Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

La contrastata penetrazione fascista


Parole chiave: Guf, Fascismo, Rettore Sraffa Angelo, Rettore Bolchini Ferruccio

Nel maggio del 1921, mentre in Bocconi erano in corso innovazioni didattiche non poco onerose per gli studenti e nel paese il clima politico stava rapidamente orientandosi verso il rafforzamento del fascismo – il numero delle sezioni fasciste locali sull’arco di due mesi passò da 317 con 80 mila membri a mille con 187 mila aderenti[1] – in occasione di elezioni politiche volute da Giovanni Giolitti per rinnovare il Parlamento, nel bel mezzo di una campagna elettorale tesissima, si verificò un episodio di acuta tensione fra studenti e Consiglio Direttivo[2].

Informati verbalmente da Palazzina che in occasione delle elezioni indette per il 15 maggio i corsi sarebbero stati sospesi per sette giorni, il 3 maggio gli aderenti ad una non meglio definita associazione studentesca: l’Asub il cui segretario era un certo Domenico Zaini, ragioniere bolognese, studente del terzo anno[3], tennero un’assemblea generale straordinaria nel corso della quale «considerando che ogni cittadino elettore ha il dovere di esercitare il proprio diritto di voto, diritto dal quale verrebbe esclusa per la ristrettezza del tempo la numerosa schiera degli studenti iscritti in circoscrizioni elettorali dell’Italia meridionale e insulare»[4], deliberarono «di astenersi dalle lezioni dal giorno 9 al giorno 21 maggio», chiesero a tutti i compagni non iscritti all’Asub la più completa solidarietà, incaricarono il consiglio di rendere nota a tutti gli studenti soci e non soci la deliberazione, di comunicarla alla stampa cittadina e di prendere i dovuti accordi con gli altri studenti universitari milanesi perché nel periodo di astensione dalle lezioni «l’Università sia sorvegliata e l’astensione sia completa»[5].

Il Consiglio Direttivo, riunitosi d’urgenza alla vigilia delle elezioni, nell’allungare la sospensione da sette a nove giorni, deliberò che quegli studenti del primo biennio che non si fossero ripresentati il 20 maggio, salvo il caso di giustificato impedimento, sarebbero stati esclusi dalla sessione estiva degli esami[6]. Alla scadenza del termine fissato, 102 studenti del primo biennio sottoscrissero un indirizzo al Rettore nel quale facevano «voti perché la loro regolare frequenza alle lezioni di venerdì 20 c.m. venga accolta quale affermazione di disciplina e di ottemperamento delle disposizioni prese da codesto spettabile Consiglio direttivo. Pertanto chiedono che si voglia considerare chiusa ogni vertenza»[7].

Benché la campagna elettorale fosse stata condotta dai molti raggruppamenti liberali contro socialisti e cattolici popolari, i primi persero solo 17 seggi su 156 che ne avevano guadagnati nel ’19 e i secondi ne ottennero addirittura 7 in più[8]. Le coalizioni di liberali e fascisti ottennero 275 deputati, 35 dei quali erano fascisti che entravano in Parlamento per la prima volta[9]. Fra questi ultimi v’era anche un bocconiano trentaduenne: Ottavio Corgini, originario di Fabbrico, un piccolo paese della provincia di Reggio Emilia, diplomatosi ragioniere a Modena[10] e laureatosi nell’autunno del 1913 discutendo con Ulisse Gobbi una tesi intitolata «Il salario e il salariato dell’Industria durante l’evoluzione economica del secolo XIX»[11]. Rientrato dal Cile, dov’era emigrato, per partecipare volontario alla Grande Guerra, tenente di fanteria, parzialmente invalido – aveva perso l’occhio sinistro per lo scoppio di una granata – egli fu ideatore e segretario della «Camera provinciale dell’Agricoltura», un movimento fondato a Reggio nell’agosto del 1919, al quale aderirono proprietari fondiari, affittuari e mezzadri desiderosi di promuovere l’interclassismo e di esaltare la funzione sociale della terra[12].

La vicenda personale e politica di Ottavio Corgini appare paradigmatica perché, nel suo rapido svolgimento, e soprattutto nel suo repentino epilogo, permette di rintracciare non pochi elementi ideologici e culturali caratteristici dell’ambiente bocconiano nel quale il giovane deputato reggiano s’era formato fra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del Novecento. Nazionalista acceso, autore di un programma liberista per il partito fascista, egli era anche convinto sostenitore di un corporativismo di tipo democratico contrattuale[13]. In occasione di un grande dibattito sulla questione sindacale, tenutosi nel Gran Consiglio del fascismo il 15 marzo 1923, egli accusò le unioni fasciste di essere degenerate in strumenti della lotta di classe e, per di più, rimproverò al partito di continuare a praticare la violenza e le tattiche illegali[14]. Quando le decise posizioni da lui assunte, rese se possibile più gravi dalla suo ruolo di sottosegretario di stato all’Agricoltura, vennero duramente attaccate dall’ala intransigente del partito, Corgini ricevette l’appoggio e il sostegno dei giornali quotidiani reggiani, modenesi e parmensi e persino dal «Corriere della Sera»[15], ma inutilmente. Nel giugno del ’23 venne espulso dalla federazione fascista reggiana e, in agosto, dal partito[16]. Perseguitato, dovette riparare in esilio in Francia, dove rimase fino al 1938, allorquando un suo conterraneo industriale, Landini, ch’era podestà del suo paese natale, lo fece rientrare in patria e gli affidò funzioni manageriali nella sua impresa metalmeccanica[17].

Un contatto ben più duro col montante fascismo degli studenti sperimentò la Bocconi nella primavera del 1924, ad un mese da quelle elezioni politiche che diedero 356 seggi al «listone» fascista, nel quale erano entrati numerosi liberali e maggiorenti locali del Mezzogiorno, lasciandone 179 alle numerose liste delle minoranze[18]. All’approssimarsi della fine della campagna elettorale, tentando di rompere la spirale di violenza che minacciava di gettare discredito sui risultati elettorali, Mussolini ordinò di lasciar operare senza impedimento la stampa dell’opposizione, in particolare quella di Milano dove il rifiuto del «Corriere» di esprimere qualsiasi giudizio sulle liste mandava su tutte le furie i fascisti locali. Nel paese v’era già comunque un ampio consenso filo governativo. Il «listone» ottenne il 60% dei suffragi e i due terzi dei seggi che la legge Acerbo riservava al primo partito corrisposero perfettamente col verdetto popolare[19]. Nel capoluogo lombardo, tuttavia, la lista fascista uscì minoritaria dalle elezioni e, tre giorni dopo la chiusura dei seggi, Arnaldo Mussolini, fratello del duce, organizzò una dimostrazione violenta a danno del «Corriere», reo di non aver esplicitamente appoggiato il «listone».

Ad un mese dalle elezioni, l’8 maggio, il fiduciario milanese della Federazione Nazionale Universitaria Fascista inviava una minacciosa lettera al Rettore della Bocconi con la quale chiedeva che venissero presi provvedimenti disciplinari a carico dell’Avvocato Nino Levi, professore incaricato di Diritto amministrativo[20], reo di aver partecipato nella veste di oratore ufficiale ad una riunione tenutasi il 1° maggio nei locali della sezione socialista unitaria milanese dove – a dire del firmatario della lettera – si erano dati appuntamento «gli studenti sovversivi di tutte le facoltà universitarie milanesi e di tutte le scuole medie inferiori e superiori di Milano, unitamente a quanti sono antifascisti e quindi antigovernativi, ed hanno votato un malscalzonesco ordine del giorno contro il regime che opprime e disonora l’Italia»[21]. La missiva si chiudeva con un’esplicita richiesta ed una velata minaccia: «Questo gruppo si rivolge alla S.V. per protestare contro questo fatto veramente nuovo e per chiedere che si possa da parte della direzione dell’Università provvedere contro chi si vale della sua cattedra per calunniare il Capo, il governo Fascista e la Nazione perché altrimenti potrebbero porsi questo quesito gli universitari, professori e studenti, che non la pensano come l’avvocato Nino Levi e che hanno un minimo di buona fede e di galantomismo»[22].

La ricostruzione degli avvenimenti operata in sintesi, e a posteriori, dal foglio dei socialisti milanesi permette di misurare il clima politico e culturale esistente nella Milano delle elezioni del ’24, che avevano definitivamente consolidato al potere Benito Mussolini. «La manifestazione fu spontaneamente voluta e organizzata dagli studenti antifascisti di Milano. L’ordine del giorno incriminato fu concordato in precedenza tra i vari gruppi studenteschi ed è la genuina espressione – piaccia o no ai fascisti – del loro concorde pensiero. Gli unici studenti della Bocconi presenti erano, (neanche) a farlo apposta, i tre fascisti ospiti, che resero omaggio alla serenità e alla elevatezza dell’oratore. L’ordine del giorno fu presentato da una Commissione di studenti eletta dall’assemblea e votato quando il compagno Levi, terminato il suo discorso, era già uscito dalla sala. Il compagno Levi fu invitato alla riunione perché celebrasse degnamente la data del 1° maggio, ed ebbe conoscenza dell’o.d.g. quando questo fu… pubblicato l’indomani su La Giustizia»[23].

Per tener viva la polemica e rincarare la dose, nel dar conto dell’invio della lettera della federazione universitaria fascista al Prof. Sraffa, sul «Popolo d’Italia» del 10 maggio un anonimo redattore scriveva: «Sentiremo quale sarà la risposta del Direttore dell’Università. Comunque appare evidente dalla lettera su riferita, che gli studenti fascisti ritengono indegno di appartenere al grande Istituto il signor avvocato Nino Levi e non è improbabile che alla prima occasione glielo dimostrino, essendo essi convinti – insieme a noi – che certe canagliate non possono e non debbono restare impunite». La reazione della Bocconi fu rapida ed essenziale. Quello stesso giorno il Rettore rispose trascrivendo la deliberazione presa dal Consiglio Direttivo dopo aver esaminato la questione: «… se, da un lato, rientra fra i compiti morali delle Autorità Direttive di un Istituto di Alta Cultura di vigilare a che nell’esercizio dell’insegnamento nelle aule della sua Scuola non venga esplicata opera di propaganda politica o religiosa, d’altra parte le Autorità stesse non hanno competenza alcuna per sindacare fatti d’indole politica avvenuti fuori della scuola e estranei alla scuola e agli insegnamenti ivi praticati. Ora, poiché nelle circostanze affermate nella protesta a carico dell’Avv. Nino Levi, assistente alla cattedra di Diritto amministrativo, nulla può rilevarsi che rientri nella competenza della direzione nei sensi su espressi, questo Comitato direttivo delibera di passare all’ordine del giorno»[24].

Saro Scaglione, fiduciario del gruppo milanese della Federazione Nazionale Universitaria Fascista, rispose al Rettore della Bocconi con una lettera violenta ed ingiuriosa, per non dire dello stile che tradiva una cultura assai lontana da quella mediamente padroneggiata dagli universitari di allora. Per dar conto dell’aggressivo linguaggio usato dai fascisti nei confronti degli avversari non è forse inutile riportare alcuni brani di quella missiva che si apriva con: «La risposta del Comitato Direttivo (…) non differisce per nulla da quella che gli Universitari fascisti si attendevano; sennonché era mio desiderio riceverla per porla fra i documenti più rappresentativi di quella mentalità che è rimasta quale era nel 1914, senza accorgersi che in questi anni di lotta si è compiuta una delle più belle rivoluzioni materiali e spirituali che la storia del nostro paese ricordi». E proseguiva: «Le autorità direttive di un istituto di alta cultura e tutta la massa degli studenti – aggiungo io – hanno non dico la competenza, ma il dovere morale di sorvegliare che gli insegnanti, anche fuori dalle aule scolastiche, non usino quella autorità che loro perviene non già dal loro valore personale (…) ma dal semplice fatto che essi sono insegnanti, per fare tra la massa studentesca quella medesima, infame propaganda, che Ella ritiene debba essere bandita dalle aule scolastiche. (…) Forse Ella pensa tutt’affatto diversamente di come noi pensiamo; ed allora ho l’onore di confermarLe che l’onestà e la vitalità degli universitari fascisti milanesi, (…) potrebbero infliggere all’Avvocato Nino Levi, mancato Onorevole e mancante di tante altre cose, il quale ha potuto godere per qualche tempo l’immeritato rispetto dei propri allievi, quella lezione che la bassa mentalità politica e il meschino uso che egli ha fatto delle altissime qualità di insegnante, si meritano»[25]. Non si hanno notizie degli ulteriori sviluppi della vicenda. Certo, l’anno accademico seguente, l’Avvocato Levi non figurava più fra i docenti incaricati dei corsi speciali. È assai probabile che prudenza e senso dell’opportunità inducessero il Consiglio Direttivo a non confermargli l’incarico, tenuto anche conto del fatto che docenti e programmi dei corsi speciali per lo più mutavano da un anno all’altro.

Ci sono pervenute due convincenti testimonianze a proposito del difficile rapporto intrattenuto dal Gruppo Universitario Fascista milanese – il Guf – con la Bocconi. La prima è contenuta in una cronaca giornalistica. Un anonimo redattore del «Popolo d’Italia», nel dar conto di una riunione plenaria dei dirigenti e degli studenti del Guf cittadino tenutasi la sera del 28 maggio 1926, dopo aver segnalato la presenza fra i professori del sansepolcrista Luigi Filippo De Magistris, dedicò largo spazio alla relazione tenuta dal segretario politico Ing. Alfredo Cenerini che illustrò «la fattiva propaganda svolta nelle Università Milanesi, specialmente rivolta alla conquista delle associazioni studentesche ed alla fascistizzazione degli ambienti universitari. (…) Il punto più importante della relazione (…) riflette (sic) la direzione delle Università Milanesi: egli presenta fra un delirio di applausi il prof. Fantoli, direttore del Politecnico, fascista di vecchia data, uomo perfetto della scuola desiderata dal Governo Fascista. Nomina il sen. Mangiagalli che è il Magnifico Rettore fascista della R. Università e il Prof. Menozzi, direttore della Scuola Superiore d’Agricoltura. Si duole di non potere annunziare altrettanto per l’Università Bocconi e riferisce ampiamente in proposito con l’idea fissa di chi non dispera»[26]. L’ammissione dell’esistenza di resistenze e difficoltà è singolarmente esplicita, se la si guarda nella prospettiva dello stile enfatico e sbrigativo tipico della stampa fascista dell’epoca.

La seconda testimonianza, di mano del Cenerini, risale al 22 maggio 1926 e, pur avendo il sapore di un espediente, permette di chiarire perché sei giorni dopo e in un’assemblea pubblica il segretario del Guf dichiarasse di non disperare. In una lettera raccomandata destinata al Rettore Sraffa Cenerini scriveva: «Anche quest’anno, come di tradizione e consuetudine, il quadro dei laureandi 1925-26 verrà esposto. Pertanto, a norma di correttezza, si gradirebbe la di Lei approvazione. Sperando che a questo Gruppo giunga per la prima volta un Suo pregiato riscontro, La ossequio fascisticamente»[27]. Il divario stilistico rispetto alle lettere di Saro Scaglione, e la richiesta di un primo riscontro, quasi di un riconoscimento formale, la dicono lunga a proposito di una condizione e percezione di isolamento coltivata dagli studenti fascisti della Bocconi ancora alla metà del ’26. Nel retro della lettera, con un lapis, Palazzina annotò: «Dato il tono della lettera il Rettore non ha ritenuto di rispondere, dandone notizia al laureando Ippolito, il quale si incaricò d’avvertire l’Ing. Cenerini e d’invitarlo a recarsi a conferire personalmente col Rettore. Il colloquio è avvenuto il 6 giugno 1926»[28].

Ai primi di luglio, Cenerini si rifece vivo per invitare A. Sraffa ad affidare la bandiera dell’Università «a due nostri camerati che la sapranno orgogliosamente portare» a Bolzano dove, «alla presenza di S.M. il Re e di S.E. il Primo Ministro e Duce del Fascismo, avrebbe avuto luogo la cerimonia della posa della prima pietra del monumento alla Vittoria»[29]. Si trattava di un’abile manovra. Col beneplacito del Rettore, la bandiera della Bocconi, che venne affidata al laureando Ippolito, si sarebbe confusa fra quelle di tutte le altre Università Italiane. Nel dare per iscritto il suo assenso, Sraffa proponeva a Cenerini un incontro a metà luglio, in occasione della discussione delle tesi di laurea, «per riprendere il discorso che facemmo l’ultima volta che ci vedemmo, ora che ho raccolto qualche notizia»[30].

Il 19 luglio Cenerini ringraziava il Rettore ed, allusivamente, scriveva: «La bandiera della Sua Università ha certamente aumentato il suo valore vestendo ancora per un giorno la Camicia Nera e, forse, si è affezionata ad essa». Il corteggiamento, invero discreto, continuava senza apprezzabili progressi. Ai primi di novembre, con ammirevole dignità e senso dell’opportunità, avendo maturato la convinzione di rappresentare ormai un ostacolo per l’istituzione che serviva, Sraffa lasciò il rettorato all’amico Ferruccio Bolchini che «per la sua maggiore vicinanza ad alte autorità politiche ed amministrative che si propongono di venirgli in aiuto per tenere a freno gli studenti (…) è in condizione di portarci un aiuto prezioso»[31]. Il primo cauto segnale di avvio di un nuovo corso va forse visto nella solenne cerimonia tenutasi in Bocconi il 4 dicembre 1926, quando venne intitolata l’aula magna a Bossi, giovane Sottotenente di complemento studente, eroicamente caduto in battaglia nel giugno del 1918, decorato con medaglia d’oro alla memoria. Una richiesta in tal senso era giunta al Consiglio Direttivo alla fine di maggio da parte di cinque compagni d’arme e di studi del Bossi che la firmarono anche a nome di molti altri[32].

Angelo Sraffa aveva visto giusto, la sua severa presenza aveva arginato l’arroganza e la prepotenza dei goliardi fascisti, ma soprattutto aveva impedito loro di radicare e sviluppare le articolazioni sindacali e rappresentative del partito entro la Bocconi. Ne fa prova la lettera inviata al nuovo rettore Bolchini nel gennaio del 1927 dal fiduciario della sezione bocconiana della Federazione universitaria milanese che vale la pena di riportare integralmente: «Magnifico! La Sezione Università Bocconi della Federazione Universitaria Milanese sorta sotto l’egida del Littorio e per volontà del Gruppo Universitario Fascista, intende di iniziare l’opera di azione e di realizzazione fascisticamente. Mentre a nome di tutti i camerati di Federazione Le porgo il nostro saluto vibrante di passione e di giovinezza, Le affermo che per il raggiungimento degli scopi sanciti dal nostro Statuto e dalle nostre coscienze, intendo valermi del preciso schema tracciato nella recente adunata romana, dalle incisive parole del Duce degli Italiani e da S.E. l’On. Turati, per un’attività in tutti i campi e specialmente in quelli culturali, spirituali e fisici. Nuova disciplina impone che le cerimonie iniziali siano abolite. Noi infatti abbiamo iniziato con semplicità ed attività il nostro lavoro. Attendiamo da Lei quell’appoggio di opere e di intelletto che non può mancare dal Gerarca e Camerata autorevole»[33].


1

C.S. Maier, La rifondazione, etc., cit., p. 334.

2

Ne è rimasta traccia nei verbali del Consiglio. Il 13 maggio si tenne una apposita riunione. Ne tratta A. De Maddalena nelle sue pagine.

3

Lo Zaini sì laureò nel 1923 e trovò impiego presso l’Associazione Laniera Italiana di Biella, cfr. Bollettino n. 13, cit., p. 69.

4

ASUB. b. 11, Provvedimenti disciplinari, Copia dell’Ordine del giorno votato dall’Assemblea dei soci dell’Asub il giorno 3 maggio 1921. Il testo completo, assai elaborato, tecnicamente ben impostato, redatto in un elegante italiano tradisce una cultura «politica» matura. Il secondo punto dell’ordine del giorno che recita: «considerato che gli studenti universitari per la loro cultura e per la loro intelligenza hanno il diritto e il dovere di esercitare quell’azione di sana propaganda elettorale della quale vi è bisogno in ogni partito» rimanda ad una sensibilità che non ha alcun nesso con il rude fascismo di quel periodo. Gli ultimi tre punti sono viceversa indicativi del clima esistente in quelle settimane all’interno della Bocconi: «Considerato che alle giuste richieste del consiglio dell’Asub la segreteria dell’Università non ha risposto adeguatamente, dimostrando ancora una volta che non sono tenuti in alcun conto gli interessi degli studenti, plaudendo ed aderendo alle decisioni prese dai colleghi di altre Università Regie, pur avendo desiderato tenersi lontani da una manifestazione di tal genere, deliberano…».

5

Ibidem, l’accenno al controllo del fenomeno di crumiraggio sembra indizio di una cultura sottostante di matrice sindacale, in alcuni altri passaggi dell’ordine del giorno la diatriba con l’Università viene di fatto posta nei termini di un conflitto di carattere sindacale.

6

Cfr. A. De Maddalena, L’aula e l’ufficio, il Consiglio direttivo dell’Università Bocconi al lavoro (1915-1945), vol. II, nota 55.

7

ASUB. b. 183, Domande collettive di Studenti, 20 maggio 1921.

8

Dei 139 seggi ottenuti 123 andarono ai socialisti e 16 al nuovo raggruppamento comunista, cfr. C.S. Maier, op. cit., p. 345.

9

Ibidem.

10

Una dettagliata scheda personale venne predisposta dal compagno di corso Guido Saetti, modenese, che subentrò a Corgini nell’incarico di segretario della Camera Provinciale dell’Agricoltura reggiana, e venne pubblicata nel Bollettino n. 11 dell’ALUB alle pagine 79-81.

11

BUB, Tesi di laurea, n. 310.

12

G. Barazzoni-M. Paterlini-M. Morstofolini, La fronda agraria. Ottavio Corgini e la Camera Provinciale d’Agricoltura di Reggio Emilia, «Contributi», Regime e società civile a Reggio dal 1920 al 1946, vol. I, Biblioteca Municipale «A. Panizzi» Reggio Emilia, a. X, nn. 19-20, 1986, citato da M. Bianchini, Imprese e imprenditori a Reggio Emilia 1861-1940, Roma-Bari 1995, p. 30.

13

Il corporativismo democratico contrattuale si radicò nei paesi di religione riformata come la Danimarca, l’Olanda, la Gran Bretagna e quelli dell’area scandinava. Il corporativismo autoritario si affermò viceversa in Austria, Portogallo e Italia, cfr. D. Cavalieri, Il corporativismo nella storia del pensiero economico italiano: una rilettura critica, «Il Pensiero Economico Italiano», n. 2, 1994, pp. 7-49.

14

C.S. Maier, op. cit., p. 449.

15

M. Bianchini, op. cit., p. 43.

16

Un essenziale profilo del Corgini in C. Rabotti, Enciclopedia Reggiana, 1860-1990, Reggio Emilia, 1991, pp. 45-6.

17

M. Bianchini, op. cit., p. 229.

18

C.S. Maier, op. cit., pp. 457 e sgg.

19

Ibidem.

20

Presidente della Deputazione provinciale di Milano, titolare del corso speciale «Enti locali territoriali», cfr. Annuario 1922-23, p. 28.

21

ASUB. b. 49/1 Guf, lettera della Federazione Nazionale Universitari Fascisti, Gruppo di Milano dell’8 maggio 1924. «II Popolo d’Italia» del 10 maggio, nel dar conto dell’invio della lettera al prof. Sraffa, scriveva: «Sentiremo quale sarà la risposta del Direttore dell’Università. Comunque appare evidente dalla lettera su riferita, che gli studenti fascisti ritengono indegno di appartenere al grande Istituto il signor avvocato Nino Levi e non è improbabile che alla prima occasione glielo dimostrino, essendo essi convinti – insieme a noi – che certe canagliate non possono e non debbono restare impunite».

22

Ibidem.

23

«Libertà!» del 3 maggio riportava per esteso l’incriminato ordine del giorno: «Gli studenti delle Scuole medie e superiori di Milano, che pur appartenendo a partiti e fedi diverse, sono tuttavia concordi nell’avversare la politica liberticida del fascismo, il contenuto reazionario e antiproletario della sua azione, la violenza e la sopraffazione che ne scaturiscono, i mezzi di lotta, la vacuità ideologica e l’intolleranza sistematica che lo contraddistinguono; riuniti in assemblea per celebrare, in fraterna comunione di spiriti e con austera fermezza di propositi, la ricorrenza del 1° maggio, rivolgono il loro pensiero di fraterna solidarietà ai lavoratori tutti, del braccio e della mente, cui la protervia dei rinnegati oggi dominanti vieta coattivamente di festeggiare la data consacrata internazionalmente alla celebrazione del Lavoro; e rinnovano la promessa di continuare con fervido entusiasmo, ciascuno nell’ambito delle proprie direttive e del proprio partito, la lotta contro il regime che oggi opprime e disonora l’Italia, contro ogni forma di privilegio e di dittatura, per la riconquista della libertà e dei presupposti stessi di ogni civile convivenza oggi calpestati e derisi».

24

ASUB. b. 49/1, Guf, lettera del 10 maggio 1924.

25

Ibidem, lettera 14 maggio 1924.

26

«Il Popolo d’Italia», cronaca milanese, 2 giugno 1926.

27

ASUB. b. 49/1. Guf, Ing. Cenerini.

28

Ibidem.

29

Ibidem, 5 luglio 1926.

30

Ibidem, 7 luglio 1926.

31

Cfr. il lesto della lettera di rinuncia al rettorato di A. Sraffa integralmente qui riportata da A. De Maddalena, L’aula e l’ufficio, pp. 318-320 e commentata da A.M. Romani, p. 165.

32

ASUB. b. 21, 24 maggio 1926.

33

Ibidem, b. 49/1 Guf. A. Belloni a F. Bolchini, 24 gennaio 1927.

Indice

Archivio