Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

L’Associazione laureati per l’Ordine professionale


Parole chiave: ALUB

La pubblicazione, sul finire del 1913, dell’«Albo dei Dottori in Scienze Economiche e Commerciali esercenti la libera professione» in Milano[1], come si è mostrato nel primo volume di questa collana, coronava il primo tratto di un contrastato itinerario per il capoluogo lombardo[2] avviato da Leopoldo Sabbatini, valendosi dell’Associazione Laureati dell’Università Bocconi (Alub), e perfezionato dall’Avvocato Luigi Majno alla metà di settembre del 1913[3], in contraddittorio coi legali del collegio milanese dei ragionieri, dinanzi ai giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato, allorché i magistrati riconobbero che non era «serio voler contestare l’idoneità» dei laureati dell’Università Bocconi, «dopo un corso quadriennale di studi contabili, economici e legali compiuto posteriormente alla licenza liceale o di Istituto tecnico»[4].

Nel dar conto delle iniziative condotte nel 1914 a favore dei laureati esercenti la libera professione, il Bollettino dell’Alub avvertiva che «mercé l’interessamento dell’Associazione, congiunto a quello della presidenza dell’Università» era stato «posto in evidenza presso la magistratura (milanese) il valore morale dell’Albo dei Professionisti, sì da ottenere in certo modo ufficiale riconoscimento coi decreti con cui la corte d’appello di Milano nominò periti in materia amministrativa, contabile, economica e commerciale i laureati iscritti all’Albo, che ne fecero domanda»[5]. Venendo accolti nel novero dei periti del Tribunale di Milano, i commercialisti bocconiani collegiati attestavano l’esistenza di un filtro selettivo ed auto-regolato le cui norme, ad imitazione di quelle in uso da decenni per procuratori legali ed avvocati, erano oltremodo severe.

Per proseguire nella strategia dell’attenzione ed in quella del caso isolato che creava un precedente, in attesa di una regolazione istituzionale, che si percepiva ancora di là da venire, l’Alub aveva suggerito ad un laureato residente nel Mezzogiorno di chiedere l’iscrizione nell’albo dei periti di tribunale della Corte d’Appello di appartenenza; iscrizione ch’era stata conseguita senza conflitti di sorta[6]. Lo spirare del primo biennio di esistenza dell’Albo professionale milanese comportava la revisione e pubblicazione di quello del 1915 in previsione del quale, volendo rafforzare la dimensione istituzionale del collegio, si era «formalmente invitata la Camera di Commercio di Milano a voler nominare una rappresentanza propria nella commissione di revisione, a garanzia della serietà ed efficacia» dell’operazione[7].

Da ultimo, il bollettino dell’Alub ricordava ai neo laureati intenzionati ad ottenere l’iscrizione all’Albo dei professionisti che, con l’inizio del 1916, cessati gli effetti delle norme transitorie del regolamento, quanti ambivano a diventare commercialisti, per almeno due anni, avrebbero dovuto fare pratica professionale – una sorta di tirocinio guidato – presso lo studio di un collegiato in un albo di dottori in Scienze economiche e commerciali oppure in un albo di curatori di fallimento[8].

La pubblicazione degli albi era proseguita regolarmente, anno dopo anno, salvo una breve interruzione durante il periodo bellico[9]. Finita la guerra, le associazioni dei laureati in scienze economiche e commerciali di Milano e di Torino[10] – le prime a sorgere – ripresero di buona lena a cooperare al progetto di ottenere una convalida istituzionale degli albi professionali dei dottori commercialisti; in ciò motivate sia dal rinnovato clima economico e culturale del primo dopoguerra, sia dal progressivo aumento del numero dei liberi professionisti attivi entro i confini giurisdizionali delle rispettive Corti d’Appello[11]. Quanto al clima culturale esso è felicemente espresso nelle parole di Giuseppe Prato, docente nell’Istituto Superiore di Commercio di Torino e titolare dell’insegnamento di Politica commerciale e legislazione doganale alla Bocconi[12]: «Nel campo dell’assetto industriale soprattutto, il dibattito ferve oggi unicamente, non sull’opportunità di restaurare il regime autarchico che fu proprio dei tempi dell’incipiente concentrazione tecnica, ma sui mezzi di organizzare con criteri razionali un sistema che renda sensibile al fattore lavoro il suo diretto interesse all’ordine, alla perfezione, alla produttività dell’impresa, e che, d’altro canto, consenta alla società di esercitare sul contrasto dei tornaconti individuali un controllo moderatore; a tutela delle ragioni della vita e del progresso collettivi. La funzione di controllo della vita economica, spettante alla collettività, non può affidarsi alla burocrazia; e ciò significa la necessità di foggiare strumenti appositi di rappresentanze tecniche competenti, non inetti per composizione, per precedenti, per abiti e per indole ai compiti peculiari e delicatissimi di cui è d’uopo investirli»[13]. Nella visione di Prato, già era prefigurata in nuce la dura contrapposizione che, nel «biennio rosso» 1919-20, nel nord Italia avrebbe messo di fronte il proletariato industriale al padronato. In un miscuglio di idealismo e di utopia, lo studioso piemontese immaginava che i dottori in scienze economiche e commerciali – autorevoli esperti – potessero e dovessero mediare i conflitti come controllori per conto della collettività più efficacemente ed in luogo dei prefetti e degli uomini politici.

Gli iscritti all’albo di Milano per il biennio 1919-20 giudicarono che fossero maturi i tempi per la costituzione del Consiglio dell’ordine e che a quest’ultimo convenisse affidare, secondo una norma prevista nel regolamento, il compito di pubblicare periodicamente l’albo[14]. All’origine di quella decisione vi furono due generi di ragioni: la prima consistette nel desiderio di affermare una identità ormai maturata nei professionisti, indipendentemente dalla loro provenienza accademica: assieme ai bocconiani, che erano la maggior parte, v’erano infatti laureati provenienti da Venezia, da Torino, da Genova, da Roma e perfino da Bari. Lo spirito di appartenenza all’ordine dei dottori commercialisti aveva ormai preso il sopravvento su quello dei bocconiani aderenti all’Alub. La seconda ragione era data dalla particolare natura degli interessi ch’essi sentivano di dover difendere; interessi che implicavano contatti continui con gli ordini professionali sorti, come a Milano, nelle più importanti città italiane (Roma, Venezia, Genova, Torino, Bari, ecc.), che avevano trovato modo di collegarsi in una federazione nazionale[15].

Così, attorno alla metà del 1920, sorse l’Ordine dei Dottori in Scienze Commerciali per il distretto della corte di appello di Milano alla cui presidenza venne eletto il Dott. Rag. Ferdinando Citella, ch’era stato fra i primi laureati della Bocconi nel 1906[16] e ch’era iscritto all’albo milanese fin dal 1913-14[17]. La sua prima e maggior preoccupazione fu di «tendere con oculata opera di propaganda alla valorizzazione del titolo dottorale agli effetti dell’esercizio della professione»[18]. Nell’assumere la presidenza dell’Ordine, egli si dimise da componente del consiglio d’amministrazione dell’Alub del quale aveva fatto parte dalla fondazione, per dedicarsi totalmente alla neo nata istituzione professionale. «Mentre da una parte stringeva accordi e si metteva in relazione con gli Ordini che andavano sorgendo in tutte le principali città italiane, dall’altra» Citella «intensificava specialmente a Milano l’opera sua, per far conoscere la nuova classe di professionisti evitando di dare al movimento carattere rumoroso, ma esercitando un’azione diretta verso gli esponenti dell’autorità giudiziaria, della Camera di Commercio nonché verso i dirigenti dei principali istituti di credito»[19].

L’obiettivo principale dell’azione sua e del Consiglio dell’Ordine milanese fu tuttavia l’ottenimento del riconoscimento istituzionale. Il 4 marzo del 1921, alla Camera dei Deputati, l’onorevole Fiammingo, come primo firmatario, aveva presentato una proposta di legge mirante appunto ad ottenere tale scopo, precisando e disciplinando le funzioni dei Dottori in Scienze economiche[20], ed uniformando la costituzione degli Albi e degli Ordini sulla base degli ordinamenti vigenti per Avvocati e Procuratori. Nella relazione a corredo della proposta si riaffacciava l’ormai annoso conflitto coi ragionieri, a proposito del quale i firmatari dichiaravano fin dalle prime righe ch’era «parso necessario di mantenere separate le due professioni in due classi» anche se «i due uffici potevano cumularsi da quei ragionieri che avessero la laurea in scienze economiche e commerciali»[21]. La giustificazione normativa era abilmente identificata nella legge 20 marzo 1913 n. 268 e nel decreto 1° agosto 1913, n. 1223, esecutivo della legge stessa, che avevano attribuito dignità e grado universitario agli Istituti per gli Studi Commerciali; quel grado superiore, rispetto ai periti in ragioneria, che Luigi Majno aveva eretto a perno della sua vittoriosa perorazione dinanzi al Consiglio di Stato. Così, argomentavano i deputati, «su di uno stesso campo si è cercato di preparare ed avere due diversi professionisti, comuni nell’origine e nel fine, ma differenti nel grado di cultura, e cioè i ragionieri e i dottori in scienze economiche e commerciali: gli uni agiscono in un campo più ristretto, gli altri in un campo più vasto»[22].

Il disegno, che intendeva enfatizzare le vaste competenze dei laureati in raffronto alle sei istituzionalmente riconosciute ai ragionieri, elencava ben venti funzioni: 1° Consulenza finanziaria, economica ed amministrativa. 2° Perizie in materia commerciale, civile e penale e delle relative scritture. 3° Costituzione, modificazione, fusione, scioglimento di società commerciali, compilazione di statuti. 4° Organizzazione di uffici amministrativi pubblici e privati e impianti contabili. 5° Formazione e revisione: a) d’inventari; b) di preventivi di fondazioni e d’esercizio; c) di piani d’ammortamento; d) di rendiconti consuntivi. 6° Direzione amministrativa e contabile di aziende bancarie, commerciali e industriali ed agricole. 7° Sindacati nelle società per azioni. 8° Amministrazioni patrimoniali. 9° Divisioni ereditarie. 10° Tutele e curatele. 11° Liquidazioni volontarie. 12° Concordati preventivi. 13° Curatele fallimentari. 14° Graduatorie giudiziarie. l5° Sequestri giudiziali. 16° Arbitramenti (sic!) in controversie economiche e motivati pareri. 17° Contrattazioni di borsa. 18° Contratti d’assicurazione. 19° Legislazione del lavoro. 20° Usi bancari, industriali, commerciali, marittimi ed agricoli[23].

Uomini nuovi per cultura e competenza, i laureati in scienze economiche e commerciali si reputavano gli unici capaci di accettare la sfida lanciata dall’evoluzione dei traffici e delle produzioni in un paese risvegliatosi da un lungo sonno economico e sociale. Essi avevano «la conoscenza perfetta dei cambi e dei mercati, della rapidità degli scambi, della facilità del credito, dei movimenti di borsa, di tutti i diversi organismi aziendali e soprattutto sapevano ideare e concludere fecondi accoppiamenti di capitale e lavoro, per assicurare con saggezza di atti e con finezza d’intuito il benessere economico a chi loro affida le proprie fortune»[24]. In una ideale divisione dei compiti e dei ruoli, insomma, ai ragionieri spettava la gestione contabile dell’esistente, come dire l’ordinaria amministrazione, ai dottori in scienze economiche e commerciali il radioso futuro, cioè «quelle nobili iniziative che debbono promuovere lo sviluppo dei traffici e le trasformazioni bancarie, industriali, commerciali ed agricole»[25]. Si trattava di compiti meno elevati e politici rispetto a quelli immaginati da Giuseppe Prato nel 1919, ma pur sempre di funzioni di ben alto profilo.

Quanto all’organizzazione territoriale, nel disegno di legge si ipotizzava un ordine professionale articolato in «tanti collegi quanti sono i centri giurisdizionali secondo la circoscrizione giudiziaria dello Stato»[26]. Esso avrebbe avuto personalità giuridica, sarebbe stato gerarchicamente ordinato con consigli locali e distrettuali soggetti ad un consiglio superiore, investito del ruolo di rappresentanza suprema, con alte attribuzioni giurisdizionali e disciplinari[27]. L’abile opera di lobbismo che aveva fatto sì che la Camera prendesse in considerazione il progetto di legge sull’ordinamento della professione di dottore in scienze economiche e commerciali, poi approdato alla settima Commissione parlamentare[28], venne frustrata da quella difficile congiuntura politica che indusse Giovanni Giolitti a sciogliere il Parlamento[29] e ad indire nuove elezioni politiche per il 15 maggio.

Nell’agosto del ’21, nel dar conto succintamente della vicenda, non senza una punta di delusione, il neo Presidente dell’Alub dichiarava che senz’altro l’iniziativa sarebbe stata ripresa nella legislatura in corso: «anzi possiamo aggiungere che il lavoro preparatorio è già compiuto avendone i vari ordini affidato l’incarico alla Federazione degli ordini a tale scopo appositamente costituita. È inutile aggiungere che l’iniziativa avrà tutto l’appoggio delle singole associazioni e della nostra federazione che, pur perseguendo un programma meno particolaristico, condividono pienamente la necessità di elevare a maggior dignità le funzioni professionali e sono liete di poter offrire alla numerosa schiera dei Colleghi professionisti questo tangibile segno di solidarietà e di ausilio»[30]. Mentre ancora l’agognato riconoscimento legale dell’ordine tardava, l’albo professionale di Milano e provincia per il biennio 1921-22 era arrivato a comprendere 35 collegiati, otto dei quali si erano formati nelle Scuole Superiori di Commercio di Venezia (4) e di Bari (1) o nelle facoltà economiche di Torino (2) e di Roma (1). Sulla piazza milanese, insomma, la percentuale di commercialisti bocconiani si manteneva attorno al 75%, com’era già accaduto nel 1913, in occasione della pubblicazione del primo albo professionale, a conferma del ruolo di capolinea di correnti migratorie di alto livello professionale che il capoluogo lombardo continuava a svolgere[31]. Vale tuttavia la pena di sottolineare che, nel 1921, dei venti commercialisti pionieri della vigilia della Grande Guerra solo 13 figuravano ancora iscritti all’albo professionale. A parte Alfredo Saccardi, che aveva perso la vita al fronte da Sottotenente di artiglieria, i rimanenti sei si erano dedicati ad altro[32]. L’albo del 1922 annoverò ben 97 iscritti, poco meno del triplo degli associati dell’anno prima, 72 dei quali erano bocconiani, secondo una proporzione di poco superiore a quella dell’anno precedente[33]. Nell’albo del ’23 figuravano addirittura 123 commercialisti[34].

Nel marzo del 1922, ad un anno esatto dalla presentazione del progetto di legge, l’iniziativa ripresa in Parlamento da tre deputati «De Stefani e Poggi, laureati di altre scuole, e dall’On. Corgini della nostra Università» induceva l’ottimista presidente dell’Alub Croccolo ad affermare che «l’interessamento degli autorevoli colleghi dava buon affidamento per l’approvazione del progetto di legge che tanto interessa i laureati liberi professionisti»[35]. A ripresentarlo stavolta era quell’Onorevole Ciappi[36], che già nel marzo del ’21 aveva fatto parte del gruppo di firmatari della proposta di legge, corredandolo di alcune interessanti aggiunte alla imponente lista delle funzioni che, secondo la federazione nazionale, conveniva riservare in esclusiva ai dottori in Scienze Economiche e Commerciali[37].

Nella primavera del 1922 la improvvisa morte del veneziano Primo Lanzoni, presidente della federazione nazionale delle associazioni fra laureati, e le pronte dimissioni del vicepresidente Citella prestarono il destro all’associazione romana per rivendicare una posizione di primato e pretendere di divenire sede nazionale, in aperto contrasto con le norme statutarie che ne disponevano la localizzazione nella città di residenza del presidente[38]. Per di più, i commercialisti romani presero autonomamente l’iniziativa d’indire per l’autunno di quell’anno il «II Congresso dei Dottori in Scienze Economiche e Commerciali» nella capitale limitandone peraltro la partecipazione ai liberi professionisti e, di fatto, escludendone tutti gli altri laureati, che erano la grande maggioranza degli ex allievi degli Istituti Superiori e delle Università Commerciali[39]. Al congresso, aperto da una relazione del Prof. Ciappi, Rettore del Politecnico di Roma e deputato al Parlamento, prese la parola il Sottosegretario di Stato Acerbo che «espresse il pensiero del Governo in ordine alle questioni da trattarsi»[40]. Alla conclusione dei lavori vennero votati otto ordini del giorno con i quali si reiteravano ed ampliavano le istanze più volte avanzate per ottenere l’istituzionalizzazione della libera professione dei dottori commercialisti. La novità consisteva nelle attitudini fortemente accentratrici espresse dai convegnisti, avverse ai principi largamente autonomistici che, fin dall’origine, avevano ispirato ed animato i promotori della federazione, e dalla presenza invadente di personale politico fascista.

Nel corso di un’assemblea generale dei dottori in Scienze economiche tenutasi a Roma nel luglio del 1923 venne votato ed approvato a «grande maggioranza» un ordine del giorno che liquidava la storia passata. Protagonisti dell’operazione, chiaramente architettata a tavolino, furono quattro laureati che svolgevano ruoli di comprimari nelle organizzazioni fasciste[41]. Il testo approvato dai presenti esordiva con un formale ringraziamento ai dirigenti storici, proseguiva sottolineando l’esigenza di eleggere un nuovo Consiglio e di dare all’Associazione un nuovo Statuto, alla cui approvazione avrebbe provveduto l’assemblea del Convegno nazionale indetto a Napoli per il settembre di quell’anno. L’ordine del giorno invitava il rinnovato Consiglio ad appoggiare il disegno di Legge governativo elaborato dall’On. Oviglio[42], stigmatizzava la confusione dei ruoli e delle attribuzioni fra ragionieri e dottori, sollecitava infine i soci ad «esercitare pressioni presso il Governo nazionale esaltatore delle classi intellettuali e fervido assertore della grandezza e del diritto d’espansione commerciale d’Italia»[43]. Per di più, la riunione si era chiusa con un incidente procedurale, che aveva portato all’annullamento delle elezioni tenute per il rinnovo delle cariche statutarie; incidente intenzionalmente provocato dai quattro registi dell’operazione che avevano eccepito sull’ammissibilità di deleghe di voto presentate all’ultimo momento.

Nel gennaio del ’24 la Gazzetta Ufficiale pubblicò finalmente un Regio Decreto che disponeva un inquadramento per tutte quelle classi professionali non regolate da precedenti disposizioni di legge. Con esso venne sanzionato semplicemente «il principio di massima» e cioè la disciplina ed il riconoscimento giuridico degli Ordini dei Dottori in Scienze Economiche e Commerciali mentre l’attuazione pratica delle misure fu rimandata alla pubblicazione di un apposito regolamento. In realtà, fu accantonata l’ipotesi affacciata in ciascuno dei tre progetti elaborati in volgere di tempo: due parlamentari e uno governativo, di regolare minutamente e particolarmente l’attività dei laureati commercialisti. Gli ordini del giorno votati in occasione di due congressi nazionali tenutisi dopo l’uscita del decreto: il IV celebrato nell’ottobre del ’24 a Milano, proprio nelle aule della Bocconi e, per di più, alla presenza di Benito Mussolini[44], ed il V tenuto a Trieste nell’ottobre dell’anno seguente, se raffrontati con quelli formulati e votati in precedenza, risultano singolarmente generici. A Milano, per esempio, dopo aver espressa «viva gratitudine al Ministro Guardasigilli cui spetta(va) il merito della soluzione del problema professionale» ed aver ribadito che «condizione essenziale per la iscrizione all’Ordine (fosse) il possesso del titolo di laurea», i circa cinquecento convegnisti riaffermarono «la volontà che l’Ordine dei Dottori commercialisti sia costituito esclusivamente dai laureati degli Istituti Superiori di Scienze economiche e commerciali e dalle Università commerciali»[45]. Si trattava evidentemente dell’esplicitazione di una attitudine difensiva; attitudine che di lì a un anno, in occasione del congresso triestino, sarebbe addirittura divenuta remissiva[46].

La fiducia riposta nella Federazione Nazionale degli Ordini dei Dottori Commercialisti e nella commissione ministeriale che elaborava il regolamento fu mal ripagata. Per di più, fu necessario pazientare fino al tardo 1926 per vedere alla fine frustrate le basi stesse dell’azione avviata dai commercialisti laureati una quindicina d’anni prima nell’intento di valorizzare nella libera professione il loro titolo di studio. La regolamentazione messa a punto e varata dal governo a corredo del Regio Decreto del gennaio 1924 prevedeva che nell’istituendo albo dei Commercialisti non si operasse distinzione alcuna fra laureati e ragionieri: «Potranno essere iscritti all’albo: i Dottori in Scienze economiche e Commerciali o in Ragioneria aventi almeno due anni di effettiva pratica professionale, ridotta ad un anno per i combattenti, e i Ragionieri diplomati dai Regi Istituti Tecnici prima dell’attuale ordinamento scolastico, collegiati ed aventi almeno sei anni di libero esercizio professionale, ridotto a tre per i combattenti»[47]. Il mantenimento di distinte rappresentanze sindacali nell’unitario organismo professionale era una ben magra consolazione[48]. A quell’epoca, esistevano Ordini di laureati riconosciuti dalle Corti d’Appello delle città di Roma, Torino, Milano, Bologna, Palermo, Napoli, Firenze, Parma, Brescia, Venezia, Genova, L’Aquila, Lucca, Lecce e Messina[49].

Alla lunga, dunque, la pressione politica esercitata dai numerosi collegi dei Ragionieri aveva avuto la meglio su quella messa in atto dai laureati, con buona pace di quanti avevano identificato nei secondi i protagonisti di una economia nazionale in corso di riorganizzazione, che molti vedevano destinata ad un radioso futuro. Nel febbraio del 1928, l’ala intransigente dei dottori in Scienze economiche e commerciali ottenne dal Ministro di Grazia e Giustizia l’istituzione di una commissione che elaborasse l’ennesima proposta di legge per delimitare il campo professionale delle due categorie: ragionieri e dottori commercialisti[50]. Più modestamente la commissione varò due regolamenti professionali. Era quella la prima volta che il potere amministrativo disciplinava sotto il profilo giuridico la professione di dottore in Scienze economiche e commerciali. Si trattava di una ben magra consolazione, tanto più che il testo emesso dal Ministero non dissipava la confusione di funzioni né riconosceva ampi compiti specifici ed esclusivi ai laureati[51].

Gli effetti dell’accelerazione impressa dal fascismo al controllo dall’interno delle associazioni a carattere sindacale non mancarono di avere qualche riflesso anche sull’Alub. Per cominciare, dopo quello del dicembre del 1922, un ritardo di ben 46 mesi nell’uscita del Bollettino n. 13, nell’ottobre del ’26, sembra sintomatico di un qualche attrito o disagio. Rispetto al ’22, la composizione del Consiglio d’amministrazione aveva subìto qualche non marginale mutamento. Confermata la dirigenza: Alessandro Croccolo presidente, Roseo suo vice e Beretta segretario[52], dei rimanenti nove membri del consiglio d’amministrazione soltanto tre erano stati sostituiti. Era rientrato Ferdinando Citella, nel frattempo divenuto segretario del sindacato fascista dei Dottori in Scienze economiche e commerciali[53]; erano stati eletti il gallaratese Dott. Rag. Carlo Gnocchi, deputato al Parlamento, laureatosi nel 1922, ed il milanese Dott. Rag. Giulio Colò, fresco laureato del dicembre del 1925, che aveva discusso la sua tesi con De Magistris, fascista della prima ora[54], docente incaricato di Geografia economica in Bocconi[55]. Sarebbe indubbiamente esagerato parlare di «fascistizzazione» dell’Alub, semmai di un cauto segnale di adattamento a condizioni politiche e culturali ormai irreversibilmente avviate nella direzione del totalitarismo, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti nel giugno del ’24, dopo l’esautorazione del Parlamento e la concentrazione di potere nelle mani di Benito Mussolini, capo del governo e del partito di maggioranza assoluta.

Sette anni dopo, nell’aprile del 1933, con una circolare indirizzata a tutti i soci, il presidente dell’Alub Dott. Rag. Lorenzo Cattaneo, comunicava che la Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti aveva disposto che le Associazioni fra i laureati delle Università Commerciali venissero «assorbite dal Sindacato di Categoria a cui la legge ha demandato il conseguimento delle finalità che esse perseguivano»[56]. Si trattava dell’effetto dell’applicazione della legge Rocco, promulgata il 3 aprile del ’26, con la quale era stato introdotto un rigido controllo statale su ogni attività di libera associazione collegata al mondo del lavoro che veniva assorbita nei sindacati, ai quali era riservata in esclusiva la tutela e la rappresentanza delle varie categorie[57]. Chiudendo la sua lettera circolare, Cattaneo affermava: «In conformità alle direttive tracciate dalle Superiori Gerarchie politiche (…) la nostra associazione che ha espresso dal proprio seno il primo coraggioso e tenace gruppo dei Dottori Commercialisti Milanesi va così ad incorporarsi armoniosamente nel Sindacato Lombardo dei Dottori in Economia e Commercio che, nella mirabile organizzazione dello Stato Fascista ne continuerà la benemerita opera con maggiore efficacia e con risultati migliori»[58]. Negli anni del massimo consenso verso il regime, enfasi e fideismo prendevano il sopravvento sull’orgoglio di appartenenza alla associazione dei laureati della prima Università economica d’Italia, un’associazione che, accanto alle iniziative volte a valorizzare lo status di laureati in scienze economiche e commerciali nell’esercizio della libera professione, fin dai primi anni Venti era intervenuta presso il sistema creditizio per far pesare la superiore competenza dei laureati nei confronti dei ragionieri e separarne le carriere, si era battuta per ottenere l’accesso ai ruoli funzionali della pubblica amministrazione centrale e periferica, per ampliare la lista di discipline all’insegnamento delle quali i laureati bocconiani erano abilitati negli Istituti Tecnici della scuola secondaria, per facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro dei neo laureati ed, infine, si era organizzata per poter venire in loro aiuto con prestiti in caso di necessità[59].

In una lettera inviata all’ultimo presidente dell’Alub Girolamo Palazzina non nascondeva la sua delusione e le sue preoccupazioni: «Pur sperando fermamente che il Sindacato riprenda e rinsaldi la tradizione dell’Associazione, ero ad essa troppo affezionato per non sentire il dolore del suo assorbimento e la preoccupazione che, comprendendo il sindacato laureati di ogni altro istituto, lo «spirito di corpo», così vivo e profondo nei nostri Dottori, possa subire attenuazioni. Il fatto però che un nostro Dottore presieda ancora il Sindacato mi dà la certezza che tutto il possibile sarà fatto perché nell’ambito del Sindacato sia conservata la massima coesione fra i bocconiani»[60]. La spiccatissima identità ed il conseguente «spirito di corpo» evocati da Palazzina, cinque anni dopo strapparono alle massime cariche dello stato la resurrezione dell’Alub. Nel gennaio del 1938, quando i laureati in Economia e Commercio iscritti e organizzati nella Confederazione Fascista dei Professionisti ed Artisti nella penisola assommavano a 2.921[61], la Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’accordo con il Ministero delle Corporazioni, dichiarò di essere favorevole al «ripristino dell’Associazione fra i laureati dell’Università Bocconi»[62].

Sorge il legittimo sospetto che un’azione coordinata fra il bocconiano Dott. Riccardo Riva[63], Segretario generale del Sindacato interprovinciale Fascista dei Dottori in Economia e Commercio di Milano, il rettorato e la vice presidenza della Bocconi riuscissero nell’intento di rianimare una gloriosa associazione che tanto peso aveva esercitato fra il 1907 ed il 1932. Lo statuto, approvato dal Ministro dell’educazione nazionale Bottai[64], prevedeva i seguenti scopi: stabilire e mantenere relazioni amichevoli tra tutti gli alunni laureati della Università Bocconi; facilitare ai soci i mezzi per sostenere le loro cognizioni, e trarne partito a beneficio proprio e della nazione; concorrere ad ogni iniziativa a vantaggio dell’Università[65]. In una relazione inviata al Ministero dell’Educazione nazionale ai primi di marzo del ’40 Girolamo Palazzina scriveva: «Detta Associazione, per un certo periodo di tempo, si fuse nel Sindacato dei Dottori in Economia e Commercio, ma data la profonda diversità fra i compiti e le finalità dei due enti si dovette riconoscere che la fusione non era feconda cosicché tre anni or sono l’Università prese l’iniziativa di promuovere la ricostituzione dell’Associazione e col cordiale consenso delle Autorità superiori l’Associazione, sotto l’egida dell’Università è risorta a vita nuova con lo scopo di mantenere vincoli amichevoli fra i laureati, di svolgere azione di mutua assistenza morale, di stabilire e di intensificare i contatti fra la scuola e la vita, in piena armonia con le direttive segnate dal Ministero dell’Educazione nazionale»[66].

Nel ricostituito Consiglio direttivo il Sindacato designò sei membri, spettando la scelta degli altri tre al Guf di Milano. Ad un mese di distanza, il 12 febbraio il Rettore comunicava la nomina a ciascuno dei prescelti e li invitava a «prendere accordi per una sollecita convocazione del consiglio allo scopo di provvedere alla nomina delle cariche e all’inizio dell’attività». Dei nove bocconiani designati: l’onorevole Boidi, Cardarelli, Croccolo, Frumento, Luporini, Medici, Polastri, Riva e Tagliacarne[67], solo Croccolo aveva fatto parte della dirigenza dell’associazione prima del suo scioglimento. A marzo il consiglio procedette all’elezione di Riccardo Riva a presidente, di Guglielmo Tagliacarne a vice presidente e di Armando Frumento a segretario[68]. Dopo una breve eclissi, la storia dell’Alub riprendeva.


1

Cfr. la sezione Documenti (a cura di M.A. Romani) di Storia di una libera Università, etc., cit., nella quale sono riprodotti il Regolamento per la formazione degli Albi e il primo Albo milanese che contava 20 laureati, 15 dei quali bocconiani.

2

Il primo congresso dei Dottori in Scienze economiche e commerciali, tenutosi a Torino nel 1911, aveva votato una mozione nella quale si auspicava «che la nostra più intelligente magistratura volesse dare a questo irrefragabile diritto dei Dottori in Scienze Commerciali e Licenziati dalle Scuole Superiori di Commercio la legale consacrazione di fatto», cfr. G. Graziani, Memoriale all’on. Consiglio superiore dell’industria e del Commercio per lo formazione dei Ruoli di Curatori di Fallimento, Milano, s.d., p. 4.

3

M. Cattini, Gli studenti, etc., cit., pp. 357-58.

4

Ibidem, p. 356.

5

Cfr. Bollettino ALUB n. 8, gennaio 1915, p. 58.

6

Ibidem, p. 59.

7

Ibidem.

8

Ibidem, p. 103. A norma dell’articolo 11 del Regolamento, l’inizio della pratica doveva essere comunicato per iscritto alla Segreteria dell’Associazione.

9

Cfr. Bollettino ALUB, n. 11, p. 82.

10

Nel 1919 l’Associazione dei Dottori in Scienze commerciali di Torino presentò un Memoriale al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Industria, Commercio e Lavoro ed al Ministro della Pubblica Istruzione col quale presentava i desiderata dei Dottori in Commercio in sintesi riassumibili nella «necessità per ragioni di cultura e di giustizia, di due provvedimenti legislativi: 1. – Dichiarazione che la laurea dei R.R. Istituti Superiori di Commercio abilita all’esercizio della professione in materia di commercio e di ragioneria; 2. – Riconoscimento giuridico dell’Ordine professionale dei Dottori in Commercio. Coll’accoglimento dei due desiderata, il Legislatore darà modo ai Dottori, ora dispersi, di raggrupparsi, di avere una bandiera, un’anima, di costituire un eletto corpo professionale tecnico economico capace di assolvere il grandioso compito che lo attende». Cfr. ASUB. 79/1, I Dottori in Scienze Commerciali nell’esercizio pubblico della professione, Torino 1919, pp. 6-7.

11

Ibidem.

12

Cfr. la lista degli insegnanti nel 1920-21 pubblicata a p. 71 del Bollettino ALUB n. 11.

13

Cfr. I Dottori in Scienze, etc., cit. p. 7.

14

Ibidem, p. 83.

15

Ibidem.

16

Proveniente da Napoli, dopo la laurea con una tesi sul credito mobiliare, si era felicemente trapiantato a Milano dove era stato fra i primi animatori e fondatori dell’ALUB, cfr. Bollettino n. 1, (1907), pp. 11, 13, 16 e sgg. Segretario dell’Ordine venne eletto F. Marmont, laureatosi nel 1919, membri del consiglio A. Vayra, laureatosi a Torino, A. Bezzi, laureatosi a Venezia, B. Spera, laureatosi a Bari e i bocconiani, D. Cardarelli laureatosi nel 1912, A. Cozzetti 1908, C. Curami 1907, G.G. Saporito 1913, E. Staghellini 1910.

17

Sezione Documenti (a cura di M.A. Romani), cit., Albo dei Dottori in Scienze Economiche e Commerciali esercenti la libera professione.

18

Bollettino ALUB, n. 11, p. 83.

19

Ibidem.

20

Cfr. Atti Parlamentari, Legislatura XXV sessione 1919-21, documenti, disegni di legge e relazioni, n. 1339, Proposta di legge d’Iniziativa dei Deputati Fiamingo, Beretta, Ciappi, Troilo, Camerini, Cancellieri, Torti di Valminuta, Caputi, D’Ayala, Ludovici, Tofani, Baglioni S. pp. 1-4.

21

Ibidem, pp. 1-2. Le funzioni professionali dei ragionieri erano state disciplinate con un Regio Decreto emesso il 2 ottobre 1891 e contemplavano: 1° piani di contabilità per aziende private e pubbliche; 2° liquidazioni volontarie, liquidazioni per fallimento, revisione delle scritture, curatele, riparti; 3° divisioni di patrimoni, compilazione dei relativi progetti, piani di graduatorie giudiziali; 4° perizie giudiziarie, norme relative; 5° riordinamento di contabilità arretrate e confuse; 6° revisione di conti.

22

Ibidem, p. 3.

23

Ibidem, p. 3.

24

Ibidem.

25

Ibidem.

26

Ibidem, p. 2.

27

Ibidem.

28

ASUB b. 79/1, lettera del 17 marzo 1921, con la quale il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei Dottori in Scienze economiche e commerciali, da Roma, chiedeva che il consiglio d’amministrazione della Bocconi votasse un ordine del giorno favorevole al disegno di legge presentato da inviare all’On. Avv. Ettore Sacchi, Presidente della 7a Commissione Parlamentare per la legislazione di Diritto Privato, Affari di Giustizia e Culto.

29

Cfr. Bollettino ALUB, n. 11, p. 84.

30

Ibidem.

31

E. Borruso, La società milanese, cit., pp. 22-26.

32

G. Calvi era divenuto capo dell’Ufficio studi economici e finanziari della Comit. Di A. Camporesi, che nel 1916 era presso la Società Umanitaria milanese, non si avevano notizie. V. Ricevuto era Vice direttore della Banca Italiana di Sconto e capo ufficio della direzione centrale di Roma. G.G. Roseo era vice direttore della Comit in Milano. G. De Salvo, tornato nella natia Messina, si occupava di produzione ed esportazione di agrumi ed era presidente del sindacato agrumari messinese. Di V. Zani, laureatosi a Ca’ Foscari, non si hanno notizie. Cfr. Bollettino ALUB n. 11, cit.

33

Dei 25 rimanenti 13 provenivano da Ca’ Foscari, 5 da Torino, 3 da Bari e 2 rispettivamente da Genova e da Roma. Cfr. Bollettino ALUB n. 12, p. 68.

34

Cfr. C. Coniglio, I Collegi dei Ragionieri e l’Ordine dei Dottori in Scienze economiche e Commerciali, Estratto della «Rivista Italiana dei Ragionieri», Città di Castello 1923, p. 4.

35

Cfr. Ibidem, p. 59, verbale dell’assemblea del 9 marzo 1922.

36

Cfr. Bollettino ALUB n. 11, p. 88. Ciappi era anche il Rettore del Politecnico di Roma.

37

Cfr. Bollettino ALUB n. 12, p. 84. Che fossero i soli abilitati all’esercizio di funzioni di assistenza del contribuente nelle controversie tributarie davanti alla Finanza e alle Commissioni amministrative contenziose mediante compilazione da parte delle Intendenze di appositi ruoli approvati dai tribunali e notificati agli uffici finanziari; che venissero chiamati per legge a compiere le funzioni di sindaco, almeno uno per società, e venisse loro riconosciuta la speciale competenza per le aziende commerciali e bancarie, nonché la loro competenza giuridico amministrativa per tutte le aziende; che la magistratura riconoscesse la loro maggiore idoneità comparativa per le procedure fallimentari e di concordato preventivo; che il Ministero del Lavoro, nell’assegnazione degli incarichi e nella formazione dei consigli superiori e delle commissioni, si avvalga dei laureati in Scienze Economiche e Commerciali e che l’Ordine dei dottori venisse riconosciuto come albo ufficiale dei periti conciliatori nelle vertenze fra capitale e lavoro.

38

Ibidem, pp. 83-86.

39

Ibidem, pp. 85-86.

40

Ibidem, p. 87.

41

Franzosi, vice-segretario generale della Federazione nazionale bancari, Cicero, funzionario all’Istruzione, Napolitano, vice-presidente del comitato Olimpico universitario e Musacchio, economo al Consiglio nazionale dell’Associazione Combattenti. Cfr. ASUB. b. 79/1, ritaglio di un quotidiano romano non identificabile del 23 luglio 1923.

42

Cfr. C. Coniglio, I Collegi, etc., cit., p. 5.

43

Ibidem.

44

Il 5 ottobre nell’aula Magna, dopo un saluto introduttivo di F. Citella e una relazione generale di A. Croccolo, prese brevemente la parola B. Mussolini, che al congresso aveva accordato il suo «Alto Patronato». Egli esordì dicendo: «Mi sono ricordato che in tempi lontani sono stato studioso delle vostre discipline, discepolo di un uomo che non a torto poteva essere chiamato Principe degli economisti: parlo di Vilfredo Pareto. La vita ha poi spostato il mio itinerario di viaggio; e non ho potuto approfondire molti problemi che mi avevano interessato: posso dire tuttavia che sono un po’ dei vostri. (…) Avete fatto molto bene e ricordarmi che si deve a questo Governo un Decreto legge col quale voi siete stati elevati in Ordine riconosciuto, avete avuto il vostro posto – il posto che meritavate – nella gerarchia dell’intelligenza e dell’attività». Cfr. Bollettino n. 13, cit., p. 84.

45

Ibidem, p. 89.

46

La prima mozione votata a Trieste dai convegnisti recitava: «… udita la relazione sul movimento professionale… plaude all’attività dei dirigenti tutti in favore della classe ed esprime piena ed incondizionata fiducia alla federazione Nazionale degli Ordini dei Dottori Commercialisti… fa voti perché il Governo Nazionale voglia sollecitamente emanare il regolamento già elaborato», cfr. ibidem, p. 94.

47

Cfr. Bollettino ALUB n. 13, p. 113. A riprova della suscettibilità dei bocconiani a proposito del ruolo e dell’invadenza professionale dei ragionieri, quando ancora la commissione che lavorava al regolamento applicativo della norma quadro del gennaio del 1924 non aveva concluso i suoi lavori, nel novembre del 1925 il segretario del Sindacato Fascista Dottori in Scienze Economiche e Commerciali, il bocconiano Cesare Francia, lamentava con Palazzina che il Corso speciale sulle «Funzioni professionali» attivato per l’anno accademico 1925-26 fosse stato affidato al Rag. E. Greco, «L’Università per questo corso necessarissimo doveva rivolgersi a un dottore professionista, dato che ve ne sono parecchi a Milano che onorano la professione, e non a un ragioniere che oltre l’esiguo valore scientifico rappresenta uno degli avversari maggiori dei Dottori commercialisti». Nel riprendere la questione di lì a qualche giorno, C. Francia affermava: «Il ragioniere Greco è uno degli avversari maggiori dei dottori, (…) uno dei più pericolosi dato che la via mediana, conciliativa che egli cerca e persegue è quella tracciata nel ciabattesco progetto Olivetti-Torrusio, assolutamente contraria alle direttive del Governo. Recentemente S.E. Mussolini ci ha fatto sapere, attraverso alle gerarchie ufficiali, che intende che la professione del dottore sia ben distinta da quella del ragioniere, perciò conciliazioni su questo principio non sono concepibili. I ragionieri rappresentano ancora una forza ragguardevole (…) Mi perdoni se mi sono dilungato ma è la visione grandiosa della nostra professione che mi ha spinto a delle considerazioni non sempre rosee. Ciò che ora urge è eliminare gli equivoci». Cfr. ASUB, b. 160, lettere del 21 e 26 novembre 1925.

48

La sezione di Milano del Sindacato Nazionale Fascista Dottori in Scienze Economiche e Commerciali l’11 maggio 1926 comunicava a G. Palazzina i nominativi dei componenti il nuovo Direttorio: Dott. On. Carlo Gnocchi, Dott. Giuseppe Colli; Dott. Milziade Baccani; Dott. Ferdinando Citella; Dott. Ezzelino Staghellini, Dott. Pierluigi Francesconi, Dott. Alberto Basile, cfr. ASUB, b. 160.

49

C. Coniglio, op. cit., p. 4.

50

A. Cantagalli, La professione del dottore commercialista, in Storia d’Italia Einaudi, Annali 10, I professionisti (a cura di M. Malatesta), Torino 1996, p. 238.

51

Ibidem, p. 239.

52

Era funzionario della medesima società nella quale operava A. Croccolo.

53

Nel novembre del ’29, in occasione del discorso inaugurale tenuto dal Rettore F. Bolchini, F. Citella viene commemorato fra i docenti di «materie tecniche e professionali» defunti, cfr. Annuario 1929-30, p. 23.

54

Brevetto n. 40 dei Sansepolcristi, cioè di quanti parteciparono alla fondazione del «Fascio di combattimento» di Milano il 23 marzo 1919. Cfr. Annuario 1934-35, p. 26.

55

La tesi intitolata «Produzione e commercio del petrolio negli Stati Uniti», cfr. BUB, Catalogo delle Tesi di laurea, 23 dicembre 1925, valse al suo autore il premio Notati. De Magistris, incaricato di Geografia dell’Africa per il 1925-26, subentrò al docente di Geografia economica e Commerciale Bernardino Frescura prematuramente scomparso, cfr. Bollettino n. 13, pp. 101 e 115.

56

ASUB. b. 79/1, 5 aprile 1933.

57

A. Aquarone, L’organizzazione dello stato fascista, Torino 1978, pp. 442-451.

58

ASUB. b. 79/1, 5 aprile 1933.

59

In più di una circostanza, con non celato orgoglio, il presidente dell’Alub A. Croccolo, nelle sue relazioni generali richiamò i successi ottenuti nella difesa dei posti di lavoro dei colleghi minacciati dalla crisi o dal fallimento delle imprese presso le quali erano impiegati. In occasione dell’assemblea del marzo 1926 egli accennò ad alcuni casi pietosi di colleghi ai quali aveva ritenuto doveroso prestare aiuto materiale. In quell’occasione egli propose l’istituzione di un fondo sussidi sulla base di libere ablazioni fatte dai soci più facoltosi. Cfr. Bollettino n. 13, pp. 75 e 77.

60

ASUB. b. 162, lettera del 7 aprile 1933 al Dott. Cattaneo. Con una densa lettera circolare di 5 pagine indirizzata a tutti i laureati residenti nei capoluoghi di provincia lombardi il direttore dell’Istituto di Geografia economica L. De Magistris, d’accordo col Rettore, proponeva la costituzione in ciascuna città di un Centro Laureati Università Bocconi, simile a quello da lui fondato nel 1926 a Bergamo. «Nel più breve tempo possibile si dovrebbe costituire il CLUB della sua città. Uno degli anziani, preferibilmente libero professionista (con studio e telefono) dovrebbe assumere la Direzione. Uno dei più giovani dovrebbe fungere da Segretario. (…) Costituiti i primi Centri, sarà mia premura di comunicare i nominativi ed i domicili dei rispettivi Direttori a tutti gli altri Centri, in modo che il collegamento sia immediato e perfetto. (…) Nel fissare l’orario dei Convegni mensili (nello stile dei rotariani) sarà opportuno evitare coincidenze. (…) È risaputo che la Famiglia dei Bocconiani è formata, nella sua grande maggioranza, da Dottori di provata serietà e di alta preparazione culturale. La stima che accompagna nel mondo utilitario i nostri Laureati è funzione della buona preparazione e della rigorosa selezione. Il famoso «catenaccio» fra il primo e il secondo biennio, se è spavento dei deboli, è massima soddisfazione degli studiosi sul serio. (…) Giova diffondere questa stima e questa sicurezza. È bene che il Rettorato della nostra Università possa seguire l’ulteriore sviluppo scientifico dei migliori ex allievi, per i quali la laurea non significò un decisivo addio ai libri di studio. Effettuata la costituzione del Centro in codesta città, occorre distribuire i temi per i sette od otto convegni che si terranno nei mesi da novembre in poi, esclusi gli estivi. Nessuna limitazione scientifica è desiderata nell’atmosfera di concordia del Regime Fascista. Problemi generali e problemi locali sono all’ordine del giorno. (…) Da parte mia mi impegno di consegnare al Magnifico Rettore l’Istituto dei Centri Bocconiani, non appena avrò certezza della stabilità dei propositi. (…) Come in ogni clinica la diagnosi precisa del male è funzione di competenza, formata di teoria e di esperienza scientifica, così nella vita poliedrica dell’economia delle nazioni i casi patologici sono affrontati con serenità e vinti sicuramente da chi è fortificato dal sapere». Il 14 marzo 1934, con una circolare, il Sindacato Regionale Fascista dei Dottori in Economia e Commercio per la Lombardia avvertiva i membri ch’era stata «costituita un’associazione fra laureati il cui compito e fine non ben qualificato è stato dalla direzione del Partito definito come iniziativa non necessaria. Non si comprende come in uno stato Corporativo come quello Fascista, ove tutte le categorie hanno il loro rispettivo campo d’azione e i cui interessi sono tutelati dallo stato (…) possano costituirsi altre associazioni che, se non sono contro i fini propri dei sindacati, costituiscono dei duplicati inutili e non necessari. (…) Le SS.LL. sono invitate quindi a vigilare sull’osservanza delle istruzioni impartite e a denunciare tempestivamente ogni eventuale tentativo di costituire le associazioni in oggetto». Cfr. ASUB. b. 79/2, Circolare n. 1, Istituto di Geografia economica, il Direttore e ibidem, Circolare n. 3 del 14 marzo 1934.

61

F. Coscera, Professioni ed arti nello stato fascista, Roma 1941, p. 41.

62

Il Rettore Greco ne informa il Segretario del Guf milanese il 12 gennaio, cfr. ASUB. b. 162.

63

Ragioniere, originario di Udine, laureatosi nel 1923, cfr. Bollettino n. 13, p. 56.

64

Invitato dal Vice Presidente G. Gentile, G. Bottai fece una solenne visita alla Bocconi l’8 maggio del 1937, cfr. Annuario 1937-38, pp. 9-12.

65

ASUB. b. 162, Marzo 1938, Statuto dell’Associazione fra i laureati dell’Università «Luigi Bocconi».

66

Ibidem, b. 22/3 2° Relazione del 7 marzo 1940.

67

L’elenco è riportato nella lettera del 12 febbraio 1938, in ASUB. b. 162.

68

Ibidem, Lettera circolare del marzo 1938.

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