Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Si riaprono, e dureranno un quinquennio, i crudeli giuochi di Marte


Parole chiave: Rettore Greco Paolo, Vice presidente Gentile Giovanni, Palazzina Girolamo, Rettore Demaria Giovanni

Purtroppo dal 1940 al 1945 i processi-verbali del Consiglio di amministrazione bocconiano non sono rintracciabili. È del tutto improbabile che essi siano andati distrutti a causa delle bombe che nel 1943 piovvero anche sulla Bocconi, la quale tuttavia ne ebbe a soffrire, fortunatamente, in misura limitata. Invero è inspiegabile che nessun altro settore dell’archivio amministrativo abbia subito perdite, come si è potuto scrupolosamente accertare[1]. Certo è che, in mancanza dei verbali, ho dovuto rinunciare a seguire, passo a passo l’attività, pur estremamente ridotta a causa delle vicende belliche, del Consiglio di Amministrazione bocconiano. Le poche e rabberciate notizie che andrò fornendo per il quinquennio bellico sono state ricavate da alcuni estratti dei verbali del Consiglio di Facoltà, che ho potuto fortuitamente rintracciare, e da alcune delle numerose lettere scritte o ricevute dal dott. Palazzina, di cui si sono salvate le copie: quasi tutte, come un tempo si era soliti fare, riprodotte a pressione su carte veline inumidite e raccolte poi in deformati (anche per via dell’umidità) copialettere.

Faccio capo, dunque, per iniziare, all’estratto del verbale del Consiglio di Facoltà che ebbe luogo, esattamente, il 20 giugno 1940.

È lecito pensare che l’atmosfera non fosse tale da indurre a lieti e consolanti pensieri gli unici due membri che, assistiti dal sempre irreprensibile dott. Palazzina, si erano dati il rendez vous nella linda sala del Consiglio nella nuova sede di via Sarfatti. Il Rettore Paolo Greco e il professore, ordinario di Economia Politica Corporativa, Giovanni Demaria erano, infatti, gli unici superstiti del collegio cui era demandata la direzione didattica dell’Ateneo. Non mi è riuscito, nonostante l’attenta consultazione di tutti i documenti raccolti nell’Archivio amministrativo della Bocconi, di trovare una pur vaga giustificazione di un così esteso astensionismo. Era pur vero che solo dieci giorni prima, l’infausto 10 giugno, in un clima di falso tripudio e di profondo sconcerto, il Paese si era trovato gettato nel forno della guerra, sospinto in una folle avventura per volontà di un capo roso dall’invidia e dal desiderio di trarre il massimo profitto da una guerra che, a suo avviso, era da considerarsi alle ultime battute e avrebbe sanzionato la sconfitta dell’alleanza franco inglese[2]. In effetti si era, per noi, all’inizio della guerra guerreggiata: non era ancora il momento, come sarebbe poi avvenuto anche per i docenti bocconiani, di vedersi costretti ad abbandonare Milano o ad essere impossibilitati a raggiungerla.

In ogni caso gli unici due membri presenti, e il fedele segretario, dimenticarono forse, per qualche ora, le «tristitie de’ tempi» (come avrebbe forse annotato un osservatore del Seicento), mentre il Rettore, con burocratica sollecitudine, si «compiaceva di fare presente che anche nell’anno che stava per chiudersi tutti indistintamente gli insegnanti avevano tenuto le loro lezioni ed esercitazioni con la massima diligenza e con piena soddisfazione dell’Università». Tutti i docenti, pertanto, avrebbero meritato di essere riconfermati nei rispettivi incarichi. E, d’altro canto, l’Università non aveva ricevuto alcuna domanda da parte di aspiranti a qualcuna delle cattedre istituite presso l’Ateneo. Il Consiglio di Facoltà, udite le precisazioni rettorali, e ben sapendo del concorde parere di tutti i membri della Facoltà si trovò subito d’accordo nel sottoporre all’approvazione del Ministro dell’Educazione Nazionale la lista degli incarichi di insegnamento, precisando materie e nomi dei professori. Se ne veda la lista che riporto in nota[3].

Il 1° luglio 1940, alle ore 16, si svolse una riunione del Consiglio di Amministrazione. Naturalmente, in mancanza dell’introvabile processo verbale, non ci è dato di sapere quali furono i membri presenti, come si svolsero i lavori e quali delibere vennero approvate. Ho potuto, peraltro, scovare negli archivi bocconiani copia della lettera di convocazione, spedita il 25 giugno ai consiglieri, in cui era esplicitato l’«ordine del giorno». Il quale prevedeva, come sempre, innanzitutto le comunicazioni del Presidente. Al quale certamente spettò la triste incombenza di partecipare ai consiglieri la notizia della morte dell’amato prof. Ulisse Gobbi, avvenuta a Genova improvvisamente circa tre mesi prima. E si può ben immaginare che la figura dell’indimenticabile docente sia stata pur brevemente e opportunamente ricordata dallo stesso Presidente o da qualche membro del Consiglio[4]. Si sarebbe poi passati alla «ratifica della Convenzione del Comune di Milano relativa alla nuova sede dell’Università» (del trasferimento dell’Ateneo che ebbe viva risonanza sulle pagine della stampa non solo ambrosiana, si farà menzione in altre pagine di questo volume). Avrebbero fatto seguito la consueta valutazione e l’approvazione dei risultati di bilancio (consuntivi e previsti). Dopo la nomina del Rettore per l’anno accademico 1940-41 (sarebbe stato riconfermato nella carica il prof. Paolo Greco), si sarebbero conferiti gli incarichi d’insegnamento per l’a.a. 1940-41 (e vi è da pensare che sarebbero stati rinnovati quelli già assegnati l’anno precedente). Infine sarebbero state prese in considerazione proposte volte a dare un nuovo ordinamento all’Istituto di Economia Ettore Bocconi.

Sempre con la sola presenza di Greco e di Demaria, assistiti da Palazzina, il 1° maggio 1941 si indisse una riunione straordinaria del Consiglio di Facoltà (la cui competenza, non si dimentichi, era limitata ai problemi accademici). Il prof. Ugo Borroni, aveva fatto istanza perché gli fosse definitivamente confermata l’abilitazione alla libera docenza conseguita nel 1935-36. Il Rettore riassunse la carriera bocconiana del Borroni[5], e Demaria volle aggiungere che «nel corso dei vari insegnamenti il prof. Borroni aveva dato prova costante di larga preparazione pratica e dottrinale. Le sue lezioni, organicamente elaborate, dimostrano… vigile spirito di ricerca e di applicazione alla materia di Tecnica commerciale», come stavano anche a provare le monografie che Demaria citava. La richiesta del prof. Borroni fu dunque accolta immediatamente. Non risulta che, in quella seduta, altri argomenti siano stati trattati.

Circa due mesi dopo, esattamente il 27 giugno 1941, la coppia Greco-Demaria, sempre con l’assistenza di Palazzina, si riconvocò per procedere al conferimento degli incarichi di insegnamento per l’a.a. 1941-42. Gli umori dei due professori non dovevano essere molto diversi da quelli di un anno prima. I crucci, gli assilli con ogni probabilità dovevano anzi esser ancor più avvertiti e pungenti.

La situazione del Paese, sotto i vari profili (militare, economico, spirituale), andava di giorno in giorno peggiorando e a quella parte più avveduta e sensibile degli italiani che non si illudeva, non si lasciava irretire nelle spire della propaganda del regime e suggestionare dalla apparente invincibilità delle armate tedesche, il futuro non poteva che presentarsi sempre più fosco e apportatore di sciagure. Anche se fino all’inizio dell’estate del ’42 le forze dell’Asse (Giappone compreso) sembravano aver raggiunto l’apogeo della potenza ed essere ad un passo dal successo finale[6].

Ma si ritorni alla striminzita seduta del Consiglio di Facoltà del 27 giugno, e ci si renderà conto che, stando al succinto verbale, essa non fu altro che la fotocopia di quella di un anno prima.

Greco e Demaria non fecero che redigere l’elenco degli insegnamenti che sarebbero stati impartiti nel corso dell’a.a. 1941-42, elenco che avrebbe dovuto essere inviato per l’approvazione al Ministero dell’Educazione Nazionale[7].

Esattamente ad un anno di distanza, il 25 giugno del 1941, i membri del Consiglio d’Amministrazione furono riconvocati per giovedì 3 luglio alle 10,30. L’ordine del giorno prevedeva, dopo le consuete comunicazioni del Presidente, un dibattito in merito all’ormai imminente inaugurazione della nuova sede (evento sul quale ci si intrattiene, come ho già anticipato, in altre pagine di questo volume) e, in seguito, le solite discussioni e approvazioni in merito alle ordinarie operazioni di gestione dell’Università. E cioè: la nomina del Rettore (una volta ancora sarebbe stato rinnovato l’incarico a Paolo Greco), l’assegnazione degli incarichi di insegnamento per l’entrante anno accademico ’41-’42[8], l’approvazione (ratifica) dei bilanci e questioni varie.

Non diversamente si svolsero i lavori nella seduta del Consiglio di Facoltà del 30 giugno 1942, come appare dall’estratto del verbale, di cui una copia sarebbe stata inviata a Roma per la solita approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione[9]. Come ho già avuto occasione di precisare alla nota 247, giusto nel periodo in cui si svolgeva la riunione consigliare, gli eventi militari potevano fare nascere qualche illusione in merito all’esito del conflitto mondiale. Ancorché venga fatto di pensare che, per lo meno al cospetto della situazione italiana, sotto ogni riguardo denunciante una debilitazione progressiva e incurabile, Greco e Demaria, lucidi e freddi analizzatori della realtà (come ebbe a ricordarmi in un colloquio Palazzina), non si siano lasciati di certo abbacinare da fallaci miraggi[10]. E in quel caldo pomeriggio estivo, probabilmente con scarso entusiasmo, si dedicarono una volta di più a stendere la lista delle materie e quella dei docenti per il veniente a.a. 1942-43, nel rispetto delle norme ministeriali[11].

Tra i documenti d’archivio relativi al 1943, sempre rimanendo introvabili i verbali delle riunioni del Consiglio d’Amministrazione, mi è riuscito di rintracciare un estratto del verbale della seduta di codesto Consiglio, del 5 luglio. Trattasi della copia dell’estratto che fu mandato al Ministero della Educazione Nazionale per far prova di aver ottemperato ad una disposizione pervenuta dallo stesso dicastero. Alla presenza di un ristretto numero di componenti, e precisamente dal Presidente Donna Javotte Bocconi di Villahermosa, dal Vicepresidente sen. Giovanni Gentile, dal Consigliere Delegato sen. Pier Gaetano Venino, dal Rettore prof. Paolo Greco (presente il Segretario dott. Girolamo Palazzina), ed espresso il rammarico per l’assenza degli altri consiglieri (quasi tutti impossibilitati a raggiungere Milano per via delle vicende belliche che rendevano sempre più difficili, per non dire caotiche, le comunicazioni: si pensi soltanto ai reiterati bombardamenti delle linee ferroviarie), si prese in considerazione, fra l’altro, la modifica dell’art. 29 dello Statuto bocconiano «per corrispondere alla (urgente) richiesta del Ministero della E.N. relativa all’istituzione della cattedra di Storia e dottrina del Fascismo». Il Rettore volle precisare che «con la nota n. 1750 (Div. IIa della Direzione Generale dell’Ordine Universitario) il Ministero dell’E.N. ha manifestato il suo intendimento che – date le particolari finalità dell’insegnamento di Storia e dottrina del Fascismo – esso sia impartito per tutti i corsi di laurea e quindi anche nelle Facoltà di Economia e Commercio». Donde l’esplicito invito, giunto da Roma, che nell’elenco degli insegnamenti indicati all’art. 29 dello statuto dell’Ateneo, fosse aggiunto anche quello di Storia e dottrina del Fascismo. Ricordo che in uno dei tanti colloqui che ebbi con il dott. Palazzina, l’indimenticabile direttore amministrativo della Bocconi mi segnalò la contrarietà manifestata da diversi membri del Consiglio da lui singolarmente e direttamente interpellati prima che il Consiglio stesso si convocasse. Ma la richiesta del Ministero, su consiglio di Giovanni Gentile (preoccupato, soprattutto in quei tristi frangenti, che la Bocconi entrasse in aperto conflitto con le autorità romane e fasciste), fu approvato, e se ne diede immediata comunicazione al Ministero[12].

Nel corso della stessa seduta il Consiglio di Facoltà «dopo brevissima discussione, va concorde con il Consiglio di Amministrazione nel deliberare di sotto all’alta approvazione dell’Ecc. il Ministro dell’Educazione Nazionale la proposta di conferma per l’anno accademico 1943-44 degli incarichi di insegnamento ai seguenti professori»[13].

Purtroppo, questo è l’ultimo documento, risalente all’ultimo periodo bellico, che offre una pur fievole testimonianza sull’attività amministrativa allora esercitata nella nostra Università. Assoluto è il silenzio dell’archivio bocconiano relativamente ai lunghi, dolorosi mesi che videro il nostro Paese teatro di battaglie tra le truppe alleate, via via sostenute dalle formazioni partigiane, e le forze germaniche, sempre più bersagliate, incalzate, lacerate ma irriducibili, sempre pronte a reagire con la disperata aggressività di una belva mortalmente ferita. I lettori della mia generazione, i figli e i nipoti di coloro che vissero quei tragici, e tante volte epici, momenti, e ne trasmisero le memorie, non possono non ricordare le desolanti condizioni in cui il Paese versava, le angoscianti attese delle ormai ineluttabili conclusioni verso cui il durissimo conflitto andava incontro. Come in un cupo anfiteatro greco gli accorati lamenti e gli impietosi commenti del coro andavano sommergendo le voci dei protagonisti e ne stigmatizzavano l’incauto agire e l’irrevocabile destino[14].

Anche la Bocconi avrebbe dovuto pazientemente e faticosamente attendere la fine del conflitto e il ritorno della pace per riprendere con lena il suo cammino. Certo il Consiglio di Amministrazione avrebbe subito profonde trasformazioni, su cui non si mancherà di spendere qualche parola nel prossimo volume. Basti qui ricordare che Giovanni Gentile, che tanto aveva dato, con impegno pari alla signorilità, alla Bocconi, riuscendo a stendere su di essa per oltre un decennio un robusto velo di protezione, avrebbe pagato con la vita, nell’aprile del ’44, la sua coerenza, la sua adesione, puramente concettuale, a una ideologia che s’era venuta sfaldando sotto i colpi inesorabili della storia. Nella storia della Bocconi, in ogni caso, Giovanni Gentile avrebbe lasciato una impronta che il vento del tempo non sarebbe riuscito a cancellare. L’inflessibile dott. Girolamo Palazzina e l’indomabile prof. Fausto Pagliari, antifascisti incrollabili, me lo avrebbero più volte ricordato.

Con la fine della guerra non solo il Consiglio di Amministrazione, come ho già anticipato e sarà meglio precisato in altre pagine, subì radicali cambiamenti. Ma, come pure sarà meglio chiarito in questo e nel prossimo volume della Storia della Bocconi, le strutture didattiche dell’Ateneo furono non superficialmente rivedute e ritoccate. Basti per ora sottolineare che, in regime commissariale accettato dalle autorità militari alleate di occupazione e, naturalmente, dall’ancora «controllato» governo nazionale, la funzione gestionale dell’Università fu affidata ad un Pro-Rettore, scelto nella persona del prof. Giovanni Demaria. Reca, pertanto, la sua firma l’ultimo documento «ufficiale», relativo al 1945, che mi è stato dato di rintracciare negli Archivi Bocconiani. Si tratta di un «Verbale della seduta di facoltà del 14 dicembre 1945»: un cimelio che penso valga la pena di riassumere brevemente in nota. E si consideri che le lezioni per l’a.a. 1945-46 avrebbero avuto inizio con il 1° febbraio 1946[15].


1

Danni di un certo rilievo subì, invece, l’archivio Saminiati-Guasconi-Pazzi depositato presso l’Istituto di Storia economica. Se esso fu sostanzialmente salvato, va ringraziato soprattutto il dott. Sergio Groppi (ora Padre Davide, cappuccino, residente nel convento di Parma), allora assistente presso l’Istituto, e in ben minor misura anche chi scrive, anch’egli assistente di Armando Sapori.

2

Si ricorderà che la Germania condusse nei confronti della Francia una straordinaria Blitzkrieg: inaspettatamente attraversando il 13 maggio le Ardenne belghe. Travolte con folgorante rapidità le resistenze del Belgio e dell’Olanda le divisioni germaniche accerchiarono fino al mare le forze alleate e, pur commettendo l’errore di spingersi verso il sud (il che consentì a oltre 300 mila franco-inglesi di riattraversare la Manica, ancorché con durissime perdite), riuscirono ad infrangere la resistenza francese, e il 14 giugno occupavano Parigi, costringendo Petain a chiedere l’armistizio due giorni dopo e a firmarlo il giorno 22 dello stesso mese di giugno. Quando il 10 il nostro paese entrò in guerra le armate tedesche erano già giunte ai Pirenei. Le azioni belliche del nostro sgangherato esercito sul confine francese non portarono praticamente ad alcun risultato. E mentre l’Inghilterra pur subendo devastanti bombardamenti, tra l’agosto e il novembre del ’40, riusciva, grazie anche ai crescenti aiuti bellici americani, a rinforzare le proprie difese e a ricostituire gradualmente un sempre più efficiente apparato militare (Hitler dovette rinunciare al progetto di invadere l’isola britannica); mentre per volontà del Fuehrer l’Asse, favorendo la costituzione di governi filofascisti, rettificava frontiere e riorganizzava politicamente l’Europa (arbitrato di Vienna a fine agosto e patto tripartito a fine settembre 1940 a Berlino); mentre in Libia con alterne vicende si susseguivano gli scontri tra italiani e inglesi, adirato e deluso, Mussolini senza nemmeno preavvertire l’alleato, il 28 ottobre sempre di quell’anno decideva di «rompere le reni alla Grecia». Col risultato, di lì a pochi mesi, di dover accettare l’indispensabile intervento delle forze armate germaniche, per risolvere una situazione che ai nostri eroici soldati era costata ingenti sacrifici ed inutili perdite. Ben ricordo quale fosse lo stato d’animo della maggior parte della popolazione, resa sempre più depressa pure dalle crescenti difficoltà economiche che la guerra inevitabilmente comportava, e sostanzialmente refrattaria a lasciarsi contagiare dalla propaganda dei più irriducibili esponenti del regime.

3

Insegnamenti e docenti per l’a.a. 1940-41.

Materie fondamentali:

Istit. di Diritto Pubblico, Pietro Bodda; Istit. di Diritto Privato, Mario Rotondi; Istit. di Diritto Commerciale (1° corso), Enrico Redenti; Idem (2° corso), Paolo Greco; Statistica (1° corso), Carlo Emilio Bonferroni; Idem (2° corso), Libero Lenti; Scienza delle Finanze e Diritto Finanziario, Gino Borgatta; Idem, Domenico Dell’Olio; Geografia economica (biennale), Luigi Filippo De Magistris; Politica economica e finanziaria, Luigi Federici; Diritto corporativo e diritto del lavoro, Bruno Biagi; Economia e politica agraria, Ferdinando Di Fenizio; Storia economica, Armando Sapori; Matematica generale, Giovanni Ricci; Matematica finanziaria, Pietro Martinotti; Ragioneria generale e applicata (1° corso), Tommaso Zerbi; Idem (2° corso), Gino Zappa; Merceologia, Livio Cambi; Tecnica bancaria e professionale, Ettore Lorusso; Tecnica Industriale e Commerciale, Ugo Caprara; Lingua francese e tedesca, Bruno Revel; Lingua inglese, Mario Hazon; Lingua spagnuola, Bernardo Sanvisenti; Cultura Militare, Vittorio Boeri.

Materie complementari:

Demografia generale e demografia comparata delle razze, Marcello Boldrini; Economia dei trasporti, Filippo Tajani; Tecnica del commercio internazionale, Ugo Borroni; Diritto industriale, Remo Franceschelli; Diritto processuale Civile, Enrico Redenti; Diritto internazionale, Roberto Ago.

Il Consiglio di Facoltà ribadì poi il voto che il Ministero permettesse la distinzione dell’insegnamento della Tecnica professionale da quello della Tecnica Bancaria rendendola, per tal modo, nuovamente complementare. Nel caso in cui tale sdoppiamento fosse concesso il Consiglio di Facoltà proponeva che il corso di Tecnica bancaria rimanesse affidato al prof. Ettore Lorusso e l’incarico di quello di Tecnica professionale fosse dato al don. Giuseppe Carlo Colli, di cui si erano potuti apprezzare nei precedenti anni le qualità e gli efficaci risultati ottenuti.

Inoltre il Consiglio di Facoltà, cito testualmente, «esprimeva il suo vivo compiacimento per il felice risultato del corso di Tecnica della distribuzione e studio dei mercati organizzato quest’anno nell’Istituto di Economia sotto gli auspici della Confederazione Fascista del Commercio e svolto dal prof. Guglielmo Tagliacarne ed era lieto di sapere che l’iniziativa ebbe anche l’alto consenso dell’Eccellenza Bottai e formulava il voto che il corso fosse tenuto anche nel nuovo anno e affidato allo stesso prof. Tagliacarne).

4

Ulisse Gobbi morì il 21 marzo 1940, poche settimane dopo il compimento del suo ottantesimo genetliaco. Molto intenso e sentito fu il discorso commemorativo che in sua memoria tenne il 4 aprile 1940 all’Università Bocconi il prof. Giovanni Demaria. È stato stampato, e consiglio di leggerlo, nell’Annuario dell’Alub (Associazione fra i laureati dell’Università Commerciale L. Bocconi) del 1940.

5

Laureato bocconiano con lode nel 26, nominato assistente alla cattedra di Tecnica commerciale nel 1933-34, incaricato per alcuni anni dell’insegnamento di Ragioneria generale e applicata (1° corso), incaricato dal 1937-38 del corso complementare di Tecnica del commercio internazionale conservando l’incarico di Aiuto alla cattedra di Tecnica commerciale, abilitato alla libera docenza in tecnica mercantile e bancaria con D.M. 23 marzo 1936.

6

In effetti sino all’ottobre del ’41, gli eserciti hitleriani, scagliati impetuosamente nei territori sovietici (donde l’alleanza subito stipulata, nel marzo di quell’anno, tra l’Inghilterra e la Russia, donde la rapida approvazione da parte del Congresso statunitense della legge affitti e prestiti che avrebbe recato un fondamentale aiuto alla stremata Albione, donde la firma da parte di Churchill e Roosevelt della Carta atlantica), sembravano irresistibilmente destinati a conseguire il definitivo successo (tenuto anche conto dei momentanei successi del corpo di spedizione tedesco al comando di Rommel nel nord Africa, in appoggio alle insufficienti e mal equipaggiate truppe italiane, il cui eroismo era peraltro riconosciuto dagli stessi alleati). Gravate anche dal peso dell’occupazione dei Balcani e dalle esigenze del ricordato corpo di spedizione africano, e sfiancate dalla megalomane strategia imposta da Hitler, le forze armate tedesche giunte in vista di Mosca furono costrette ad arrestarsi e a sostare per oltre un mese. E quando il 16 novembre ripresero l’iniziativa sopravvenne il «generale inverno» a dare una mano decisiva ai russi che costrinsero i reparti tedeschi ad arretrare, e ai quali cominciarono ad infliggere perdite pure le forze della resistenza sempre meglio organizzate non solo in Russia ma anche nei vari territori occupati. All’inizio di dicembre del 1941 si registrò l’attacco di sorpresa dei giapponesi alla base americana di Pearl Harbour; ne derivò l’entrata in guerra degli Stati Uniti che tuttavia dovettero attendere il giugno del ’42 prima di arrestare, con la battaglia navale di Midway, la travolgente offensiva dei nipponici nei diversi territori del sud-est asiatico.

7

La lista dei corsi d’insegnamento e quella dei rispettivi docenti è, quindi, identica a quella esposta nella precedente nota 247. La sola differenza è costituita dell’inserimento, tra le Materie Complementari, di un corso di Tecnica dei prodotti agricoli, affidato al prof. Ettore Lorusso.

8

Era da supporre che qualche variazione sarebbe forse stata resa necessaria dalle difficoltà di spostamento che la guerra imponeva ad alcuni docenti.

9

Come per l’anno precedente si potranno leggere l’elenco degli incarichi di insegnamento deliberati e dei nomi dei relativi docenti alla nota 247.

10

Ho già anticipato alla nota 250 che, in effetti, nella prima metà del ’42, i successi militari dell’Asse furono tali da far toccare lo zenit alla potenza germanica e, di riflesso, indussero anche i suoi alleati a nutrire rosee speranze. Ricordo solo che le truppe tedesche riuscirono con una violenta e fortunata offensiva ad occupare molta parte del territorio meridionale dell’URSS giungendo fino al Caucaso e minacciando addirittura di chiudere in una tenaglia le forze alleate nel Medio Oriente e in Africa, ove Rommel era riuscito a raggiungere El Alamein in vista di Alessandria. Catena di successi terrestri che si abbinava a quella riportata dalla marina germanica che, nella «battaglia dell’Atlantico», aveva inflitto paurose perdite alle marine avversarie. Ma ormai gli Stati Uniti, trasformando con rapidità prodigiosa le loro industrie in un immenso cantiere di mezzi bellici, stavano predisponendo le basi per avere in breve tempo una netta supremazia sulla Germania e sui suoi cobelligeranti. Bastarono pochi mesi perché, grazie anche alla straordinaria resistenza dell’esercito russo, nei primi mesi del ’43 le sorti della guerra volgessero a favore degli alleati. Con la tremenda controffensiva iniziata nel novembre del ’42 e segnata dalla ripresa di Stalingrado e dalla inesorabile ritirata delle stremate forze tedesche; con la vittoria di El Alemein e lo sbarco delle truppe alleate nel nord-Africa francese che costrinsero in breve tempo alla capitolazione del corpo di spedizione tedesco e dei resti delle forze militari italiane; con le immani distruzioni arrecate dalle aviazioni alleate nel cuore della stessa Germania, tra la fine del ’42 e i primi mesi del ’43, i sogni hitleriani s’andarono implacabilmente dissolvendo. E purtroppo per il nostro Paese si andavano preparando i tempi che avrebbero visto arrivare «la guerra in casa».

11

Una volta ancora chi volesse conoscere quali furono le discipline insegnate nel corso dell’a.a. ’42-’43 rilegga la già citata nota 247.

12

Come Palazzina mi fece notare, alle autorità romane fu inviata la comunicazione in merito all’approvazione della richiesta variante dell’art. 29 dello statuto sotto la forma di «Estratto del verbale della seduta del Comitato esecutivo del Consiglio d’Amministrazione». E si precisava che «il Comitato… nella certezza di interpretare anche il pensiero dei Colleghi del Consiglio» (e anche questo voluto affidamento dell’incarico al Comitato spiega la non dichiarata presenza della maggior parte dei consiglieri alla seduta), si trovava concorde nel far propria la proposta del Consiglio di Facoltà. Insomma al Consiglio di Amministrazione fu evitato di prendere, nella sua totalità, una delibera che, evidentemente, riusciva ostica.

13

Li ricordo qui in nota tenuto anche conto del fatto che, per il momento, era stata sospesa la pubblicazione dell’Annuario bocconiano, sul quale come ho più volte fatto cenno, l’elenco dei docenti era riportato: (Materie Fondamentali) Bodda (Diritto pubblico), Rotondi (Diritto privato), Greco (Diritto commerciale, biennale), Bonferroni (Statistica 1°), Lenti (Statistica 2°), Borgatta e Dell’Olio (Scienza finanze e Diritto finanziario), De Magistris (Geografia economica, biennale), Federici (politica economica e finanziaria), Biagi (Diritto corporativo e del lavoro), Di Fenizio (Economia e politica agraria), Sapori (Storia economica), Ricci (Matematica generale), Martinotti (Matematica finanziaria, biennale), Zerbi (Ragioneria generale e applicata 1°), Zappa (idem 2°), Cambi (Merceologia), Lorusso (Tecnica bancaria e professionale), Caprara (Tecnica industriale e commerciale), Revel (Francese e tedesco), Hazon (Inglese), Sanvisenti (Spagnolo), Boeri (Cultura militare); (Materie complementari) Boldrini (Demografia, ecc.), Tajani (Economia dei trasporti), Borroni (Tecnica commercio internazionale), Lorusso (Tecnica commerciale prodotti agricoli), Franceschelli (Diritto industriale), Redenti (Diritto processuale civile), Ago (Diritto internazionale).

Ribadendo quanto raccomandato in lettere degli anni precedenti il Consiglio di Facoltà (e, ovviamente, quello d’Amministrazione) «si permettevano di rinnovare il voto che il Ministero dell’E.N. consentisse alla separazione dell’insegnamento della Tecnica bancaria da quello della Tecnica professionale, rendendo quest’ultima nuovamente materia complementare… e che l’esame abbia un voto unico». Si proponeva altresì di riaffidare il corso di Tecnica bancaria al prof. Lorusso e l’incarico di Tecnica professionale al dott. Colli «che già ebbe per parecchi anni a tenerlo con largo seguito ed efficaci risultati».

14

Un rapido e semplice pro-memoria destinato ai lettori più giovani cui non fu dato, per loro buona sorte, di vivere quell’atroce, funesto periodo della nostra storia. L’11 giugno 1943, dopo un violentissimo attacco aereo, gli alleati si impossessavano del primo lembo di terra italiana: l’Isola di Pantelleria. Un mese più tardi avveniva lo sbarco in Sicilia. In nemmeno 40 giorni le truppe al comando dei generali Patton e Montgomery occupavano Catania e Messina non riuscendo, peraltro, ad impedire che il grosso delle forze tedesche e dei loro armamenti passassero lo stretto e si riorganizzassero rendendo difficile agli alleati la risalita dello Stivale. Nel frattempo, dopo un aggrondato scambio di vedute fra Hitler e Mussolini a Feltre e una tempestosa seduta del Gran Consiglio del Fascismo (durata dalle 5 postmeridiane del 24 alle 3 antimeridiane del 25 luglio), il capo del governo recatosi dal re a Villa Savoia vi fu arrestato: dopo qualche giorno fu imprigionato a Ponza, quindi alla Maddalena e infine in un albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso. Il nuovo governo, presieduto da Badoglio, in istato confusionale, giunse a proporre un incontro fra il re e Hitler, il quale ovviamente oppose un netto rifiuto (del resto, la prima idea dell’infuriato Fuehrer – quando la sera del 25 luglio Badoglio annunciò alla radio le dimissioni di Mussolini e concluse la straordinaria comunicazione con l’irridente e sfrontata esortazione: «la guerra continua» – era stata quella di affidare ad un corpo di paracadutisti delle SS la cattura del sovrano, dei membri del governo badogliano e l’occupazione dei punti vitali della capitale italiana. Il proposito fu però subito accantonato: l’occupazione tedesca dell’Italia avrebbe potuto essere completata senza fretta e con risultati più soddisfacenti). Il convegno tenutosi a Tarvisio tra il ministro degli esteri badogliano Guariglia, il nostro capo di stato maggiore Ambrosio, von Ribbentrop e Keitel, il capo di stato maggiore tedesco, si risolse in una umiliante lezione per i delegati italiani che rientrarono a Roma convinti che non si sarebbe riusciti ad ottenere una pace separata e che i tedeschi avevano già organizzato l’invasione dell’Italia. D’altronde fin dal gennaio, da Casablanca, Roosevelt e Churchill avevano affermato perentoriamente che mai avrebbero sottoscritto una pace separata, ma soltanto una resa incondizionata. Si sarebbe, inevitabilmente, giunti (nonostante le faticose iniziative assunte e condotte, a Madrid, dal generale Catalano che sperava di ottenere dagli alleati per lo meno una qualche garanzia contro l’insediamento germanico in Italia, ritenuto inevitabile) all’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre e reso noto 5 giorni dopo, l’8 alle 19,30. Penosamente mi risuona ancora nelle orecchie il comunicato sussurrato penosamente ai microfoni della RAI dallo stesso Badoglio. Ma, a lasciare intendere l’inflessibilità dei loro propositi, gli alleati nelle settimane che precedettero la firma dell’armistizio moltiplicarono le dimostrazioni della loro potenza militare rovesciando, tra l’altro, migliaia di tonnellate di bombe su obiettivi militari e civili del nostro Paese. Spaventose furono le distruzioni subite, a metà di agosto, da Milano e delle quali fui inorridito testimone; più di duemila furono i morti contati a Pisa dopo il bombardamento del 31 agosto. E aggiungo solo, telegraficamente, che dopo l’8 settembre si succedettero mesi terribili per la popolazione italiana destinata, in una quotidiana lotta di sopravvivenza, a subire gli attacchi incrociati degli eserciti alleati e dei resti di quello germanico, arroccatosi sulla «linea gotica» che tagliava in due il Paese dal Tirreno all’Adriatico. Purtroppo le formazioni partigiane («Garibaldi», «Giustizia e Libertà», «Matteotti», ecc.), raccolte sotto le bandiere della Resistenza, pilotata del Comitato di Liberazione Nazionale costituitosi a Roma fin dal settembre del ’43 e operante attraverso una fitta rete di CLN locali, si videro costrette a combattere non solo contro le forze tedesche, ma altresì, in un’affliggente lotta fratricida, contro le bande dei «repubblichini» sostenute dal ricostituito governo fascista di Salò, presentatosi come rivoluzionario e socialisteggiante, pateticamente retto da Mussolini, audacemente liberato ad opera di un commando hitleriano dalla sua prigionia sul Gran Sasso nel novembre del ’43 e supinamente disposto ad obbedire agli ordini del Fuehrer (accettando perfino la condanna a morte di una parte dei gerarchi fascisti, tra cui il genero Galeazzo Ciano, colpevoli del «tradimento» ordito nella seduta del Gran Consiglio). E mentre al nostro decapitato governo (la famiglia reale si era rifugiata in Egitto), operante come una larva nell’Italia meridionale, gli alleati avevano consentito la costituzione di un rabberciato esercito (l’Italia aveva pur dichiarato guerra al suo ex alleato!), epiche manifestazioni di lotta antitedesca si registravano un po’ dovunque e, naturalmente, si concludevano, per lo più, con efferate reazioni dei nazisti (si pensi, a titolo esemplificativo, all’olocausto delle Fosse Ardeatine, alla strage di Marzabotto, alle quattro sanguinose giornate di Napoli del novembre ’44). Nel giugno del ’44, le truppe alleate liberarono Roma, il re trasmise al figlio i poteri e si costituì un nuovo governo espresso dal CLN e presieduto da Bonomi, il quale nel dicembre successivo delegò al CLN Alta Italia i poteri governativi nei territori occupati dai tedeschi. Occorse un anno circa perché gli alleati, ovviamente preoccupati di sostenere in primis l’annientamento dei tedeschi sul suolo francese, riuscissero a vincere la resistenza delle divisioni germaniche in Italia e giungessero a dilagare nella pianura padana, sempre più appoggiati dalle forze della Resistenza. Il crollo definitivo del dominio nazifascista si verificò il 25 aprile del ’45, dopo la cattura e la fucilazione di Mussolini e di un buon numero di gerarchi. Due settimane dopo, l’8 maggio, preceduta dal suicidio di Hitler, si registrò anche la capitolazione del Reich. Pochi giorni dopo, sotto la presidenza di Ferruccio Parri, si sarebbe costituito il primo governo italiano postbellico con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati nel CLN. Gioia e speranze tornavano ad illuminare il faticoso cammino del nostro esausto popolo.

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Al punto primo dell’ordine del giorno si verbalizza la «Richiesta del prof. Moneta di tenere due corsi liberi» di venti lezioni ciascuno sui temi: La nuova organizzazione del lavoro e L’economia dell’Oriente.

Il Corpo Accademico, dopo accese discussioni in particolare sviluppate dai proff. Zappa, Rotondi e Boldrini, «dà mandato al Pro-Rettore perché esegua una indagine onde appurare il grado di preparazione scientifica del richiedente».

Il secondo problema trattato fu l’incarico di insegnamento delle Istituzioni di Diritto Pubblico. Dopo un’obiezione del prof. Boldrini contro la proposta di prof. Rotondi di conservare l’incarico al prof. Ranelletti anche oltre i limiti di età, si presero in considerazione diversi nomi e Rotondi sostenne vigorosamente il prof. Rovelli, «ottimo elemento… non compromesso in alcun modo con il fascismo. Al parere di Rotondi si associò Boldrini. I proff. Zappa e Borgatta, che ammisero subito di non conoscere Rovelli, appoggiarono invece la candidatura del prof. Tosti. In ultima analisi, a conclusione del dibattito, il Consiglio di Facoltà incaricò il pro-Rettore «di raccogliere altri dati onde arrivare ad una oculata scelta fra i due canditati».

Terza questione sul tappeto era l’incarico di Geografia Economica. Rimosso il prof. De Magistris per il suo passato di convinto fascista, il pro-Rettore fece sapere che «purtroppo non è stato possibile portare a termine il lavoro di ricerca del docente» in quanto il titolare di Geografia fisica dell’Università di Milano si era già impegnato con l’Università di Firenze e d’altra parte il prof. Bracchi, libero docente alla Cattolica, pur disposto ad insegnare alla Bocconi, era particolarmente versato nella Geografia Fisica, mentre invece era intendimento della Bocconi «di dare un orientamento economico alla Geografia». Di fronte a questa difficoltà il pro-Rettore aveva anche interpellato il prof. Gino Luzzato la cui risposta era stata negativa. Pure senza esito erano state altre richieste rivolte dal pro-Rettore ad insegnanti medi, sicché «dopo alcune discussioni in cui intervennero i proff. Zappa, che ricordò i titolari di Genova e Venezia e di Rotondi che propose, ove le trattative in corso fossero fallite, di sospendere l’insegnamento di Geografia economica per l’anno in corso, si concluse di seguire le proposte dei proff. Zappa e Rotondi nell’ordine».

Lunghe furono le discussioni in merito al problema dei corsi complementari sollevato dal Ministero della Pubblica Istruzione, preoccupato che alla Bocconi, secondo le statistiche in suo possesso, «molti corsi complementari andassero deserti». Senza star a ricordare la sequela degli interventi e delle opinioni, il Consiglio di Facoltà, ribadito che la Bocconi non avrebbe mai considerato l’eventualità sussurrata dal Ministero di sopprimere i corsi complementari, ritenuti invece utilissimi e richiesti da molti studenti, reputava opportuno che si meditasse: 1° sulla necessità che l’Università seguisse un nuovo indirizzo nel distribuire i corsi; 2° sulla delega da affidare al pro-Rettore per stendere un piano concreto per raggiungere lo scopo e 3° sulla definizione di due gruppi di materie entro i quali venissero operate le scelte degli studenti.

La seduta si chiuse dopo aver proposto la soluzione di questioni di secondaria importanza che non mette conto di segnalare.

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