilmente, come da secoli erano avvezzi a fare nei confronti di gelate e siccità, di bufere e tempeste. Un maschio senso della bravura, la devozione ai loro ufficiali, la stizza e il dispetto per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni caduti, sostanziavano la loro anima guerriera. E tuttavia, essi pretendevano il diritto di desiderare la pace, di rimpiangere le loro povere case, di nutrire nostalgia per le madri, le mogli ed i figli, di maledire gli studenti che avevano scatenato la guerra (poco importava se l’ufficiale al quale erano personalmente affezionati era per l’appunto uno studente o un ex studente) e diffidavano degli incomprensibili discorsi solenni dei politici, degli intellettuali e dei generali. Agli ufficiali non restava altro sistema di comunicazione che il taciturno esempio, il prodigarsi senza limiti, anche oltre il bisogno, per dimostrare coi fatti che soffrivano gli stessi dolori ed affrontavano rischi anche più grandi[24].

Anche le informazioni che riguardano gli studenti, arruolati nell’esercito a mano a mano che le classi dei richiamati si assottigliavano e i veterani venivano congedati, confermano che nella stragrande maggioranza dei casi i bocconiani parteciparono da protagonisti alla Grande Guerra, pur nel non facile ruolo di ufficiali di complemento. Nel bilancio tirato all’inizio del 1919 dal Segretario generale Girolamo Palazzina a proposito delle perdite di vite umane subite dal corpo studentesco i morti risultarono 52. Quattro di essi erano Capitani, 13 Tenenti e i rimanenti 35 Sotto Tenenti[25]. Del pari, una lista di 51 «Studenti Militari» non ancora congedati e tuttavia ammessi a frequentare il primo corso nell’anno accademico 1918-19[26], comprendeva due Capitani, 13 Tenenti, 30 Sotto Tenenti e due Sergenti, due Caporali e due soli soldati semplici. Nell’insieme, dunque, su un campione di poco più di cento studenti chiamati a fare la guerra solamente sei – probabilmente per scelta personale ideologica e morale – non erano stati associati alla èlite degli ufficiali di complemento, in quella particolare temperie storica espressione della borghesia attiva nelle professioni e negli affari.

Quando con maggiore agio e dovizia d’informazioni riordinate in serie storiche, nella primavera del 1919, Palazzina fu messo in grado di precisare il «Contributo di Forza, di sangue e di valore dell’Università Bocconi alla guerra contro l’Austria»[27] egli contò 708 chiamati alle armi, 54 morti in guerra, 107 feriti, 43 prigionieri, 94 decorati con varie medaglie al valore. Si trattava indubbiamente di un tributo oneroso. Palazzina computò anche il peso percentuale dei caduti sui richiamati verificando che la Bocconi, con il suo 7,6%, aveva sopportato perdite più onerose di quelle risultanti dalla media nazionale degli Atenei italiani pari al 5,8%[28]. Del resto, anche l’eroismo manifestato sui campi di battaglia dagli allievi dell’Università milanese, col 13,2% di decorati su tutti i richiamati, era stato di sei volte e mezzo superiore alla media nazionale, pari ad un modesto 1,99%.

Nell’esperienza degli studenti bocconiani chiamati alle armi in non pochi casi la Grande Guerra ritornò anche sotto forma di questione al centro o al margine degli argomenti trattati nel redigere per iscritto la tesi di laurea[29]. Delle 63 dissertazioni discusse nelle aule dell’Università Commerciale tra il luglio del 1915 e l’autunno del 1918 per 35 è stato possibile risalire all’argomento, alla disciplina e al docente relatore[30]. Ebbene, per un quarto di queste (9) fin dal titolo è ben chiaro il riferimento problematico e cronologico alla guerra europea tragicamente in corso.

Nel luglio del 1916, il laureando Caratti discutendo col docente di Diritto internazionale Prof. Giulio Cesare Buzzati prefigurò quali sarebbero stati «I rapporti Italo Argentini dopo la Guerra». Il suo compagno Catalano, guidato dall’economista milanese Ulisse Gobbi, dibatté la questione de «La preparazione dell’Italia al problema doganale del dopo guerra». Temi e problemi riguardanti il commercio internazionale, anche in relazione ai sistemi di approvvigionamento alimentare, furono al centro della tesi di laurea scritta da Paoletti sotto la direzione del merceologo prof. Maldifassi imperniata sulle correnti verso l’Italia del commercio di carne congelata da Argentina e Stati Uniti. Nell’ambito dell’insegnamento di Storia e Critica dei Principali Istituti Economici tenuto dal Prof. Camillo Supino il laureando Pietro Cossu svolse l’argomento «Il commercio internazionale prima, durante e dopo la guerra europea».

Nell’anno della disfatta di Caporetto, lo stesso in cui, alla fine di maggio, il ministro dell’Istruzione, su suggerimento e sollecitazione di alcuni Rettori, «quale memore tributo di ammirazione a tutti i giovani caduti, e come giusta soddisfazione alle desolate famiglie» deliberò che «fosse conferita la laurea ad honorem non solo a chi di loro abbia già compiuto il corso regolare di studi superiori, ma a quelli ancora, già iscritti ai corsi universitari, cui morte gloriosa ha improvvisamente troncato la fiorente vita e conteso il conseguimento del premio agognato»[31], due tesi dirette da Ulisse Gobbi, in particolare, affrontarono questioni di grande attualità. La prima, sostenuta dallo studente La Scala, concerneva l’«Orientamento ante e post bellum della politica doganale e dei trattati di commercio», la seconda, venata di evidenti implicazioni politiche, presentata dal laureando Onore Balla, argomentava «Sui provvedimenti da prendersi e sulle iniziative da promuoversi in Italia a favore di contadini, operai ed impiegati in relazione alle prevedibili conseguenze della transizione dallo stato di guerra a quello di pace».

Infine, con due tesi discusse nell’ultimo anno di guerra, vennero affrontate questioni di grande momento. L’una diretta da Gobbi e presentata da Groppetti trattava «Dell’assistenza agli invalidi di guerra», una folla di centinaia di migliaia di reduci tornati dal fronte menomati ed incapaci di riprendere il lavoro esigevano che la patria si prendesse cura di loro. L’altra, svolta nel comparto disciplinare di Statistica e di Politica economica monetaria, redatta da Petroni sotto la direzione del Prof. Camillo Supino, si intitolava: «Il cambio in Italia durante la guerra attuale». Un tema assai prossimo a quello che, nella Facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Torino, relatore Luigi Einaudi, avrebbe svolto nel 1920 Piero Sraffa[32], figlio di quel professor Angelo che insegnava Diritto commerciale e industriale alla Bocconi.


1

ASUB. b. 4/1, Corrispondenza famiglie caduti in guerra. Adolfo Taddei, Tenente commissario, morì nell’ottobre del 1918 di bronco polmonite infettiva «Spagnola» nell’ospedale militare di Portogruaro dove prestava servizio come ufficiale contabile.

2

I dati quantitativi sono tratti da T. Bagiotti, Storia della Università Bocconi, 1902-1952, Milano 1952, p. 253.

3

M. Cattini, Gli studenti e la loro università (1902-1914), in M. Cattini, E. Decleva, A. DE Maddalena, M.A. Romani, op. cit., p. 336.

4

T. Bagiotti, cit., p. 253.

5

ASUB. b. 22/3, Decreto ministeriale del 28.2.1918 che disponeva, anche per quest’anno, il prolungamento della sessione d’esami dell’autunno sia uniforme per tutti gli istituti di istruzione superiore e che gli esami si tengano fra il 2 e il 12 aprile.

6

Ibidem, Circolare 11.3.1918.

7

Ibidem, Circolare ministeriale del 30 marzo 1916.

8

Ibidem, il 12 marzo il Ministro Berenini aveva concesso agli studenti classe 1900 di partecipare agli esami indetti per il periodo 2-12 aprile come anticipazione della ventura sessione estiva. La concessione venne estesa anche agli studenti sotto le armi.

9

Ibidem, Circolare del 30 marzo 1918.

10

Ibidem, p. 252. Lo studente foggiano C. De Maio, chiamato alle armi diciannovenne nell’aprile del 1917, alla vigilia della scontro nel quale sarebbe rimasto mortalmente ferito nel settembre del ’17, scriveva alla madre: «Spero mi diano la licenza per gli esami di Costituzionale che mi propongo di sostenere nella prima sessione di ottobre, qui studio quanto e come meglio posso», Cfr. ASUB. b. 4/1, Corrispondenza famiglie caduti in guerra, De Maio.

11

Alberto Camasio, originario di Sestri Levante, ed il triestino Claudio Suvich avevano perso la vita in guerra. Michele Anesi, proveniente da Isola della Scala e funzionario della Cassa di Risparmio di Trento, entro i confini dell’Impero asburgico, era stato internato a Katzenau, il bresciano Ugo Farina era prigioniero a Dunaszerdahely, cfr. Bollettino dell’Associazione, etc., cit., n. 9, ottobre 1916, pp. 10, 7, 16 e 30.

12

I 269 iscritti rappresentavano i tre quarti di tutti i 362 studenti sino allora laureatisi in Bocconi. All’Associazione figuravano iscritte anche le quattro donne che avevano conseguito la laurea entro il 1916: Giuditta Catelli (1908), mantovana, Segretaria dell’Ufficio Informazioni e Traduzioni della Società Umanitaria di Milano; Matilde Branchini (1910), pure mantovana, Segretaria del Comitato Nazionale Tariffe Doganali e Trattati di Commercio con sede in Milano; le sorelle milanesi Clelia e Virginia Mauri (1912), la prima delle quali faceva parte dell’Ufficio Ispettorato della Direzione centrale del Credito Italiano, cfr. Bollettino dell’Associazione, etc., cit., n. 9, ottobre 1916, pp. 11, 10 e 23.

13

Ibidem, passim.

14

Lo studente Tenente Livio Palazzi cadde in un combattimento aereo il 7 settembre 1917, cfr. ASUB. b. 4/1, Corrispondenza etc., cit.

15

Ibidem, passim.

16

Ibidem, lo studente Sotto Tenente Paride Pizzocaro, volontario alpino, cadde in una ricognizione notturna il 22 ottobre 1915.

17

Ibidem, il Capitano Antonio Mighetti, nato nel febbraio del 1893 a Gorizia, aveva disertato l’esercito austriaco e, prima come soldato, poi come ufficiale, aveva combattuto sulla Podgora e sull’Isonzo nel 34° Fanteria guadagnandosi una medaglia d’argento ed una di bronzo. Aveva trovato la morte nell’affondamento del piroscafo Verona, silurato nelle acque di Messina l’11 maggio 1918.

18

V. Foa citato da A. Galante Garrone, Introduzione, A. Omodeo, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti 1915-1918, Torino 1968, p. XLIII.

19

Ibidem.

20

ASUB. b. 4/1, Corrispondenza famiglie caduti in guerra, passim. Il 20 gennaio 1919 il segretario generale della Bocconi spediva una circolare ai genitori degli studenti caduti che vale la pena di riportare: «Si è costituito in Roma, sotto gli auspici del Ministero dell’Istruzione, un Comitato il quale si propone di salvare almeno una gran parte dell’eredità spirituale dei nostri morti gloriosi raccogliendo in un volume i brani più significativi delle loro lettere e dei loro scritti, che attesteranno la gran fede nei destini della Patria e della piena coscienza del sacrificio incontrato. Questa Università – che con commosso orgoglio e reverenza ricorda il largo tributo di sangue dato dai suoi giovani al trionfo della nostra santa causa – desidera vivamente concorrere all’attuazione del nobile intento. Rivolge quindi calda preghiera alle Famiglie perché vogliano inviarle copia delle lettere dei caduti che ritengano di particolare interesse e di più alta bellezza e perché trasmettano i dati biografici che documentino il servizio prestato in guerra e la data e il luogo della morte. Al Comitato di Roma spetta la scelta definitiva dei brani da pubblicarsi, dati anche i limiti nei quali la pubblicazione dovrà necessariamente essere costretta «di raccogliere i brani più significativi delle loro lettere e dei loro scritti che attestano della gran fede nei destini della patria e della piena coscienza del sacrificio incontrato».

21

ASUB. b. 4/1, Corrispondenza famiglie caduti in guerra, G. Galli.

22

Ibidem, G. Baseggio.

23

A. Omodeo, Momenti, etc., cit., pp. 9-10.

24

Ibidem.

25

11 erano caduti nel 1915, 9 nel 1916, 16 nel 1917 ed altrettanti nel 1918. Cfr. ASUB. b. 4/1, Bollettino dell’Associazione, etc. cit., n. 10, giugno 1920, pp. 9-10.

26

ASUB. b. 4/1, Studenti Militari dell’Università Bocconi – I° Corso (senza data, ma verosimilmente del 1918-19).

27

Ibidem.

28

Ibidem, Tavola n. 55, Contributo di forza, di sangue e di valore degli studenti universitari alla guerra contro l’Austria.

29

Tenuto conto delle condizioni di emergenza nelle quali versavano gli studenti sotto le armi, il rettore Bonfante autorizzò i laureandi a scegliere per la dissertazione della tesi fra la tradizionale forma scritta e la discussione orale di un tema deciso dalla commissione di laurea.

30

Biblioteca Generale dell’Università Bocconi (d’ora in poi BUB), Tesi di Laurea, anni 1915-1918, passim.

31

ASUB. b. 4/1, la circolare ministeriale datata 29 maggio richiamava ed estendeva gli effetti del D.L. I° ottobre 1916, n. 1400 con il quale si disponeva il conferimento della laurea ad Honorem a quanti avevano completato il curricolo e mancavano solo della dissertazione della tesi di laurea.

32

P. Ciocca e R. Rinaldi, L’inflazione in Italia, 1914-1920. Considerazioni a margine della tesi di laurea di Piero Sraffa, in «Rivista di Storia Economica», 1, a. XIII, aprile 1997, p. 3 e sg.

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