Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

L’università Cattolica


Parole chiave: Riforma Gentile, Rapporti istituzionali

Determinante nell’innescare il processo che si è appena descritto, la riforma Gentile ebbe effetti altrettanto decisivi per il definitivo insediamento dell’Università Cattolica.

Il relativo progetto aveva avuto una lunga gestazione, in corrispondenza, d’altra parte, con l’attivazione fuori dai confini, in Europa e oltre Atlantico, di vari istituti superiori dotati di quella particolare configurazione. In Italia la questione aveva assunto connotati specifici a causa dei peculiari rapporti tra Stato e Chiesa succeduti al processo risorgimentale e delle conseguenti condizioni del mondo cattolico entro la nuova compagine nazionale. Non scartata in linea di principio, nel 1872, da un liberale come Correnti, il quale, in occasione della discussione parlamentare sull’abolizione delle Facoltà di Teologia, aveva affermato di preferire un’«antitesi», dichiarata, «compiuta, sincera, vigorosa», ad una «fiacca e reciproca condiscendenza di sottintesi», l’ipotesi di un ateneo dipendente dall’autorità pontificia era stata invece radicalmente esclusa nella medesima occasione da Ruggero Bonghi, «in quanto istituzione potenzialmente eversiva perché dipendente da un potere ostile allo Stato»[1]. E che non si fosse trattato, da parte sua, solo di petizioni di principio, era risultato chiaro qualche tempo dopo, quando, come ministro della Pubblica Istruzione, aveva dovuto affrontare il problema di quella sorta di «anti-università»[2] che si era costituita a Roma, in seguito al distacco dalla Sapienza dei docenti che avevano rifiutato di giurare fedeltà al re ed alle leggi del nuovo Stato. Insediatisi presso il palazzo Altemps, costoro avevano attivato vari insegnamenti, riuscendo a sottrarre all’ateneo romano una quota non irrisoria di studenti. Riuscita vana la speranza che l’episodio di esaurisse da sé, considerato anche come parte degli iscritti fossero privi della licenza liceale, Bonghi aveva dichiarato nel marzo 1876 l’università vaticana illegale, provvedendo alla sua chiusura[3].

Rapidamente esaurito quell’unico e d’altronde molto specifico tentativo, l’ipotesi di dar vita anche in Italia ad una università cattolica si era successivamente inserita nella più generale aspirazione ad una scuola libera che costituiva uno degli assi portanti dell’azione rivendicativa del cattolicesimo organizzato in quei decenni. Oggetto di interventi e di ordini del giorno in vari congressi cattolici, l’appello era stato tuttavia a lungo avanzato «più come affermazione di principio o come aspirazione ideale che come ipotesi realistica»[4]. Fu sostanzialmente ancora in quei termini, ma con accresciuta evidenza, che se ne parlò nel corso del XV Congresso cattolico italiano svoltosi a Milano tra la fine di agosto ed i primi giorni del settembre 1897. Argomento di una specifica relazione, tenuta dal bresciano Angelo Zammacchi, il tema fu oggetto di un acclamatissimo intervento del direttore dell’«Osservatore cattolico» Davide Albertario, che, contro la «vera tirannide» dell’insegnamento universitario «dispensato esclusivamente dallo stato» e perché si seguisse finalmente anche in Italia l’esempio di Lovanio, delle università libere francesi e della piccola e tenace Friburgo, aveva tenuto mesi prima un discorso in Arcivescovado, ampiamente riportato, con gran rilievo, il giorno dopo, sul suo giornale[5], e quindi ripreso, oltre che da altri organi cattolici, dalla rivista bresciana «Fede e scuola», fautrice a sua volta da qualche tempo della medesima causa[6]. L’obiettivo di Albertario, per sua stessa ammissione, non andava per il momento oltre quello della affermazione di un «dovere» e dell’esigenza «di renderlo popolare». Suonava in tal senso anche l’ordine del giorno da lui presentato e approvato «tra fragorosi applausi» a Milano in settembre, dove si prevedeva inoltre che «a titolo di preparazione» si fondassero «nelle città, sedi di Università e d’Istituti superiori, dei corsi speciali», secondo quanto si era già fatto in qualche luogo[7]. Anche se si cominciarono a raccogliere fondi ed offerte, le idee sulle concrete procedure da seguire e sulla formula organizzativa alla quale tendere restavano ancora nebulose e indeterminate.

L’esigenza di un rafforzamento della cultura cattolica italiana, riconosciuta carente rispetto a quella di altri paesi sul piano delle diverse scienze, emerse d’altra parte con particolare rilievo nel corso del Congresso internazionale dei cattolici svoltosi a Friburgo nell’agosto 1897, al quale, contrariamente a quanto era accaduto negli anni passati nelle medesime occasioni, fu presente anche una non foltissima, ma comunque significativa delegazione italiana, comprensiva fra gli altri dell’allora dottore dell’Ambrosiana Angelo Ratti, di Giovanni Semeria, di Salvatore Minocchi, di Giuseppe Toniolo. Tra i reduci di quell’esperienza, fu soprattutto Semeria a trarre le conseguenze della situazione di inferiorità che ci si era visti rinfacciare, e sulla quale non si era d’altronde potuto non convenire, e a porre conseguentemente con decisione l’esigenza di creare le condizioni affinché anche nell’ambito del cattolicesimo italiano diventasse possibile formare «scienziati veri», cioè «specialisti», con particolare riferimento alle «scienze storiche e biologiche». Un obiettivo che Semeria collegava a quello dell’istituenda università e rispetto al quale cercò di acquisire l’assenso di Romolo Murri, il quale in effetti aderì, impegnandosi a sua volta nella ricerca di consensi e mettendo a disposizione del progetto (che avrebbe dovuto prendere le mosse dall’attivazione di un sistema di borse di studio per giovani laureati, ponendo l’università come obiettivo finale) la sua «Cultura sociale»[8]. Le riserve di Albertario e Meda, contrari ad una «speciale organizzazione», e l’adesione, a quanto sembra, molto parziale, di Toniolo, unite alle riserve di altri, come il torinese Luigi Caissotti di Chiusano, nient’affatto persuaso dell’opportunità di concentrare le poche forze per il momento a disposizione in un unico ateneo, lasciando di necessità sguarnite di docenti cattolici le altre università del Regno, fecero sì che del progetto non si facesse per il momento nulla, anche se indubbiamente esso comportò un maggior grado di maturazione del problema ed una migliore consapevolezza di che cosa avrebbe implicato affrontarlo.

Era d’altra parte molto dubbio che un tema quale quello di un ateneo cattolico potesse acquistare un’effettiva consistenza organizzativa sullo sfondo della crisi di fine secolo dapprima, della tempesta modernista e dei suoi contraccolpi, poi. Ed anche nel contesto pur progressivamente mutato, nel corso dell’età giolittiana, dei rapporti tra i cattolici e lo Stato italiano, chi ritornò sull’argomento, per illustrarlo e sostenere l’opportunità di una soluzione, continuò ancora a farlo prevalentemente in termini di principio, non potendo ancora impegnarsi in maniera più concreta per la sua realizzazione.

Andava visto in parte ancora in tale ottica il primo intervento, del maggio 1907, di colui che invece dell’idea si sarebbe fatto, in anni successivi, il principale attuatore e promotore: il francescano Agostino (al secolo Edoardo) Gemelli. All’epoca trentenne, questi aveva alle spalle un passato particolare. Milanese, di genitori anticlericali, dopo gli studi liceali si era iscritto a Medicina a Pavia, laureandosi nel 1902 con Golgi, del quale era diventato assistente, avviandosi ad una carriera scientifica per la quale era sicuramente dotato e che tutto lasciava prevedere brillante. Militante socialista, redattore del settimanale locale «La Plebe», Gemelli era stato in prima fila nei tumulti del maggio ’98, che a Pavia erano stati particolarmente aspri. La conversione (che suscitò tempeste familiari e trovò echi nella stampa)[9], forse propiziata dalla costante vicinanza dell’amico e compagno di studi Lodovico Necchi, era intervenuta l’anno successivo alla laurea, durante il periodo di servizio trascorso presso l’Ospedale militare di Milano (allora collocato proprio entro l’ex convento di Sant’Ambrogio dove avrebbe trovato la sua seconda e definitiva sede la «sua» Università). Ed era stata di poco successiva la decisione di entrare nell’ordine francescano. Una drastica soluzione di continuità rispetto alla sua precedente esistenza, che non aveva però cancellato né gli interessi per la ricerca positiva, spostati dal campo istologico e neurologico a quello della psicologia sperimentale, né lo spirito fortemente militante, rinsaldato e reso anche più ardente e incondizionato dalle raggiunte certezze religiose. A far da supporto filosofico al nuovo equilibrio ritrovato era intervenuta la filosofia neoscolastica, in quanto capace di «superare l’agnosticismo» e di accogliere tutte le legittime «esigenze del metodo positivo», non cadendo nell’«errore fondamentale della critica moderna» di «confondere il carattere di relatività della conoscenza considerata come uno stato psicologico colla relatività della conoscenza in se stessa». Provata «l’esistenza di un ordine assoluto», si apriva la via «ad una ricostruzione del sapere universale, ad una sintesi che abbracci in un unico tutto ed accordi insieme il pensiero teoretico colle dottrine pratiche, la filosofia colla morale e colla religione, la scienza colla fede»[10].

Era quest’ultimo, nella sostanza, il punto fondamentale. Uno dei maggiori fattori di debolezza del cattolicesimo rispetto alla società contemporanea (Gemelli poteva rendersene tanto meglio conto avendo conosciuto dall’interno, e praticato, lo scientismo positivista) era rappresentato dalla sua possibile esclusione dall’ambito, per tanti versi decisivo, dei processi scientifici. Come se davvero questi rispecchiassero una diversa logica e attestassero di un inevitabile accantonamento e superamento dell’idea religiosa. Guai dunque a non reagire. L’occasione per esprimersi in pubblico al riguardo (Gemelli all’epoca era ancora professo, ma fu fatto uno strappo alla regola, segno del credito che gli si faceva) venne dall’incarico di tenere una relazione al primo Congresso della Fuci che si sarebbe tenuto a Milano nel 1907, relazione poi pubblicata sulla rivista del gruppo. In quel testo Gemelli, che nel frattempo aveva incontrato a Lovanio il cardinale Mercier, conosciuto qualche mese prima a Milano presso il cardinale Ferrari, pose due esigenze, tra loro collegate: quella di sviluppare anche da parte dei cattolici italiani un «largo movimento» di studi scientifici con il quale dimostrare, con la prova dei fatti, che tra scienza e fede non esisteva conflitto, e quella di porre lo scienziato cattolico nelle condizioni «speciali», indispensabili per lo svolgimento delle sue funzioni, assicurandogli, quindi, una sufficiente indipendenza da chi rappresentava «tendenze diverse dalle sue», garantendogli i mezzi necessari, circondandolo di «cooperatori» e «scolari» che ne verificassero i risultati, ne estendessero le applicazioni, approfittassero dei «nuovi orizzonti» da lui aperti «per istituire nuove ricerche». Perché lo scienziato cattolico potesse «esplicare efficacemente la sua attività», sarebbe stata insomma necessaria «una vera organizzazione scientifica»: e Gemelli escludeva che questa potesse essere trovata entro le strutture pubbliche esistenti:

 

Né dica alcuno che poco male vi ha nel non avere, per esempio, un’università cattolica, perché alla fin fine i nostri scienziati, mercé la libera docenza e mercé gli istituti scientifici delle nostre università possono liberamente estrinsecare la loro attività. Non si dica questo, (…) perché chi conosce le condizioni attuali della libera docenza in Italia, chi sa quali sono le condizioni che rendono possibili la carriera universitaria, sa pure che ad un cattolico, che voglia essere integralmente tale e non voglia rinunciare ad alcuna delle proprie idealità, tale via è, per lo più, completamente ed assolutamente chiusa.

 

Anche Gemelli, non diversamente da Albertario dieci anni prima, prendeva atto dell’impossibilità per il momento, nelle particolari condizioni italiane, di porre concretamente il problema di una specifica università, che, se anche si fosse riusciti a finanziare, si sarebbe trovata vuota di insegnanti e di scolari, «richiamati altrove, gli uni e gli altri da condizioni più favorevoli». Ma si poteva intanto pensare, seguendo il suggerimento datogli da Mercier, ad un particolare «istituto scientifico», collegato direttamente alla Santa Sede, «dalla quale riceverebbe l’indirizzo e l’impulso per i suoi lavori»; un istituto da strutturare come

 

un severo asilo nel quale sacerdoti e laici, dopo aver terminato gli studi professionali ed elementari, avessero a trovare dei maestri che li aiutassero nell’approfondire le questioni più diverse. In questo istituto dovrebbero trovar modo di compiere le loro ricerche come scienziati e di insegnare come maestri quegli uomini aventi realmente una vocazione scientifica, che avessero mano a mano a manifestarsi.

 

Quanto alle discipline da coltivare, non si doveva pensare alle sole scienze religiose, ovviamente fondamentali:

 

a nessuna scienza si dovrebbe chiudere la porta. Anzi toccherebbe a questo Istituto fare ogni sforzo per arricchire e sviluppare tutte le scienze, sia di quelle che più direttamente servono alle scienze religiose, come la storia, la linguistica, l’archeologia, la filologia, ecc., come di quelle che le servono solo indirettamente, come la biologia, la chimica, la fisica, la matematica, l’astronomia, ecc.

 

Rilanciata l’idea, identificato in un «focolaio di insegnamento superiore»[11], quale quello così delineato, la possibile formula organizzativa, Gemelli lasciava per il momento che essa fermentasse, dedicandosi peraltro ad iniziative che non andavano in direzioni diverse: a cominciare dalla fondazione, alla fine del 1908, della «Rivista di filosofia neo-scolastica», ricalcante dunque fin nel nome quella fondata a Lovanio, quindici anni prima, da Mercier. Seguì, sei anni più tardi, l’avvio di «Vita e pensiero», aperta dal notissimo articolo programmatico nel quale si rivendicava a proprio modello «quella organica unità, che si riteneva realizzata nel medioevo, fra i vari momenti e aspetti della cultura e della vita», in reazione al carattere «frammentario e disorganico»[12], attribuito al pensiero laico e al mondo moderno.

La trasfusione di un simile programma, e della carica promozionale e missionaria che esso conteneva, entro le strutture di una specifica organizzazione dedicata all’alta formazione sarebbe avvenuta nel primo dopoguerra, non senza che vi influisse l’esperienza direttamente vissuta da Gemelli nel corso del conflitto presso il Comando supremo, dove impiantò un laboratorio di psicofisiologia sperimentale, facendosi promotore, nel 1916-17, in analogia a quanto stava avvenendo in Francia, di un Comitato per la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore di Gesù. Grazie anche ad un ingentissimo sforzo organizzativo e al «numero impressionante di circolari destinate ai cappellani, ai preti combattenti, agli ospedali da campo, nonché di immagini, immaginette e cartoline offerte e militari e a civili», a cui si aggiunse anche un apposito bollettino mensile[13], l’iniziativa ebbe un esito assai ampio, non riducibile, per chi l’aveva ispirata, al solo dato devozionale, assumendo al contrario il carattere di una aperta «offensiva spirituale» con la quale affermare la subordinazione degli eventi, e degli uomini chiamati a parteciparvi, ad un «disegno superiore»; quello stesso che sarebbe stato additato una volta superata la prova del conflitto: «la trasformazione cristiana della patria nostra, il suo ritorno a Gesù Cristo»[14].

A tanto avrebbe dovuto servire l’istituenda Università: rispetto alla quale, come è stato chiarito[15], Gemelli non si attenne ad ogni passo ad un unico modello, continuando a coltivare l’idea dell’istituto di perfezionamento maturata nel 1907 anche dopo essere approdato alla nozione di una effettiva struttura universitaria, peraltro concepita in funzione della formazione di «una élite culturale, sociale e religiosa» con il compito di «determinare la rinascita cristiana della società», continuando a richiamarsi in questo, esplicitamente, al discorso del 1886 di mons. D’Hulst dove le università cattoliche venivano definite come dei «focolai scientifici cristiani»[16]. Non a caso l’argomento veniva trattato con particolare insistenza nel fascicolo speciale che all’allora neonata Università Cattolica dedicò nel dicembre 1921 «Vita e pensiero», riprendendo in varie parti, testualmente, l’intervento del 1907:

 

Se tanto numerosi sono coloro che si valgono della scienza per combattere la nostra religione e che affermano che il progresso scientifico è in ragione inversa della intensità e della diffusione del sentimento religioso, è necessario che i cattolici mostrino con il fatto, con la pura indagine scientifica, che tutto ciò non è vero[17].

 

La differenza sostanziale era, naturalmente, che, a quel punto, la «vera organizzazione scientifica», di cui si era sentito con tanta ansia il bisogno, aveva trovato una prima soluzione operativa, ad appena due anni e mezzo, o poco più, dalla costituzione, presso la sede della «Vita e pensiero», del comitato incaricato di mettere concretamente in moto il progetto.

Intorno a Gemelli ed alle sue iniziative si era già raccolto negli anni precedenti un gruppo di elementi attivi e convinti: il già citato Necchi, il filosofo Francesco Olgiati, la fondatrice della sezione femminile dell’Azione cattolica Armida Barelli. Ma il piano non avrebbe preso corpo se non avesse goduto del fermo sostegno del cardinale Ferrari e del diretto appoggio del pontefice, Benedetto XV. Un ruolo importante vi ebbe anche Filippo Meda, all’epoca la figura politicamente più rilevante del cattolicesimo politico italiano, già ministro delle Finanze nei governi Boselli e Orlando, e il cui nome, «a Roma non meno che a Milano, era garanzia di ortodossia religiosa e prudenza politica»[18]. Fu in particolare proprio Meda ad escogitare la soluzione giuridica che avrebbe consentito l’avvio dell’Università mettendola al riparo dai rischi di un mancato riconoscimento da parte governativa. Obiettivo che si ottenne mercé la preventiva costituzione, nel febbraio 1920, dell’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori, per il quale fu subito chiesta l’erezione in ente morale, concessa con decreto a firma del nuovo ministro della Pubblica istruzione Benedetto Croce, entrato nel giugno successivo, con Meda, titolare del Tesoro, nel governo Giolitti. L’Università, per la quale si ottenne nel dicembre 1920 il prescritto riconoscimento canonico, sarebbe nata come emanazione e al riparo dell’Istituto Toniolo, non a caso strutturato in un Comitato permanente di 11 membri, nominati per cooptazione, in modo da garantire la continuità e il pieno controllo dell’ente anche una volta scomparsi i fondatori.

Fosse dipeso da Meda – ma forse non solo da lui – nella denominazione ufficiale dell’Università non avrebbe dovuto comparire l’intitolazione al Sacro Cuore, con quel che di «conventuale e di ascetico» essa sembrava, a suo parere, contenere, in contrasto «con un indirizzo scientifico e pratico di studi superiori» al quale sarebbe stato meglio, anche rispetto alle accoglienze esterne, attenersi[19]: intitolazione che invece costituiva per Gemelli, collegato com’era all’esperienza della consacrazione dei combattenti nel 1917 e alla dimensione affatto particolare del suo fervore religioso, un punto irrinunciabile e sul quale non potevano sussistere margini di ambiguità o tentazioni opportunistiche.

Quali fossero i suoi atteggiamenti al riguardo, Gemelli l’aveva del resto chiaramente mostrato qualche tempo prima, in occasione della costituzione del Partito popolare italiano. In un opuscolo scritto con Olgiati, la formula della «aconfessionalità» prospettata da Sturzo era stata presentata come limitativa e fuorviante, riprova evidente, nella modestia degli obiettivi, di come «anche molti cattolici» avessero «assorbito il veleno liberale». «Vecchio gottoso e decrepito», lo Stato uscito dal Risorgimento non era riformabile, e le iniquità e le viltà di cui era pregno ne esigevano a maggior ragione l’abbattimento. Altro che ipotesi di riservare spazi di autonomia alla politica ed alle sue organizzazioni! Per un cattolico, «tutto era religione, anche la politica». Con quel che ne conseguiva:

 

Noi vogliamo, in Italia, al posto dello Stato liberale, costruire lo Stato cristiano. Poco ci importa della pregiudiziale della forma politica. Questo è elemento transitorio. Noi vogliamo la instaurazione d’uno Stato che sia vero organismo vivente, di uno Stato che riconosca i fini soprannaturali degli individui che ne fanno parte, di uno Stato che poggi sulla roccia forte del diritto naturale e del diritto positivo, divino.

 

Fino all’invocazione finale: «Anche nella politica vogliamo Gesù Cristo»[20]. Una posizione integralista, quella di Gemelli, tutt’altro che isolata nell’ambiente cattolico milanese, che per il momento Sturzo era riuscito ad arginare, ma non certo a riassorbire, e che sarebbe riemersa «con ben altro vigore» negli anni successivi[21]. Ma non era intanto irrilevante, anche dal punto di vista dello sviluppo dell’iniziativa universitaria alla quale Gemelli aveva cominciato a dedicarsi, che la sua impostazione avesse potuto trovare motivi di consonanza con la parallela visione di una «religione tornata ad essere centro e motore della società»[22] propria dell’allora nunzio apostolico a Varsavia, ma, presto, successore del cardinale Ferrari, e, pochi mesi dopo, di Benedetto XV, Achille Ratti.

Ovvio, dunque, che dall’intitolazione al Sacro Cuore, con tutto quello che significava ed implicava, e non solo in termini strettamente religiosi e di culto, Gemelli non volesse deflettere. Rimandato in ogni caso, per intanto, il momento del riconoscimento, l’aggiunta non creava problemi: né se ne sarebbero d’altronde creati di irreparabili in seguito, quando il riconoscimento, con quella titolatura, sarebbe effettivamente venuto.

Il problema della sede ove sistemare il neonato ateneo venne risolto grazie a vari contributi e, in particolare, alla generosità del conte Ernesto Longobardo, primo presidente del «Toniolo», un industriale tessile, nella cui casa di Varallo Sesia aveva trascorso nel 1918 la sua ultima estate Toniolo. Fu così possibile acquistare e adattare un edificio in via Sant’Agnese, già convento delle Umiliate e, poi, delle suore Agostiniane, parzialmente trasformato nel primo ’800 dall’architetto Luigi Canonica a suo uso. La collocazione in una zona centrale della città era funzionale al rilievo che anche in tal modo si intendeva conferire alla nuova istituzione: «Oggi Milano è tutta nel suo centro; e un organismo che nasce alla periferia… starà sempre alla periferia dell’interesse»[23]. I criteri seguiti nella ristrutturazione avevano corrisposto alla particolarità del progetto culturale e didattico che si aveva in mente, nettamente alternativo al modello dell’Università di Stato, concepita semplicemente «come una scuola ove un maestro espone le dottrine e prepara i giovani all’esercizio della professione», e quindi mera «continuazione del Liceo, del quale è un prolungamento estensivo»: «nozioni esposte come in un manuale, il manuale preparazione per la vita, e il corso che culmina nell’esame: l’esame terrore e sforzo dello studente; l’esame condizione per l’esercizio della professione». L’Università alla quale si intendeva dar vita doveva essere tutt’altro: una scuola, certo, ma «in primo luogo (…) il focolare ove si elaborano le dottrine»:

 

L’Università è lo strumento del progresso nel sapere e nelle arti perché quivi uomini, dedicati solo allo studio e senza alcuna preoccupazione per la vita, attendono alla ricerca scientifica, in guisa da scoprire nuovi veri e trovare nuove applicazioni. E insieme con essi, in una collaborazione intima, grazie alla quale lo scolaro apprende dal maestro il metodo (che nella scienza è tutto) apportano il loro contributo anche i giovani che così si preparano alla vita. Fra questi alcuni mostrano speciali attitudini allo studio e rimangono nell’Università a continuare le tradizioni ed a coltivare la scienza; altri invece passano a trasportare nella vita pratica i criteri ed i metodi della scienza e ad applicare i risultati[24].

 

Per svolgere le mansioni collegate ad una tale concezione, e agli obiettivi che vi si raccordavano, non servivano grandi aule ove accogliere masse di giovani tumultuanti e disattenti, ma «poche sale», però fornite «di tutti i sussidi necessari allo studio»; servivano «veri laboratori di biologia generale e di psicologia sperimentale», contenenti «ciò che di meglio vi ha in questo campo»; serviva una biblioteca ben fornita ed aggiornata, della quale si cominciarono in effetti subito a porre le basi; servivano ambienti «di buon gusto», bene tenuti e dotati «delle moderne comodità», in alternativa anche in questo al degrado ed alla trascuratezza propri degli atenei pubblici. Più che mai l’idea di fondo era di formare un numero ridotto di allievi, selezionati e altamente qualificati, e come tali utili alla grande causa alla quale ci si era votati. Si provvide bensì a realizzare anche una vasta aula magna di ottocento posti, ma per tenervi «conferenze per il grande pubblico ed estendere anche al di fuori la influenza culturale dell’Università»[25].

Singolare incrocio di tradizionalismo e di modernità, in cui formule e regole conventuali si sarebbero intrecciate con iniziative e metodi didattici effettivamente d’avanguardia rispetto al contesto italiano, la Cattolica si strutturò inizialmente in due sole facoltà, ritenute le più rispondenti ai bisogni ai quali si intendeva far fronte: Scienze sociali, attraverso la quale preparare i quadri cattolici per le carriere pubbliche, per gli impieghi superiori, per le diverse manifestazioni della vita economica, politica e sociale, per il giornalismo e per l’insegnamento; e Filosofia, identificando nella disciplina relativa il nucleo portante delle grandi visioni della vita e della storia alla base degli anche più minuti meccanismi sociali, e perciò terreno di confronto decisivo per dei cattolici che volevano «rinnovare cristianamente la società», pur sapendo che a tanto non si sarebbe giunti che fra «due generazioni»[26].

L’inaugurazione solenne ebbe luogo il pomeriggio del 7 dicembre 1921, presenti – come l’organo cattolico locale non mancò, alla vigilia, di rilevare – «un ministro di Stato e sottosegretario alla Minerva, un numero considerevole di uomini già passati pei ministeri o che vi passeranno indubbiamente, i rappresentanti di quasi tutti gli Atenei del Regno, le Autorità civili e militari, uomini dell’alta cultura e dell’alta finanza, dell’industria e del commercio»[27]. Parlarono, oltre a Gemelli, al «grande mecenate», il conte Lombardo, e alla «cassiera» Barelli, il sottosegretario Anile, il cardinale di Pisa Maffi, il conte Pietromarchi, presidente dell’Unione popolare, quello della Gioventù cattolica, Pericoli. Parlò anche Sturzo, in quei giorni a Milano. Concluse l’arcivescovo e cardinale Ratti, presente in qualità di legato pontificio, il quale non mancò di ritornare sul significato di quel richiamo al «Sacro Cuore di Gesù». Era nel frattempo iniziata l’adorazione del sacramento nella piccola cappella, affidata alle signorine della Gioventù cattolica femminile (le prime furono una studentessa ed una operaia) che l’avrebbero proseguita da allora in poi ininterrottamente[28].

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Ai finanziamenti si sarebbe provveduto principalmente grazie alle offerte dei credenti e all’intensissima opera di proselitismo promossa dalla Barelli. Non è dato sapere la misura del diretto apporto della Santa Sede. Sin d’allora, nello spirito delle particolari finalità dell’ente, ci si impegnò ad estendere il più possibile la disponibilità per i più capaci di borse di studio, offerte da banche e da singoli donatori (tra i primi ad usufruirne, ci si imbatte nei nomi di Gustavo Bontadini e di Gioacchino Malavasi). Quanto al corpo docente, Gemelli si avvalse anzitutto delle competenze per così dire interne al gruppo fondatore, o sperimentate dalla collaborazione alla «Rivista di filosofia neo-scolastica» e a «Vita e pensiero». Per sé si riservò, oltre alla posizione di preside della Facoltà di Filosofia, l’insegnamento di Psicologia; Olgiati assunse quello di Metafisica, Necchi quello di Biologia. Al corso di Logica e a quello quadriennale di Storia ed esposizione sistematica della scolastica provvedeva Amato Masnovo; Giuseppe Zamboni (in seguito allontanato in malo modo, mettendone in discussione l’ortodossia) a quello di Gnoseologia. E di competenze non accademiche ci si poté avvalere in qualche altro caso. Ma una buona parte dei corsi, in particolare della Facoltà di Scienze sociali, dovette essere affidata (sul modello d’altronde adottato con successo dalla Bocconi) a docenti ordinari o incaricati in altre sedi, come (per restare alla Facoltà citata) Giulio Battaglini, Giovanni Vacchelli e Marco Tullio Zanzucchi in servizio a Pavia, Antonio Boggiano-Pico e Luigi Raggi provenienti da Genova, Antonio Maria Bettanini, Marcello Boldrini, Giovanni Soranzo e Pier Paolo Zanzucchi da Padova, Emilio Albertario da Torino.

Nella relazione d’apertura dell’anno accademico 1922-23 Gemelli espresse l’intenzione di avviare anche una Facoltà di Lettere, in vista dell’ormai prossima riforma della Scuola media. Il decreto gentiliano del 30 settembre 1923 relativo all’ordinamento universitario pose di fronte ad un ben più impegnativo ordine di problemi. Esso riguardava infatti anche le università libere, alle quali attribuiva personalità giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, garantendo quindi il riconoscimento e la parificazione delle qualifiche accademiche da esse conferite a quelle attribuite dagli atenei pubblici, ma vincolandole alle medesime regole generali e ponendole anch’esse «sotto la vigilanza dello Stato esercitata dal ministro della Pubblica Istruzione». Strumento dell’autonomia didattica di ciascuna università sarebbe stato il rispettivo statuto, regolante, «per ciascuna facoltà e scuola, le materie d’insegnamento, il loro ordine e il modo in cui debbono essere impartite». Ma, perché esso diventasse esecutivo, sarebbe occorso un decreto reale, «udito il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione». Ed era previsto che, per le università e gli istituti liberi, esso prevedesse anche l’organico e lo stato giuridico, nonché il trattamento economico e di quiescenza di professori e personale, stabilendo al riguardo (così come per l’ammontare minimo di tasse e sopra-tasse scolastiche) alcuni vincoli, fermo per contro restando che non sarebbe intervenuto alcun contributo a carico dello Stato. Quest’ultimo si riservava in ogni modo la possibilità (all’art. 112) di sopprimere con decreto reale le università e gli istituti liberi «ogni qual volta si accerti che i mezzi finanziari di cui dispongono non siano più sufficienti per il conseguimento dei fini prefissi o che l’insegnamento in essi impartito non sia sostanzialmente informato al rispetto delle istituzioni e dei principii che governano l’ordine sociale dello stato».

Quella che veniva concessa era dunque da interpretarsi, secondo Gemelli, come «una libertà sui generis», che non corrispondeva alla concezione difesa da «maestri come D’Ondes Reggio e Giuseppe Toniolo». A promuoverla era in effetti un ministro-filosofo che proveniva da tutt’altro itinerario e che aveva una ben diversa idea dello Stato e delle sue funzioni: ma, secondo Gemelli, non bisognava fermarsi a questo. Quali che fossero i presupposti che l’avevano spinto, Gentile aveva messo «il piccone nel vecchio e fradicio organismo universitario»: era di ciò che occorreva prendere atto, e con favore[29]. Per quanto «legata da tanti impacci», la riforma sanciva un principio in contestabile di libertà, rappresentando semmai «solo un primo passo in una via che si dovrà percorrere tutta quanta»[30]. Le differenze di fondo restavano. Gentile concepiva la libertà d’insegnamento come una funzione interna allo Stato, che quest’ultimo poteva consentire, ma riservandosi di stabilire chi, al di fuori del suo ambito diretto, fosse stato degno di esercitarla. Si trattava dunque, secondo Gemelli, di una «libertà relativa», che si risolveva «in una formula di assorbimento delle energie libere nello Stato». Senza dire che, così concepita, una libertà quale quella concessa avrebbe potuto mutarsi, «in mano ad altri uomini (…) in servilismo statale»[31]. Ma non aveva in ogni caso senso tirarsi indietro. La sfida andava accettata, e tanto più considerato quello che si poteva intanto ottenere, approfittando dei margini di autonomia comunque consentiti.

Predisposto in pochi mesi, tenendo conto delle esperienze fatte sin lì, ma anche dell’«organizzazione delle migliori Università straniere», di cui si studiarono ordinamenti e modalità di funzionamento[32], lo statuto fu pronto già nel maggio 1924, venendo approvato nell’ottobre successivo. Un elemento importante, ai fini delle garanzie finanziarie che si era tenuti a dare, fu costituito dalla decisione del pontefice di rendere permanente la «Giornata universitaria» dedicata alla raccolta di offerte alle porte di tutte le chiese. Un’altra fonte di finanziamento era costituita dalla rete degli «Amici» dell’Università. Venne altresì mantenuto il particolare rapporto con l’Istituto Toniolo, prevedendo la presenza nel Consiglio di amministrazione di quattro suoi rappresentanti su sette (oltre al rettore, nominato a sua volta dal Consiglio tra i «professori stabili»). Immobili, dotazioni ed arredi, messi gratuitamente a disposizione dall’ente fondatore, sarebbero tornati a quest’ultimo nel caso in cui l’Università, per qualsiasi motivo, fosse venuta a cessare. Da un altro e non meno essenziale punto di vista, la specificità dell’ateneo veniva assicurata dalla norma – accolta, nonostante le obiezioni alle quali aveva dato luogo – che lo impegnava a fornire, con «una istruzione superiore adeguata», «una educazione morale informata ai principi del Cattolicismo» e dalla conseguente attivazione, ugualmente prevista per gli studenti di tutte le Facoltà, di un corso di Esposizione della dottrina e della morale cattolica. Per l’iscrizione erano inoltre richiesti il certificato di battesimo ed un attestato di buona condotta rilasciato da una autorità ecclesiastica. Secondo Gemelli non c’era motivo di scandalizzarsi: «All’Università Cattolica studenti e professori sono liberi di entrare; ma l’entrarvi vuol dire libera e spontanea accettazione di una dottrina e di una concezione che si deve servire anche con le opere e con la vita»[33]. Non mancavano d’altronde i corrispettivi sul piano dell’efficacia e della articolazione degli ordinamenti didattici delle due Facoltà per il momento costituite, partendo da quelle attivate nel 1921: Giurisprudenza, che conferiva oltre alla laurea relativa anche quella di Scienze economiche, sociali e politiche, e Lettere e filosofia, con le lauree rispettive.

Il numero degli studenti rimaneva ancora limitato. Rispetto ai 106 (compresi gli uditori, categoria nel frattempo abolita) del 1921-22, nel 1925-26 si saliva a 240, 124 a Giurisprudenza e 116 a Lettere e filosofia. Ma per Gemelli non si trattava di un dato di per sé negativo, funzionale com’era al tipo di preparazione che si voleva promuovere, ai criteri selettivi che vi si collegavano, alle forze effettive a disposizione. Gli studenti sarebbero aumentati «a suo tempo»; per il momento era più urgente ed importante, agli occhi del rettore, formare ed adeguare il corpo docente, designando anzitutto i professori di ruolo con i quali coprire il relativo organico, che prevedeva dodici posti per Facoltà. Alcuni dei professori già incaricati di insegnamento trasformarono il loro rapporto, trasferendosi in forma stabile. Uno di loro, il già citato Pier Paolo Zanzucchi assunse la presidenza di Giurisprudenza; ma intervennero anche vari nuovi arrivi, come quelli del civilista Lodovico Barassi, di Melchiorre Roberti, titolare di Storia del diritto, dell’anziano latinista Felice Ramorino, del filologo Camillo Cessi. Nel 1925 giunse da Bologna anche il trentacinquenne Arturo Carlo Jemolo, quale titolare di Diritto ecclesiastico; l’anno dopo fu la volta, da Macerata, di Francesco Messineo per Diritto commerciale e, da Firenze, di Vincenzo Del Giudice per Diritto canonico. Altri posti furono messi a concorso.

Era stato nel frattempo avviato – frutto indiretto anch’esso della decretazione del periodo gentiliano – l’Istituto superiore di Magistero «Maria Immacolata», promosso dal «Toniolo» ed operante dal 1923-24, con lo scopo specifico di consentire ai diplomati delle Magistrali di acquisire i titoli per l’abilitazione ai ruoli direttivi e ispettivi e all’insegnamento medio, esigenza quest’ultima particolarmente avvertita da parte delle scuole private cattoliche. Anche in quel caso, istruzione professionale ed educazione morale e religiosa sarebbero andate di pari passo: e il pro-direttore Rotta non mancò di sottolineare i criteri selettivi seguiti nell’ammissione e i vincoli di frequenza richiesti[34]. Costituì naturalmente un passaggio essenziale, che motivava tanta affluenza, la concessione nel 1925 del «giuridico pareggiamento», cioè del riconoscimento del titolo.


1

S. Polenghi, La politica Universitaria italiana nell’età della Destra storica 1848-1876, Brescia 1993, p. 373.

2

Ivi, p. 387.

3

Ivi, p. 463.

4

N. Raponi, Toniolo e la preistoria dell’Università cattolica, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XX (1985), p. 250.

5

Cfr. «L’Osservatore cattolico», 8-9 aprile 1897, Del doversi promuovere la fondazione di una Università cattolica in Italia.

6

Raponi, Toniolo e la preistoria, cit., loc. cit., pp. 253-254.

7

P. Bondioli, L’Università Cattolica in Italia dalle origini al 1929, Milano 1929, p. 40.

8

Raponi, Toniolo e la preistoria, cit., loc. cit., pp. 272 e sgg. Ivi anche per le indicazioni che seguono.

9

M. Sticco, Padre Gemelli. Appunti per la biografia di un uomo difficile, Milano, 19913, pp. 40 e sgg.

10

Sono tutte espressioni ricavate dall’articolo di presentazione, Il nostro programma, in «Rivista di filosofia neo-scolastica», I (1909), pp. 3-22.

11

A. Gemelli, Per il progresso degli studi scientifici fra i cattolici italiani. Osservazioni e proposte, in «Studium», II (1907), pp. 333-358. Per le citazioni cfr. in particolare pp. 336, 341-343, 349-351, 355-356. Sulle posizioni di Gemelli, in relazione con quelle nel frattempo assunte da Toniolo, e per una più puntuale ricostruzione degli orientamenti degli ambienti cattolici in questa fase, cfr. N. Raponi, Toniolo e il progetto di Università Cattolica, in Giuseppe Toniolo tra economia e società, a c. di P. Pecorari, Udine 1990, pp. 257-302.

12

P. Zerbi, Cinquant’anni di vita dell’Università Cattolica, in «Vita e pensiero», LIV (1971), p. 671.

13

A. Ambrosioni, Alle origini di una editrice, in Catalogo storico della Editrice Vita e pensiero 1914-1994, a c. di M. Ferrari, Milano 1994, p. XIX. Per un inquadramento dell’episodio cfr. A. Zambarbieri, Per la storia della devozione al Sacro Cuore in Italia tra ’800 e ’900, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XLI (1987), pp. 361-432.

14

Cfr. in questo senso G. Rumi, Lombardia guelfa 1780-1980, Brescia 1988, pp. 206-207.

15

Cfr. in particolare Zerbi, Cinquant’anni di vita, cit., loc. cit. p. 672, e, dello stesso, Padre Gemelli e l’idea di università cattolica, in F. Mattesini-A. Quadrio-P. Zerbi, Agostino Gemelli trenta anni dopo, Milano 1991, pp. 3-13. Sul complesso di studi dedicati alla Cattolica cfr. la recente rassegna di M. Truffelli, L’Università Cattolica del Sacro Cuore nella storiografia italiana, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», L (1996), pp. 435-488.

16

Sull’insistenza da parte di Gemelli, in questa fase, su tali temi, cfr. L. Mangoni, L’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una risposta della cultura cattolica alla laicizzazione dell’insegnamento superiore, in Storia d’Italia. Annali 9. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a c. di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino 1986, pp. 980 e sgg.

17

L’Università Cattolica del S. Cuore, «Vita e pensiero», VII, vol. XII, dic. 1921, p. 719.

18

A. Canavero, Filippo Meda e la fondazione dell’Università Cattolica, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XXV (1990), p. 324.

19

Cfr. ivi, p. 330.

20

A. Gemelli-F. Olgiati, Il programma del Partito Popolare Italiano. Come non è e come dovrebbe essere, Milano 1919: in particolare, per le citazioni, pp. 46, 51, 52, 55, 65.

21

G. Vecchio, I cattolici milanesi e la politica. L’esperienza del Partito popolare. 1919-1926, Milano 1982, p. 59.

22

G. Rumi, Una cattedra tra Milano e Roma, in Istituto della Enciclopedia Italiana, Storia di Milano, vol. XVIII**, Milano 1996, p. 594.

23

L’Università Cattolica, cit., loc. cit., p. 710.

24

Ivi, p. 711.

25

Ivi, p. 713.

26

Ivi, p. 724.

27

«L’Italia», 7 dicembre 1921, L’Università cattolica.

28

Per la cronaca della cerimonia cfr. le prime due pagine de «L’Italia», 8 dicembre 1921.

29

A. Gemelli, La riforma universitaria di Giovanni Gentile, «Vita e pensiero» IX, vol. XIV, dic. 1923, p. 713.

30

Ivi, p. 707.

31

Ivi, p. 717.

32

Così ne riferiva Gemelli nella Relazione letta il 4 gennaio 1925, in Annuario della Università Cattolica del Sacro Cuore. Anno accademico 1924-1925, Milano 1925, p. 9.

33

Ivi, p. 12.

34

Annuario della Università Cattolica del Sacro Cuore e Annuario dell’Istituto superiore di Magistero «Maria Immacolata». Anno accademico 1925-1926, Milano, 1926, pp. 220-221.

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