Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Gli anni della grande guerra e del primo dopoguerra: alla ricerca di nuove vie per adeguare l’Università a un mondo in rapido mutamento (1914-1921)


Traggo l’ispirazione da una lettera di Fausto Pagliari, il mitico direttore della biblioteca, a Girolamo Palazzina, il mitico direttore della segreteria: «Milano 14-XI-37. Caro dott. Palazzina, mentre lei inaugura l’anno accademico, io raccoglievo questi documenti sulla grandezza della Bocconi: Bocconi über alles! » (Archivio Storico dell’Università Bocconi – d’ora in poi ASUB – Busta F). Il titolo potrebbe sembrare alquanto enfatico – e in realtà lo è –; ma mi pare in grado di rievocare, come pochi altri, l’atmosfera di quei difficili anni e sottolineare lo «spirito di corpo» e l’orgoglio di appartenere a una istituzione che, a ragione o a torto, si riteneva diversa dalle altre, che permeava quanti in essa operavano. Un orgoglio che anche oggi, nonostante i profondi cambiamenti che hanno interessato l’Università, non mi sembra venuto meno.

Parole chiave: Presidente Bocconi Ettore, Rettore Majno Luigi, Rettore Bonfante Pietro, Rettore Sraffa Angelo, Palazzina Girolamo, Zappa Gino, Mosca Gaetano, Presidente Majno Luigi

L’eredità di Leopoldo Sabbatini

L’improvvisa e inaspettata morte di Sabbatini (6 giugno 1914), alla vigilia della «grande guerra», privò l’Università commerciale della sua guida proprio nel momento in cui, in seno all’istituzione milanese, che aveva concluso brillantemente il primo decennio di vita, ci si cominciava a porre il problema del rinnovamento dei corsi e dei programmi d’insegnamento al fine di porli al passo, se non all’avanguardia, di un mondo che appariva profondamente cambiato rispetto al novembre 1902, quando la Bocconi aveva aperto le sue aule ai primi studenti[1].

L’idea del consiglio di amministrazione di operare nella continuità affidando provvisoriamente il governo dell’Università a Luigi Majno[2] fu indubbiamente felice. Uomo di esperienza e di ampie relazioni sociali e professionali, collaboratore e amico di Leopoldo Sabbatini, l’avvocato Majno era a perfetta conoscenza dei programmi della Bocconi; ma egli era anche ben cosciente dei suoi limiti – e soprattutto dell’impegno che il doppio ruolo di rettore e di presidente gli avrebbe imposto; per cui, dopo un breve tirocinio, fu ben lieto di accettare la proposta del consiglio di ritornare alla lettera dello statuto, introducendo una rigida divisione delle competenze che Sabbatini aveva incentrato su se stesso[3]: la scelta di Ettore Bocconi quale presidente dell’istituzione avrebbe legato ancor più la famiglia del fondatore all’Università[4], quasi a sancire il vincolo che Ferdinando jr., alla sua morte, aveva voluto affermare, destinando all’ateneo la cospicua somma di un milione di lire.

Il trauma della scomparsa di Sabbatini fu, in realtà, meno pesante di quanto non si fosse temuto in un primo momento; tra l’altro egli aveva lasciato una preziosa eredità – in questo confermando quella sorta di preveggenza che sembra aver connotato molte delle sue azioni – in Girolamo Palazzina[5]. Il giovane capo della segreteria, per quasi un decennio longa manu del primo presidente, si trovò così proiettato alla testa di una istituzione formalmente governata da un consiglio direttivo ma, di fatto, affidata totalmente alle mani di un uomo che, interiorizzata la missione bocconiana, in uno con l’ammirazione e l’affetto per il Maestro e l’amico immaturamente scomparso, ne avrebbe portato a termine il disegno, sacrificando allo stesso gli affetti e la vita privata[6].

Il decesso di Luigi Majno, a meno di un anno dalla morte di Sabbatini, ripropose il problema del rettorato, inducendo Ettore Bocconi a coinvolgere l’intero corpo docente, al quale fu chiesto di designare la terna di candidati, fra i quali il consiglio avrebbe operato la sua scelta[7]. I più votati furono Pietro Bonfante, Ulisse Gobbi e Giancarlo Buzzati[8]. Al primo, il consiglio affidò il compito di reggere la Bocconi sino alla fine dell’anno – e in tale incarico lo confermò in seguito sino al 1917[9].

La gestione Bonfante[10] si sarebbe svolta all’insegna della continuità: continuità nella serietà dei criteri di ammissione degli studenti all’università[11]; continuità nella severità degli studi[12]; continuità nella battaglia condotta per aprire ai laureati della Bocconi le strade che una burocrazia formalista e miope si ostinava a precludere[13], anche a costo di rinunziare in parte all’autonomia dell’istituzione, che tanto stava a cuore alle autorità accademiche, consentendo a un rappresentante del ministero della pubblica istruzione di entrare a far parte del consiglio direttivo[14].

Gli anni della guerra

L’entrata in guerra della Nazione non parve, in un primo tempo, turbare il consueto ritmo di vita della Bocconi, dove, in un clima di ardente nazionalismo, si diede vita a un Ufficio per notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare e a una Sezione lombarda dell’Unione generale degli insegnanti italiani per la guerra nazionale, che avrebbero svolto una meritoria opera di sostegno e di propaganda per tutta la durata del conflitto. Lo stillicidio delle perdite di numerosi studenti[15] avrebbe però ben presto aperto un periodo di incertezza e di precarietà, accresciuto, a sua volta, dalla drastica caduta nel numero degli esami e delle iscrizioni.

Nonostante che il momento non fosse propizio, Pietro Bonfante ritenne il caso di non attendere la fine della guerra per ripensare l’Università, affidando a Francesco Coletti il compito di sviluppare un progetto che Sabbatini, dieci anni prima, aveva tentato invano di realizzare[16].

Il frutto di queste riflessioni venne sottoposto al rettore in un sintetico documento[17] dove, dopo una serrata critica alla didattica vigente[18], Coletti indicava la strada del rinnovamento nell’acquisizione di strumenti capaci di offrire agli studenti efficaci stimoli all’apprendimento e alla ricerca e nel «laboratorio statistico-sociale» il mezzo atto a raggiungere tale obiettivo.

Il «laboratorio» avrebbe dovuto provvedere alla raccolta di «fonti statistiche, inchieste, documenti di ogni ordine, che ritraggano i fatti di cui si tratta»[19]. La possibilità offerta agli studenti di accedere direttamente a fonti primarie avrebbe favorito l’eliminazione di un atteggiamento diffuso, che Coletti denominava abitudine mentale della seconda mano[20], che, acquisita in periodo scolastico, tendeva a divenire abitudine inveterata, contribuendo ad abbassare il valore delle prestazioni lavorative e a togliere importanza alla stessa «produzione scientifica italiana», oltre a darle «quell’impronta di poca sincerità» che tanto nuoceva al prestigio degli studi nazionali.

Una maggiore conoscenza delle fonti, integrata con l’approfondimento degli strumenti di indagine[21] e «con tutti i mezzi adatti a conoscere», oltre ad impedire il consolidarsi di tale forma mentis, avrebbe imposto l’abitudine a leggere la realtà con criteri scientifici, favorendo così lo sviluppo di un sano senso critico e l’affinamento delle capacità di coordinare e di comparare dati di differente origine, nonché di percepirne la portata esplicativa e i limiti operativi. La discussione collegiale dei risultati delle ricerche e la loro eventuale pubblicazione ne avrebbero, infine, consentito il vaglio da parte della collettività scientifica e favorito la diffusione a livello nazionale e internazionale.

Le attività del «laboratorio», garantite da un congruo numero di docenti agenti in autonomia nei limiti di un programma comune, si sarebbero indirizzate soprattutto agli studenti della Bocconi: ai tanti che nelle esercitazioni obbligatorie avrebbero appreso i rudimenti del metodo scientifico e ai pochi che, nell’assidua frequentazione dei seminari e delle esercitazioni, sarebbero stati iniziati alla ricerca e alle tecniche dell’indagine economico-sociale.

La Lombardia, a detta del relatore, era area ideale per un’esperienza del genere: «fra le massime zone di operosità economica d’Italia un ambiente consimile non solo offre argomenti di studio, ma suggestiona in generale allo studio di quei fenomeni dei quali qui si avrebbe, appunto, così intensa e molteplice espressione» e il vivace tessuto economico milanese, formato da «ditte e da famiglie ricche, venute su nobilissimamente dall’industria e dal commercio, cioè dal lavoro e dall’intelligenza pratica», non avrebbe lesinato gli aiuti a un centro capace di assicurare, con le proprie indagini, preziosi elementi di supporto all’attività economica della città e della regione.

Qualche problema poteva, invece, derivare dallo scarso interesse della popolazione studentesca ad attività che implicassero «qualche ritardo nella applicazione del proprio sapere ad una professione ed al relativo guadagno, proprio a causa di un ambiente che, fervido di operosità economica e perciò adattissimo a studii economici», fornisce occasioni di guadagno, ma nel tempo stesso «distrae alquanto dallo studio più lungo e meno remunerativo». Tale ostacolo avrebbe, tuttavia, potuto essere agevolmente aggirato riducendo il carico didattico e delineando percorsi di studio che incentivassero la frequenza al ‘laboratorio’ e consentissero così lo sviluppo di «tutta la forza didattica e scientifica che in essi, virtualmente, esisterebbe»[22].

Alla ricerca dell’eccellenza: nuove vie per adeguare l’Università a un mondo in rapido mutamento

La durezza del conflitto costrinse a rinviare ogni decisione al 1918, quando l’imminente fine della guerra indusse in Angelo Sraffa, da poco nominato rettore, la decisione di anticipare scelte che la pace avrebbe reso improcrastinabili, elaborando un’ipotesi di riforma del corso di studi[23] che prevedeva un primo biennio comune[24] e un secondo biennio diviso in «tre scuole o sezioni» (si veda la Tabella 1): una sezione economico-commerciale, una economico-industriale, una economico-amministrativa. «La prima dovrebbe preparare più propriamente alla vita e alla direzione delle aziende commerciali e delle banche, la seconda delle aziende più tecniche e delle industrie, la terza alle amministrazioni economiche dello Stato, nonché alla carriera diplomatica e consolare, per la quale diventa ogni giorno essenziale la base economica»[25].

La proposta del rettore risultava, probabilmente, troppo in anticipo sui tempi per essere accolta dal consiglio d’amministrazione e dal corpo accademico. Essa ebbe però il merito di aprire un serrato dibattito al quale prese parte, fra gli altri, la già prestigiosa Associazione fra i laureati dell’Università (Alub), che avviò fra i propri iscritti un’inchiesta volta ad individuare i principali elementi di debolezza della Bocconi. Si trattava di un’azione per la quale l’Associazione riteneva di avere tutte le carte in regola, impegnata com’era, dopo le revisioni apportate allo Statuto[26], ad appoggiare ogni attività volta a qualificare sempre più la laurea in economia e commercio[27] e a vederle riconosciuta una precisa ed esclusiva sfera di competenza, come premessa per iscrivere in un albo professionale i suoi laureati.

 

Tabella 1 Ripartizione degli insegnamenti nel primo e nel secondo biennio secondo il progetto del 1918.

Primo biennio

Secondo biennio

Comune

Sezione commerciale

Sezione industriale

Sezione amministrativa

Principi di economia politica

Principi di statistica economica e demografica

Geografia commerciale

Matematica finanziaria

Contabilità generale e applicata

Diritto amministrativo

Diritto commerciale

Diritto internazionale

Istituzioni di diritto privato

Scienza delle finanze

Merceologia mercantile (corso generale)

Istituti economici

Diritto commerciale e marittimo

Politica commerciale e legislazione doganale

Storia del commercio

Merceologia mercantile (corso speciale)

Banco modello

Esercitazioni di banco modello

Pratica bancaria

Legislazione finanziaria

Istituti economici

Chimica merceologica (corso generale)

Chimica merceologica (corso speciale)

Storia del commercio

Organizzazione industriale

Legislazione sociale

Tecnologia industriale

Nozioni di meccanica ed elettrotecnica

Istituti economici

Contabilità di Stato

Storia del commercio

Storia dei trattati e legislazione coloniale

Politica commerciale e legislazione doganale

Legislazione finanziaria

Organi e funzioni dello Stato

Formazione degli Stati moderni

 

I risultati dell’indagine denunziarono rilevanti carenze nell’insegnamento delle discipline contabili e di quelle «tecniche» e linguistiche[28].

La contabilità risultava, tuttavia, la più bisognosa di radicali interventi. Nel programma elaborato da Sabbatini l’economia aziendale era stata singolarmente trascurata; della stessa – in una visione computistica più che ragionieristica – il primo presidente aveva colto i soli aspetti meramente tecnico-contabili[29], senza afferrare appieno l’importanza di tale disciplina per il mondo degli affari[30]. L’ipotesi originaria, rimasta a lungo immutata, prevedeva, infatti, che gli insegnamenti aziendali (non a caso inseriti fra quelli tecnici piuttosto che fra quelli economici) fossero limitati alla computisteria, alla tecnica e pratica professionali e al «banco modello»: di corsi a scarso contenuto innovativo, per di più affidati a docenti che l’Associazione reputava assolutamente inidonei ad elevarne il livello scientifico. Questo spiegava la disaffezione degli studenti, giustificava gli scadenti risultati degli esami e implicava un severo giudizio al «complesso degli insegnamenti contabili, che – più per deficienza di metodi che di programmi – non risponde da molto tempo ai criteri informatori degli insegnamenti stessi». Da qui la richiesta, «indispensabile e urgente per l’interesse degli allievi e il buon nome dell’Università, [di] un riordinamento completo (…) degli stessi, fatto con criteri severi, senza preoccupazione alcuna per le persone che eventualmente ne venissero colpite»[31].

Per prima cosa, si suggeriva di sottrarre il corso di contabilità generale ai ragionieri e attribuirlo a docenti universitari – o, in mancanza, a professori delle scuole superiori – e di affidare la pratica bancaria e il banco modello a «persone pratiche, possibilmente munite di laurea dell’Università Bocconi (…), le quali esercitino le mansioni di capo contabile presso grandi aziende bancarie, industriali, di assicurazione, commerciali di esportazione, ecc.». Era necessario, inoltre, operare uno stretto coordinamento fra i vari insegnamenti, al fine di dare unitari età e senso compiuto al sapere aziendale, evitando sovrapposizioni, duplicazioni, ripetizioni e via discorrendo[32]. Massima severità si chiedeva, inoltre, nelle prove d’esame, «avvertendo che la sufficienza (a qualunque punto la si faccia corrispondere) deve rappresentare una effettiva discreta conoscenza della materia, non una semplice e molto spesso molto confusa infarinatura di cognizioni apprese all’ultima ora ad uso esclusivo dell’esame che si deve sostenere»[33].

Anche sull’insegnamento delle lingue straniere i giudizi non erano molto lusinghieri: fatte salve alcune eccezioni, i laureati presentavano una insufficiente padronanza della prima lingua, nonché «cognizioni di gran lunga troppo scarse sia tecniche che pratiche, sia relative all’uso scritto che a quello parlato» delle altre lingue. Tale conoscenza si riduceva a una semplice infarinatura nel caso del tedesco o dell’inglese[34]: la poca serietà dell’insegnamento nelle scuole superiori; lo scarso tempo dedicato allo stesso all’università; la mancanza di occasioni atte ad ampliare la cultura linguistica degli studenti spiegavano i deludenti risultati fino a quel momento ottenuti. Per sanare la situazione l’Alub chiedeva interventi volti a «incoraggiare una buona preparazione, fin dalle scuole medie, nei giovani che intendono venire all’U.C.L.B.: ridurre a due il numero delle lingue obbligatorie, e siano tali per tutti il francese e l’inglese, restando facoltativa la scelta della terza»; aumentare le ore d’insegnamento, soprattutto del tedesco, rendendo nel contempo più seri gli esami e incoraggiare con tutti i mezzi lunghi soggiorni di studio all’estero[35].

Da ultimo i laureati appuntarono la loro attenzione sui così detti insegnamenti tecnici, dove «la mancanza di chiare ed organiche direttive (…) e qualche menda di eccesso o di difetto nello svolgimento dei singoli insegnamenti» faceva sì che essi non rispondessero «in modo completo ai fini di questo ramo di studi, che nella nostra Università, quantunque essa non sia diretta a fare dei tecnici di professione, ha una importanza di primo ordine per tutti i laureati»[36]. Della geografia economica, ad esempio, si lamentava «l’eccessivo semplicismo nella esposizione e nella soluzione di parecchi problemi; la trascuranza completa di molte questioni tra quelle sorte negli ultimi anni (…) e l’insufficiente sviluppo della geografia commerciale propriamente detta»[37]. Il giudizio sugli insegnamenti di chimica e di merceologia mercantile risultava invece più sfumato, anche se essi erano viziati dallo stesso difetto dei precedenti posto che, al di là della indubbia capacità dei docenti, risultavano poco strutturati e presentavano una disorganica ripartizione delle discipline, «… e conferma tale impressione il fatto che nel programma dell’Università, dettato dal suo ideatore, non si trova parola a chiarimento di questa parte di studi». Da qui la richiesta di condensare gli stessi in un unico corso, sulla base di ipotesi più consone alla natura del sapere tecnico richiesto a un laureato in scienze economiche: riducendone la parte teorica, abolendo le esercitazioni di laboratorio e sviluppando le conoscenze sui processi tecnologici posti in essere nelle varie industrie, studiando «le materie prime che esse impiegano, le trasformazioni che subiscono, la natura degli impianti, quindi dei materiali, degli apparecchi richiesti, la necessità o meno di impiegare forze motrici, ricchezza d’acqua, combustibile, corrente elettrica», ecc.[38], così da integrare la cultura economica del laureato in scienze commerciali con le conoscenze tecniche atte ad esaltarne la «funzione economica direttiva»[39].

L’Alub, più che una sostanziale modificazione del corso degli studi, prospettava la razionalizzazione e l’ammodernamento degli insegnamenti esistenti. In tal senso, le soluzioni proposte risultavano scarsamente innovative; esse ebbero, tuttavia, il merito di accentuare le pressioni sul consiglio, inducendolo a demandare a una commissione presieduta da Ludovico Mortara il compito di predisporre un nuovo progetto didattico[40].

Nel documento conclusivo, discusso il 17 novembre 1918, la commissione, pur riconfermando la validità del progetto sul quale era stato fondato l’Ateneo, che aveva «risposto a un bisogno vivo e profondo della vita italiana»[41], non mancò di rilevare la necessità di alcuni interventi, imposti dal mutamento delle condizioni economiche del Paese e da alcuni «difetti di carattere generale» che, proprio la guerra, pareva avere accentuato. Questi ultimi si compendiavano nella mancanza di coordinamento tra i vari insegnamenti; in un certo allentamento della disciplina, «che è andata col tempo facendosi meno rigida e severa di quanto è assolutamente necessario che sia» e in una decisa riduzione della frequenza alle lezioni[42].

Al primo dei difetti si sarebbe potuto ovviare per mezzo di un comitato di coordinamento composto da rappresentanti delle diverse discipline e al secondo con il ritorno alla severe norme imposte dal fondatore. La frequenza sarebbe, invece, stata incentivata riducendo le ore d’insegnamento ex cathedra[43] e attivando strumenti didattici alternativi (quali esercitazioni, conferenze, seminari) atti a consentire, in una più stretta sintonia fra docente e studenti, una feconda trasmissione della conoscenza.

Passando all’analisi dei singoli insegnamenti, la commissione denunziò l’eccessivo frazionamento delle materie giuridiche in corsi specialistici e la generale propensione dei docenti di diritto a dimenticare che essi erano stati chiamati a formare imprenditori e managers e non giuristi[44]. Anche in questo caso occorreva tornare alle origini, attraverso la drastica riduzione del numero degli insegnamenti e l’attuazione di una didattica «esclusivamente espositiva, cioè mirante a dare ai giovani delle conoscenze relative ai principali istituti che hanno pel commercio e per l’industria maggiore importanza e più frequente applicazione: bando quindi a ogni costruzione giuridica e a ogni discussione di scuola ed anche ad ogni sviluppo dello svolgimento storico degli istituti trattati»[45].

Sostanzialmente positiva fu, invece, la valutazione degli insegnamenti economici, per i quali ci si limitò a richiedere l’ampliamento dei temi trattati nei singoli corsi, la trasformazione di «storia e critica dei principali istituti economici» in un vero e proprio «corso superiore di economia» e la riduzione del corso di statistica a una sola annualità.

Per i «corsi tecnici» si raccomandò, invece, la revisione del progetto generale, supplendo alla scarsa preparazione delle matricole mediante l’attivazione di due nuovi insegnamenti; il primo destinato a richiamare i principi delle scienze naturali, in modo da scaricare i docenti «dall’obbligo di impartire nozioni generali e teoriche» e il secondo volto a impartire «nozioni elementari ma precise anzitutto delle diverse forme di energia, sulla loro produzione e trasformazione reciproca, sulla vendita e utilizzazione nell’industria, sulla convenienza di una di queste forme di energia rispetto all’altra in relazione alle condizioni speciali delle aziende o industrie considerate, alle relative tariffe e a dare inoltre una idea dell’organizzazione e del funzionamento degli stabilimenti industriali in genere e di alcune delle principali industrie in ispece»[46].

La commissione, come aveva fatto in precedenza il direttivo dell’Alub, espresse, infine, pesanti riserve sul settore economico-aziendale: esso presentava «una lamentevole mancanza di coordinamento dei corsi, associata a una deficienza di preparazione didattica degli insegnanti, reclutati esclusivamente (…) fra professionisti sovraccarichi di affari e nella impossibilità di occuparsi serenamente e costantemente della scuola».

La revisione dei programmi e «la immediata nomina di un vero professore che abbia qualità e abitudini didattiche, che non sia troppo distratto da preoccupazioni professionali e che, con esperienza ed autorevolmente, possa predisporre il necessario lavoro di coordinamento fra corsi e fra insegnanti e presiedere poi all’andamento della scuola di contabilità, che è d’importanza massima per l’università Bocconi»[47], erano da considerarsi condizioni irrinunziabili per il futuro dell’Università. La strada per la chiamata di Gino Zappa era aperta.

Analoghi giudizi vennero formulati a proposito delle lingue[48], per le quali s’imponeva il completo rinnovamento della didattica, l’arruolamento di «efficaci maestri, preferibilmente stranieri e la nomina di un dirigente che ricostituisca il personale insegnante e poi segua con la massima cura i corsi, per coordinarli, e sproni insegnanti e studenti nel loro lavoro».

Anche la biblioteca non era immune da difetti: la distribuzione funzionava male, il volumi erano schedati con grande ritardo, gli ordini d’acquisto rimanevano inevasi, nessun controllo era esercitato sui prestiti. Era quindi necessario sottrarne la direzione ai professori e affidarla a un vero bibliotecario, «tanto meglio se come sembra, questo tecnico della biblioteca, sarà anche uomo di scienza».

Le ultime osservazioni riguardavano gli esami: il sistema di svolgerli a porte chiuse, alla presenza del professore ufficiale assistito da due membri esterni, permetteva alla Bocconi di legare a sé influenti personalità del mondo del lavoro; ma creava, nel contempo, inconvenienti di non poco conto a causa della scarsa disponibilità degli stessi. Tanto valeva abbandonare la tradizione e adottare il metodo sperimentato con buoni risultati al Politecnico di Milano, rendendo gli esami pubblici e limitando la commissione al solo professore ufficiale della materia alla presenza di almeno tre studenti[49].

I suggerimenti della commissione Mortara portarono l’organo direttivo ad assumere importanti decisioni[50]. La creazione di una «giunta didattica», la nomina di un coordinatore per le discipline contabili e di uno per gli insegnamenti linguistici, l’ingaggio di un direttore per la biblioteca, l’abolizione degli insegnamenti di storia e critica dei principali istituti economici e di diritto internazionale, la riduzione delle lingue obbligatorie da tre a due, l’istituzione di corsi propedeutici allo studio delle materie tecniche e della tecnologia industriale, la pubblicità degli esami avrebbero modificato profondamente l’ordinamento dell’Università Commerciale.

Il consiglio decise, infine, di far proprie le proposte di Luigi Einaudi di dar vita a cicli di conferenze su problemi dell’economia contemporanea[51] e di attivare un corso di scienza della politica, affidandolo a Gaetano Mosca, che Einaudi considerava il miglior politologo del momento[52].

La realizzazione dei deliberata degli amministratori avrebbe portato alla chiamata per incarico di Gino Zappa, un aziendalista di origine milanese, diplomato alla Scuola superiore di commercio di Venezia, dove era stato notato da Fabio Besta, che lo spinse ad approfondire gli studi ragionieristici e gli aprì la strada per l’assistentato prima e per l’incarico poi di contabilità e banco modello, alla Scuola superiore di commercio di Genova[53].

Il trait d’union fra Zappa e Sraffa fu Attilio Cabiati, della cui opera e dei cui consigli il rettore spesso si avvaleva. A Genova, dove era stato chiamato nel 1918[54], Cabiati conobbe Gino Zappa e, rendendosi conto delle sue non comuni doti di docente e di scienziato, non esitò a segnalarlo al rettore[55] della Bocconi, che in quel momento era alla disperata ricerca di un buon professore di ragioneria.

L’insegnamento di Gino Zappa provocò, all’inizio, un notevole sconcerto in studenti avvezzi ai corsi di contabilità di Eugenio Greco e di Daniele Venegoni: la sua severa figura, la sua ampia cultura, la sua determinazione e la sua durezza non mancarono di creare problemi sia alle matricole provenienti dagli istituti tecnici, convinte di veder reiterate all’università le nozioni di contabilità apprese alla scuola superiore, sia a quelle che venivano dal liceo, che si trovavano in seria difficoltà a seguire l’alto insegnamento di colui che per gli aziendalisti italiani sarebbe divenuto «il Maestro» tout court.

Il malessere di una parte degli studenti si riverberò ben presto sul rettore e sul direttore della segreteria, anch’essi combattuti tra il fascino che l’uomo indubbiamente emanava e il linguaggio che usava («astruserie e metafisicherie di scienza aristocratica» diceva del suo eloquio Palazzina) – e che talora poteva apparire alquanto criptico a giuristi abituati alla chiarezza formale delle loro discipline[56].

La diffidenza del direttore amministrativo sarebbe ben presto sfumata di fronte alla capacità di Zappa di essere nel contempo «crivello»[57], capace di tenere alto lo standard qualitativo attraverso una dura selezione operata sugli studenti già il primo anno, e «glutine» dell’Università, elemento aggregante di giovani studiosi, che attratti dal suo magistero, sarebbero andati forgiandosi alla dura disciplina della ricerca e dell’insegnamento.

Più refrattario al fascino del professore di ragioneria si sarebbe, invece, dichiarato Angelo Sraffa, che a lungo avrebbe mostrato viva preoccupazione per le difficoltà nelle quali si dibattevano i giovani alle prese con la ragioneria[58], arrivando addirittura a rilanciare «l’antica idea delle sezioni della Bocconi, per vedere se si trova il modo di esonerare qualche studente dall’obbligo di certe pesanti materie (come merceologia e ragioneria) rendendo possibile una laurea economica da una (come dire) amministrativa»[59].

Alla fine però anche il rettore sarebbe stato sedotto dal fascino di Gino Zappa divenendone estimatore e difendendolo a spada tratta dagli attacchi di una piccola parte di studenti, suoi irriducibili detrattori[60].

A un decennio dalla morte di Leopoldo Sabbatini, a conclusione di un lungo processo di riforme, l’Università Bocconi appariva profondamente mutata (Tabella 2), non tanto nel corpo docente – rimasto pressoché stabile, ma il cui prestigio risultava ulteriormente accresciuto dalla presenza di illustri «matricole» come Cabiati, Prato e Porri per l’economia, Zappa per la ragioneria, Pacchioni e Anzillotti per il diritto –, quanto nella distribuzione, nella struttura e nei contenuti dei corsi; nonché nella didattica, che i ripetuti interventi del rettore avevano concorso a modificare profondamente. Nulla venne invece fatto in merito all’ipotesi di suddividere il secondo biennio in differenti indirizzi, che tanto stava a cuore ad Angelo Sraffa. Il dibattito fra il rettore, il consiglio di amministrazione e il direttore della segreteria fu lungo e vivace[61]; ma, alla fine, il problema venne superato con la creazione degli Istituti; ai quali, di fatto, fu demandato il compito di integrare gli insegnamenti istituzionali con una molteplicità di corsi brevi e di seminari di specializzazione – e soprattutto perché in tutti andò maturando la convinzione che «il compito della scuola non è quello di fornire le cognizioni di cui avrà bisogno la pratica, quanto di creare l’attitudine ad acquistarne di nuove, perché la vita è sempre nuova, e le più complete informazioni su quanto avviene nell’industria in un dato momento non bastano di fronte ai nuovi problemi che si presenteranno. Invece la preparazione scientifica generale prepara a comprendere anche i fenomeni imprevisti»[62].

 

Tabella 2 Ordinamento e docenti dei corsi per gli anni accademici 1913-14 e 1922-23[63].

1° corso

1° corso

Principi di economia politica

Gobbi

Principi di economia politica

Gobbi

Principi di statistica

Coletti

Statistica metodologica e demografica

Coletti

Geografia commerciale

Marchi

Matematica finanziaria

Piazza

Diritto costituzionale e amministrativo

Mosca[64]

Istituzioni di diritto pubblico

Ranelletti

Ist. di diritto privato (civile)

Ascoli

Istituzioni di diritto privato

Pacchioni

2° corso

2° corso

Principi di economia politica

Gobbi

Principi di economia politica

Gobbi

Scienza delle finanze

Einaudi

Scienza delle finanze

Einaudi

Contabilità di Stato

Flora

Statistica economica

Coletti

Statistica dem. e econom.

Coletti

Geografia commerciale

De Magistris

Geografia commerciale

Marchi

Matematica finanziaria

Piazza

Matematica finanziaria

Piazza

Ragioneria (parte speciale)

Zappa

Contabilità generale e appl.

Greco

Ist. dir. privato (commerciale)

Pacchioni

Diritto comm. e industriale

Sraffa

 

 

3° corso

3° corso

Storia e critica dei principali istituti economici

Supino

Economia (corsi speciali)

Tajani

Scienza delle finanze e contabilità di Stato

Flora

Geografia economica (parte speciale)

Frescura

Storia del commercio

Bonfante

Storia del commercio

Bonfante

Banco modello

Moro-Venegoni

Tecnica bancaria

Greco

Chimica merceologica

Molinari

Merceologia (parte generale)

Bianchi

Diritto commerciale

Rocco

Diritto commerciale (corso monografico)

Bolaffio-Valerio-Arcangeli

4° corso

4° corso

Storia e critica dei principali istituti economici

Supino

Economia (corso speciale)

Cabiati

Banco modello

Moro-Venegoni

Storia delle dottrine economiche

Prato

Merceologia mercantile

Maldissi

Scienza politica

Mosca

Diritto internazionale

Buzzati

Diritto Commerciale

Bolaffio-Valerio-Arcangeli

 

 

Politica commerciale

Prato

Corsi speciali

Corsi facoltativi

Del fallimento e del concordato preventivo

Bolaffio

Diritto amministrativo

Ranelletti

Storia delle colonie e diritto politica coloniale

Catellani

Enti locali territoriali

Levi

Legislazione finanziaria

D’Aroma

Diritto internazionale

Anzillotti

Tasse sugli affari

De Dominici

Contabilità di Stato

Potti

Pratica bancaria

Greco

Tecnologia industriale

Tajani

Organi dello Stato

Ranelletti

Chimica merceologica

Molinari-Colombo

Valichi alpini

Tajani

Merceologia speciale

Pontecorvo

 

 

Tecnica amministrativa delle imprese industriali

Zappa

 


1

Nello scrivere questo saggio ho fatto tesoro dello studio di Tullio Bagiotti, Storia dell’Università Bocconi, 1902-1952 (Milano 1952), un riferimento imprescindibile per quanti vogliano interessarsi alle vicende dell’Ateneo milanese. Allo stesso rinvio chi desideri saperne di più sui singoli insegnamenti e sui docenti, avendo deciso di concedere minor spazio ai temi sui quali Bagiotti aveva fatto piena luce per dedicarmi a quanto, nella storia dell’Istituzione, rimaneva invece più in ombra.

2

Sulla figura e l’opera di Leopoldo Sabbatini cfr. M.A. Romani, Costruire le istituzioni. Leopoldo Sabbatini (1860-1914), Catanzaro 1997.

3

«Quando l’Università ebbe la sventura di perdere colui che ne aveva dettato il programma e le aveva dato per oltre dodici anni le energie migliori del suo pensiero e della sua attività, si poté far fronte all’urgenza di provvedere a che la Scuola non rimanesse senza un supremo dirigente perché il consiglio ebbe la fortuna di trovare nel suo seno Luigi Majno. Ed egli provvisoriamente fu nominato presidente-rettore. In seguito si ritenne opportuna – come del resto è preveduto dallo statuto – una divisione delle cariche e mentre, cedendo alle lusinghiere insistenze dei colleghi, io stesso ne assumevo quella presidenza, il consiglio – unanime e riconoscente – confermava l’on. Majno in quella di rettore» (ASUB. Busta 1R. Milano, 25 gennaio 1915. Ettore Bocconi al corpo docente).

4

Fra i primi atti del nuovo presidente va ricordata la donazione alla Bocconi del palazzo dove la stessa aveva sede (cfr. D.L. 18 ottobre 1915 n. 1791 con il quale il ministro della pubblica istruzione autorizzava la Università ad accettare la donazione).

5

Girolamo Palazzina nacque a Cortemaggiore (Piacenza) il 24 maggio 1880, da Giovanni e da Irene Centolanzi. Laureatosi in giurisprudenza, venne assunto in qualità di vice segretario alla Camera di Commercio di Brescia. Fu in questa qualità che egli venne a contatto con Sabbatini, che in quel momento occupava la carica di segretario della Camera di Commercio di Milano. Questi, avendone apprezzate le qualità intellettuali e morali, decise di farne il suo braccio destro all’Università (ASUB. Busta D. Leopoldo Sabbatini a Filippo Carli. Milano 27 maggio 1907).

6

Del mitico direttore della segreteria, Armando Sapori (Mondo finito, Milano-Varese 1971, pp. 223-224) ha lasciato un gustoso ritratto: «Il primo che vidi alla Bocconi fu il segretario, il dottor Palazzina, una istituzione più che un uomo, che migliaia di studenti ricordano e ricorderanno per tutta la vita e forse lo tramanderanno ai figlioli. Piccolo e proporzionato, non sta fermo un istante e tiene in movimento tutto il personale. Lavora per dieci perché è del tipo degli accentratori, per scrupolo e non per gelosia, e si lamenta per venti del gran daffare; ma a tutto quel tramenìo ci ha un gusto tale che a stare un giorno a letto con il raffreddore ci farebbe una malattia sul serio, e a levarlo dall’università sarebbe finito in ventiquattr’ore. Il giorno, Dio voglia lontano, che morirà, l’università cambierà aspetto: perché è di quelli che confonde la propria vita con quella delle cose, e, una volta scomparsi, le cose sopravvivono ma non le riconosci più. Sa a memoria i nomi degli scolari e ricorda il libretto di tutti; e risale ai genitori e si estende ai parenti in quanto la Bocconi è così amata e stimata che uno che ci ha studiato ci manda il suo ragazzo, e il nipote e il cugino. Con i professori è quello che si dice un dittatore, lui così antifascista; ma un dittatore con i guanti, che ci costringe a far quel che vuole a furia di cortesie (…). Cartoline, lettere, telegrammi (…) a stampare il suo carteggio si farebbe una biblioteca».

7

Sull’orientamento del corpo docente rimane un’importante testimonianza in questa lettera: «Illustre e caro professore, mi pare che si delinei una corrente favorevole ai nomi da lei fatti. Come 3° però mi parrebbe bene non mettere Ta. [Tajani] ma un altro per es. lo Sraffa che parmi goda molte simpatie e del quale (pel fatto di stare… un po’ costì e un po’ qui) potrebbe spiegarsi la inclusione mentre non si spiegherebbe altrettanto quella di T. Vedrà lei! Con affettuoso ossequio suo Palazzina» (Archivio della fondazione Luigi Einaudi – d’ora in poi AFE. Girolamo Palazzina a Luigi Einaudi. Milano 28 gennaio 1915).

8

Rispettivamente con 20, 20 e 17 voti. Seguivano A. Ascoli con 14 voti, F. Caletti con 11, C. Supino con 6, A. Sraffa con 4 e E. Molinari con 2 voti (Cfr. ASUB. Busta 1R. 3 febbraio 1915. Verbale dello scrutinio delle schede a firma Buzzati, Piazza e Sanvisenti).

9

Tale procedura lasciò tuttavia tali «strascichi di risentimenti» fra i docenti da far sì che, tre anni dopo, in occasione della nomina del nuovo rettore, il consiglio decidesse di avocare a sé l’intero processo decisionale, «parendogli che il fatto che il rettore deriva la sua carica direttamente dal C.D. gli conferisca in confronto degli insegnanti una maggiore autorità e una maggiore libertà d’indipendenza d’atteggiamento» (ASUB. Verbali del consiglio direttivo. Riunione del 17 ottobre 1917, p. 33).

10

Del nuovo rettore, quindici anni dopo, in occasione della sua nomina ad accademico d’Italia, il «Corriere della Sera» (20 marzo 1929) presentava questa breve biografia: «Bonfante Pietro. Nato a Poggio Mirteto il 29 giugno 1864 è professore di diritto romano della R. Università di Roma. I suoi studi sull’istituto di diritto pubblico e privato dell’antica Roma gli valsero la fama di profondo umanista. Formatosi alla scuola di Vittorio Scialoja rivelò subito una sicura padronanza della filologia della storia del diritto e una decisa indipendenza di giudizio da far presentire che egli avrebbe camminato per vie proprie e che avrebbe dato un’impronta nuova gli studi romanistici. Altro suo lavoro fu il portato dell’applicazione alle indagini storico-giuridiche di un nuovo metodo naturalistico e che consiste nel distinguere in ogni istituto giuridico la sua struttura e la sua funzione, variabile questa, mentre quella si conserva, così da permettere la ricostruzione della storia dalle origini dell’istituto stesso. Tale metodo fu dal Bonfante applicato soprattutto alla ricostruzione del diritto familiare e successorio romano e le conclusioni essenziali di queste sue indagini, invano attaccate da numerosi e valenti critici, costituiscono ormai un risultato acquisito alla scienza. Ha pubblicato le Istituzioni di diritto romano, Il diritto romano, La storia del diritto romano e il recente Corso di diritto romano. Le sue lezioni di Storia del commercio provano quale dottrina abbia anche in un campo non strettamente suo e i suoi volumi Scritti giuridici vari stanno a dimostrare come egli domini da maestro tutti i campi del diritto pubblico e privato. Di particolare importanza fra tutti sono gli scritti sulla proprietà, le servitù e il possesso. Il prof. Bonfante conseguì nel 1916 il premio reale per le scienze giuridiche. Già presidente della Società italiana per il progresso delle scienze è socio dell’Accademia dei Lincei, dell’Istituto Lombardo, dell’Accademia di Torino e di altri istituti italiani e stranieri».

11

Che indusse il rettore a rigettare la proposta di aprire l’università ai licenziati da scuole medie di commercio e ai diplomati degli istituti nautici, a differenza di quanto facevano le altre Scuole superiori di commercio, «nonostante molteplici e autorevoli pressioni e malgrado la meraviglia che ispira la rinuncia a quell’incremento notevole che verrebbe dall’ammissione dei licenziati dalle scuole medie di commercio, che sembrano a prima vista più preparati all’arringo degli studi commerciali superiori» (ASUB. Busta 1R. s.d.).

12

Sulla stessa il tenore affermava con orgoglio: «Per quanto concerne la disciplina il nostro Istituto si è ispirato alle norme rigorose che governano le nostre scuole di applicazione degli ingegneri che non alla larghezza delle Università. L’allievo non può iscriversi al secondo o al quarto anno se non ha superato tutte le prove meno due, né può iscriversi al terzo corso se non ha superato tutti gli esami. Il numero delle lezioni è pieno in quanto i professori tutti e la massa degli studenti non fanno mai vacanze abusive e gli stessi periodi normali di vacanza sono ridotti al minimo o totalmente soppressi» (ibidem).

13

Una petizione inviata ai ministeri competenti affinché la laurea milanese fosse riconosciuta come titolo sufficiente di ammissione ai vari concorsi ministeriali, si chiudeva con queste parole: «Nell’uscire da questa vasta guerra noi ci troveremo dinnanzi ad un profondo rivolgimento della vita economica e nelle correnti commerciali: solo chi sia nutrito di una vera educazione scientifica sarà in grado di comprendere e di affrontare i problemi vasti e complessi che si affacciano, di gettare le basi della nuova sistemazione economica e delle nuove vie dell’espansione commerciale. Non crediamo opportuno che lo Stato rigetti da sé i giovani educati ad una scuola la quale attende precisamente a questa finalità nel modo più ampio e più severo, e che ne abbassi il valore di fronte alla Nazione, specialmente di fronte a una Nazione come la nostra, più ossequiente forse alla dignità che deriva dallo Stato che all’autorità dello Stato. L’Università Bocconi non chiede né chiederà alcun contributo finanziario allo Stato; ma poiché l’Istituto in sé e il titolo da esso conferito hanno avuto il riconoscimento dello Stato e poiché essa si è mantenuta e si mantiene all’altezza della sua missione, stima giusto che la laurea venga apprezzata in modo congruo dai pubblici poteri con utilità della Patria e dello Stato. Con recente decreto luogotenenziale, in data 25 luglio 1915, n. 1197 il rappresentante del ministero della P.I. fa parte del consiglio direttivo dell’Università; lo Stato avrà quindi sempre il modo di controllare il severo andamento dell’Istituto e la sua piena rispondenza al suo concetto fondamentale anche nell’avvenire; il che non accade per nessuna delle università libere, cui pure lo Stato riconosce una parificazione assoluta dei diritti» (ibidem).

14

In questo senso andavano le modifiche all’art. 6 dello Statuto approvate dal consiglio direttivo (ASUB. Verbali. Seduta del 23 marzo 1915), secondo le quali il numero dei consiglieri era elevato ad 11, di cui 5 di nomina istituzionale (Ministero P.I., Provincia, Comune, Cassa di Risparmio di Lombardia e Camera di commercio) e 6 di nomina spettante alla famiglia Bocconi. (Sulle modifiche del «regolamento universitario» decise a questo scopo dal consiglio il 12 febbraio 1916, cfr., in questo stesso volume, A. De Maddalena, L’aula e l’ufficio, p. 249 e s.).

15

In un bilancio del «Contributo di forza, di sangue e di valore dell’Università Bocconi alla guerra contro l’Austria» (ASUB. Busta 21), si osservava con orgoglio come gli studenti chiamati alle armi fossero stati 708, i morti in guerra 66, i feriti 107, i prigionieri 43, i decorati di medaglia al valore 97 (con una media di 9,32 morti ogni 100 studenti contro una media nazionale di 5,8).

16

Si trattava di una sorta di centro di ricerca economica che il primo presidente aveva in animo di istituire presso l’Università Bocconi, grazie a un accordo con la società l’Umanitaria e con altre istituzioni pubbliche e private milanesi, sull’esempio di quanto, anni prima, aveva fatto Salvatore Cognetti De Martiis a Torino. Sulla vicenda si veda: Il progetto del museo sociale. Una riflessione sul rapporto tra scienza e divulgazione (1905-1908), Milano 1994. Sul progetto di Coletti cfr. il bel saggio di P.L. Porta, La cultura economica, in AA.VV., Milano durante il fascismo 1922-1945, Milano 1994, pp. 431-446.

17

ASUB. Busta 103/1. Intorno alla istituzione di un laboratorio statistico-sociale, Milano, 4 marzo 1915.

18

Che avrebbe dovuto «divenire meno verbale e cattedratico e più pratico e più vivo, per mezzo soprattutto, della conoscenza diretta delle fonti e degli elementi di studio e dell’esercitazione fatta sulle une e sugli altri sotto la guida dell’insegnante». Sul tema Coletti così continuava: «Più che vedere le cose esclusivamente attraverso la parola del professore, queste si dovrebbero vedere, nei limiti del possibile, direttamente, per il modo che ne restasse, per ischietta e naturale reazione, informata l’intelligenza, lo spirito e quindi la memoria di chi studia. E nel dire ciò io alludo specialmente alle discipline economiche e sociali» (ibidem).

19

Probabilmente Coletti si limitò a riprendere, ridimensionandole, quelle idee che, a suo tempo, aveva mutuato da Sabbatini. Gli scopi del suo «laboratorio», infatti, non differiscono sostanzialmente da quelli che ci si proponeva con la creazione del museo sociale: «Presso l’Università Commerciale è istituito un Museo Sociale. Esso si propone: a) raccogliere e classificare documenti, libri, ecc. per i vari rami dell’Economia sociale, mettendoli alla portata degli studiosi e degli interessati; b) promuovere inchieste, fare pubblicazioni, indire convegni fra gli studiosi associati o aderenti; c) tenere corsi di lezioni speciali diurni, serali e festivi per studiosi, impiegati, operai, ecc.» (Augusto Osimo a Leopoldo Sabbatini, Milano 26 maggio 1905. Cit. in Il progetto del museo sociale, cit., p. 36).

20

Abitudine mentale della seconda mano, i cui caratteri compendiava nella «volgarità e nessuna novità in non pochi argomenti prescelti; citazione degli elementi primi solo in seconda o terza mano (talora un errore di stampa è ricopiato tale e quale e dà luogo, magari, a disquisizioni come se esso corrispondesse ad un carattere, ad un movimento di fatto); nessuna originalità, perché non c’è rapporto diretto fra i fatti studiati e la riflessione mentale, e molto o tutto si racimola e ricucina dai libri; struttura rettorica e infarcimenti inutili nelle varie compilazioni, ché si crede di far molto riportando le varie teorie sopra un tema piuttosto che esporre, dilucidare, penetrare il fenomeno quale è effettivamente» (Intorno alla istituzione, cit.).

21

«Vi è nella tecnica statistica una parte semplice e che deve essere patrimonio comune di chiunque si serva di cifre statistiche. Vi è un’altra parte più ardua. Per questa nel laboratorio dovrebbero tenersi alcune lezioni ed esercitazioni speciali […]. La matematica che occorre per uno statistico è minor cosa di quanto alcuni, ingannati dallo sfoggio, talora ciarlatanesco, di formule, ecc., non credano; essa è – come suol dire Maffeo Pantaleoni – ‘un giuoco da fanciulli’ per un matematico. Ma è pur vero che non tutti i matematici sanno discendere alle modeste applicazioni statistiche, in cui si richiedono qualità mentali ed accorgimenti e, in breve, anche quel senso statistico che non sempre ha un matematico, anche ottimo». Ibidem.

22

Ibidem.

23

Le Note illustrative al documento in questione si aprivano con queste parole: «È certo che il periodo che succederà alla guerra attuale sarà un’opera di grande rinnovamento economico. Non giova certo illuderci e rappresentarci l’avvenire immediato con colori troppo idillici. Le rovine accumulate da questa guerra e le ferite profonde recate alla economia dei popoli hanno intaccato gravemente i capitali di valori e di energie. Noi saremo in condizioni analoghe a quelle in cui si trovarono i popoli dell’Europa centrale e più specialmente i popoli della Germania alla fine della guerra dei trent’anni. Ma precisamente il periodo che successe alla guerra dei trent’anni fu un’epoca di laboriosa lunga e spesso incoerente opera di rinnovazione economica. Le incoerenze e gli errori derivarono in gran parte dalla impreparazione e dalle strane illusioni dei popoli. Ora tanto per rimediare alle presenti rovine quanto per provvedere alle esigenze ed alle relazioni nuove, giova sin d’ora provvedere i mezzi per accrescere in tutte le direzioni dell’operosità nazionale la coltura economica del paese» (Cfr. ASUB. Busta F).

24

«In questo biennio molti saggerebbero meglio le loro inclinazioni, e potrebbero anche, anche per altre ragioni ed esperienze, determinare meglio la loro via» (Ibidem).

25

Ibidem.

26

Fra gli obiettivi statutari principali dell’Associazione va ricordato quello di: «Svolgere un’azione perché l’Università Commerciale prosegua i suoi fini didattici assicurando ai laureati oltre una eccellente preparazione nelle discipline economiche, una perfetta preparazione tecnica commerciale, talché non diminuisca il valore morale delle lauree e non si riverberi discredito sui laureati che già da anni sono nella carriera. In correlazione con quanto sopra, rendersi iniziatrice, sia fra i laureati come fra gli studenti, di un’agitazione perché tutte le cattedre siano coperte da insegnanti aventi i requisiti per l’insegnamento ufficiale a mente della legge generale universitaria e delle speciali leggi e regolamenti per l’istruzione superiore commerciale». A queste funzioni di controllo dell’Università si aggiungevano, naturalmente, quelle volte a vincere la dura opposizione della associazione milanese dei ragionieri svolgendo, «in concordanza con le associazioni consorelle un’azione perché, con apposita legge, alcune forme di attività siano riservate ai soci laureati dell’Università Commerciale e delle RR. Scuole Superiori di Commercio» (ASUB. Busta H. Schema di Programma, stilato nel 1914).

27

Tale preoccupazione emerge chiaramente in una lettera di Mario Luzzatto, presidente dell’Alub, in risposta ad una richiesta di chiarimenti sull’atteggiamento che l’associazione avrebbe assunto di fronte all’idea di attivare in Bocconi un «magistero di economia», che consentisse l’abilitazione all’insegnamento delle discipline economiche nelle scuole secondarie: «Io ritengo fermamente che oggi il problema della riforma dell’università per il migliore conseguimento di quello che è, senza contrasto, il suo scopo fondamentale (la preparazione dei giovani alle varie forme di attività economica) sia per la nostra scuola così grave e così urgente che assolutamente occorre, fino a che esso non sia sicuramente risolto: a) Non complicarlo in alcun modo con problemi accessori, ma cercare anzi di semplificarlo. b) Consacrare ad esso tutti i mezzi morali e materiali di cui l’Università dispone, tutta l’attenzione dei suoi dirigenti, tutte le collaborazioni di cui può fruire (…). Il perfezionamento del nostro Istituto allo scopo di creare dei buoni commercianti, industriali, funzionari, professionisti, ha nell’avvenire dell’economia italiana una indubbia importanza nazionale. Respice finem, adunque, e guardiamoci dal pericolo di confondere la chiara visione di questo elevato e in discutibile fine, sia nell’università, sia nel pubblico amico o meno amico, col cercare scopi divergenti, anche se non necessariamente contrastanti» (ASUB. Busta F. Mario Luzzatto ad Angelo Sraffa. Milano, 20 marzo 1918).

28

Cfr. ASUB Busta 79/2. Associazione tra i laureati dell’Università Commerciale Luigi Bocconi. Milano, 4 gennaio 1918. Della contabilità. Idem. Milano, 4 gennaio 1918. Dell’insegnamento delle lingue. Idem. Milano, 16 marzo 1918. Del gruppo degli insegnamenti tecnici.

29

Nel paragrafo dedicato alle Discipline tecniche e banco modello dell’Annuario per l’anno scolastico 1913-1914 (Milano 1915, p. 49 e ss.) ci si limitava, infatti, a osservare: «Le scienze di natura più strettamente tecniche che si insegneranno alla Bocconi saranno in sostanza le stesse che si insegnano nelle Scuole Superiori di Commercio e cioè la matematica finanziaria, la merceologia, la contabilità e il banco modello. Nelle attuali Scuole Superiori di Commercio il banco modello è il pernio di tutto l’insegnamento. Ciò che – dato il loro carattere professionale – si può anche comprendere. La nostra Scuola però non crede di dover dare a questo particolare insegnamento sviluppo eccessivo. A chi ben guardi, il banco modello altro non può apparire che una scuola di pratica applicazione degli studi teorici di contabilità, di diritto e di lingue alla vita dei commerci. Esso tende a far conoscere agli allievi, con una serie di esercitazioni pratiche, come debbano intendersi svolgersi e liquidarsi le diverse operazioni commerciali e bancarie; si propone di esperimentare nella corrispondenza, nei calcoli, nella registrazione, nella formazione degli atti e documenti che siano inerenti a quelle operazioni. Abbiamo quindi, a buon diritto, considerato questo insegnamento come un tirocinio pratico, fatto con criteri generali in modo che avvii ai vari rami del commercio. E perciò è parso a noi sufficiente un corso biennale, riservato per necessità didattica al terzo e quarto anno degli studi».

30

Come scrive R.R. Locke (The end of the practical man. Entrepreneurship and higher education in Germany, France and Great Britain, 1880-1940, Greenwich 1984, p. 90): «After 1880 the new railroad, telegraph, cable and steamship networks had been completed and their operation fully perfected. This meant that the businessman could built a geographically extended industrial enterprise whose management was far more complex than when the firm was a single-unit, single-function activity operating in a restricted geographic location (…). Alfred Chandler jr. has, most recently, skilfully outlined the structural evolution of the modern american corporation, from the single-function, single-product firm, prevalent hundred years ago, through the multi-function, single-product corporation, which emerged between the civil war and 1900, to the multi-functions, multiproduction giants of today (…). American operational management constituted the principal challenge of european industry, especially in the early years».

31

ASUB. Busta 79/2. Della contabilità, p. 2.

32

Idem p. 8.

33

Idem p. 3.

34

A questo proposito si osservava: Tale ignoranza «è certamente una grave lacuna dal punto di vista della coltura. Tanto prima della guerra quanto ora, è male che una persona che deve essere colta nelle discipline economiche e commerciali ignori del tutto il tedesco, ma era ed è semplicemente enorme che sia affatto digiuno di inglese. Dal punto di vista dell’uso pratico commerciale, e considerando le probabilità del dopo guerra, certamente la mancata conoscenza del tedesco è venuta a diminuire di gravità rispetto all’ignoranza dell’inglese. Senza partecipare di eccessive illusioni, è infatti più che probabile nell’avvenire: a) una minore importanza relativa, almeno per qualche tempo, delle relazioni commerciali dell’Italia coi paesi tedeschi; b) una minore difficoltà di corrispondere in altre lingue (italiano, francese, inglese) coi paesi ove prima il tedesco era la lingua più corrente del commercio estero (Russia, ed in particolare Polonia, Paesi Balcanici, sud Brasile») (idem p. 2).

35

Idem p. 5-6.

36

Idem p. 7.

37

Ibidem. La dose era poi ulteriormente rincarata con una durissima critica al programma svolto, che portava all’affermazione che: «l’indirizzo è assolutamente errato. Per quello che concerne il primo anno del corso sembra infatti quasi inutile il rilevare che le nozioni svolte nelle lezioni finora impartite hanno per lo stesso studio della geografia economica e commerciale, un interesse molto scarso e relativo [e che] le ore di lezione potrebbero essere impiegate molto più utilmente, tanto più che le nozioni stesse trovano già sufficiente sviluppo nei programmi delle scuole secondarie. Per quello che concerne il secondo anno del corso, nel quale è evidente che il professore crede di insegnare effettivamente geografia economica, le obiezioni non sono meno gravi, e cioè si osserva: – che le nozioni impartite, non solo per la sostanza, ma anche per la forma e l’indirizzo della esposizione, sono di competenza degli insegnamenti delle chimica e della merceologia, piuttosto che di quello della geografia economica e commerciale; – che l’esposizione è del tutto elementare e costituisce una ripetizione perfettamente inutile delle aridissime nozioni che già si impartiscono nei corsi di geologia e di mineralogia del liceo o dell’istituto tecnico; – che anche il metodo è preso purtroppo tale e quale dagli assurdi sistemi ancora in vigore nelle Scuole secondarie, ove si rimpinzano le menti degli scolari di odiose filastrocche, fatte per alienare dalla scuola ogni interesse degli allievi, e che vengono mandate a memoria unicamente per gli esami».

38

Ibidem.

39

Ibidem. «Per il laureato della UCLB – chiamato non già ad applicare personalmente, e tanto meno a studiare e perfezionare, dei procedimenti tecnici industriali, ma bensì, a seconda dei casi, a trovarsi in contatto con industrie ed industriali in qualità di commerciante, di banchiere, di funzionario pubblico, ecc; o, in grado già più immediato, a collaborare in aziende industriali con mansioni attinenti alla parte economica delle loro attività; o, infine, ad esercitare, come brillantemente fanno ormai non pochi degli attuali laureati, la funzione economica direttiva a cui nell’industria ogni altra funzione si subordina – le cognizioni tecniche (intese sempre in senso stretto) hanno evidentemente un valore fondamentale diverso che per un tecnico di professione. Altra è la tecnica, che può dirsi più propriamente sua, e cioè non quella fondata sulle scienze fisiche, ma quella derivante dalle scienze economiche e dalle discipline amministrative».

40

ASUB. Verbali del consiglio di amministrazione. Seduta del 16 settembre 1918. Sulla discussione intervenuta in consiglio cfr. A. De Maddalena, cit., p. 271 e s.

41

E dichiarato altresì che «la sua organizzazione fu sin dall’inizio genialmente concepita per modo che la sostanza dei programmi e in particolar modo lo spirito animatore del programma generale debbono rimanere invariati» (ASUB. Busta F. Schema di una relazione).

42

«Questo male è in certo senso meno grave di quello che si verifica nelle facoltà giuridiche in quanto non ha per la più gran parte origine nell’assenteismo sistematico della massa degli studenti della città o della sede dell’Università, ma trova invece la causa principale nel fatto che l’università Bocconi ha un notevole numero di studenti che sono già impiegati in aziende private e qualche volta in pubbliche amministrazioni. Questi studenti, per una specie di tacito accordo colla direzione della scuola, hanno ragione di tenersi autorizzati a non seguire i corsi […] per modo che l’utilità dell’insegnamento, o quanto meno della sua frequenza, finisce col sembrare assolutamente nulla alla maggioranza degli studenti, che si persuadono che basti seguire i corsi nelle dispense per prepararsi proficuamente agli esami, superare i quali è diventato lo scopo diretto e l’estrema meta della maggioranza degli studenti. Si deve parlar chiaro su questo punto e riconoscere che questa situazione fu in certo modo tollerata dall’Università per ragioni finanziarie che si devono senz’altro eliminare se non si vuole che l’avvenire della scuola sia gravemente compromesso e la sua serietà irrimediabilmente perduta; non si può, per riscuotere qualche migliaio di lire di più di tasse scolastiche, continuare ad ammettere iscrizioni di giovani che forzatamente debbono astenersi dal frequentare le lezioni e da ora in poi s’impone un rigore assoluto nel pretendere la frequenza alle lezioni, dando severe e concrete sanzioni alle assenze da parte dei giovani. Si dovrà quindi escludere che studenti impiegati si iscrivano alla scuola godendo del privilegio di astenersi dal frequentarla in base a tacito affidamento che questa situazione sarà tollerata dalla direzione» (idem p. 3).

43

«L’idea propria non solo del volgo che l’insegnamento cattedratico sia in gran parte inutile e che ad esso possa in gran parte, se non nella massima parte, supplirsi mediante le dispense – per modo che buoni manuali porrebbero senz’altro far sopprimere i professori ridotti, come sono in qualche facoltà giuridica, a parlare per coloro che scriveranno poi le dispense – ha qualche parte di vero specialmente se e quando ogni contatto fra studenti e professori è reso impossibile dalla entità degli iscritti e dalla fretta del professore» (idem p. 5).

44

Il corso di diritto commerciale, industriale e marittimo, ad esempio, «fu persino spezzettato in cinque corsi avendosi tre insegnamenti contemporanei di diritto commerciale, uno di diritto industriale e uno di diritto marittimo, con l’inconveniente per mancanza di coordinamento fra gl’insegnamenti stessi che alcuni istituti furono nello stesso tempo trattati più volte mentre altri, pure fondamentali, furono del tutto ignorati. Quanto al diritto privato, che all’inizio e nell’espresso intento dei fondatori doveva essere un corso di istituzioni di diritto commerciale civile, finì col diventare un corso quasi prettamente civilistico con la tendenza ad esaminare istituti quali la successione della donazione, a titolo di esempio, che meno interessano gli studenti di questa Università, mentre è evidente che il corso stesso deve essere un corso preparatorio per meglio far comprendere poi gli istituti di diritto commerciale. L’insegnamento del diritto costituzionale e amministrativo, infine, «si riduceva nella massima parte a un insegnamento di diritto costituzionale con trascuranza quasi completa del diritto amministrativo, il quale sempre più diviene importante per gli industriali e per i commercianti in vista specialmente della tendenza dello stato moderno» (idem pp. 7-8).

45

Ibidem.

46

Idem p. 13. Si proponeva, inoltre, l’unificazione di merceologia mercantile e di chimica merceologica in un unico insegnamento e la suddivisione della geografia economica e commerciale in due distinte annualità.

47

Ibidem.

48

«Le lingue straniere (salvo il caso di native disposizioni, in Italia non frequenti) non si imparano applicandosi nelle poche ore di scuola e studiando la lingua solo grammaticalmente; i giovani debbono volere imparare e purtroppo pochi vogliono sacrificare molte ore della giornata per un lavoro che, specie nella prima fase, è grandemente fastidioso. Occorre quindi creare impulsi, creatori a loro volta della volontà di studiare le lingue straniere e questo metodo a dir così, e senza intenzione di creare un bisticcio, non è facile a creare e va attentamente studiato da persona esperta nell’insegnamento delle lingue straniere e, in genere, non ignara della psicologia dei giovani» (idem p. 18).

49

Idem p. 19.

50

Sulle stesse cfr. A. De Maddalena, cit., p. 274 e s.

51

Sul tema egli così intratteneva il rettore: «Caro Sraffa, ho riflettuto intorno alla conversazione che avevamo tenuto ultimamente a Milano, (…) sarebbe possibile anche prima, a partire da quell’anno scolastico in cui tu lo ritenessi opportuno, (…) fare un corso di perfezionamento o di applicazione in economia politica. Io lo concepirei in questa maniera: l’argomento non dovrebbe essere uno solo e non dovrebbe essere stabile di anno in anno. Piuttosto cercherei di discutere ogni anno, in gruppi di due o tre lezioni, gli argomenti più vivi dell’annata. È un po’ quel che faccio sul Corriere della Sera. Ma naturalmente all’Università la trattazione dovrebbe essere più ampia e più sistematica. Ad ogni gruppo di lezioni dovrebbe precedere una lezione introduttiva intorno al metodo con cui l’argomento deve essere studiato, lezione la quale dovrebbe contenere lo studio della bibliografia dell’argomento, la critica di coloro che si sono già occupati dell’argomento stesso, le ragioni degli errori eventuali in cui fossero caduti, così da addestrare gli studenti sul metodo che si deve tenere per giungere a conclusioni corrette. Ogni lezione od ogni gruppo di lezioni, dovrebbe essere preceduta dalla consegna da parte mia di un sommario contenente tutti i punti i quali saranno discussi e la bibliografia dell’argomento. Questo sommario sostituirebbe le dispense, le quali dovrebbero essere vietate e dovrebbe essere dalla cooperativa degli studenti od in qualche altra maniera a concordarsi stampato o litografato in tante copie quanti sono gli studenti, cosicché ognuno di essi possa seguire le lezioni con il sommario dinnanzi agli occhi. Gli esami orali potrebbero senza alcun danno essere aboliti, perché uno dei compiti miei dovrebbe essere quello di aggiungere ad ogni sommario un questionario con due o tre domande ed ogni studente dovrebbe per iscritto rispondere in una monografia di non più di trenta parole – per evitare le lungaggini inutili – a parecchi di questi questionari durante l’anno. Credo che questo modo di tenere lezioni e di fare esami si avvicinerebbe un po’ a quello che è tenuto nelle scuole superiori anglo-sassoni e di cui ebbi già occasione di parlarti (…)» (ASUB. Busta 1R. Torino 5 gennaio 1918). E, qualche mese più tardi (27 ottobre 1918): «(…) Vengo ai corsi speciali di questioni economiche. A me pare, ripensandoci, che questi corsi dovrebbero mutare di continuo e costituire l’applicazione dei principi generali scientifici a problemi vivi, che eccitano l’attenzione degli studenti e li forgiano a trovare le verità generali in soluzioni concrete e particolari. Naturalmente non si dovrebbero scegliere le questioni vive a scopo di polemica; ma a quell’istesso intendimento con cui nelle Facoltà di lettere si fanno i corsi monografici. Oggi, ad esempio, uno dei problemi urgenti è: come gli Stati belligeranti liquideranno o provvederanno al servizio dei debiti di guerra? Sarebbe assai bene che gli studenti sapessero:

• Come si deve inquadrare il problema. Quale è il suo vero significato.

• Quale è stata l’opinione degli scrittori in passato.

• Come si provvide in altre occasioni.

• Come si pone il problema in paesi forestieri.

• Come lo si deve porre in Italia, ecc., ecc.

Insomma il corso monografico dovrebbe essere al tempo stesso una trattazione e una esercitazione, sicché gli studenti imparino come si fa a porre, a studiare ed a risolvere un problema. Perciò, in questi corsi monografici, io non vorrei esami verbali a fine d’anno, ma ogni corso dovrebbe essere corredato da un programma-riassunto, da un questionario e da una breve bibliografia da distribuire agli studenti ed ogni studente dovrebbe svolgere, durante l’anno, almeno uno dei quesiti posti (…). Il corso monografico non dovrebbe però assumere dimensioni eccessive, perché si cadrebbe nel difetto di finire solo a scopi personali di studio dell’insegnante e gioverebbe a pochissimi desiderosi di perfezionarsi negli studi; ma trattando una questione singola potrebbe essere svolto in un ciclo di 5 lezioni di 1½ ore l’una; e di questi cicli se ne potrebbero tenere parecchi all’anno; non più di cinque. In via di esperimento quest’anno se ne potrebbero tenere al massimo due; ed il primo potrebbe appunto vertere sul problema dei debiti di guerra dei paesi belligeranti. Il secondo sul problema doganale nei nuovi rapporti politici fra Stati nel dopo guerra» (Archivio della fondazione Luigi Einaudi. Torino – d’ora in poi AFE – Luigi Einaudi ad Angelo Sraffa, Torino 27 ottobre 1918).

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«Permettimi», egli scrisse a Sraffa, «di tornare ancora una volta sull’insegnamento da affidare all’amico e collega Mosca (…). Io ho sempre ritenuto che la mancanza di un corso di scienza politica fosse un grave difetto dell’ordinamento dei nostri studi superiori. A questa mancanza non supplisce il diritto costituzionale, né qualsiasi altra disciplina giuridica od economica. L’industriale, il commerciante, il funzionario, il pubblicista oggi deve vivere in un ambiente irto di grossissimi problemi politici, che industriali, commercianti, funzionari, pubblicisti devono porre e risolvere. Va a leggere a pag. 285 dell’ultimo fascicolo di ‘Vita Italiana’ (11 ott. ’918) una bella pagina di Pantaleoni sui danni a cui l’Italia andrà incontro per la sua ineducazione politica. La Bocconi assumerebbe una magnifica iniziativa se fondasse quel corso. E Mosca oggi in Italia è the right man in the right place. Suoi sono i più importanti libri in argomento (Della teorica dei governi e Principii di scienza politica). Quello è il suo vero campo. È osservatore acuto e giudice penetrante di fatti politici. Egli dovrebbe essere lusingato di abbandonare un insegnamento istituzionale per uno in cui ha veramente lasciato un’impronta. Ed una lettera che gli comunicasse, come cosa fatta, la designazione alla nuova cattedra dovrebbe essere accolta da lui con compiacimento, e spingerlo alla seconda edizione dei suoi Principii; a cui attende sempre, ma a cui gli è appunto mancante la spinta» (ibidem). L’assenso a tenere il corso sarebbe venuto da parte dell’eminente politologo solo due anni più tardi: «Caro Sraffa», così scriveva da Torino il professore siciliano, «rispondo subito che accetto in massima la tua proposta di fare un corso di vera e propria scienza politica nell’università Bocconi. Quanto alle modalità ed al possibile raccordo con l’altro corso storico-politica ne parleremo a voce appena potremo vederci. Ma se ti serve il mio nome per pubblicare il programma puoi farne uso senz’altro. La seconda parte degli Elementi di scienza politica insieme alla ristampa della prima già esaurita uscirà sicuramente nel prossimo inverno. Parte di questa seconda parte è già stampata e del resto è pronto il manoscritto, dovendo solo rivedere alcune note e citazioni. Non posso che congratularmi con te per il programma che hai di dare nell’Università Bocconi un maggiore svolgimento agli studi politici e sociali. In Italia ce ne è proprio bisogno» (ASUB. Busta R1. Gaetano Mosca ad Angelo Sraffa. Torino, 26 ottobre 1931).

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Su Zappa a Genova cfr. P. Massa, Dalla Scuola Superiore di Commercio alla Facoltà di Economia, Genova 1992, p. 196 e ss.

54

Ibidem.

55

«Zappa verrà a Milano probabilmente a febbraio, o, al più tardi a marzo quando io sarò pure costì. Egli accetterebbe volentieri un insegnamento pel nuovo anno e tratterebbe, come ti dirà a voce, dei temi assai eleganti e pratici, che pochi ragionieri, credo, saprebbero trattare» (ASUB. Busta B. Attilio Cabiati ad Angelo Sraffa. Genova s.d.).

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Del clima che si instaurò all’università Bocconi con l’arrivo di Zappa rimane una bella testimonianza in una lettera di Palazzina che segnalava al rettore il disagio di molti studenti di fronte all’insegnamento del nuovo docente di ragioneria: «Illustre e caro rettore, sulle prime, mi aveva allarmato; ma, riflettendo, credo di dover concludere che l’informatore (…) ha eccessivamente caricato le tinte. Io stesso ebbi – in verità con scarso effetto – a segnalarne a suo tempo una certa asprezza, se non volgarità di linguaggio e di contegno (si direbbe quasi uomo di vanga!) contrastante con astruserie e metafisicherie di scienza aristocratica e giustificai alcuni atteggiamenti di studenti. Ma mi pare innegabile che l’amico ha ottenuto che i giovani volonterosi si mettano a studiare: specialmente i laureandi riconoscono che dall’uomo… incommensurabile c’è molto da imparare e si dolgono d’averlo avuto così tardi. Comunque io non avrei difficoltà (…) a usare il linguaggio reciso e sostanzialmente duro che lei mi suggerisce, ma credo che l’amico non potrebbe rispondere che rinunciando a noi. Credo quindi proprio meglio – come lei stesso mostra di preferire – di riparlare della cosa. È da tener presente che quest’anno si son presi provvedimenti gravi a corso iniziato: trasformazione del colloquio in esame, ripristino della prova scritta obbligatoria – il che ha contribuito a creare uno stato d’animo il meno favorevole ad uno studio sereno. Di più l’anno prossimo l’opera degli assistenti – che secondo me (…) è destinata a compiere la funzione che lei penserebbe di affidare a un corso propedeutico s’inizierà subito. Di più l’ambiente sarà già creato: i giovani sanno e sapranno fin dal principio con che animo debbono accostarsi alla ragioneria (…). Tornando alla vanga, da quanto so – e mi riservo domani di fare indagini statistiche per accertarmi se le mie impressioni poggiano su basi concrete – vi sono liceisti che hanno fatto magnificamente: uno ha preso 30, un altro siciliano 29; mentre vi sono parecchi ragionieri bocciati. Quindi, se mai, il corso preparatorio, secondo me, dovrebbe essere per tutti indistintamente» (ASUB. Busta D).

57

Ibidem.

58

«Caro Palazzina, spero che potremo vederci il giorno 8 e allora concorderemo quando lei viene a trovarci a Marzio: qui vedremo di prendere le decisioni ormai mature… e ci godremo la vista del Genovese nonché di padre Gemelli (che io ho per ora evitato di conoscere). Zappa: Sono impressionato, e mi è giunta direttamente la parola di dolore dei liceisti, che i giovani che vengono dal liceo si perdono e perdono la dieresi al corso di Zappa. Ora non è lecito fare il matto come fa lo Zappa quando dice: se non comprendono peggio per loro! Noi abbiamo creato due corsi propedeutici per rendere possibile che i nostri giovani non vadano impreparati – come il liceo li lascia – allo studio della merceologia e della geografia economica e non possiamo lasciare indifesi questi disgraziati in contabilità. Scriva dunque a Zappa in nome mio dicendogli – con garbo, ma fermamente – che io non intendo che faccia ai giovani che vengono dal liceo, e che sono, in definitiva, gli elementi migliori, un trattamento di disfavore; che ho quindi deciso – o se vuole dica che la decisione è del consiglio direttivo – di fronte ai giusti rilievi degli studenti, che si faccia, prima dell’inizio del corso ordinario, un breve corso propedeutico. Specialmente per i giovani che vengono dal liceo. Discuteremo con lei il sistema da seguire. Un sistema potrebbe essere quello di rimandare l’inizio del corso ordinario al 2° anno e fare nel primo un corso preparatorio (limitato ai giovani liceali o esteso a tutti?)… Un altro sistema, più radicale, ma di cui temo un po’ le conseguenze, potrebbe essere quello di distinguere fin dal primo anno il corso commerciale dal corso consolare e amministrativo: per questo si potrebbe abolire la contabilità; il timore è che questa riforma faccia scappare la massa al corso consolare! Ripenso alla cosa e mi sembra che sarà bene prima di scrivere a Zappa di approfondire la cosa insieme. Il male è che non abbiamo su questo punto un consigliere obbiettivo: Zappa vorrebbe approfondire in contabilità anche gli studenti di filosofia; Ranelletti vede tutto dall’angolo del suo guadagno personale. È una disperazione e bisognerà proprio – anche nella mancanza di una presidenza o d’un consiglio direttivo funzionante – decidere noi e poi dar forma concreta e definitiva al nuovo ordinamento di cui si parla sempre» (ASUB. Busta R1. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Marzio 1 agosto 1921).

59

ASUB. Busta R1. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Marzio 22 agosto 1920.

60

Secondo la testimonianza della signora Mimina Zappa Valeri, figlia di Gino Zappa, il rettore più volte, in seguito, pubblicamente confermò la sua fiducia e la sua ammirazione al professore di ragioneria, invitando quanti contestavano il suo insegnamento a riconoscerne l’eccellenza o ad abbandonare l’Università.

61

L’idea di dar vita a differenti indirizzi di laurea fu vagliata a fondo dal rettore e dal direttore della segreteria e a lungo fra i due si discusse prima di decidere di abbandonare l’idea. In un appunto senza data, ma sicuramente attribuibile all’estate del 1921, inviato al suo superiore Palazzina osservava: «Sezione consolare: Le confesso che non ho ben compreso quali siano le sue intenzioni – incidentalmente espresse nell’ultima seduta (…). Finora si era detto di non costituire una vera e propria sezione: ispirandomi a questo concetto, predisposi lo schema che ora sottopongo al suo esame e al quale nulla muterei – intendendo però che la cattedra di diritto consolare debba comprendere un insegnamento più ampio di d. e procedura penale e di d. internazionale. Forse, tenendo conto dei programmi di concorso alla carriera consolare, si potrebbe istituire una cattedra di storia politica coordinata a quella di storia del commercio, storia delle colonie, storia dei trattati (diplomatici). Se poi volesse una vera e propria sezione economico-sociale, non sarebbe il caso (io sono tenace nelle idee) di ripensare alla sezione magistrale di economia? (per la quale la ragioneria dovrebbe essere ridotta come per il gruppo consolare e che potrebbe avere corsi speciali di sociologia economica del lavoro (? un titolo un po’ vago però), “economia agraria e naturalmente esercizi didattici, che potrebbero svolgersi nell’istituto di economia”. A questa proposta Sraffa rispondeva nei seguenti termini: (…) Magistero per economia e diritto?!? Ma per insegnare diritto ci vuole altro che una scuola eminentemente antigiuridica come la Bocconi! L’economia da sola non si insegna più negli istituti tecnici. Quanti sono poi quelli che pensano sul serio, fra i nostri scolari, a darsi a questa branca infelice?» (ASUB Busta 1R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Marzio 1 agosto 1921).

62

«Lo studio accurato di un tema particolare, utile in quanto coll’approfondire una ricerca si impara il metodo per approfondirne altre, meglio che da insegnamenti monografici, dove la ricerca approfondita è compiuta dal professore e lo studente non ne ascolta che i risultati, si ottiene colla preparazione delle tesi di laurea, agli Istituti annessi all’università sotto la guida dei professori ed assistenti» (L’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, dattiloscritto s.d., ma probabilmente dell’a.a. 1941-42, p. 10).

63

Cfr. Annuario 1913-1914, cit. pp. 54-55 e Ordinamento dei corsi per l’anno 1922-1923 (ASUB. Busta F).

64

Nominato segretario per le colonie, Gaetano Mosca fu sostituito, nel marzo 1914, da Oreste Ranelletti.

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