Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Insediamento sociale, dinamica delle iscrizioni e delle lauree


Parole chiave: Rettore Gobbi Ulisse

Le informazioni di cui disponiamo a proposito della morfologia sociale dei padri degli universitari italiani iscritti all’anno accademico 1931-32, nel permettere di gettare uno sguardo indiscreto sulla stratificazione dell’élite italiana negli anni in cui il consenso al regime fascista fu più esteso e meno venato di riserve e motivi critici[1], confermano che, a differenza di quelli di Giurisprudenza e di Ingegneria, buona parte degli studenti di Economia e Commercio frequentavano e percepivano l’Università soprattutto come un mezzo di promozione e, dunque, come il primo passo da compiere nel tentativo d’intraprendere una carriera dalla quale ci si aspettavano soddisfazioni economiche e progressi nella posizione di status. A ben guardare, in generale, l’insediamento sociale delle famiglie di provenienza degli studenti di Scienze Economiche e Commerciali era nettamente inferiore a quello dei loro coetanei che frequentavano Giurisprudenza o Ingegneria.

Basta sommare i valori percentuali delle prime e delle ultime tre categorie sociali identificate con l’inchiesta, e l’affrontarli dapprima fra loro e poi con la media generale, per disporre di un’efficace misura dei differenti livelli di provenienza (vedi Figura 3). La maggioranza assoluta (51%) dei padri degli studenti di Giurisprudenza era parte integrante e cospicua della crema della società italiana di quel tempo e, solo per un decimo, si trattava di persone appartenenti ai ceti inferiori. I genitori degli allievi dei Politecnici presentavano una fisionomia un po’ meno polarizzata. Essi rientravano nella fascia sociale superiore per il 46%, e però nella misura non trascurabile del 14% provenivano anche dai gradini più bassi della scala sociale. Ben più modesto, in generale, era il profilo dei padri degli iscritti ad Economia e Commercio. Fra costoro, solo il 26% apparteneva al gruppo alto borghese, vale a dire, in pratica, la metà di quel gruppo di appartenenti al livello superiore distintivo degli allievi di Legge. Per di più, ben il 17% dei genitori degli apprendisti economisti apparteneva ai livelli inferiori della piramide sociale, come dire poco meno del doppio dell’analogo valore calcolato per le famiglie d’origine degli studenti di Giurisprudenza. In conclusione, l’articolazione dei ceti sociali di appartenenza degli allievi delle facoltà economiche risulta perfettamente coerente con l’ipotesi già in precedenza affacciata che molti di loro, nella laurea in Scienze economiche e commerciali, vedessero soprattutto un fattore di promozione sociale.

 

Figura 3 Insediamento sociale dei padri degli studenti universitari italiani iscritti all’anno accademico 1931-1932.

Figura 3

A quest’ultimo proposito, ed in controluce rispetto alle osservazioni sin qui fatte, merita un qualche indugio il profilo sociale delle famiglie di provenienza dei due terzi dei laureati bocconiani che lo studioso francese Musiedlak ha tratteggiato per il periodo 1916-1925[2]. Anzitutto, conviene sottolineare che il campo dei fenomeni indagati presenta per lo meno due rilevanti differenze rispetto ai valori desunti dall’inchiesta sociometrica condotta nel 1931 sulle famiglie di tutti gli studenti universitari italiani. La prima riguarda l’ordine di grandezza dei casi analizzati: dalle svariate migliaia dell’universo universitario nazionale si passa alle alcune centinaia di frequenze reperite per la Bocconi. La seconda difformità si riferisce al non trascurabile divario esistente fra studenti e laureati, laddove – lo si è visto più sopra – nel comparto disciplinare delle scienze economiche, a quell’epoca, i secondi rappresentavano non più del 25% circa dei primi[3].

 

Figura 4 Insediamento sociale dei genitori dei laureati all’Università Bocconi negli anni 1916-1925.

Figura 4

E, tuttavia, le informazioni raccolte dallo studioso francese meritano una qualche riflessione. Fra i genitori di una larga parte dei laureati bocconiani degli anni 1916-1925 (vedi Figura 4) la percentuale di appartenenti all’élite (38%) – in particolare redditieri, dirigenti ed imprenditori – era significativamente superiore a quella (26%) misurata nel 1931 per tutti gli studenti italiani dell’analogo settore. Del tutto simile, per contro, risulta la percentuale di laureati provenienti da famiglie d’insediamento popolare, con una particolare accentuazione per i figli di artigiani, operai e salariati (11%) contro il 4% dell’universo del ’31. Quest’ultima particolarità, orientata all’interclassismo e all’emancipazione di giovani dotati e volonterosi, seppur di umili condizioni, riporta agli ideali ed ai valori coltivati e manifestati fra fine Otto e primi Novecento da Ferdinando Bocconi, nonché da Leopoldo Sabbatini: il magistrale interprete del disegno filantropico e culturale del munifico fondatore.

In effetti, la relativa onerosità delle tasse universitarie annuali che, per fare un solo esempio, nel 1924-25 superavano in valore l’equivalente di due mesi del salario di un operaio milanese attivo nel settore cotoniero[4], fu in parte aggirata da una ben congegnata struttura di borse di studio[5], molte delle quali, nel primo dopoguerra, vennero fondate da privati e da imprese per celebrare la memoria di caduti ed altre, dopo il 1926, assunsero una coloritura politica. Né mancarono consistenti premi di laurea e borse di perfezionamento all’estero per laureandi[6]. Fra il 1916 e il 1925, in Bocconi, due borse su tre vennero conferite a studenti provenienti da famiglie della piccola e media borghesia promuovendo a loro vantaggio una qualche forma d’integrazione sociale[7] che, dopo la laurea, avrebbe ricevuto efficaci rafforzamenti dai progressi realizzati nella personale carriera lavorativa. A questo punto, in controluce rispetto alla dinamica generale delle iscrizioni alle facoltà economiche nazionali e delle relative lauree, conviene considerare gli andamenti delle iscrizioni e delle lauree bocconiane dal 1914-15 ai primi anni Quaranta. Per cominciare, s’impone una osservazione di carattere generale. L’Università commerciale milanese spesso si mosse in maniera discordante, talvolta addirittura contro tendenza, rispetto alla dinamica delle numerose altre facoltà economiche della penisola. Dopo un rialzo vistosissimo dal 1918 al 1920, ed un successivo ripiegamento proseguito fino al 1924, che riportò comunque le frequenze ad un minimo relativo più che triplo rispetto al valore iniziale di riferimento (del 1913-14), a partire dal 1925 un incessante sostenuto processo di crescita contraddistinse le iscrizioni nelle facoltà economiche. Come già si è avuto modo di osservare, dopo un’impennata nel biennio 1919-1920, che precedette il boom di iscrizioni dell’anno 1920, la dinamica delle lauree in Economia e Commercio ripiegò gradatamente fino al 1922, ristagnò dal ’23 al 27 attorno a livelli quadrupli rispetto alle frequenze assunte a termine di paragone (1913-14) e, da allora in avanti, giuste le osservazioni di Gustavo Del Vecchio, conobbe un veemente sviluppo fino al 1936, quando si stabilizzò attorno ad una quota altissima, pari a circa nove volte i valori della vigilia della Grande Guerra. Si tratta di una dinamica davvero impressionante alla quale la Bocconi offrì un contributo poco più che trascurabile.

 

Figura 5 Iscrizioni e lauree all’Università Bocconi dal 1914-1915 ai primi anni quaranta.

Figura 5

Nell’Università commerciale milanese, l’andamento delle iscrizioni, pur più pacato di quello nazionale, cresciuto nel biennio 1918-19, ripiegò gradualmente in seguito lungo una dozzina d’anni, fino al 1933. Ulisse Gobbi, nel dar conto da Rettore degli avvenimenti salienti della vita universitaria dell’anno accademico 1931-32, notava che, ai dodici Istituti Superiori di Scienze economiche esistenti in Italia, se ne era aggiunto un tredicesimo proprio a Milano, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, senza tuttavia che le immatricolazioni bocconiane del ’32-’33 ne avessero scapitato[8]. Per sei anni, dal 1934 al ’39, quando a livello nazionale si stabilizzarono a quote altissime, le matricole dell’Università commerciale arrivarono a raddoppiare.

In sostanza, con quasi un decennio di ritardo sulla cronologia generale tenuta da quel settore disciplinare, nell’Università commerciale milanese si profilò l’avvio di una scalata delle iscrizioni. Non è facile risalire alle cause di un andamento tanto anomalo. Se l’analisi sin qui condotta è corretta, sembra che l’area milanese e lombarda abbiano risentito meno del malessere occupazionale dei ragionieri e non v’è dubbio che la notoria durezza del curricolo di studi abbia lungamente funzionato tanto da formidabile deterrente in entrata, quanto come fattore di allontanamento, in uscita, di quegli studenti che restavano impaniati nella trappola del «catenaccio».

All’inizio degli anni Trenta, in un’ampia relazione attorno alle attività istituzionali, il Rettore Gobbi notava: «Che (la nostra Università) sappia mantenere la sua tradizione di severità negli studi è provato dal fatto che il numero dei laureati è circa un terzo di quello degli iscritti al primo corso quattro anni prima»[9]. In effetti, su 466 iscritti nel biennio 1926-27, erano riusciti a laurearsi solo 153 studenti, vale a dire il 32,8%[10]. Il Rettore concludeva le sue osservazioni in proposito dichiarando: «Con dispiacere ho dovuto negli scorsi giorni firmare parecchi fogli di congedo di studenti che dopo il 2° corso, non avendo superato tutti gli esami, si trasferiscono in uno degli istituti in cui tale condizione non è richiesta per l’ammissione al 3° corso. E il dispiacere deriva dal vedere come vi siano studenti i quali non comprendono che quella norma è nel loro interesse, perché assicura l’efficacia della loro preparazione ad approfittare degli studi successivi. Del resto coloro che credono di evitare la perdita di un anno si trovano poi delusi, perché, aggravati alla fine del quarto anno di esami su materie dei corsi precedenti, finiscono inevitabilmente a rinviare la laurea»[11].

Ancor più delle iscrizioni, le frequenze delle lauree mostrano un andamento relativamente simile, seppure attenuato, a quello della serie storica nazionale solo attorno agli estremi cronologici, cioè dal 1914 al 1922 e dal 1938 al 1941. Un prolungato ristagno delle frequenze delle lauree, durato dal 1923 al 1937, in netta contro tendenza rispetto al profilo della serie nazionale depurata dei casi bocconiani, non fece che ridimensionare il peso relativo dell’istituzione milanese nel concerto delle Facoltà economiche della penisola. Se, dal 1914 al 1922, i milanesi costituivano poco meno della quinta parte di tutti gli addottorati in Economia e Commercio d’Italia, alla metà degli anni Venti erano ridotti al dieci per cento e, alla fine degli anni Trenta, rappresentavano a malapena la quindicesima parte dei circa 1.500 studenti che annualmente conseguivano un diploma di laurea in Scienze economiche e commerciali.

La severa selezione, cui orgogliosamente accennava Ulisse Gobbi nel suo discorso inaugurale dell’anno accademico 1931-32, può essere misurata con buona approssimazione, tanto col semplice sistema da lui utilizzato per calcolare la percentuale di successi – i laureati – su tutti gli iscritti di quattro anni prima, nell’ipotesi che trasferimenti in uscita ed abbandoni superassero ampiamente i trasferimenti in entrata da altre Università, quanto misurando, in capo ad ogni insegnamento impartito, la percentuale d’insuccessi agli esami di profitto sostenuti nella sessione estiva ed in quella autunnale. Per accertare empiricamente il fondamento della lamentata difficoltà di «sbiennare», ricorrentemente affacciata dagli studenti, ho deciso di riprodurre in una tabella il piano generale degli insegnamenti dell’anno immediatamente seguente l’abolizione del «catenaccio» corredandolo delle percentuali d’insuccesso computate assommando i valori dei risultati degli esami sostenuti in entrambe le sessioni.

Più di un quinto (21%) delle oltre 3.500 prove d’esame sostenute nell’anno accademico 1936-37 dai poco più di mille studenti bocconiani si concluse con una bocciatura. Si tratta di una media generale davvero pesante: un esame su cinque da ripetere verosimilmente equivale ad un allungamento del curricolo superiore ad un anno. Se, però, si osserva attentamente il quadro riepilogativo offerto dalla tabella qui riportata, non si può fare a meno di notare un netto divario di rischiosità fra le prove da sostenere al termine dei corsi del primo biennio e quelle affrontate da quegli studenti che, sbarazzatisi dell’odiato «catenaccio», erano finalmente riusciti ad approdare al terzo anno. Sulla strada del passaggio agli esami del quarto, dinanzi a loro si paravano solo due prove non poco rischiose: quella di Politica economica e finanziaria (24% di insuccessi) e quella di Tecnica mercantile (20,3%). Per contro, gli esami del quarto corso non presentavano problemi, eccezion fatta per la prova di Politica economica e finanziaria II, col Professor Giovanni Demaria, che una volta su dieci portava ad una bocciatura.

 

Tabella 6 Risultati degli esami di profitto (medie percentuali dei respinti per esame e per corso) 1936-37.

1° corso

(28,3)

2° corso

(18,8)

3° corso

(9,1)

4° corso

(2,7)

Economia politica

27,2

Economia politica

20,3

Diritto tributario

0,8

Politica econ. e fin.

9,3

Statistica

29,1

Scienza delle Finanze

16,8

Diritto commerciale

4,2

Tecnica industriale

2,4

Matematica generale

23,8

Statistica econ. e demografica

15,1

Storia economica

5,5

Diritto corporativo*

0

Ragioneria generale

49,5

Geografia economica

16,4

Tecnica mercantile

20,3

Diritto internazionale

3,7

Diritto pubblico

18,6

Matematica finanziaria

13,7

Economia dei trasporti

0

Merceologia

1,1

Diritto privato

22,8

Ragioneria gen. e applicata

44,3

Merceologia

12,5

Politica coloniale*

0

 

 

Tecnica bancaria

16,2

Politica econ. e fin.

24,0

Ragioneria professionale*

0

 

 

 

 

Diritto amminist.*

6,1

Cultura militare

0

 

 

 

 

Diritto proc. civile*

5,8

 

 

 

 

 

 

Economia dell’agric.*

0

 

 

 

 

 

 

Istituzioni comm. Germ.*

0

 

 

 

 

 

 

Lingue (due esami)

14,2

 

 

Fonte: Annuario 1937-38, pp. 39-44. * corsi complementari.

 

A dire il vero, alla luce dei valori percentuali calcolati sugli esami del primo biennio, si può ben dire che l’itinerario di studi dei bocconiani fosse duro ed accidentato fin dall’inizio; il che spiega in maniera esauriente quali e quanti insuccessi fossero all’origine di quelle richieste di trasferimento ad altra sede che Ulisse Gobbi lamentava nel suo solenne discorso inaugurale nel novembre del 1932. Al primo anno, la media generale di insuccessi già elevata (28,3%) conosceva un massimo del 49,5% con l’esame di Ragioneria tenuto dal Professor Gino Zappa attorniato dai suoi assistenti Tommaso Zerbi, Stefano Cappelletti e Giorgio Pivato[12]. E non si dimentichi che nei tardi anni Trenta, a giudicare dal titolo di studio col quale si erano immatricolati in Bocconi quelli studenti che arrivarono alla laurea, nove volte su dieci si trattava di licenziati da un Istituto Tecnico per Ragionieri[13] e, dunque, almeno in teoria, di giovani che vantavano un’infarinatura di scritture contabili per la tenuta del giornale e del mastro e per la redazione del profitti e perdite e dello stato patrimoniale.

Fra i sette esami del secondo anno, sorprendentemente, il meno selettivo era quello di Matematica finanziaria e, di nuovo, quello di gran lunga più arduo (44,3% d’insuccessi) era Ragioneria generale e applicata II del terribile Professor Zappa e della sua «compagnia degli zappatori», come gli studenti avevano soprannominato i suoi collaboratori[14]. Persino il biennale Geografia economica aveva una media di 16,4 bocciature ogni cento prove, che lo allineava per difficoltà ad altri insegnamenti come Statistica economica e demografica (5,1%) o come Tecnica bancaria (16,2%) e Scienza delle Finanze (16,8%). Si ha insomma l’impressione che un generale clima di rigore, che peraltro aveva solidissime tradizioni, distinguesse il biennio bocconiano – un vero e proprio caso unico nella penisola – assimilandolo nella feconda immaginazione studentesca a quello celeberrimo d’Ingegneria, il primo biennio universitario per antonomasia selettivo.

Anche la distribuzione delle prove d’esame sull’arco del tempo, fra i quattro appelli allora previsti per gli studenti in corso distribuiti equamente fra estate ed autunno, corredati di prolungamenti strappati ai docenti, d’accordo con il Segretario generale Palazzina, che si spingevano in avanti fino alla seconda metà di agosto e fino a dicembre, non è meno indicativa di quali esami pretendessero una più paziente ed accurata preparazione. Fra gli insegnamenti del primo biennio, la maggior parte degli studenti rimandava all’appello autunnale Ragioneria generale e applicata I, Diritto finanziario e Scienza delle Finanze, Geografia economica, un insegnamento biennale dal programma vastissimo, e Ragioneria generale e applicata II.

Anche le medie delle votazioni riportate agli esami, disaggregate per anni di corso, testimoniano tanto le difficoltà affrontate dagli allievi, che nella stragrande maggioranza dei casi riportavano punteggi compresi fra 18 e 26, quanto la severità dei membri delle commissioni d’esame. Nelle prove degli insegnamenti del primo anno sostenuti nell’estate e nell’autunno del 1937 ben l’85% degli allievi riportò votazioni comprese fra 18 e 26. Negli esami delle discipline del secondo anno, la quota di votazioni inferiori a 27 scese al 75%. Riguadagnò il 78% per l’insieme dei corsi del terzo anno e, di nuovo, si abbassò al 68% in occasione delle prove di profitto degli insegnamenti del quarto anno, molti dei quali erano complementari. Del resto, i calcoli che sono stati fatti sulle medie dei voti riportati nelle materie scientifiche da quegli allievi che giunsero alla laurea hanno mostrato per decenni una sostanziale costanza attorno a poco più del 24, senza che la cultura assorbita nella scuola media di provenienza riuscisse ad esercitare una qualche influenza sulle medie dei voti[15]. Da ultimo, vale la pena di osservare che anche nella distribuzione delle votazioni degli esami di laurea i docenti bocconiani non si mostrarono né indulgenti, né generosi. Nel corso del decennio 1921-1930 il 52% degli addottorati riportò votazioni comprese fra 66 e 98, nel decennio seguente 1931-1940, prima che l’entrata in guerra del nostro paese alterasse ritmi e frequenze delle iscrizioni, degli esami e delle lauree, la percentuale di votazioni comprese entro il limite di 98 su 110 salì al 56,6%, con un peggioramento non trascurabile del livello qualitativo dei laureati.

Esiste un ultimo modo per misurare, seppur indirettamente, le crescenti difficoltà incontrate dagli studenti bocconiani per portare felicemente a compimento il loro itinerario di studi con la discussione della tesi di laurea. Esso consiste nel misurare in mesi il tempo mediamente intercorso fra il giorno dell’immatricolazione e quello dell’esame di laurea. Come già si poté costatare per gli studenti laureatisi entro il 1914[16], la grande maggioranza completava il proprio itinerario curricolare in un tempo compreso fra 44 e 50 mesi dal momento in cui aveva fatto il suo ingresso nell’Università. Col passare del tempo, però, gli studenti che riuscirono a prendere la laurea entro quel lasso relativamente breve di tempo diminuirono sensibilmente e progressivamente. Dal 61% degli anni precedenti la Grande Guerra, nel decennio 1925-34 scesero al 55,7% e ripiegarono addirittura al 42,1% nei difficili anni 1935-43 (vedi Figura 6).

 

Figura 6 Frequenza della durata degli studi (in mesi) dei bocconiani laureatisi fra il 1925 e il 1943.

Figura 6

Si è, insomma, al cospetto di un ulteriore sintomo del processo di peggioramento delle condizioni nelle quali versavano gli studenti, specialmente a partire dalla metà degli anni Trenta. L’allungamento dei tempi pretesi per completare il ciclo di studi nell’Università commerciale milanese è ben testimoniato dalla sensibilissima crescita delle percentuali di studenti che impiegarono da 51 a 72 mesi per approdare alla laurea: erano stati il 17% entro il 1914, divennero il 31,7% negli anni 1925-34 ed addirittura il 40% fra il 1935 ed il 1943. Non v’è dubbio che la lamentata crescente presenza di studenti lavoratori ebbe un notevole peso nell’allungare la permanenza in Bocconi di quegli iscritti che non abbandonarono gli studi o che rinunciarono a trasferirsi in sedi meno esigenti e selettive.


1

R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, p. 54.

2

D. Musiedlak, Université privée et formation de la classe dirigeante: l’exemple de l’Université L. Bocconi de Milan (1902-1925), Parigi-Padova 1990, p. 75 e sgg.

3

Nel periodo 1914-1922, sui 3853 laureati italiani in Econ. e Comm, i 582 bocconiani rappresentavano il 15,1%. I dati utilizzati nel confronto sono desunti da ISTAT, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico 1945-46, Roma 1948 e da T. Bagiotti, op. cit. p. 253.

4

D. Musiedlak, op. cit., p. 78, nota 9.

5

In una relazione generale inviata al Ministero dell’Economia Nazionale nel marzo del 1928, vennero descritte 28 diverse borse i cui importi annuali oscillavano fra 3.500 e 400 lire. Da parte sua, l’Università accordava l’esonero dalle tasse universitarie ai beneficiari delle borse e, in più, concedeva a studenti capaci e bisognosi 10 esoneri dalle tasse annuali. Cfr. ASUB. b. 22/3, Relazione al Ministero del 26 marzo 1928, p. 8.

6

In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1931-32, il Rettore Ulisse Gobbi dichiarava: «L’incoraggiamento alla scelta di elementi superiori, anche se in condizioni finanziarie modeste, è dato dalle borse di studio e dai premi. Un premio straordinario intitolato ad «Ugo Pepe» fu assegnato ai laureati Ferdinando Pedroni, per una tesi di laurea «Il pensiero economico di Benito Mussolini», e Tommaso Zerbi per una su «Mussolini economista: politica demografica e politica rurale». Un premio di lire 3.000 intitolato a Massimo Notari fu diviso fra i laureati Aldo Spattini («Aspetti economici del Veronese») e Angelo Vernetti Blina (« La Spagna economica e le relazioni commerciali ispano-italiane»). Al laureato Gastone Barsanti fu assegnato un premio di L. 5.000 dall’Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, in seguito a concorso da esso bandito fra i laureati nel 1929-30 in tutte le Università e Istituti Superiori italiani che avessero trattato temi di carattere statistico. Un altro nostro laureato, il Dott. Alfredo Vernucci, vinse una delle tre borse di perfezionamento all’estero poste a concorso dalla fondazione Bonaldo Stringher. Il Direttorio del Sindacato regionale Fascista dei Dottori in Economia e Commercio ha deliberato che ai laureati con lode nella nostra Università venga conferita una medaglia d’oro. Un premio di lire 1.000 istituito dal Consiglio provinciale dell’Economia di Bolzano verrà assegnato allo studente di Bolzano iscritto alla nostra Università che nel 1931-32 svolga la migliore tesi in materia coloniale. Il nostro laureato Dott. Carlo Pagni, assistente volontario all’Istituto di Economia, ottenne una delle borse di studio della Fondazione Rockefeller per studi di perfezionamento in America. Questi riconoscimenti, come devono valere di incoraggiamento agli studenti, così confortano chi dirige l’Università a mantener fede all’elevato carattere scientifico dell’insegnamento che vi è impartito». Cfr. Annuario 1931-32, p. 9.

7

Ibidem, pp. 82-83.

8

Cfr. Annuario 1932-33 p. 6. In una relazione inviata al Ministero il 15 febbraio 1934 circa l’attività dell’anno accademico 1932-33, il Rettore scriveva: «Alla fine dell’anno, 63 allievi (su 520 iscritti) non promossi hanno chiesto il congedo per trasferirsi ad altri Istituti superiori di scienze economiche e commerciali (precisamente 22 a Torino, 6 a Genova, 6 a Venezia, 8 a Bologna, 2 a Roma, 1 a Bari, 14 all’Università Cattolica del Sacro Cuore), 4 invece hanno cambiato facoltà, trasferendosi 3 alla Regia Università di Milano – Facoltà di Giurisprudenza – e uno a Parma alla stessa facoltà» (ASUB. b. 274). Si veda il saggio di M.A. Romani sull’inutile battaglia combattuta da G. Gentile nell’intento di evitare che la Cattolica invadesse a Milano il campo dell’Economia e Commercio.

9

Cfr. Annuario 1931-32, p. 8.

10

Ibidem.

11

Ibidem, pp. 8-9.

12

Cfr. Annuario 1937-38, pp. 19-22.

13

Cfr. T. Bagiotti, op. cit., p. 257, Tabella 2.

14

Così L. Lenti, Le radici nel tempo passato al presente e futuro, Milano 1983, p. 45.

15

AA.VV. (a cura dell’ALUB), Nel primo quarantennio di vita dell’Università, Milano 1941, p. 38, Tabella 4.

16

M. Cattini, Gli studenti, cit., p. 336.

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