Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Le difficoltà post-belliche e la gestazione del fascismo


Parole chiave: Finanza e bilanci, Fascismo, Istituto di Economia Ettore Bocconi, Vice presidente Vanzetti Carlo, Tumminelli Calogero

Assenti e giustificati soltanto Mortara e Rossi, poco più di due mesi dopo, il 14 novembre 1919, il Consiglio si riunì nuovamente. La seduta si iniziò con una comunicazione del Presidente che tornò assai gradita a tutti i componenti: il sindaco di Milano, Avv. Caldara, aveva accettato, con viva soddisfazione, di fare parte del Consiglio direttivo bocconiano. In cui, su iniziativa del Presidente ben accolta dai consiglieri, sarebbe entrato anche il dott. Calogero Tumminelli. Egli era, dunque, il primo laureato bocconiano che, compiuti gli studi «con molto onore» e «affermatosi brillantemente nella vita pratica», perveniva ai vertici della «sua» Università. Dopo avere ufficialmente commemorato per bocca dell’ing. Vanzetti, vicepresidente, il comm. Weil improvvisamente scomparso (se ne era annunciata la morte nella seduta precedente, come si ricorderà), il Consiglio direttivo espresse il suo vivo compiacimento per la nomina del dott. Pasquale D’Aroma – che in anni precedenti aveva insegnato alla Bocconi «Legislazione finanziaria» – a Direttore Generale delle Imposte Dirette.

Di ordinaria amministrazione fu il provvedimento, approvato dal Consiglio, relativo alla assegnazione delle 26 borse di studio messe a concorso pel 1919-20 (come sempre i nomi erano stati proposti da una commissione guidata dal Presidente Bocconi); ma un significato particolare ebbe la questione sollevata dal vicepresidente Vanzetti. Egli rammentò che, con R.D. dell’11 aprile 1915, l’Università era stata autorizzata ad accettare il legato disposto a suo favore dal compianto Comm. Ferdinando Bocconi: la metà del legato fu destinata ai «prestiti sull’onore», a favore dei laureati che per le condizioni della loro famiglie non potevano intraprendere la desiderata carriera per mancanza di mezzi. Vanzetti ricordò che il testamento recitava testualmente: «Dopo 5 anni, se per unanime parere del Consiglio, la prova avrà dato ottimi risultati sarà versato il capitale; altrimenti detto capitale sarà erogato diversamente o a favore dell’Università o in beneficenza, a criterio del mio erede». Vanzetti notava che il quinquennio stava per scadere e quindi il Consiglio avrebbe dovuto esprimere il proprio parere. Sennonché non si poteva non tenere conto degli effetti procurati dalla lunga guerra appena terminata. E pertanto, secondo il desiderio del Presidente che, in quanto erede era arbitro della decisione, sarebbe forse stato opportuno che il Consiglio concedesse una proroga. Grato al Presidente per la sollecitazione, il Consiglio decise, dunque, di «affidare lo studio della questione ad una commissione composta da S.E. Mortara, dal Sindaco Avv. Caldara e dal Rettore prof. Sraffa».

La seduta si concluse con l’approvazione di tre proposte avanzate dal Presidente: nomina del dott. Palazzina a Direttore della Segreteria, conferimento delle funzioni di Economo-Contabile al vicesegretario Bellomo e assunzione di un nuovo segretario con stipendio annuo di 8 mila lire.

Passò quasi un anno prima che il Consiglio direttivo bocconiano si adunasse nuovamente: si giunse al 4 novembre 1920. Si celebrava il secondo anniversario della vittoria. Ma ben scarsa era la voglia di festeggiare la ricorrenza. La situazione generale, politica ed economica, era tale da incupire gli animi ed i pensieri. Gli scontri ideologici e politici ormai avevano raggiunto soglie preoccupanti; l’occupazione delle fabbriche, avvenuta due mesi prima, e le reazioni di vario genere che aveva innescate (Mussolini cominciava a portarsi in primo piano) facevano prova delle pericolose e mutevoli alterazioni della pubblica opinione. E non è qui il caso di rievocare episodi e vicende particolari[1].

12

Ho fatto cenno alla situazione generale, al clima storico per lasciare intendere con quale inquieto spirito i massimi responsabili della amministrazione bocconiana si sedettero allora intorno al tavolo. Ma i lavori si svolsero, pacatamente e fruttuosamente, nella massima serenità. Non vi parteciparono, e ne furono scusati, Rossi, Mortara e Caldara.

Il primo argomento posto all’ordine del giorno concerneva l’esame e l’eventuale approvazione delle conclusioni tratte dalla commissione investita del compito di dar seguito alle disposizioni testamentarie di Ferdinando Bocconi in merito ai «prestiti sull’onore». In breve: il Rettore, che della commissione faceva parte (si ripensi a quanto stabilito nel corso della seduta precedente), riferì che le 500 mila lire che avrebbero dovuto essere versate, al termine del primo quinquennio, per assolvere le volontà del testatore, sarebbero state conferite, con il consenso del Presidente Ettore Bocconi (il quale ribadì le sue intenzioni) alla stessa Università, perché fosse dato nuovo impulso alle attività esercitatevi. Il Consiglio, manifestando riconoscenza e soddisfazione, si dichiarò naturalmente d’accordo, per voce del dr. Tumminelli, il quale tuttavia non mancò di «… esprimere l’opportunità che sia reso noto ai laureati – i quali hanno già fatto un certo assegnamento sull’eventuale godimento di un prestito sull’onore – che malgrado la devoluzione delle 500.000 lire all’Università, rimane sempre la possibilità di chiedere e di ottenere prestiti sulla parola d’onore». Al vicepresidente Vanzetti fu dato l’incarico di svolgere le pratiche relative al ritiro del capitale devoluto alla Bocconi e di effettuarne l’investimento in buoni del tesoro.

Dopo la scomparsa di Weil si provvide, evidentemente in maniera informale[2], a conferire l’incarico di revisori dei conti all’Ing. Vanzetti e al dott. Tumminelli. A quest’ultimo spettò il compito di presentare, nella corrente seduta, il bilancio consuntivo del 1918-19 e quello preventivo del 1919-20. Il consuntivo del conto rendite e spese presentava un’eccedenza attiva di L. 137.671,92 (le entrate, previste in L. 256.000, ammontarono invece alla cifra di L. 372,989,60[3]; le spese, previste in L. 193.000, sommarono invece a L. 235.317,73). La situazione patrimoniale alla fine di ottobre del 1919 risultava di L. 1.859.186,07 (questo fu l’unico dato comunicato).

Sintetica la segnalazione del preventivo di rendite e spese per il ’19-’20: entrate per L. 352.100 e uscite per L. 381.000. Tenuto anche conto dell’eccedenza, i revisori dei conti (che furono confermati seduta stante) suggerirono di diminuire la somma lasciata in conto corrente. Ma il Consiglio si trovò di fronte anche ad alcuni problemi delicati in merito all’attività didattica sui quali non si poteva soprassedere.

In primo luogo si dovettero prendere in considerazione, con rincrescimento, le dimissioni, date per ragioni di salute, dal prof. Rota, e pure con rincrescimento si dovettero tenere presenti le lagnanze pervenute, in merito all’insegnamento impartito dal prof. Gasca. Per quest’ultimo si deliberò di affidargli l’insegnamento della «Tecnica mercantile» per i soli allievi del 2° corso, però «con l’esplicito avvertimento che per l’anno successivo il Consiglio si riservava la più ampia libertà d’azione».

Quanto al caso Rota, il Rettore Sraffa presentò una proposta che avrebbe avuto grande importanza per il futuro dell’Ateneo. Egli prospettò l’opportunità che si chiamasse alla Bocconi il prof. Gino Zappa, docente presso il R. Istituto Superiore di Studi Commerciali di Genova «dove è apprezzatissimo»; e con lui si chiamasse il suo aiuto prof. Ermanno Bettini. Sraffa aveva già avuto modo di parlare con Zappa e, a suo avviso, «l’insegnamento contabile» avrebbe dovuto essere così ripartito: Zappa avrebbe coperto la cattedra di «Ragioneria Generale ed Applicata» per gli studenti del 1° corso (3 ore di lezioni e 3 di esercitazioni) e per quelli del 2° corso (2 ore di lezioni) ed inoltre avrebbe svolto anche l’insegnamento di «Tecnica amministrativa delle imprese industriali» per gli allievi del 4° corso (3 ore di lezioni e 2 di esercitazioni); il Gasca, come si è già detto, avrebbe svolto il corso di «Tecnica mercantile» per gli studenti del 2° corso (5 ore di lezioni); Eugenio Greco avrebbe insegnato «Tecnica bancaria» (3 ore di lezioni) agli allievi del 3° corso. Al Bettini, sotto la direzione di Zappa, avrebbero dovuto essere affidate le esercitazioni. Per rendere più proficuo l’insegnamento, atteso l’alto numero di iscritti al 1° corso, avrebbero dovuto essere nominati altri due assistenti.

Come si può ben capire la proposta di Sraffa avrebbe profondamente modificato la struttura degli insegnamenti delle materie economico-aziendali. Se ne rese ben conto il Consiglio che, però, manifestando piena soddisfazione, espresse la sua approvazione. E non perse tempo nel far giungere le lettere di nomina a Zappa e a Bettini: al primo assegnando uno stipendio annuo di L. 15 mila e al secondo di L. 5 mila. Confermati tutti gli altri professori di materie scientifiche e tecniche a tutti, oltre al Rettore, si aumentò del 50% l’onorario per l’a.a. 1920-21. Il Consiglio, considerando l’elevato numero delle lezioni, dispose che al prof. Piazza, per equipararne la retribuzione a quella degli altri docenti, fosse concesso un aumento annuale di mille lire, elevandone quindi lo stipendio a L. 9.900. Ai proff. Einaudi e Mosca sarebbe stato riconosciuto un compenso di L. 150 per lezione. Al prof. Hazon, docente di inglese, fu assegnato uno stipendio di L. 6 mila. A Francesco Remigeau, docente di francese del 3° corso (lettore all’Accademia Scientifico-Letteraria), fu concesso un onorario di L. 4 mila.

Al prof. Cabiati, titolare di «Storia e critica dei principali istituti economici», previ accordi col Rettore, sarebbe stato affidato un corso di «Economia industriale»; mentre la cattedra di «Politica Commerciale e doganale» sarebbe stata conferita al prof. Giuseppe Prato. Il Rettore si sarebbe, infine, accordato con Gini, Mortara, Loria ed Einaudi «ed eventualmente altri», per organizzare il previsto ciclo di conferenze-lezioni.

Nella lunga riunione del 4 novembre 1920 l’ordine del giorno prevedeva come sempre l’esame delle borse di studio conferite agli studenti meritevoli in base alle valutazioni compiute dall’apposita commissione[4].

Tra i «Provvedimenti vari» furono fissate le tasse richieste agli studenti regolari (eccettuati quindi gli ex-militari iscritti d’ufficio), e cioè L. 200 per la tassa di immatricolazione, L. 700 per quella di iscrizione L. 100 per quella di esami e L. 150 per quella di diploma. Prima di sciogliere la seduta fu data lettura di una lettera di dimissioni del cav. Carlo Buccione, al quale il Consiglio rivolse un caloroso ringraziamento per l’opera prestata deliberando, inoltre, di erogare a suo favore a titolo di liquidazione la cifra di L. 9.000. E il Presidente comunicò al Consiglio che «prossimamente sarà collocata nell’Università la lapide in ricordo degli Allievi Caduti in guerra, lapide alla quale dà il magistero della sua arte lo scultore Adolf Wildt», e che ancor oggi si può ammirare.

Dopo sei mesi, il 4 maggio 1921, mentre nel Paese si susseguivano preoccupanti turbolenze[5], il Consiglio Direttivo si riconvocò, pur in assenza dei consiglieri Vanzetti, Tumminelli, Rossi e Della Torre. Era, quest’ultimo e nuovo membro, il secondo rappresentante della Camera di Commercio di Milano, alla cui nomina si era provveduto dopo che la Cassa di Risparmio delle PP.LL. aveva deliberato, in una seduta dell’8 marzo 1920, che «nessun rappresentante della Cassa stessa dovrà in avvenire far parte, come tale, dei Consigli Direttivi di Opere di beneficenza ed Istituti di qualunque genere che attingono o possano attingere sussidi dalla Cassa di Risparmio». Il provvedimento della Cassa di Risparmio indusse i componenti del Consiglio, su proposta del Rettore, ad elevare a 15 i membri dell’organismo di cui facevano parte. Il che comportò una modifica, subito approvata, dell’art. 6 dello statuto dell’Università: se ne veda in nota il nuovo testo[6]. Il Consiglio Provinciale aveva nel frattempo nominato come suo rappresentante, in luogo del sen. Pirelli, il prof. avv. Vincenzo Manzini, che, già presente alla seduta, riceveva il caloroso benvenuto del Presidente. Il quale, peraltro, avvalendosi della facoltà conferitagli dallo statuto, propose di rinnovare per un altro quadriennio (1921-24) l’incarico al sen. Pirelli: proposta che fu subito acclamata.

Respinta, invece, dal Consiglio fu la proposta presidenziale di tornare sulla questione dell’accettazione dei diplomati degli Istituti Commerciali già proposta da una scuola carrarese, come si è visto poco più addietro, e di modificare in proposito l’enunciato dell’art. 12 dello statuto. Si fu d’accordo, invece, nell’inserire una precisazione, a proposito delle tasse studentesche, all’art. 14[7].

In assenza dei revisori dei conti (i quali, in ogni caso, avevano fatto pervenire una lettera di approvazione preventiva, e che furono confermati nella carica), ai consiglieri fu distribuita una copia dei bilanci consuntivo (1919-1920) e preventivo (1920-1921). La situazione patrimoniale al 31 ottobre 1920 risultava pari a L. 2.498.778,82: fu approvata. Così come approvati furon i dati dei conti consuntivi (entrate per L. 571.523,40; spese per L. 363.217,51; eccedenza attiva per L. 208.305,89) e preventivi (entrate per L. 634.000; spese per L. 405.150; eccedenza attiva di 138.850: cifra errata, in effetti L. 228.850).

Informati dal Presidente che docenti e studenti dell’«Accademia di Alti Studi Commerciali» di Bucarest (foggiata sul modello bocconiano) erano stati in visita a Milano e il Presidente stesso aveva reputato doveroso offrire loro un rinfresco, i Consiglieri, dimostrandosi un poco suscettibili, avevano subito condiviso l’opinione espressa dal prof. Mortara che si inviasse una lettera di «rincrescimento, se non di lagnanze» al Ministero del Commercio, giacché l’Università Bocconi non era stata scelta come sede del ricevimento ufficiale per la delegazione straniera, così come invece s’era fatto altrove presso le R. Scuole Superiori di Commercio.

Il Rettore si dilungò ad illustrare i pregi della Biblioteca Bodio[8] che stava per essere posta in vendita. Per la cifra di 15 mila lire (oltre alle spese di trasporto da Roma a Milano) avrebbe potuto rappresentare una importante acquisizione per la biblioteca bocconiana. L’acquisto fu approvato senza discussioni ed anzi si deliberò immediatamente di rilevare anche per 20 mila lire «scaffali da biblioteca» ceduti dalla Camera di Commercio milanese, nonché si autorizzò la sistemazione dei sotterranei dell’Ateneo per dare spazio alla biblioteca e finalmente per disporre di un attrezzato laboratorio per le prove pratiche di chimica e merceologia.

Espresso un vivo apprezzamento per il gesto del grande artista Adolfo Wildt che non volle ricevere compenso alcuno per il monumento eretto in onore dei bocconiani caduti al fronte, il Consiglio di Amministrazione manifestò il suo compiacimento per i contatti presi dal rettore Sraffa con sir Rennel of Rodd, presidente della «Serena Foundation» di Londra, e approvò senz’altro il proseguimento delle trattative, incaricando all’uopo oltre a Sraffa il vicepresidente ing. Vanzetti[9]. Parve a tutti i membri del Consiglio che una più stretta collaborazione con la «Serena Foundation» sarebbe tornata assai profittevole per la Bocconi. Tanto più che il neonato «Istituto di Economia» – come faceva notare il Rettore Sraffa – «… dava già motivo di sperar bene» circa le sue future sorti e, a maggior ragione, se avesse potuto appoggiarsi a cattedre istituibili con l’aiuto della «Serena Foundation», specialmente nell’ambito della Economia Politica e della Politica Sociale. Si sarebbe, per tal modo, formato il «nucleo di una vera e propria sezione di Scienze Sociali». Entusiasta dell’iniziativa si dichiarò, in particolare, il rappresentante della provincia, il consigliere Manzini, al quale pareva che la nascita, nella Bocconi, di «una sezione di tal genere (di Scienze Sociali)… avrebbe tutti gli elementi di successo e sarebbe d’utilità e di decoro per Milano». Sicché, a suo parere, la provincia e il comune avrebbero dovuto contribuire a finanziare un siffatto istituto. Le parole di Manzini suscitarono vivi consensi e generale approvazione.

Non così caldi consensi riscosse, invece, una lettera inviata al Rettore il 22 aprile dal presidente dell’Associazione fra i laureati bocconiani. Si tornava sulla questione dei «prestiti sull’onore», legati alla più volte ricordata fondazione nata dal lascito di Ferdinando Bocconi. In toni non certamente molto cortesi si chiedeva la sollecita revisione del regolamento che dava esecuzione alle volontà del testatore, perché ne potessero beneficiare anche i laureati non presi in considerazione nelle norme regolamentari provvisoriamente emanate, come è stato ricordato, sei mesi prima[10]. In effetti, un mese prima, il 4 aprile, senza che si procedesse ad una convocazione ufficiale del Consiglio, il regolamento in questione era stato abrogato, in attesa di elaborarne un altro che risultasse più efficace. Tuttavia era stato pur stabilito, in presenza del dott. Tumminelli che, come membro dell’Associazione Laureati, non aveva indugiato a rendere nota all’Associazione stessa il contenuto della deliberazione, che il Consiglio direttivo non «avrebbe mai preclusa la possibilità pei laureati di ottenere la concessione di prestiti». Insomma anche in seno alla Bocconi qualche screzio, qualche incomprensione doveva pur manifestarsi.

Mancavano pochi giorni alle votazioni politiche che si annunciavano difficilissime per l’arroganza dei fascisti e per lo stato di profondo disagio in cui versava il Partito Socialista, fortemente ridimensionato dopo le elezioni amministrative dell’autunno precedente e ancora sgomento e irritato per la fallita occupazione delle fabbriche. I seggi si sarebbero aperti il 15 maggio, e il Consiglio di Amministrazione si trovò d’accordo nel fare chiudere l’Università dall’11 al 19 compreso.

Peraltro, due giorni prima che si andasse alle urne, il 13 maggio, a pochi giorni dalla precedente riunione, il Presidente reputò opportuno riunire con urgenza il Consiglio[11]. La ragione era data dal duro atteggiamento assunto dagli studenti, i quali avevano fatto sapere a mezzo della stampa che la loro assenza dall’Ateneo si sarebbe protratta dal 9 a tutto il 22 maggio. A nulla erano valse le esortazioni fatte dal Rettore, le promesse di accordare licenze più lunghe agli allievi che dovevano recarsi a votare in collegi molto distanti da Milano. Il Collegio dei professori, immediatamente convocato, aveva stabilito che sarebbero stati esclusi dalla sessione estiva di esami gli studenti che non avessero frequentato i corsi prima e dopo le date fissate dal Consiglio Direttivo. Di tutto ciò informato nella seduta straordinaria, il Consiglio «facendo propria la deliberazione presa dal corpo insegnante», decise di darne comunicazione alle famiglie e alla stampa. La circolare, che riporto integralmente in nota[12], sembra che abbia sortito qualche effetto. Epperò ai vertici dell’Università si cominciava a pensare che pure alla Bocconi l’idillica situazione sperimentata negli anni precedenti era, forse, da considerarsi un bel ricordo.

Assenti giustificati Manzini e Salmoiraghi, il Consiglio Direttivo si riunì il 21 ottobre sempre del 1921. Per prima cosa si procedette alla modifica dell’art. 6 dello statuto, elevando da due a tre i membri di nomina della Camera di Commercio di Milano. Furono quindi rinnovati gli incarichi di insegnamento per l’a.a. 1921-22. Furono sostanzialmente confermati i professori nei corsi già svolti il precedente anno[13]. Mette conto, tuttavia, di sottolineare che per la prima volta si affacciava sul proscenio bocconiano un docente che presso la Bocconi avrebbe svolto una lunghissima e non dimenticata attività: Ugo Caprara, nominato aiuto di Gino Zappa e affiancato dal laureando Chiesa. È interessante altresì osservare che al prof. Prato venne affidato anche un nuovo incarico: quello di «Storia delle dottrine economiche», un corso di cui avrebbero beneficiato gli studenti del 3° e 4° anno. A tutti i professori dei corsi obbligatori si stabilì di accrescere di un terzo gli stipendi di base del 1920-21.

In merito ai corsi speciali, si deliberò di istituirne uno di «Scienza della politica» da affidarsi all’on. Mosca[14] e di un corso di «Diritto Amministrativo» da affidarsi al prof. Ranelletti coadiuvato «per quel che riguardava gli Enti Locali Territoriali dall’Avv. Nino Levi presidente della Deputazione Provinciale di Milano»[15]. Al Rettore fu riservato l’incarico di organizzare, così com’era stato fatto il precedente anno, le conferenze-lezioni e si suggerirono, in particolare, accordi con i proff. Loria, Gini, Lorenzoni, Cabrini e Mortara.

Assai soddisfatti per il felice andamento del già ricordato «Istituto di Economia», di fresca istituzione, che si era arricchito di un buon corredo di libri e di riviste, i consiglieri appoggiarono la proposta rettorale di chiamare alla direzione dell’Istituto Luigi Einaudi, il quale avrebbe dovuto essere coadiuvato (anche nell’insegnamento di «Scienza delle Finanze e di Contabilità di Stato», corsi tenuti agli allievi del terzo anno) dal prof. Vincenzo Porri.

Altri due nomi che, a titolo diverso, avrebbero reso ancor più invidiabile il quadro dei docenti bocconiani furono avanzati dal Consiglio direttivo: quello del prof. Luigi Filippo De Magistris, chiamato ad integrare l’insegnamento di «Geografia Economica» affidato al Frescura[16], e quello del già rinomato Gino Luzzatto, al quale sarebbe stato affidato un corso speciale sull’«Oriente Europeo» (per gli studenti del terzo anno)[17].

Il problema dell’insegnamento e dell’apprendimento delle lingue straniere stava particolarmente a cuore ai responsabili dell’amministrazione bocconiana: una volta di più si intrecciarono lunghi interventi e varie proposte. Ne faccio brevissimo cenno in nota[18].

Dopo aver provveduto con la massima accuratezza ad assegnare le borse di studio proposte, more solito, dall’apposita commissione, il Consiglio direttivo ascoltò, sostanzialmente approvandole, le proposte del Rettore in merito al programma di attività e alla scelta dei professori, per il 1922, in base agli accordi intercorsi con la «Serena Foundation». Al prof. Pacchioni sarebbe stato assegnato un gruppo di lezioni sull’Impero Britannico, di cui sarebbero state illustrate la composizione, le caratteristiche del suo imperialismo, la posizione costituzionale della Corona, dell’India e dei Dominions, il sistema del common law, ecc. Trenta lezioni, in inglese, sarebbero state svolte dalla prof.ssa Lily Marshall, dell’Accademia Scientifico-Letteraria, sulla storia civile, politica e letteraria inglese. Sull’Australia e sulla Nuova Zelanda avrebbe parlato, in una trentina di conferenze ed esercitazioni, il prof. Hazon già insegnante d’inglese alla Bocconi. Infine, il prof. Giorgio Mortara avrebbe discusso, nel corso di più conferenze, degli scambi commerciali italo-inglesi, prima durante e dopo il conflitto mondiale. I consiglieri unanimemente plaudirono alla iniziativa ben coordinata e si auguravano che ai «corsi Serena» fossero ammessi anche i laureati, gli studenti di altri Istituti Superiori e i Soci di Circoli culturali.

Qualora l’importante «Convegno degli esportatori», organizzato dalla Camera di Commercio milanese avesse potuto aver luogo nella prima decade di novembre il Consiglio direttivo era senz’altro d’accordo che la Bocconi lo avrebbe ospitato come era nei voti della stessa Camera.

Assentatosi il segretario Dott. Palazzina, il Consiglio approvò i passi compiuti dal Presidente e dal Rettore presso il Comune per ottenere un’area contigua al palazzo dell’Università e diede il suo consenso perché nei locali sotterranei sul lato di Via Statuto e, se necessario, utilizzando anche il salone circolare sottostante all’Aula Magna, si approntasse una Mensa universitaria. Il Presidente e il Rettore erano senz’altro autorizzati «a studiarne l’attuazione».


1

Per avere un quadro generale della situazione si leggano le pagine di P. Rossi, Storia d’Italia, vol. IV, Dal 1914 ai nostri giorni, Milano, 1973, pp. 85 e ss. Qualora si volesse far capo ad una esposizione più analitica e ad un commento più incisivo, anche se ideologicamente più caratterizzato e rigido, delle vicende che contrassegnarono il cursus della storia italiana nel periodo considerato da questo volume, consiglio di leggere i voll. VIII, IX e X della Storia dell’Italia moderna, Milano, 1956-1984 di Giorgio Candeloro, un’opera che già si può considerare un classico della letteratura storica, assai ricca oltretutto di riferimenti bibliografici e documentari. L’ausilio del Candeloro potrà essere prezioso anche nelle pagine successive di questo saggio, là dove, per brevità, mi limiterò a ricordare il lavoro del Rossi.

2

In effetti, in una precedente seduta del Consiglio, si era detto di effettuare in una successiva riunione il rinnovo del collegio dei revisori. Di fatto i nuovi revisori, Tumminelli e Vanzetti, furono scelti extra Consilium.

3

Di cui L. 32.656,60 provenivano da tasse scolastiche relative ad anni precedenti e che erano state considerate inesigibili o di difficile esigibilità trattandosi di tasse pagate da studenti militari.

4

Non sto ad indicare l’elenco dei premiati. In ogni caso si sappia che esso appariva ogni anno sull’Annuario della Bocconi.

5

Di lì a pochi giorni, il 15 maggio, si sarebbero svolte le elezioni nel pieno imperversare dell’illegalismo. Non si dimentichi che sul finire dell’anno precedente era fallita l’esperienza della occupazione delle fabbriche e che la sera del 23 marzo si era registrata la strage al teatro Diana di Milano ad opera di alcuni fanatici anarchici individualisti. Insomma tutto concorreva perché la violenza fascista fosse alimentata in diverse contrade italiane, soprattutto in Toscana e in Umbria. Forse Giolitti si illuse che l’indiscutibile successo riportato con la chiusura della questione fiumana (stabilita dal Trattato di Rapallo) avrebbe riportato con le elezioni una relativa tranquillità, se non una pacificazione, nel travagliato Paese. Purtroppo, come è noto, le elezioni si tradussero in un ulteriore rafforzamento delle ali intransigenti della politica italiana, fascisti in primo piano. Il 27 giugno Giolitti, che aveva ottenuto una maggioranza di soli 34 voti, fu costretto a dimettersi, e si aperse una crisi esasperata e di difficilissima soluzione. Né si dimentichi che nel gennaio di quell’anno (1921) nel partito socialista si giunse alla scissione della minoranza che aderiva alla Terza Internazionale e che a Livorno si pervenne alla fondazione del partito comunista. E mi limito a ricordare soltanto questi eventi per dare il senso e la misura dei turbamenti che sconvolgevano e avvilivano la nazione.

6

«L’Università è retta da un Consiglio Direttivo composto di non meno di 11 e non più di 15 membri. Ne fa parte di diritto l’erede del Fondatore o persona della famiglia da esso designata. Tre dei componenti sono eletti, uno per ciascuno, dal Ministero della Pubblica Istruzione, dalla Provincia e dal Comune di Milano, due dalla Camera di Commercio di Milano. Gli altri sono nominati dall’erede del Fondatore o dalla persona da esso designata».

7

Questa la precisazione: «Il Consiglio Direttivo determina le tasse da pagare dagli studenti e dagli uditori».

8

Luigi Bodio, milanese, nato nel 1840 e spentosi ottantenne a Roma nel 1920, fu statistico di eccezionale valore ed ebbe primaria importanza nella riorganizzazione dei servizi statistici dello Stato. Lasciò numerosissimi studi e tale fu la sua autorità che giunse, al termine della sua vita, a ricoprire la presidenza della «Commissione Internazionale per la Statistica» presso la Lega delle Nazioni a Parigi. Una analitica biografia del Bodio è stata redatta da F. Bonelli per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. II, pp. 104-107. Mentre la sua importante biblioteca è confluita presso quella bocconiana, il suo ricchissimo archivio è andato sfortunatamente disperso.

9

«La “Serena Foundation” fu costituita a Londra il 21 gennaio 1921 per iniziativa e con i mezzi finanziari del Gr.Uff. Arturo Serena, il figlio di un emigrante italiano nato in Inghilterra dove fece fortuna, ma rimasto molto legato alla patria d’origine Attilio Serena che morì l’anno dopo, il 31 marzo 1922, era diventato il senior partner della «Galbraith, Pembroke and Co.», società armatoriale e di brokeraggio nelle assicurazioni marittime. Era stato vice presidente della Camera di Commercio Italiana di Londra e come console Generale della Repubblica di San Marino aveva partecipato alla incoronazione di re Giorgio.

«Aveva istituito a sue spese cattedre di italiano nelle università di Oxford, Cambridge, Manchester e Birmingham. Con la Fondazione si era anche proposto di istituire cattedre di inglese in alcune università italiane, ma queste forme di intesa tra università pubbliche e mecenatismo privato non erano possibili con la legislazione italiana. Si accordò quindi con una università privata, la Bocconi, e con l’Istituto Britannico di Firenze dotando entrambi di mezzo milione di lire.

«A Firenze l’attività della Fondazione fu gestita soprattutto dell’anglista Pietro Rebora, fratello del poeta e anche lui personaggio di spicco nella sua materia. La Bocconi aggiunse di suo 250.000 lire per incrementare lo studio della lingua e cultura inglese. Mario Hazon a Milano fu l’altro anglista di grande levatura coinvolto nelle attività della Fondazione.

«Al funerale di Serena la Bocconi fu rappresentata dal commendatore Enrico Consolo, direttore della Banca Commerciale Italiana a Londra… La Serena Foundation, presieduta da Lord Rennel of Rodd, già ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, aveva sede a Grosvenor Street 74, insieme alla British-Italian League di cui era emanazione, ed a questo indirizzo ogni anno la Bocconi riferiva alla Signora P. Janet Trevelyan, segretaria della Fondazione, sull’attività svolta…». Riprendo pari pari queste notizie da un articolo di Giano Accame, La «Serena Foundation» e Pound alla Bocconi, in «Rivista di Studi Corporativi», a. XVII n. 4, luglio-agosto 1987, pp. 394-404. Consiglio di leggere tutto l’articolo.

10

Vedasi il verbale della seduta del Consiglio del 4 novembre 1920.

11

Si scusarono, tuttavia, per l’assenza Mortara, Bonfante, Vanzetti, Manzini, Caldara e Rossi.

12

«Milano, lì 13 maggio 1921

Il Consiglio Direttivo dell’Università Bocconi, pienamente solidale col Collegio dei Professori, ne comunica alla S.V. la seguente deliberazione presa a voti unanimi:

«Il Collegio dei Professori, considerato che gli allievi del primo biennio di questa Università, sovrapponendosi alle decisioni del Consiglio Direttivo, malgrado l’ammonizione del Rettore, si sono astenuti arbitrariamente dalle lezioni i giorni 9 e 10 corr. e hanno fatto conoscere per mezzo della pubblica stampa la decisione di rimanere assenti dal 9 al 21 corr.

delibera

la esclusione dagli esami della sessione estiva degli allievi del biennio stesso, i quali non dimostreranno di essere immuni da colpa e non si presenteranno – salvo il caso di giustificato impedimento – il giorno stabilito dal Consiglio direttivo per le ripresa dei corsi e cioè venerdì 20 corr.

Il Consiglio Direttivo, fermamente deciso a mantenere integra la disciplina e la serietà della Scuola, fa appello alla cooperazione delle Famiglie perché, nell’interesse dei giovani, questo intento sia pienamente raggiunto.

Il Presidente del Consiglio Direttivo…… f.to E. Bocconi.

Il Rettore…… f.to A. Sraffa»

13

Se ne potrà leggere la lista nell’Annuario della Bocconi dell’a.a. 1921-22.

14

Gli on. Mortara e Rossi raccomandarono vivamente che il corso avesse «carattere positivo e non filosofico, se si vuole che risponda alle finalità della Scuola».

15

Si precisava, peraltro che «… questi due ultimi corsi essendo fatti specialmente in vista della preparazione di giovani a carriere di amministrazione centrale o provinciale dello Stato, il Consiglio ritiene di non renderli obbligatori e delibera quindi di lasciare ai giovani la facoltà di optare fra questi due corsi o quelli di Tajani (Trasporti) e di Pontecorvo (Merceologia dei Tessili, un corso speciale che era stato appena varato)».

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Non è da escludersi un risvolto politico nella chiamata di De Magistris alla Bocconi: il barbuto, esuberante e, nel fondo, generoso e probo geografo, era un innocuo idealista, forse più mussoliniano che fascista (sarebbe stato anche uno dei «Sansepolcristi»). In quel momento il suo inserimento nell’Università poteva anche tornare utile, vantaggioso. Alla Bocconi De Magistris rimase sino alla fine della seconda guerra mondiale. E posso assicurare, avendolo personalmente frequentato, che la sua presenza, forse talvolta un poco ingombrante, non ebbe mai a recare danni all’Ateneo.

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È da credersi che la preparazione in «Diritto Internazionale Privato» stesse molto a cuore al Consiglio, il quale incaricò il Rettore di prendere contatto con il prof. Anzilotti e, in caso di mancati accordi, di convincere il prof. Pacchioni a svolgere un gruppo di lezioni sulla materia.

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Al fine di ottenere che gli allievi sentissero sempre più l’importanza di ben conoscere le lingue estere il Rettore reputava che sarebbe stata opportuna l’abolizione degli esami intermedi per il passaggio da un corso all’altro e l’istituzione, invece, di un solo esame di licenza «molto serio», da sostenersi davanti ad una commissione composta con elementi estranei all’Università, entro il terzo anno, «sicché nessuno possa essere promosso al quarto anno se prima non ha superato l’esame di licenza in due lingue straniere». Al termine della discussione il Consiglio conferiva al Rettore l’incarico «di raccogliere i programmi d’insegnamento per coordinarli e per formulare poi tutte quelle proposte che tendano a raggiungere lo scopo della più seria e profonda conoscenza delle lingue straniere».

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