Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

L’istituzionalizzazione della ricerca scientifica e l’avvio del processo di internazionalizzazione dell’Università (1922-1926)


Parole chiave: Rettore Sraffa Angelo, Zappa Gino, Riforma Gentile, Fascismo, Istituto di Economia Ettore Bocconi

Tensioni alla Bocconi

Il ritorno di Milano e dell’Italia alla normalità avrebbe richiesto un tempo largamente superiore a quanto si sarebbe potuto immaginare: le tenzoni e le tensioni ideali e ideologiche, politiche ed economiche alimentate dagli strascichi del conflitto mondiale avrebbero ancora a lungo interessato il Paese e la «capitale morale», favorendo un clima di violenza e di intimidazione che si sarebbe riflesso anche su quella che, sino a quel momento, era sembrata un’enclave immune da contagi di quel tipo.

Le pur rare e disomogenee testimonianze[1] sul «malessere» che ora interessava anche gli studenti segnalano un mutamento di temperie che mai si sarebbe ritenuto possibile nel severo e compassato clima dell’Università commerciale.

«Lauree: Voci di corridoio! Perché non si espone più la bandiera? Concessione ai tempi rossi? Paura? Sommaria proclamazione della votazione e dottorato. Soppressione o strozzamento delle tesine: vantaggio per i meno preparati, delusione e danno per chi le ha preparate con cura. Soverchia rapidità nelle lauree: i professori hanno fretta di ripartire e fanno i loro comodi. Contraddizione fra questi fatti e l’importanza sempre maggiore che l’Università vuol riconoscere alla tesi e alle tesine. Come vede, riferisco in un fascio voci maligne e voci accorate, voci infondate e commenti in parte sensati»[2]. Così Girolamo Palazzina informava il rettore delle chiacchiere che circolavano fra i laureandi della sessione estiva del 1920, dando conto di un diffuso malcontento che si sarebbe tradotto nelle manifestazioni del maggio 1921, duramente represse con l’esclusione dalla sessione estiva dei colpevoli[3], e avrebbe toccato l’apice, il 15 febbraio 1922, coll’aggressione al rettore all’ingresso dell’Università[4].

L’episodio[5], chiusosi senza danni, grazie alla pronta reazione di Angelo Sraffa e di un gruppo di studenti e professori presenti, si sarebbe, probabilmente, concluso con una denunzia contro ignoti, se il «Popolo d’Italia» non avesse dato conto dei fatti in un duro articolo dal titolo: L’Università Bocconi contro i mutilati ed ex combattenti, dove l’accaduto era ricondotto alla «sistematica (…) ostilità del rettore alle giuste rivendicazioni degli studenti ex militari».

L’attacco del quotidiano fascista fu seguito da un lettera aperta del gruppo universitario fascista pubblicata da «La Sera»[6], da un volantino anonimo che denunziava le «malefatte di Angelo Scaffa [sic], il desposta [sic] dell’Università Bocconi»[7] e da tutta una serie di prese di posizione a favore degli anonimi aggressori.

La chiassata era presentata da alcuni giornali come una «dimostrazione ostile fatta da alcuni studenti fascisti ed ex combattenti quasi tutti decorati e, alcuni, mutilati»; come la dura, ma giusta reazione a una severità a senso unico, che colpiva «ex militari che hanno studiato e risparmiava quanti null’altro hanno da fare che pensare allo studio e aspettare alla fine del mese il vaglia di papà»[8]. L’attacco, condotto nel clima di pesante intimidazione che aleggiava su Milano, imponeva una immediata e appropriata reazione per evitare il lungo, pesante, strascico di polemiche che sarebbe inevitabilmente seguito a un ricorso alla magistratura ordinaria[9]; tanto più che, da una indagine condotta all’interno dell’università, andavano emergendo le ragioni che avevano mosso il non più ignoto attentatore, autore dello sgrammaticato volantino e segretario del gruppo universitario fascista milanese[10].

Spogliato delle sue motivazioni «ideali» il fatto rivelava sempre più le sue basse finalità; era quindi il caso di rivolgersi direttamente a coloro che, sul piano ideologico, avrebbero potuto esserne gli ispiratori, chiedendo proprio a loro di sbugiardare «chi, in difesa di un suo privato e personale interesse, ha tentato di ottenere l’adesione degli ex-combattenti ad un movimento inscenato con falsi e menzogne»[11]: a Benito Mussolini, direttore del «Popolo d’Italia», a Giulio Bergmann, presidente dell’associazione nazionale dei combattenti, e ad Alfredo Rocco, leader dei nazionalisti e professore in Bocconi.

A quest’ultimo, suo grande amico e probabile ideatore del «lodo», Sraffa diede conto dei passi compiuti in questi termini: «Ho parlato lungamente con l’on. Mussolini, molto ben disposto a sventare la manovra di quei due o tre studenti bocciati (forse uno solo) che mandando degli incoscienti avanti e trasformando il loro caso particolare in una questione di principio, han tentato di darla ad intendere al pubblico degli stupidi. Gli studenti della Bocconi sono tutti con noi e desiderosi di dimostrare il loro animo. Mussolini desidera che la riunione avvenga presto. Vedi se puoi trovarti qui per lunedì prossimo. A Roma c’è l’avv. Bergmann presidente della associazione ex combattenti e che fa parte con te e Mussolini della commissione alla quale io mi son rivolto per mettere a posto la verità. Egli è al Moderno. Gli puoi lasciare un biglietto? Di nuovo spero che verrà lui a trovarti»[12].

In poco tempo i tre pervennero a una decisione, che sintetizzarono in un piccolo capolavoro di diplomazia, frutto probabilmente della penna felice di Alfredo Rocco: ricordati i valori-guida di una istituzione «retta con criteri assai più rigidi di quelli seguiti ormai per abitudine nota nelle Università dello Stato», la commissione ne esaltava l’austerità di criteri, «tanto più necessaria in una Università libera, come la Bocconi, il cui prestigio è in stretta relazione anche con la serietà dei metodi e con la esemplare disciplina, dai quali coefficienti traggono maggior valore i diplomi e maggiori vantaggi i laureati»; minimizzava, pur senza negarle del tutto, le accuse rivolte ad Angelo Sraffa e faceva voto che la corretta e serena interpretazione dei fatti valesse «a ricondurre piena armonia nell’istituto, il quale nella sua salda compagine e nella sua ascensione di forze e di credito, in Italia e all’estero, rappresenta una cospicua parte dell’attività culturale cittadina e italiana»[13].

Si trattava di un riconoscimento prestigioso, che sarebbe divenuto un viatico di grande importanza in tutte le occasioni in cui la dubbia fede fascista di alcuni professori della Bocconi fosse stata messa in discussione dal partito o dal regime.

L’istituzionalizzazione della ricerca. Alla genesi degli Istituti di economia politica e di «economia privata»

Sia pure in mezzo a tante difficoltà, la ricerca di nuove vie per adattare l’istituzione a un mondo in rapido cambiamento non sarebbe mai venuta meno e avrebbe prodotto i suoi frutti migliori nella creazione degli Istituti di economia politica e di «economia privata».

Ancora una volta toccò a Sraffa, a distanza di dieci anni, realizzare un’iniziativa ab origine pensata da Leopoldo Sabbatini[14]. Nel 1919, messo a punto il progetto presentato cinque anni prima da Francesco Coletti e reperiti i fondi necessari, il rettore decise di realizzare un Istituto di economia e scienze sociali[15] in seno al quale avrebbe dovuto realizzarsi l’armonica fusione fra le attività didattiche e la ricerca scientifica, facendo della Bocconi non solo una scuola di economia, ma anche un centro di alta cultura economica.

Il suo disegno, ispirato a un sano pragmatismo, prevedeva la rinunzia a programmi «dalle linee più o meno grandiose (…) facili da esporre e tracciare, per quanto difficili da attuare»[16] e l’avvio immediato di attività a sostegno della didattica e a potenziamento delle ricerca economica, che solo in un secondo tempo avrebbero potuto essere ricondotte ad uno schema di sviluppo organico dell’istituzione[17]. La direzione dell’istituto venne temporaneamente affidata a Francesco Coletti, nell’attesa che Luigi Einaudi sciogliesse le sue riserve[18]. Agli studenti convenuti alla giornata inaugurale (2 febbraio 1920), il rettore si limitò a ricordare «che essi avevano nell’Istituto una sede ospitale e decorosa per i loro studi, ove avrebbero trovato consiglio ed assistenza, offerti senza preoccupanti trafile gerarchiche ed accademiche, in forma del tutto famigliare e amichevole»[19].

L’istituto, che sarebbe diventato uno dei poli della riflessione economica milanese e un centro di cultura, dove «si tengono, la sera, discussioni d’attualità, alle quali partecipano personalità del mondo finanziario cittadino»[20], aveva come cuore la biblioteca, luogo d’incontro di docenti e laureandi e sede di lezioni e seminari[21]. Esso era amministrato da un consiglio formato dal rettore, da cinque professori e da cinque membri esterni e affidato alle cure di un direttore, coadiuvato da un assistente generale e da due assistenti. Al primo competeva la realizzazione dei programmi elaborati dal comitato scientifico; ai secondi la gestione della biblioteca, la schedatura di libri e riviste e l’assistenza ai laureandi e a quanti desiderassero approfondire le loro conoscenze economiche[22]. E fu proprio nell’ambito dell’attività di paziente raccolta del materiale bibliografico che Raffaele Mattioli e Paolo Vita Finzi[23], i primi assistenti dell’Istituto[24], maturarono l’idea di una «Bibliografia di scienze economiche», che sarebbe divenuta ben presto la «Bibliografia Economica Italiana»[25], uno strumento indispensabile per la conoscenza della letteratura economica nazionale ed internazionale, al quale si sarebbero ben presto affiancate altre prestigiose pubblicazioni periodiche: gli «Annali di economia», gli «Acta Seminarii», le «Prospettive economiche».

Il successo arriso all’iniziativa sul piano didattico e scientifico[26] indusse altri studiosi a seguire la strada aperta dagli economisti: Gino Zappa in primis. L’illustre aziendalista, che sin dal suo arrivo alla Bocconi aveva ingaggiato una vera e propria battaglia a favore delle discipline economico-aziendali, non intendeva certo «lasciarsi sfuggire l’occasione di attirare nella nostra Università volontà ferme e intelligenze aperte che sanno leggere anche nella realtà degli affari»[27]; di qui l’idea di creare un «Laboratorio d’Economia privata» in seno al quale gli sforzi dei singoli fossero ricondotti ad un unico disegno e coordinati al fine di consentire «lo sviluppo degli studi in materia tecnico-amministrativa nelle aziende industriali e commerciali in ordine a tutti i fattori dell’economia aziendale, ivi compresa l’organizzazione scientifica del lavoro, ed inoltre lo studio dei problemi economici di ragioneria teorica ed applicata con speciale riguardo alle connessioni dei singoli dati contabili con la rispettiva funzione nel campo economico-giuridico»[28].

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Nel giugno del 1922, dopo aver lungamente discusso della cosa con le autorità accademiche, l’onnipresente direttore della segreteria e i fidi discepoli[29], egli presentò al rettore un progetto per la costituzione di un «Istituto di ricerche tecnico-commerciali e di ragioneria», le cui finalità furono inizialmente indicate nell’alta consulenza alle imprese[30]; nello spoglio sistematico di libri e riviste italiane e straniere al fine di raccogliere una esaustiva bibliografia economico-aziendale; nell’avvio di indagini volte a chiarire le complesse dinamiche di particolari settori produttivi[31]; nell’assistenza agli studenti che intendessero approfondire la conoscenza dell’economia aziendale o ne facessero l’oggetto di tesi o tesine.

La feconda attività dell’istituzione e il carisma del suo direttore avrebbero ben presto spinto una schiera di giovani economisti, cresciuti all’Università Bocconi o all’Istituto Superiore di Scienze Commerciali di Venezia (Ugo Caprara, Teodoro D’Ippolito, Giorgio Pivato, Ugo Borroni, Ettore Lorusso, Arnaldo Marcantonio, Pietro Onida, Giuseppe Zippel, Pasquale Saraceno, per non ricordare che i primi) ad affiancare l’azione del Maestro in seno al «laboratorio», facendo sì che «i corsi di tecnica, di ragioneria e di organizzazione amministrativa, tenuti dai collaboratori dell’Istituto stesso nell’Università, sorpassati i limitati schemi delle consuete descrizioni e delle frequenti esposizioni dogmatiche ad uso delle persone incolte, seguissero la via fruttuosa che già in altre scienze si percorre da tempo», concorrendo così «ad attenuare, nel campo degli studi di tecnica, ragioneria o di organizzazione economica, lo stridore ancora troppo frequente tra costruzioni dottrinali e fatti concreti»[32].

Nel linguaggio complesso e un po’ retorico di Gino Zappa[33], il compito di quelli che già allora si consideravano gli adepti di una nuova setta, i sacerdoti di una nuova scienza, «non ignari dei rinnovati problemi della pulsante vita dei tempi nuovi, che impongono sistemazioni non ancora tentate», doveva essere quello di «abbandonare le aride dottrine che nella sicurezza del dettato occultano una profonda ignoranza delle cose (…) per l’osservazione diretta sempre più estesa, per l’analisi acuta della vita economica delle aziende, per le sintesi sempre più alte, per le ipotesi e per le deduzioni saggiate con la pietra di paragone del confronto con l’esperienza»[34].

La «rivoluzione scientifica» proposta da Gino Zappa – e condotta a termine dai suoi allievi – oltre a indurre «alla costruzione di una teoria economica delle scritture sistematiche», prendendo atto che «la varia e mutevole economia delle imprese non può essere colta nelle sue molteplici manifestazioni che se inserita nel più vasto concerto dell’economia di mercato», avrebbe prodotto il completo rinnovamento degli studi aziendali e il proliferare delle discipline agli stessi collegate. La specializzazione, tesa a conciliare rigore teorico e necessità legate alla prassi[35], non doveva, tuttavia, perdere di vista problemi e metodi comuni all’intera disciplina. Problemi e metodi che Zappa vedeva strettamente avvinti nel più vasto ambito dell’economia aziendale. Come egli scrisse di suo pugno: «Nella nostra scuola [corsivo mio], pur essendo riconosciuta, essendo anzi posta in viva evidenza la varietà dell’economia aziendale, non se ne vuole spezzata l’unità, non si vuole risolverne i problemi caratteristici ignorando il complesso del quale svelano una sola parte: si vuole insomma ricollegare il divenire dell’economia aziendale con il processo dell’economia generale, si riconosce che ogni fenomeno amministrativo non sussiste che in relazione a fenomeni che trascendono l’ambito delle interne coordinazioni aziendali. Specialmente i nostri studi, che oggi hanno a precipuo oggetto la gestione d’impresa, attribuiscono evidenza ai mille legami che vincolano l’economia delle imprese al generale comportarsi dei mercati nei quali esse operano, dell’ambiente nel quale esse vivono»[36].

Su un piano più propriamente didattico – e nonostante la ben nota ostilità di Angelo Sraffa verso la proliferazione delle discipline aziendali[37] – la crescita dell’istituto avrebbe ben presto condotto all’attivazione di numerosi corsi: Istituzioni di ragioneria e istituzioni di tecnica bancaria al primo anno; ragioneria generale ed applicata e applicazioni di ragioneria e tecnica bancaria al secondo anno; tecnica mercantile al terzo; ragioneria generale, ragioneria applicata, tecnica commerciale, tecnica amministrativa delle imprese industriali e scienza dell’organizzazione economico-aziendale al quarto anno. Come dire che alle due anime primigenie dell’Università (quella economica e quella giuridica), se ne andava ora aggiungendo una terza, destinata ad avere un ruolo e un peso crescenti nell’ambito dell’Istituzione voluta da Ferdinando Bocconi.

L’avvio del processo di internazionalizzazzione: la «Fondazione Serena» e la Italy-America society

Gli istituti non furono le uniche novità registrate in una Università che, proprio in quegli anni, stava aprendosi alla dimensione internazionale, grazie anche all’imprevista opportunità offerta da un magnate inglese di origine italiana: Arturo Serena che, dopo aver finanziato cattedre di lingua italiana a Oxford, Cambridge e Birmingham, decise di destinare un milione di lire alla creazione, in Italia, di «cattedre speciali» dedicate all’approfondimento della cultura anglosassone.

Enrico Consolo, direttore della sede londinese della Banca Commerciale Italiana e influente membro del consiglio di amministrazione della Serena Foundation[38], informò della cosa il rettore della Bocconi, di cui era buon amico e lo sollecitò a prendere in seria considerazione la possibilità che l’Università milanese diventasse la destinataria di una parte delle iniziative[39], invitandolo a prendere contatto con sir Rennell Rodd, ambasciatore britannico a Roma e presidente della fondazione Serena.

L’incontro fra Sraffa e Rodd diede buoni frutti: di lì a pochi mesi, Consolo fece sapere all’amico che la Bocconi, pur con qualche contrasto, era entrata nella ristrettissima rosa degli enti italiani ai quali la fondazione guardava con grande interesse[40].

Le riserve inizialmente manifestate nei confronti della candidatura dell’Università caddero ben presto, grazie alla decisione assunta dal suo presidente di concorrere al finanziamento delle iniziative di Arturo Serena, destinando alle stesse una somma pari alla metà di quella che fosse messa a disposizione della Bocconi[41] e inducendo così il consiglio d’amministrazione della Serena Foundation a far cadere la scelta sul British Institute di Firenze e sull’Università commerciale[42]. L’accordo definitivo, siglato da Sraffa nel corso di un breve soggiorno londinese[43], prevedeva che la Bocconi utilizzasse la rendita derivante dal capitale di mezzo milione di lire italiane impiegato al 5% per organizzare cicli di lezioni e di seminari volti ad illustrare peculiari aspetti dell’economia, della civiltà e della cultura anglosassoni.

Il primo anno (1922) i relatori dei seminari Serena furono unicamente italiani. Tale scelta venne giustificata con la necessità di portare gradualmente studenti adusi a parlare e a comprendere altre lingue a contatto con docenti stranieri[44]; ma alla stessa non fu estranea l’esiguità del contributo iniziale – notevolmente ridotto dalle spese legali richieste dalla costituzione della fondazione – e dallo sfavorevole cambio della lira/sterlina[45].

L’entusiastica partecipazione di docenti, studiosi e curiosi alle prime manifestazioni, lasciavano pensare che l’iniziativa fosse votata al successo; nella realtà le cose si presentarono ben più difficili del previsto a causa dell’atteggiamento della combattiva Mrs. Janet Trevelyan, segretaria onoraria del fondo Serena, che mise a dura prova la pazienza del rettore, con continue e pressanti richieste di adeguare in toto le scelte dell’Università ai desiderata dell’istituzione inglese[46]. Quel che Angelo Sraffa proprio non riusciva ad accettare era l’assoluta mancanza di elasticità dei partners anglosassoni, il loro atteggiamento di indisponente superiorità e soprattutto la caparbia decisione «di quella pettegola» di utilizzare l’intero contributo per retribuire un solo docente, preferibilmente di letteratura inglese[47].

La tensione giunse a tal punto che il rettore, lasciate cadere le trattative volte a invitare J.M. Keynes a tenere alcuni seminari a Milano, impose si chiarissero una volta per tutte i termini dell’accordo e si mettesse fine a un trattamento «colonialista», irrispettoso dell’indipendenza e della dignità di una grande istituzione culturale e, di riflesso, di un’intera Nazione; pena la rottura di ogni rapporto con la Fondazione Serena. «Tu sai», egli scriveva a Consolo, «con quanto entusiasmo ho accolto la tua proposta amichevole di fare l’Un. Bocconi partecipe della generosità del Serena; ma ti dico a quattr’occhi che non siamo così miserabili da essere obbligati ad asservirci alla volontà dello straniero, anche se amico; tanto più che mi riuscirebbe non difficile trovare presso amici italiani la somma cui dovessi rinunciare per tutelare la nostra dignità e la nostra indipendenza nazionale e culturale. A te poi espongo un mio recondito dubbio, memore di quanto tu mi dicesti che, in fondo, nel comitato Serena, solamente sir Ronald Rodd e tu eravate favorevoli alla Bocconi: che in queste forme sabotatrici persista un’ostilità tendente a provocare un distacco a forza di colpi di spillo? Desidererei saperlo, perché rinuncerei subito alla lotta, non essendo io adatto a tal genere di guerriglia. Mi dispiace che tutta la tua bontà e amicizia per noi non ti procuri troppa letizia, ma dopo tutto tu stesso vedrai con piacere che non siamo tanto “macaroni” come ci credono»[48].

La decisa presa di posizione di Sraffa e il successo ottenuto dalle prime conferenze riuscirono a togliere di mezzo le diffidenze della caparbia Mrs. Trevelyan; la cui amicizia avrebbe favorito non poco il pluridecennale rapporto di collaborazione fra le due istituzioni e offerto alla Bocconi un ottimo argomento per tenere in vita i corsi di inglese, per continuare a ricevere pubblicazioni in lingua anglosassone e per inviare i suoi migliori studenti in Inghilterra, anche nei momenti di maggiore tensione fra i due Paesi.

I contatti con il mondo anglosassone sarebbero stati ulteriormente potenziati grazie alla George Westinghouse lectureship in Italy, costituita nel ’23 dalla Italy-America Society come cattedra presso l’Istituto Superiore di Scienze Economiche di Roma – ma in realtà pensata come una sorta di «cattedra ambulante di economia americana» nelle principali città italiane[49]. Alla contessa di Robilant che gli scriveva annunciando che, su suggerimento di Maffeo Pantaleoni, la Società gli proponeva di ospitare alcuni seminari della «cattedra Westinghouse», Sraffa rispose dichiarando la sua completa disponibilità. Una disponibilità che avrebbe visto la presenza, a Milano, nel 1924, di L.R. Robinson della Columbia University[50], nel ’26 di I.H. Willians, docente di finanza internazionale presso la Harvard University, nel ’27 di H.T. Lewis, dean of the college of business administration, della Washington University e nel ’28 del prof. Ray Bert Westerfiel di Yale, esperto in economia finanziaria, inaugurando così un rapporto di stretta collaborazione con alcune università degli Stati Uniti, che si sarebbe rivelato prezioso nel primo dopoguerra.

Si trattava di contatti importanti, che furono giocati al meglio a favore di una piccola élite di studenti, che si sarebbe fatta le ossa sul mercato inglese e americano e avrebbe consentito di far circolare nel Paese d’Oltreoceano e in Patria l’immagine di una università ‘diversa’; una università che, nel soffocante clima imposto dal fascismo, manteneva aperti i canali del sapere e teneva vive le relazioni internazionali, sfidando la diffidenza del regime e l’indifferenza di una opinione pubblica che, complice anche la scarsa conoscenza delle lingue straniere, brillava per la sua mancanza di interesse per questa attività scientifica[51].

Una stagione di riforme in un’epoca difficile

Il grande progetto di riforma (R.D. 30 settembre 1923 n. 2102) voluto da Giovanni Gentile, pervenuto al vertice del ministero della pubblica istruzione sull’onda dei cambiamenti intervenuti dopo la «marcia su Roma», mutò profondamente il sistema scolastico nazionale. Molte delle speranze suscitate dalle scelte del filosofo siciliano andarono tuttavia deluse. La riorganizzazione generale dell’istruzione superiore, che avrebbe dovuto portare ad una razionalizzazione della distribuzione delle sedi universitarie nel Paese, a nuove norme per il reclutamento del personale docente, ad un alleggerimento dell’impegno economico dello Stato e ad un autentico «libero mercato della cultura», che il ministro intendeva esaltare favorendo la nascita di liberi atenei e riconoscendo quelli esistenti, non risolse che in parte i problemi affrontati, aprendo un vasto fronte di scontento in tutte le categorie: le università, che vedevano le loro istanze di autonomia frustrate dal quadro autoritario in cui il progetto le collocava; i docenti, che vivevano l’obbligo di residenza e quello del giuramento di fedeltà alle istituzioni come un serio limite alla libertà d’insegnamento; gli studenti, che manifestavano il loro disappunto per l’appesantimento dei programmi, la soppressione delle sessioni straordinarie di esami e l’introduzione dell’esame di Stato; donde tutta una serie di manifestazioni, di occupazioni e di scioperi che sarebbero durati sino al dicembre del ’23[52].

In questo clima di incertezza, la relativa autonomia goduta dalla Bocconi indusse ad accelerare il processo di rinnovamento delle strutture, grazie agli sforzi di un rettore che credeva profondamente nel ruolo che l’Università commerciale era stata chiamata a svolgere a Milano e nell’intero Paese, sentendosi portatore, al pari di Palazzina, di un testimone che idealmente gli era stato conferito dal fondatore – e approfittando di una delega praticamente senza limiti che, «nella mancanza di una presidenza o d’un consiglio direttivo funzionante»[53], gli era stata, di fatto, concessa.

In questo senso si deve ammettere che, se Sabbatini era stato l’ideatore e il realizzatore della Bocconi, Sraffa ne avrebbe continuato degnamente l’opera attraverso l’organizzazione degli istituti scientifici, la collaborazione con la Serena foundation e l’Italy-America society, la realizzazione di iniziative volte ad ampliare e a rendere più fruibile una biblioteca, allora come oggi in perenne carenza di personale[54], affidandone la gestione a Fausto Pagliari, che, per oltre un trentennio, avrebbe messo la sua professionalità, la sua passione e la sua arguzia al servizio di generazioni di studenti e di professori[55]. Né sarebbero mancate le iniziative volte a rendere più gradevole il soggiorno degli studenti in sede, quali l’apertura di una palestra, con annessa scuola di scherma, di una mensa studentesca, che sarebbe stata la prima in Italia e via discorrendo.

L’azione riformatrice del rettore trasse notevole profitto dal R.D. n. 2492 del 31 ottobre 1923[56], sulla base del quale l’Università, riconosciuta Istituto Superiore libero di Scienze Economiche e Commerciali (R.D. 8 marzo 1925 n. 547) e sottratta alla vigilanza del ministero della pubblica istruzione per essere affidata a quello dell’economia nazionale, poté eludere alcune imposizioni della legge Gentile, avvalendosi, nel contempo, delle opportunità offerte dalla creazione, a Milano, di un nuovo polo universitario[57], per incrementare il numero e la qualità degli incaricati (Santi Romano, Oreste Ranelletti, Giovanni Pacchioni, Giorgio Mortara, Gino Borgatta e molti altri sarebbero stati reclutati tra le fila dei professori della regia università milanese).

Rimesso in discussione, con le riforme del ’21-’22, l’ordinamento didattico, al rettore pareva ora giunto il momento di intervenire sulla composizione del corpo docente, approfittando dei vincoli imposti dalla legge Gentile e da quelli inscritti nel nuovo statuto dell’Università di recente approvato[58]. In una lettera del 24 agosto 1925[59], Sraffa così sintetizzava a Palazzina le sue idee in proposito: «Personale insegnante: bisogna decidere in settembre, prima del consiglio, al quale riferire. Rinnovarsi o morire. Bolaffio escluso definitivamente per effetto meccanico della legge (o oggi o più mai!). Piazza pensare al successore preparando qualche matematico a fare lezion […]. Consultarsi con qualche competente e prepararlo per uno dei prossimi anni. Geografia commerciale, o meglio economica: l’ideale sarebbe un tipo come Frescura… più ordinato e più sottomano: De Marchi, che era inutile per l’insegnamento di geografia economica e che non si sarebbe mai adattato (…), ad ogni modo è venuto a licenziarsi da me e dalla Bocconi dicendomi anche che per aderire al desiderio della famiglia rinunzia all’insegnamento a Milano… E non parliamone più (…). Purtroppo bisogna abbandonare qualche insegnamento di lusso e intensificare quelli essenziali (De Magistris non serve a niente e sentiremo il titolare. Ma dove lo prenderemo? Gino Luzzatto forse? Ma proprio ora che è direttore della Scuola Superiore di Venezia?; ma tendenzialmente bisognerebbe avere un assistente che stesse a Milano, che fosse giovane e che non fosse distratto né dalla famiglia, perché è stanco, perché è vecchio, ecc. (…). Quanto al De Magistris, l’uomo è uno sconclusionato, da liberarsene alla prima occasione. Vedremo se non subirlo per qualche tempo ancora, come assistente… e inoltre dipenderà dal titolare di cattedra, sentiamo intanto che fanno a Genova; a Torino c’è un noto cretino. Le uniche persone serie sembrano i titolari di Venezia (Luzzatto) e Napoli (Marinelli). Speriamo che ne esca fuori dalla terra un terzo. Professori alla Bocconi, che d’ora in poi dovranno essere professori di livello universitario e la tendenza deve essere ad eliminare gli attuali… uomini della gavetta. Approfitteremo della regola posta dallo statuto per eliminare, intanto i più scarti: e cominceremo da Greco e dall’impiegato delle dogane! (…).

Professori non universitari: vanno eliminati tutti, come tendenza. Prenderemo qualche tecnico (tipo Pontecorvo, ma savio) se lo troveremo. Primi ad essere eliminati dovrebbero essere Greco e Bianchi, che non valgono niente e sono due pesi morti. Greco si può eliminare senz’altro, non dovendo essere supplito (?) e gli diremo che la nuova legge e il nuovo statuto vogliono così. Per Bianchi bisognerà supplirlo a brevissimo termine. Purtroppo rimane insoluto il problema della merceologia: lei si assicuri che Molinari non va. Bruni mi ha detto che è un confusionario e un raffazzonatore di cose altrui; ma anche studenti serii e arrivati mi hanno detto qualcosa di simile: bisogna guardare l’utile della scuola e non in faccia a nessuno. Potrei esaminar la cosa assieme a lei e a qualche ex bocconiano come Luzzatto o Picelli e simili. Dovendosi rinnovare questa parte che muore: anche al ministero mi hanno detto che sanno esser questo il lato debole della Bocconi».

Nella direzione di un deciso rinnovamento del corpo docente il rettore non mancava di validi alleati; oltre che su Girolamo Palazzina, egli poteva contare su Gino Zappa, che non perdeva occasione per proporre nuove reclute, «volontà ferme e intelligenze aperte che sanno leggere anche nella realtà degli affari»[60], le quali, col rigore dell’insegnamento e della ricerca, riscattassero il modo troppo disinvolto di gestire le discipline aziendali fino a quel momento praticato[61]. Anche Attilio Cabiati era suo buon alleato e, in diverse occasioni, aveva sostenuto l’esigenza di rinnovare gli insegnamenti economici, affiancando ad Ulisse Gobbi e a Francesco Coletti scienziati sociali tecnicamente più attrezzati, dei pur stimati docenti bocconiani[62].

Alla fine solo pochi dei problemi del personale che assillavano il rettore sarebbero stati affrontati e risolti con la messa a riposo di quanti avevano ormai erano troppo anziani e la rimozione di coloro che erano giudicati inadatti a reggere l’insegnamento (De Magistris e Greco, ad esempio, avrebbero concluso la loro carriera alla Bocconi molti anni dopo); in compenso la docenza sarebbe stata illustrata da personaggi eminenti che, sotto la guida di Giorgio Mortara e Gustavo Del Vecchio, avrebbero rinnovato gli insegnamenti economici; mentre a Zappa, e alla schiera di allievi formatisi in Bocconi, sarebbe spettato l’impegnativo compito di estendere e completare il processo di rifondazione delle discipline aziendali.

La Bocconi e il regime fascista

I rapporti con il regime, nei primi anni ’20, apparivano, sul piano formale, improntati a una certa cordialità: la visita all’università del principe ereditario, accompagnato dal ministro della pubblica istruzione (21 maggio 1923)[63] e l’organizzazione del quarto congresso nazionale dei dottori commercialisti (5 ottobre 1924), che nella giornata inaugurale vide la presenza del capo del governo[64], confermavano la stima che l’istituzione continuava a godere in campo nazionale. Nella sostanza, tuttavia, codesti rapporti erano molto meno facili di quanto non emergesse all’esterno: in questo senso l’aggressione subita dal rettore alla vigilia della marcia su Roma deve essere intesa come un primo segnale del cambiamento di temperie che avrebbe ben presto interessato l’Ateneo milanese.

Un ulteriore sintomo degli umori del regime si registrò alla fine del ’22, quando il duce del fascismo, che un anno prima aveva assolto il rettore dalle accuse mossegli ed aveva esaltato la severa disciplina della Bocconi, intervenne pesantemente su Sraffa chiedendogli conto di uno scritto del figlio Piero, apparso sul «Manchester Guardian», in cui si presentava un quadro del sistema bancario italiano giudicato dal capo del governo un atto di «disfattismo bancario», un vero e proprio sabotaggio nei confronti della finanza italiana. Per prendere tempo ed elaborare una strategia difensiva, il rettore inviò al dittatore un telegramma nel quale si dichiarò disponibile a recarsi a Roma a discutere la cosa; nel frattempo chiese a Palazzina di prendere contatto con Giovanni Gentile[65], nell’idea che il filosofo sarebbe stato in grado di placare le furie del primo ministro spiegandogli le ragioni che rendevano difficile, se non impossibile, al giovane economista il ritornare sui suoi passi. La risposta di Mussolini non si fece attendere: il viaggio di Sraffa, a Roma, era reputato non solo superfluo, ma inopportuno; solo una pronta rettifica di quanto era stato scritto avrebbe calmato l’ira del duce e bloccato ulteriori azioni.

Il rettore non era, tuttavia, uomo da accettare imposizioni e, alla reiterata richiesta del duce, rispose con grande fermezza che si sarebbe ben guardato dall’esercitare sul figlio pressioni di sorta[66]. Tale atteggiamento impose la parola fine alla questione rendendo superflui i contatti con Giovanni Gentile, che il rettore avrebbe avuto l’occasione di incontrare nel maggio dell’anno seguente in occasione della visita del principe ereditario.

Nuovi attriti, questa volta con il Guf, si registrarono l’anno seguente quando, a un mese dall’assassinio di Giacomo Matteotti, un gruppo di studenti di diverse tendenze, ma uniti da una comune fede antifascista, si radunò in assemblea presso la sede della sezione socialista unitaria di Milano e votò un ordine del giorno presentato da Nino Levi[67], docente di diritto amministrativo alla Bocconi e ardente socialista, che denunziava: «la politica liberticida del fascismo, il contenuto reazionario e antiproletario della sua azione, la violenza e la sopraffazione che ne costituiscono i mezzi di lotta, la vacuità ideologica e l’intolleranza sistematica che lo contraddistinguono»[68]. La cosa suscitò l’immediata reazione degli «studenti fascisti della Bocconi» che, in una lettera a «Il Popolo d’Italia»[69], dichiararono che «se il suddetto avvocato non avesse chiuso il suo corso, avrebbero saputo infliggergli una meritata lezione» e provocò l’intervento del segretario politico del Guf milanese, che denunziò al rettore il «mascalzonesco ordine del giorno» proposto dal Levi, chiedendo che venissero assunti seri provvedimenti «contro chi si vale della sua cattedra per calunniare il Capo, il Governo fascista e la Nazione»[70].

Alla prudente ma ferma risposta di Sraffa, che rivendicava «fra i compiti morali delle autorità direttiva di un Istituto di alta cultura di vigilare a che nell’esercizio dell’insegnamento nelle aule della Scuola non venga esplicata opera di propaganda politica o religiosa», ma dichiarava nel contempo, la sua incompetenza a «sindacare fatti d’indole politica avvenuti fuori della scuola ed estranei alla scuola e agli insegnamenti ivi praticati»[71], seguì la dura presa di posizione del fiduciario del Guf, che tacciò l’intero consiglio direttivo di pusillanimità, se non addirittura di complicità con l’atteggiamento di Levi, rinnovando a quest’ultimo i minacciosi avvertimenti già resi noti sul «Popolo d’Italia»[72].

Da quel momento la vita universitaria sarebbe stata periodicamente turbata dai ripetuti attacchi del giornale degli universitari fascisti «Libro e moschetto» e da frequenti manifestazioni studentesche, che culminarono nelle chiassate fatte in occasione delle ultime lezioni di Luigi Einaudi[73], Attilio Cabiati, Giuseppe Prato e Vincenzo Porri, spinti dall’intolleranza degli studenti fascisti a lasciare l’università[74].

Ormai erano finiti i tempi i cui Carlo Rosselli viveva gioiose estati sulle Dolomiti o in giro per l’Europa in compagnia di Piero Sraffa e di Nino Levi[75]: anch’egli avrebbe dovuto abbandonare la Bocconi[76] e prendere, come altri, la strada del confino e, di lì a poco, quella dell’esilio[77].

Questa situazione, che Sraffa non riusciva più a tenere sotto controllo, proprio a causa del suo manifesto antifascismo, spiega, probabilmente, la decisione di abbandonare la direzione dell’Università. Lo scoramento di quel momento emerge appieno in una delle ultime lettere inviate, come rettore, a Palazzina: «Quanto ai nuovi professori – ma che facciano quello che vogliono. Io me ne disinteresso sempre più – tanto anche l’interessamento a che servirebbe, con un consiglio che conta zero? (Veramente è sempre stato così)»[78]. Ma alla fine la frustrazione e il rammarico avrebbero lasciato spazio all’orgoglio di aver portato l’università ai vertici dell’eccellenza e alla tristezza di dover abbandonare un ruolo pesante, ma denso di soddisfazioni, uniti alla coscienza della correttezza, anzi della necessità, chiaramente espresse ad Ettore Bocconi[79], del gesto che si apprestava a compiere per sbloccare «una situazione generale di disagio» che ormai appariva senza via d’uscita.

Il verbale della seduta del consiglio di amministrazione del 4 novembre 1926 offre preziose indicazioni per valutare le ragioni che indussero il giurista torinese a proporre a Ferruccio Bolchini, «il migliore e il più degno di prendere in questo momento le redini dell’Università», la sua successione: «Per mandare avanti questo istituto nelle circostanze presenti è necessario avere la sicurezza di aiuti esterni indispensabili per mettere a posto gli studenti che devono nella scuola fare soltanto gli studenti. L’amico Bolchini, oltre a rappresentare una continuità per me a cui sono sensibilissimo, rappresenta una persona che, per la sua maggiore vicinanza ad alte autorità politiche ed amministrative che si propongono di venirgli in aiuto per tenere a freno gli studenti e risolvere questioni della massima importanza per la Scuola, è in condizione di portarci un aiuto prezioso. Accettando egli rende un elevato servizio all’Università, oltre che aderire alle mie preghiere: egli ha resistito per diversi giorni alle pressioni mie, a cui poi si sono aggiunte quelle del sen. Bocconi – ed ha finito per lasciarsi persuadere perché gli abbiamo dimostrato che lui solo poteva salvare la situazione. Egli certamente potrà mettere l’Università in una condizione di maggiore sicurezza di quella in cui io mi trovavo, provocando, occorrendo, più facilmente l’intervento delle gerarchie politiche nei riguardi di studenti che credessero di infrangere la disciplina, evitando ad es. il ripetersi di fatti come quello di una squadra di allievi – senza preavvisare il rettore – ha impedito a un funzionario della biblioteca che fu per molti anni all’Umanitaria e che da due anni ci presta – senza svolgere assolutamente nessuna attività politica – la sua opera intelligentissima, di continuarcela; o quello per cui, prima ancora che si sia manifestata una tendenza in proposito da parte del governo, vi siano studenti che impongano l’allontanamento di professori che il regio governo sinora ha mantenuto in carica nelle proprie università, professori che facevano parte del nostro corpo insegnante solo in quanto c’era il consenso dei ministri da cui dipendevano»[80].

La salvezza dell’Università richiedeva il sacrificio del rettore a favore di chi, assumendo una carica e un impegno che non desiderava, sarebbe stato in grado di assicurare, almeno sul piano formale, il conformismo dell’istituzione al dettato del regime, garantendo, nel contempo, che le scelte di fondo non sarebbero state messe in discussione[81].


1

Cfr. L. Lenti, Le radici dei tempo. Passato al presente e futuro, Milano 1983, p. 36 e s.; ASUB. Verbali del consiglio direttivo. Seduta del 13 maggio 1921. Valga, a titolo di esempio, l’accenno ai disordini che emerge in questo scritto: «Caro Palazzina (…). Mi pare che così non si possa continuare. Quanto agli appelli, comprendo gli inconvenienti: fino a che non si trova modo di eliminare rapidamente gli elementi guasti bisognerà subire questo metodo poco simpatico. Se si scoprono i disturbatori bisognerà colpirli forte» (ASUB. Busta R1. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Roma 7 marzo 1919).

2

ASUB Busta H. Girolamo Palazzina ad Angelo Sraffa, Milano 24 luglio 1920.

3

Cfr. A. De Maddalena, cit., p. 294 e s. Dell’accaduto Palazzina così scriveva ad Einaudi: «Per notizia le accludo questa circolare. Letto il Corriere? Il ns. comunicato è stato mutilato. Ragioni elettorali? Si trattava di un vero atto di ribellione dei giovani al consiglio e si credeva che il Corriere avrebbe riconosciuto apertamente giusto l’atteggiamento del collegio dei professori. Gliene riparlerò» (AFE. Girolamo Palazzina a Luigi Einaudi. 13 maggio 1921).

4

Cfr. Marzio A. Romani, «Contro Angelo Sraffa, il despota dell’Università Bocconi». Rivista di diritto commerciale, Istituto di diritto Angelo Sraffa, Rivista delle società: una parentela risuscitata da documenti inediti, in «Rivista delle società», 38°, 1993, III, pp. 711-722.

5

Del fatto «Il Secolo» diede la versione seguente: «Una scenata clamorosa, che per fortuna non ebbe gravi conseguenze, si è svolta ieri pomeriggio verso le 15, davanti al palazzo dell’Università Bocconi in via Statuto. Il rettore, prof. Angelo Sraffa, entrava in quell’ora nel suo ufficio, quando improvvisamente, nel mettere piede sui primi gradini, si vide afferrare per il petto da uno sconosciuto vestito abbastanza elegantemente, dalla apparente età di venticinque anni. L’aggressore, senza pronunciare parola alcuna, impegnò col professore una colluttazione violenta, mentre una comitiva di altre dieci persone – tutte estranee all’Università – circondavano il rettore onde metterlo nella impossibilità di reagire. Malgrado questo, il prof. Sraffa riusciva a svincolarsi e ad avere il sopravvento sull’aggressore sbattendolo contro una colonna del caseggiato. Intanto il clamore della scenata aveva fatto accorrere, dall’interno dell’Università, studenti e professori – primissimo il prof. Piazza [Saul Piazza, docente di matematica finanziaria] – i quali tutti si dettero all’inseguimento dell’aggressore: che poté, di lì a poco, essere raggiunto e consegnato a due agenti. Ma fatti pochi passi, con mossa improvvisa e violenta, l’arrestato riuscì a svincolarsi dalle mani delle guardie e a fuggire di nuovo».

6

A proposito di una scenata studentesca in «La Sera» del 19 febbraio 1922.

7

«Colleghi e amici, l’azione contro Angelo Scaffa [corretto poi a penna in Sraffa], il desposta [corretto in despota] dell’Università Bocconi è cominciata. Contro colui che negò ai fratelli nostri compagni d’arme quell’aiuto che tutti i combattenti ebbero in ogni università d’Italia. Colui che, unico forse in tutta Milano, ordinò che non fosse esposta la bandiera abbrunata durante la settimana di passione per le 20 vittime del Diana. Colui che venendo meno al suo tanto strombazzato inflessibile rispetto per i regolamenti, ha dato la promozione a dei bocciati e la nega ora a degli ex combattenti. Quest’uomo tenterà forse di resistere perché manca in lui ogni sentimento di padre [sic., corretto poi in pudore] e di onestà. Ma gli ex combattenti stanno in guardia. Come siamo accorsi in vostro aiuto senza che voi ci chiamaste, così saremo al vostro fianco in seguito perché nessuno di voi debba essere soggetto a qualche vile rappresaglia. Pur comprendendo la gravità dell’atto compiuto ne riconosciamo l’assoluta necessità e ci dichiariamo pronti a ripeterlo se con la sua insistenza Angelo Scaffa [corretto in Sraffa] vorrà ancora insultare chi ha combattuto per la Patria. Non dimenticate la risposta che esso dette ai combattenti che gli ricordavano il tempo perduto e il sangue versato nelle trincee fangose; essa sola è sufficiente a mettere in chiara luce tutta la generosità di quest’uomo. Avete fatto la guerra? peggio per voi! Tutti i colleghi universitari d’Italia ci seguono solidali» (il volantino, come tutti gli altri documenti relativi alla questione sta in ASUB. Busta 4/1).

8

A proposito d’una scenata, cit.

9

E un esempio di quanto avrebbe potuto accadere se non si fosse agito con la massima energia lo si ebbe nel corso del convegno degli studenti fascisti, organizzato a Bologna a fine febbraio alla presenza di Dino Grandi e Massimo Rocca al fine di dar vita a una federazione universitaria fascista, dove, fra gli ordini del giorno approvati, uno riguardava la «tutela dei diritti degli studenti ex-combattenti dell’Università Bocconi di Milano» (Un convegno di studenti universitari fascisti, in «Il giornale universitario» del 1 marzo 1922).

10

Una sintesi dell’accaduto e delle sue premesse, predisposta probabilmente dalla segreteria per la commissione arbitrale, ne mette in luce le vere ragioni: «Il fatto interno che occasionò l’incidente è questo: il regolamento universitario stabilisce che il passaggio dal 2° al 3° anno non è ottenibile se non avendo superato tutti gli esami; attualmente fra le materie obbligatorie di esame sono compresi anche i due corsi di lingue. Ora è accaduto che alcuni studenti rimanessero in debito di un esame, avendo però sostenuto i due esami di lingue, che all’epoca nella quale essi si iscrissero all’università, erano esclusi dal computo degli esami obbligatori per il passaggio dal 2° al 3° corso. In considerazione di ciò si credette di poter concedere a quegli studenti che, essendo rimasti in debito di una materia, avevano però sostenuto e superato due prove a cui non erano tenuti, di frequentare le lezioni del 3° corso, rimanendo inteso che non sarebbero stati ammessi agli esami dal 3° al 4° corso che quando avessero superato l’esame mancante per il passaggio al 3°. Del provvedimento beneficiarono 24 studenti, fra cui undici ex combattenti. Successivamente sette studenti presentarono una domanda alla direzione, chiedendo che a loro venisse esteso il provvedimento suddetto: essi erano in debito di due materie. Due di costoro erano stranieri (un russo e un austriaco); gli altri avevano prestato servizio in guerra, ma si erano tutti iscritti regolarmente a guerra finita, e avevano quindi seguito il corso normale delle lezioni. Per evidenti ragioni la concessione fu negata. Se questa fu, come dicemmo, la causa occasionale, nel corso della vertenza fu possibile accertare che l’unico ispiratore e autore nascosto dell’incidente fu lo studente Ivo Levi. I precedenti di costui facevano fondamentalmente supporre quanto venne poi accertato con prove palmari. Il Levi si iscrisse all’Università nell’anno 1919/20, in base a una licenza liceale incompleta (recava un 4 in matematica e un 4 in storia naturale) e resa valida per le disposizioni allora in vigore a vantaggio dei combattenti. Appena entrato all’Università, egli si mise all’opera per promuovere e capeggiare un’agitazione intesa ad ottenere l’iscrizione retroattiva per gli studenti ex militari; per sua iniziativa fu nominata una commissione che si recò dal rettore, da alcuni consiglieri e dal ministro dell’istruzione. Non ottenendo soddisfazione, inaugurò allora il sistema di anonima diffamazione che ha ripetuto nella recente occasione. Infatti il presidente del C.D.A. ricevette una lettera anonima (sottoscritta “Un gruppo di studenti”), nella quale al presidente era rimproverato di soggiacere “alla volontà di un solo che trivialmente e senza ragioni di sorta ha cercato di soffocare il nostro movimento”. Contemporaneamente il Levi apponeva la sua firma a una lettera, redatta in termini umilissimi, indirizzata allo stesso [il rettore] che “trivialmente…” [sic]. «Costui è risultato l’autore di tutte le falsità accumulate per collocare la figura del rettore nella cattiva luce di un antipatriota. Sua è l’invenzione delle frasi ingiuriose per gli ex combattenti pronunziate dal rettore. Sua è l’invenzione del divieto posto dal rettore alla esposizione della bandiera abbrunata per il delitto del Diana, invenzione nettamente smentita dal custode dell’Università, che ricorda perfettamente come invece l’ordine di esporre la bandiera fu dato dalla direzione. Se un dubbio poteva rimanere sulla provenienza delle infamie accumulate in questa circostanza, esso è stato dissipato dalla confessione fatta dal Levi che le correzioni apportate al manifestino anonimo distribuito nella Università erano di suo pugno, e dal fatto che la lettera del gruppo universitario fascista pubblicata dalla Sera e contenente accuse al rettore, era scritta di pugno del Levi. A completare la figura morale del Levi, si aggiunga che l’anno scorso egli maltrattò brutalmente, con pugni e calci, un ragazzino che era in servizio presso l’Università, perché questi aveva obbedito a un ordine superiore, togliendo un manifesto affisso dagli studenti. E seppe anche in questa circostanza custodire l’anonimo, riducendosi a compiere il suo bel gesto in un luogo dove tutti vanno senza testimoni».

11

La lettera di Sraffa si chiudeva sull’esaltazione delle scelte operate: «l’Università Bocconi, che per spirito patriottico inteso nel suo vero ed alto significato, e nell’interesse degli studi si è rifiutata di accogliere provvedimenti attuati nelle Regie Università, apparentemente (non nella realtà) favorevoli agli studenti ex-combattenti, è sicura di avere tutelato il vero interesse degli ex-combattenti studenti, e degli altrettanto benemeriti ex-combattenti laureati, mantenendo alta la fama di serietà di quella libera Università ed il prestigio delle lauree che essa rilascia. Siamo quindi orgogliosi della nostra condotta e fermamente risoluti a mantenerci fedeli al nostro programma, che è un programma in difesa degli interessi degli studi e quindi degli interessi Nazionali».

12

ASUB. Busta 4/1. Angelo Sraffa ad Alfredo Rocco. Milano 23 febbraio 1922.

13

Cfr. ASUB. Busta 4/1. Giulio Bergmann ad Angelo Sraffa, con allegata la minuta della decisione della commissione. Milano 3 marzo 1922. Un ampio stralcio della stessa fu pubblicato su «Il Sole» (5 marzo 1922), il «Popolo d’Italia» (4 marzo 1922) e «Il Secolo» (6 marzo 1922).

14

Cfr. M.A. Romani, Un nuovo modesto ramo al tronco vigoroso e già fecondo di frutti della Università Commerciale, in Il progetto del museo sociale, cit. pp. 15-112.

15

Nell’agosto di quell’anno egli comunicò la sua decisione a Luigi Einaudi invitandolo ad assumere la direzione dell’iniziativa: «Carissimo Einaudi, speravo di trovarti il 30 a Torino, ove fui per un paio di giorni. Desideravo parlarti un po’ per l’assestamento da dare all’insegnamento economico (in lato senso) alla Bocconi, essendo riescito a finanziare in modo assai soddisfacente il disegno di istituto economico, di cui parlavamo e per il quale conto molto sopra la tua opera. Vorrei cominciare ad operare sin dall’inizio del nuovo anno scolastico, procedendo per esperimento e col programma di non dire quel che si vuol fare, ma di fare quel che si può, dando in seguito l’ordinamento formale ed il nome alle cose fatte. Quando tu ti sarai preso una completa e ristoratrice vacanza mi scriverai per una prima intesa. Dall’amico Prato sento che hai avuto il suo abbozzo e anche di questo parleremo al nostro incontro» (AFE. Angelo Sraffa a Luigi Einaudi. Marzio 3 agosto 1919).

16

ASUB. Busta 103/1.«Istituto di economia e di scienza sociale. Anno 1920. 1 semestre di attività».

17

La linea proposta da Angelo Sraffa sarebbe stata seguita anche nel decennio seguente. Ancora all’inizio degli anni ’30, quando ormai l’Istituto aveva raggiunto un alto prestigio nel campo della ricerca economica, esso veniva presentato sotto tono: «Il fine principale dell’Istituto nel campo didattico consiste nella vigilanza sul lavoro degli studenti per le dissertazioni di laurea. Al principio del terzo anno del corso universitario gli studenti sono invitati a scegliere il tema per la dissertazione di laurea tra quelli suggeriti dagli insegnanti dell’Università o tra quelli che i gusti stessi degli studenti possono loro far preferire. La scelta dei temi è controllata ed approvata dall’istituto, col concorso del professore della materia cui il tema si riferisce. L’Istituto assiste poi i laureandi nella preparazione e nello svolgimento degli schemi dei loro lavori, secondo le direttive date dal professore, ed offre loro indicazioni bibliografiche, suggerimenti per l’esecuzione di rappresentazioni grafiche, consigli e mezzi meccanici per l’esecuzione di calcoli statistici (…). Oltre l’assistenza nei lavori obbligatori, l’Istituto offre agli studenti aiuto e consiglio nelle indagini scientifiche, nelle letture intese al perfezionamento culturale, spontaneamente intraprese dagli studenti stessi. Ricorrono spesso all’istituto ed alla biblioteca anche i laureati dell’università Bocconi ed estranei che trovano sempre benevola accoglienza. Così la collaborazione tra i professori e i loro discepoli è continuata anche dopo la fine del corso regolare degli studi. Nel campo scientifico l’Istituto svolge un azione sistematica per mezzo delle sue pubblicazioni periodiche: 1) “Annali di Economia”. Rivista di economia scientifica e pratica, che accoglie studi monografici a preferenza di professori e laureati dell’Università Bocconi (…). 2) “Bibliografia Economica Italiana”. Aderendo ad un invito della Società delle Nazioni, il Giornale degli Economisti ha assunto la responsabilità della preparazione e della pubblicazione di una raccolta bibliografica costituita di brevi riassunti oggettivi di tutti gli scritti in materia economica che si pubblicano in Italia. La bibliografia viene compilata dall’Istituto, col concorso del Giornale degli Economisti, il supplemento del quale viene poi pubblicato quadrimestralmente (…). 3) “Prospettive Economiche”. Annuario compilato, sotto gli auspici dell’Istituto, dal prof. Giorgio Mortara. In esso l’autore descrive le condizioni del mercato mondiale di alcuni [prodotti] più importanti nei traffici internazionali, e ricollegando lo stato presente con quello passato, ed analizzando l’azione delle cause attuali o probabili di futuri mutamenti, cerca di delineare le tendenze dominanti dell’offerta, della domanda, e quindi dei prezzi delle varie merci (…)» (ASUB Busta 103/1. «Istituto di economia». a.a. 1930-1931).

18

Le riserve del professore torinese sarebbero state sciolte solo a distanza di un anno dalla costituzione del centro di ricerca: «Caro Sraffa, ho ripensato alla tua cortese offerta di direzione dell’Istituto di Economia; e parmi che le intese verbali intercorse tra noi possano essere la base di ciò che si potrà fare l’anno venturo. Io seguiterei a venire a Milano una volta alla settimana e precisamente al mercoledì. In quel giorno al mattino farei lezione al 2° corso e al pomeriggio mi occuperei dell’Istituto, sia intrattenendomi con professori e studenti, sia guardando al da farsi col vice-direttore. Col quale mi terrei in comunicazione in occasione delle sue periodiche gite a Torino (…). S’intende che la mia adesione a quanto sopra è subordinata all’aiuto del vice-direttore ed alla scelta di questi nella persona del Porri, in cui ho piena fiducia ed a cui dovrà essere affidato l’insegnamento della scienza delle finanze al terzo corso, ad integrazione dell’insegnamento mio generale del secondo corso, con l’obbligo di dare gli esami tanto per il mio secondo corso, come per il suo terzo» (ASUB. Busta D. Luigi Einaudi ad Angelo Sraffa. Torino 14 dicembre 1921).

19

Cfr. «Istituto di economia», cit.

20

ASUB. Verbali del c.d.a. Seduta del 12 maggio 1923. Sul ruolo e l’importanza dell’istituto di economia cfr. P.L. Porta, La cultura economica, cit., pp. 429-446.

21

La sede del centro di ricerca era stata ricavata in cinque stanze: «contrassegnate dalle lettere B-C-D-E-, restando indicato colla A la sala di lettura ordinaria della biblioteca, e così distribuite: la sala B è destinata alle riviste (collezioni) ed alla raccolta in genere dei materiali documentari (…). La sala C è destinata alla direzione e contiene la raccolta delle bibliografie, le nuove riviste in lettura. La sala D raccoglie tutto il materiale statistico che la biblioteca possedeva e quello sopravvenuto all’Istituto in seguito a numerose circolari spedite ad enti pubblici e privati. In questa stessa sala si preparò l’ambiente per le esercitazioni teorico pratiche. La sala E è destinata al materiale bancario ed è sede del bollettino dell’Associazione Bancaria» (ASUB. Busta 103/1. Ciò che si è fatto).

22

ASUB. 103/1. Statuto dell’Istituto di Economia.

23

Paolo Vita-Finzi (Torino 1899-Chianciano 1986), si laureò a Torino nel ’20, dove frequentò Piero Sraffa, Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Assistente alla Bocconi nel ’21, iniziò la carriera di giornalista nel ’22 ed entrò in diplomazia nel ’24. Riparato in Argentina in seguito alle leggi razziali nel ’38, qui soggiornò sino alla fine della guerra; per riprendere nel dopo guerra l’attività diplomatica come console generale a Londra, ministro plenipotenziario in Finlandia, ambasciatore in Norvegia e Ungheria. Dell’anno trascorso in Bocconi assieme a Mattioli rimane un suo gustoso e poco noto ricordo in Giorni lontani. Appunti e ricordi (Bologna 1989, pp. 151-154): «L’Università Bocconi sorgeva su uno slargo di via Solferino, a breve distanza dall’Accademia di Brera e dalla sede del Corriere della Sera. Erano assistenti assieme a me, ma con compiti diversi, Agostino Lanzillo e Raffaele Mattioli (…). Vedevo di rado Lanzillo; invece mi era compagno di stanza all’Istituto di economia della Bocconi e carissimo amico Raffaele Mattioli, che doveva divenire un giorno amministratore delegato e poi presidente della Banca Commerciale Italiana, e passare alla storia come esempio di banchiere umanista, tanto da indurre il “Monde” a definirlo “il più grande banchiere italiano dopo Lorenzo de’ Medici”. La sua intelligenza vivace e ironica cominciava manifestarsi negli articoli che redigeva per la “Rivista Bancaria”: li firmava R. Whitehall, con lo pseudonimo che s’era scelto in un impeto di narcisismo, ammirando la sua bianca mano mentre scriveva (…). In uno di quei giorni felici di discussioni e di allegra bolletta, un giorno arrivò alla Bocconi cantando su un ritmo di sua invenzione: Vita nuova! Vita nuova! Caffelatte con tre uova! e mi espose un suo piano di studio intenso, sostenuto da rari ma poderosi zabaioni. Fu nominato nel 1922 segretario della Camera di commercio di Milano, ove conobbe Toeplitz, e poi sulla scia di quest’ultimo, che ne aveva intuito le grandi qualità, passò alla Commerciale, scalandola rapidamente sino alla vetta».

24

Dell’impegno e dell’entusiasmo degli assistenti è prova questa lettera del rettore al direttore della segreteria: «Caro Palazzina (…), bisogna che per l’Istituto Economico non vi sia l’obbligo di chiusura alle sei e mezzo; ma è naturale che un istituto di studi liberi, in contrasto con l’orario della Università, debba aver la possibilità di svolgere la propria opera nelle ore più propizie, quindi in qualche ora in cui l’università è chiusa. Che fare? Mi pare che si debba, sotto la responsabilità di Vita e Mattioli, lasciare anche dopo l’orario dell’Università aperto l’istituto. Vita e Mattioli si impegneranno a spegner loro i lumi e a chiuder giù la porta: quindi faccia preparare una chiave da consegnare cumulativamente a Vita e Mattioli» (ASUB. Busta 1R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Milano 6 dicembre 1920).

25

Nell’ipotesi presentata da Mattioli e da Vita-Finzi al rettore, il bollettino bibliografico avrebbe dovuto presentare le seguenti caratteristiche: «La “Bibliografia di scienze economiche” uscirà mensilmente e conterrà numerose notizie sulle pubblicazioni d’indole economica italiana e straniera. Tali notizie consisteranno e in semplici annunzi librari o in brevissime recensioni obbiettive, che diano però al lettore un criterio in base al quale egli sia in grado di giudicare se dalla lettura dello studio in questione possa trarre qualche profitto. Le notizie stesse riguarderanno sia opere e studi pubblicati o raccolti in volume, sia articoli di giornali e riviste degni di attenzione». La ripartizione per materia prevedeva lemmi quali: economia, finanza, statistica, geografia economica e sociologia; le fonti a cui attingere erano rappresentate da pubblicazioni di «organizzazioni statali e parastatali italiane e straniere, Camere di commercio, associazioni padronali ed operaie, banche e associazioni bancarie, società cooperative, biblioteche di università, laboratori economici e società di cultura italiane ed estere, editori specializzati», oltre a periodici economico-finanziari nazionali e stranieri. Le informazioni potevano essere richieste «a docenti e a studiosi di cose economiche». «Il Bollettino», diretto da Gobbi, Coletti, Einaudi, Prato e Bonfante e redatto da Mattioli e Vita-Finzi, si sarebbe avvalso della collaborazione degli studenti frequentanti l’istituto e sarebbe uscito in fascicoli di 16 pagine a un costo di ca. 700 lire per numero (cfr. ASUB. Busta 103/1. Bibliografia di scienze economiche).

26

Ad attestare il successo incontrato dall’istituto di economia nel mondo produttivo sta l’elenco dei «soci corrispondenti», che comprendeva il Gotha dell’economia italiana: «Pirelli, Tarlarini, Benni, Olivetti, sen. Agnelli, comm. Vallena, Valdissera, De Capitani, Ceretti, Toeplitz, Orsi, Solza, Zuccoli, Motta, Feltrinelli, Conti, Crespi, Donegani, Targetti, Soldini, Olcese, Posa, Falk, Clerici, Rosasco, Vanzetti, Belloni, Colli, Panzarasa, on. Ponti, ing. Luzzatti» (ASUB. Busta 103/1 Istituto di Economia).

27

Gino Zappa a Girolamo Palazzina. Venezia 23 luglio 1924 (ASUB. Busta Z2).

28

ASUB. Busta 117/122. «Ordinamento didattico. Ordinamento degli studi e degli istituti culturali nell’Università commerciale Luigi Bocconi». 1928-1929-VII, pp. 34-35.

29

Zappa ne accennò a Palazzina all’inizio del 1921 e quest’ultimo ne parlò al rettore, che valutò molto positivamente il progetto: «Egli [Sraffa] è estremamente lieto che l’attività di laboratorio si inizi subito su la base di Lei (quale base più solida?) e di Caprara. Il Rettore parte dal concetto preciso che gli assistenti o aiuti al Direttore dell’Istituto (che purtroppo per forza di cose non può essere sempre a Milano) siano scelti fra persone residenti a Milano. Nessuna preferenza del Rettore per nessuno: è lasciata interamente a Lei la scelta di giovani di assoluta sua fiducia, laureati qui o altrove» (Girolamo Palazzina a Gino Zappa, Milano 24 febbraio 1922. ASUB. Busta 103/1).

30

I settori nei quali l’istituto avrebbe potuto fare opera di consulenza riguardavano: «la formazione dei costi in questa o in quella impresa industriale, la rilevazione dei redditi, la determinazione presuntiva di situazioni economiche, la formazione o la revisione di bilanci o di particolari classi di scritture, l’ordinamento amministrativo di questo o quell’ufficio» e via discorrendo (ASUB. Busta 103/1. Milano 21 giugno 1922).

31

Nel pluriennale programma di ricerca elaborato dal direttore d’istituto i temi di fondo, raccolti in una collana di monografie, avrebbero dovuto interessare: «L’economia dei costi comuni nelle imprese commerciali: le spese generali. Le variazioni di capitale nelle imprese azionarie. Le imprese molitorie. La produzione e il commercio del vino. Il commercio e l’industria del cotone. Il commercio e l’industria della lana. Le negoziazioni di prodotti industriali. La tecnica dei trasporti marittimi. Le operazioni del credito commerciale nelle grandi e nelle piccole banche. Le banche locali. La tecnica dei cambi esteri. La gestione e la contabilità delle imprese agrarie. Le imprese pubbliche. Il bilancio dello Stato” (ASUB. 103/1. Anno 1930. VIII E.F. Università Luigi Bocconi. Istituto di ricerche tecnico-commerciali e di ragioneria). A chi riflette su questo elenco a posteriori, non può sfuggire il fatto che pressoché tutte le ricerche ipotizzate andarono a buon fine e che sulle stesse si costruì la carriera universitaria di alcuni dei più bei nomi dell’economia aziendale italiana. Mi limito a ricordare alcuni fra i primi contributi: U. Caprara, Le negoziazioni caratteristiche dei vasti mercati (1926), Il commercio del grano (1928-1931) e Banca (1948); P. Onida, I finanziamenti iniziali d’impresa (1931) e Le dimensioni del capitale d’impresa (1939); Ugo Borroni, Il commercio del cotone (1932); A. Marcantonio, I legnami. Gestione forestale e gestione mercantile (1939); G. Dell’Amore, Lana. Caratteristiche della produzione, del consumo e del commercio (1938); Credito fondiario in Italia (1938); Commercio dei prodotti agrari (1938-42); G. Pivato, Le imprese di servizi pubblici (1939); E. Lorusso, La filatura nell’economia dell’azienda (1938). Sul tema si veda il saggio di A. Canziani, Le discipline aziendali italiane da tecniche a scienza (relazione presentata al II convegno nazionale di storia della ragioneria, Messina 16/17 dicembre 1993).

32

ASUB. Busta 103/1. Milano 21 giugno 1922.

33

Ancora una volta è il caso di ricorrere alla penna felice di Libero Lenti (Le radici del tempo, cit., pp. 44-45) per far rivivere Zappa alla Bocconi: «… viso severo, alto, massiccio, sempre vestito di scuro, un vero sacerdote della ragioneria. Entrava in aula, di solito piena di studenti, saliva in cattedra e tirava fuori un mazzo di chiavi. Poi, giocherellando con le chiavi, comunicava la lezione con l’intento di farci capire che la vecchia ragioneria stava morendo, se non era già morta, e che stava nascendo quella professata dalla “nostra scuola”, che doveva trasformare una ragioneria puramente contabile in un’economica d’azienda (…). L’esposizione di Zappa era sempre molto chiara. Non altrettanto il suo testo, arricchito da un imponente apparato critico ed erudito, ma scritto anche con un italiano che ricordava quello d’altri tempi. Tanto lo ricordava che alcune frasi riuscivano quasi incomprensibili. Per questo si mandavano a memoria. In qualcuno di noi galleggiano ancora frasi come questa: Quando, pur nel vanire della forma utile a noi percettibile, perdura l’utilità dei costi che a nessun oggetto sensibile si sanno imputare, hanno vita icosti indivisi”, ocosti sospesi”, ocosti non imputabili”. La potenza del suo insegnamento, o perfino quella del suo scrivere, faceva sì che gli allievi, quelli che scherzosamente chiamavamo la “compagnia degli zappatori”, finivano con l’imitarne lo stile. Testimonianza, questa, dell’impronta d’un vero maestro».

34

Nella visione del «Maestro»: «La gestione aziendale che sempre più si arricchisce di nuove coordinazioni interne, di nuove integrazioni, di nuove solidarietà nel complesso dinamico dell’economia sociale, cresce alimento di fatti alle nostre indagini: l’ampiezza di queste vuole corrispondere all’importanza delle sempre più vaste ed estese applicazioni. La specializzazione delle ricerche offre ai collaboratori dell’Istituto i compiti che alle loro attitudini maggiormente si confanno, e consente all’Istituto di non essere impari alle molte esigenze dell’indagine scientifica. I collaboratori sono anzitutto indirizzati alla complessa osservazione voluta dall’inchiesta diretta, ma sono anche addestrati a non indugiarsi nei soli particolari, a non smarrirsi nel mondo dei dettagli» (ASUB. Busta 103/1. Anno 1930. VIII E.F. Università Luigi Bocconi. Istituto cit.).

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Gino Zappa avrebbe sicuramente condiviso l’osservazione di Arnaldo Canziani: «Si tratta, per rendere le nostre discipline – nel secolo XIX, in questo che sta per chiudersi o nel prossimo XXI – di sussumere un’empiria – non qualsivoglia bensì qualificata – in strutture teoriche interpretative; di affinare le teorie al vaglio di empirie sempre più estese nello spazio e nel tempo; di addivenire a teorizzazioni dal “potere esplicativo” definitivo rispetto alle coordinate assunte, e di rendere quindi le teorie stesse descrittive e normative nel contempo» (A. Canziani, Le discipline aziendali, cit.).

36

ASUB. Busta 103/1.

37

Ancora nel ’25 Sraffa lamentava l’eccessivo spazio concesso all’economia aziendale e si opponeva con forza alle nuove richieste del direttore dell’istituto: «Trovo anche lettera di Zappa. Non voglio aumenti d’ore: Zappa vorrebbe ridur tutto alla sua materia. Ora gli studenti della Bocconi sono già troppo carichi e bisogna porre un freno a questa corsa agli aumenti d’ore» (ASUB. Busta 2R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Rapallo 23 settembre 1925).

38

Le finalità statutarie della Fondazione Serena risultavano le seguenti: «a) To promote the teaching, study and knowledge in Italy of all or any of the following subjets, namely: – the english language and literature, the history, laws and political, economic, commercial, financial and other public institutions of the british Empire, or of any part thereof, as also of english culture generally. b) To provide and/or pay for, or to assist in providing and/or paying for chairs, professorship, lectureships, and/or tutorships in, or in connection, with any University or other superior Institute of learning in Italy, for the teaching and study of all or any of the subjets mentioned in the foregoing clause (a). c) To make grants to Universites and other superior Institutes of learning in Italy to be applied by them in promoting all or any of the objects of the association» (ASUB. Busta 83/3. 21st day of january 1922. Memorandum and articles of association of the Serena Foundation).

39

ASUB. Busta 83/1 Enrico Consolo ad Angelo Sraffa. Londra 27 gennaio 1921.

40

Idem. Londra 3 giugno 1921.

41

Il rettore chiese a Consolo di offrire al consiglio della Fondazione Serena le più ampie garanzie sulla solvibilità della sua Università, ricordando che «il patrimonio della Bocconi e in genere le sue disponibilità sono molte e larghe: oltre un patrimonio immobiliare di circa tre milioni (che vuol dire non spendere niente nell’affitto dello stabile, che oggi a Milano sarebbe enorme) ed un valore di circa un milione che ha la biblioteca che abbiamo costituito in questi anni (prevalgono i libri e le riviste di lingua inglese perché come sai l’Inghilterra è la mecca degli economisti) essa ha in titoli tre milioni circa, in titoli di primo ordine. Ha poi entrate ordinarie assicurate: quarantamila lire all’anno della Camera di Commercio, ottantamila lire all’anno di contributi da pane della Banca Commerciale Italiana, del Credito italiano, della Banca Italiana di Sconto, dell’Istituto Nazionale di Credito della Cooperazione; inoltre e principalmente ritrae ogni anno dalle tasse degli studenti oltre mezzo milione (…). Le spese – che sono in continuo aumento – sono largamente coperte dal reddito del patrimonio e dalle entrate e, per tuo uso personale aggiungo, che abbiamo un fondo di riserva nascosto, suscettibile di essere aumentato, ove occorra, ricorrendo al senatore Bocconi, figlio del fondatore e attuale presidente» (ASUB. Busta 83/1. Angelo Sraffa a Enrico Consolo. Milano 8 giugno 1921).

42

ASUB. Busta 83/1. Enrico Consolo ad Angelo Sraffa. Londra 14 giugno 1921.

43

«Caro Palazzina, son giunto ed ho concluso definitivamente; ho assistito ad una riunione del comitato Serena ed è stato definitivamente deciso di attribuire alla Bocconi il reddito di mezzo milione di lire… italiane. Le racconterò a voce. Se non venivo il comitato, ove disgraziatamente predomina l’elemento italiano, avrebbe rinviato ancora la decisione definitiva» (ASUB. Busta 2R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Londra 2 ottobre 1921).

44

ASUB. Busta 83/1. Enrico Consolo ad Angelo Sraffa. Londra 14 giugno 1921.

45

Idem. Angelo Sraffa a Janet Trevelyan. Milano 21 novembre 1921.

46

All’assurda richiesta Sraffa così rispose: «I corsi Serena sono per Italiani e codesto comitato riconosce che, così come io li ho organizzati sono “forse meglio corrispondenti al sistema scolastico italiano e alla mentalità degli studenti”, perché volere un “Serena professor” che – non essendovi più uomini enciclopedici – necessariamente potrebbe insegnare una sola materia? A me è sembrato sin dall’inizio e ancora sembra che il pensiero del Serena sia quello di creare cattedre destinate a far conoscere agli Italiani il popolo inglese nelle sue molteplici manifestazioni. E poiché egli ha incoraggiato le istituzioni di cattedre di lingua italiana in università inglesi dove non esistevano (ed io quindi insisto per far rilevare che all’Università Bocconi le cattedre di lingua inglese esistevano di già e continuano a funzionare) (…) mi sembra che codesto comitato dovrebbe riconoscere nei corsi qui organizzati precisamente l’iniziativa che fa riscontro, o almeno si propone seriamente di far riscontro, a quelle su ricordate. Comunque è assolutamente necessario che il comitato si pronunzi chiaramente in merito. Se un dubbio dovesse rimanere, se pastoie vengono poste, l’Università restituirebbe senz’altro le 10.000 lire ricevute e non potrebbe più occuparsi per l’avvenire del “fondo Serena” non essendo noi disposti a dar conto di ogni passo alla signora segretaria onoraria o a chi le scrive in un italiano perfetto – ma in contrasto di quanto si era chiaramente inteso» (ASUB. Busta 83/1. Angelo Sraffa a Enrico Consolo. Milano 28 febbraio 1922). Alla Trevilyan egli invece rispose in questi termini: «Gentile Signora, (…) i professori Pacchioni, Hazon, Mortara, Marshall sono tutti professori del “fondo Serena” e non vedo proprio perché il titolo di professore del “fondo Serena” debba essere riservato ad uno e non esteso a tutti e come da questo fatto debba dipendere il riconoscimento pubblico della fondazione Serena (che io credo di avere già fatto conoscere ampiamente). L’esserci quattro cattedre della fondazione Serena anziché una e tutte coordinate ai fini della diffusione della più alta cultura e della conoscenza del pensiero e dell’attività dell’Impero Britannico, mi pare risponda al preciso desiderio del fondatore. D’altra parte mi consenta di dire schiettamente che, poiché la fondazione Serena è sorta per svolgere la sua opera in Italia, mi sembra indispensabile che l’opera stessa sia svolta coi criteri e nelle forme che meglio rispondono alla mentalità italiana: soltanto così la sua azione sarà veramente proficua (ASUB. Busta 83/1. Angelo Sraffa a Janel Trevilyan. Milano 22 marzo 1922).

47

Per Sraffa l’imposizione era inaccettabile: oltre a limitare l’efficacia dell’intervento, essa avrebbe creato insostenibili tensioni all’interno dell’Università, discriminando il privilegiato pagato secondo i parametri anglosassoni, rispetto alla massa dei professori della Bocconi, compensati secondo gli standard vigenti in Italia. Sul tema così riferiva a Consolo: «Noi abbiamo inteso rimanere perfettamente liberi di pattuire con i professori gli onorari di volta in volta, seguendo i criteri in vigore in Italia, anche perché sarebbe assurdo seguire sistemi diversi a seconda di professori pagati con i nostri fondi e professori pagati con il fondo Serena; ciò vorrebbe dire creare due classi: di professori proletari e di professori privilegiati, il che sarebbe ingiusto e assurdo» (ASUB. Busta 83/1. Angelo Sraffa a Enrico Consolo. Milano 14 gennaio 1922).

48

ASUB. Busta 83/1. Angelo Sraffa a Enrico Consolo. Milano 10 ottobre 1922.

49

Essa prevedeva la presenza in Italia, per un anno, di un docente americano, che tenesse seminari di economia nelle principali università e di un docente italiano negli USA, al fine di consolidare i legami fra le due nazioni e di «dare a studenti di scienze commerciali, e a giovani che sono già in affari, l’occasione di rendersi conto della vita economica degli Stati Uniti e una guida per studi più approfonditi atti a prepararli al commercio italo-americano» (ASUB. Busta 84. Irene di Robilant, manager della Italy-America society, ad Angelo Sraffa. Roma 27 agosto 1924).

50

Le cui lezioni milanesi sull’economia e la società americana furono pubblicate, a cura della Bocconi e dell’Italy-America Society, nel volume Le forze spirituali e materiali dello sviluppo economico degli Stati Uniti.

51

Alle preoccupazioni manifestate da Palazzina di fronte alla deludente partecipazione di pubblico alle conferenze finanziate dalla Fondazione Serena e dalla ltaly-America Society, Attilio Cabiati, tra il serio e il faceto, così gli rispondeva: «… lei non conosce la psicologia del pubblico come la conosco io per la mia abitudine giornalistica. La Bocconi ha ricavato dalle conferenze tutto l’utile che poteva, con l’annunzio sui giornali: tutti hanno ricordato l’Università e notato ciò che fa, in più delle altre, per modernità e per l’incremento degli studi. Questo è tutto. Le conferenze poi non interessano una buccia di fico. Chi vuole che si occupi di ciò che pensava di bello Adamo Smith, o quali idee ha il sig. Pigou sulla distribuzione delle ricchezze? Ciò può premere a quattro gatti malinconici; ma non al pubblico: il quale poi, al pari di me, è arcistufo di quella forma noiosa di ozio intellettuale che è la conferenza. Vi è qualche eccezione: se Einstein o Voronoff spiegano dottrine nuove, personali, sconvolgenti, tutti siam lieti di avere in un’ora una sintesi condensata delle loro indagini e scoperte. Ma, salvo questi rari casi, sarebbe ora di finirla con questa gonorrea. E quanto ai miei studenti, essi sono interessati a ciò che dirò loro sugli effetti monetari e tributari della pace di Versailles ed a quello che spontaneamente mi chiederanno nelle riunioni di istituto: e di sera andranno sotto braccio con le sartine, in questo mese mariano in cui le rose fioriscono e gli asini vanno in amore (…). Stia bene e mi sopporti con quella sana filosofia con cui io sopporto Mussolini e la sua banda, che fanno ben altro» (ASUB. Busta C. Attilio Cabiati a Girolamo Palazzina. Genova, 2 maggio 1925).

52

«Un bilancio tanto negativo», osserva M. Ostene, «sarebbe tuttavia ingiusto. Con l’introduzione dell’esame di Stato, la riforma Gentile contribuì senza dubbio ad innalzare il livello di studi; pur trascurando l’inesauribile tesoro racchiuso nel libero arbitrio dell’uomo, essa restava pur sempre il prodotto di una mente umanista: il ruolo centrale del mondo classico fu l’unico suo motivo ispiratore realmente trasmesso al fascismo. Il rafforzamento dell’autonomia universitaria, infine, permise forse, di mantenere in vita la tenue fiamma della libertà» (M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Bari 1980, p. 56).

53

ASUB. Busta 1R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina, Marzio 1 agosto 1921.

54

Nel rapporto annuale del 19 novembre 1934, per non fare che un esempio, Pagliari, richiedeva l’assunzione di almeno due altri impiegati, giustificandola con queste parole: «Nei nove anni da che ho assunto la carica di bibliotecario, i volumi in biblioteca sono aumentati di 22.057; mentre il numero delle pubblicazioni periodiche è quasi triplicato, più che quintuplicato il numero dei prestiti a domicilio e quasi triplicato il numero dei prestiti in sede, mentre sono stati, corrispondentemente all’accresciuto numero, grandemente estesi lo spoglio quotidiano dei periodici e la schedatura degli articoli, con la compilazione di un apposito schedario bibliografico, che consta ormai parecchie decine di migliaia di schede sistematiche classificate per materia. Il personale addetto a questi servizi è però sempre lo stesso del 1925: il sig. Morini, per la registrazione, la collocazione e la preparazione per la rilegatura del materiale, per la collocazione delle riviste e delle pubblicazioni periodiche, per i prestiti in sede e il ricollocamento delle opere date in lettura; coadiuvato, per la segnatura e la distribuzione dal sig. Bastesin, il quale attende, inoltre, alla pulizia dei locali, al trasporto del materiale, al ritiro quasi giornaliero delle pubblicazioni presso la posta centrale, ecc.; mentre la sig.na Vanzo, addetta all’Istituto di tecnica aziendale, coadiuva anche, con lodevole solerzia, la biblioteca, nella compilazione delle schede per materia e autori delle opere entrate in biblioteca, curando, inoltre, la compilazione delle schede bibliografiche dei periodici» (ASUB. Busta F).

55

Di Fausto Pagliari, Armando Sapori ha lasciato questo affettuoso ricordo: «Il secondo che incontrai [all’Università Bocconi] fu Fausto Pagliari. Anche la biblioteca vive per lui, il bibliotecario, che padrone di tutte le materie, scorre la bibliografia, dai cataloghi di antiquariato alle notizie delle riviste in tutte le lingue, e segnala volumi e articoli a ciascun insegnante. Col Pagliari, poi, chi abbia l’abbonamento con quell’agenzia di informazioni che procura tutti i ritagli delle recensioni delle opere, può risparmiare la spesa. Sa tutto, e quando capiti da lui ti fa trovare tutto pronto e magari copiato a macchina o a mano con la sua calligrafia netta e intelligente. Se sei in vacanza ti manda copie e riassunti fino a domicilio, e li accompagna con lettere piene di gusto umanistico, a parte la grande dottrina. È cremonese, parla in dialetto, e inciampa, direi meglio, accavalla le parole perché le idee si affollano troppo rapide, e da principio chi non ci ha pratica non ci capisce niente. Per me, ora è come se fossi nato nella città di Farinacci; ma della fatica ce ne è durata, e mi sono aiutato con la sua mimica espressiva, e con la sua faccia aperta nella quale si legge animo e mente. Memoria di ferro come Palazzina, per lui le schede sono un di più, e se si cerca qualche cosa si fa prima a chiedergliela che ad andare agli schedari: ti porta sul posto e ti trova anche il punto che ti fa comodo. Con me ha fatto lega forse più che con ogni altro, perché, nato archivista, sono anche un po’ bibliotecario: nel senso che sento il valore e la funzione della biblioteca e il rispetto per il libro. Per questo, rigoroso com’è con tutti, con me non tiene conto del regolamento, e se invece che tre opere ne porto a casa sei chiude gli occhi, o almeno volta la faccia di là. Ma guai però a non rendergliele alla prima richiesta: seccherei la fonte e guasterei l’amicizia» (A. Sapori, Sapeva tutto, in «Critica Sociale», 24 dicembre 1960, p. 18. Il numero in questione è interamente dedicato a Fausto Pagliari).

56

Cfr. A. De Maddalena, cit., p. 304 e s.

57

Sulle vicende che portarono alla nascita di un secondo ateneo in Lombardia vedi supra E. Decleva, Milano città universitaria e dello stesso autore: Universitas Studiorum Mediolanensis 1924-1994. Origini e vicende, Milano 1994, p. 41 e ss.; Idem, La cultura sotto tutela, in Milano durante il fascismo, cit., pp. 11-44.

58

Vedi il testo dello statuto in A. De Maddalena, cit., pp. 307-311.

59

ASUB. Busta 1R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Rapallo 24 agosto 1925.

60

ASUB. Busta Z2. Gino Zappa a Girolamo Palazzina. Venezia 23 luglio 1924.

61

A chiarire la posizione di Zappa nei confronti di un modo di gestire le discipline aziendale che egli disapprovava, mi sembrano illuminanti queste sintetiche osservazioni «riservate» a un programma di «ragioneria professionale» che gli era stato sottoposto: «Ill.mo Signor Rettore, lo schema proposto è tanto sintetico da non consentire l’espressione di un giudizio generale. Le espongo quindi poche particolari affermazioni. “Ragioneria pratica”: è titolo che non va. Tutta la ragioneria è e non può che essere che teoria e che pratica. Si potrebbe dire “Rag. trattati speciali” o “ Applicazioni di rag.”, o accennare senz’altro al contenuto monografico che il corso dovrebbe variare nei diversi anni. “Formazione di inventari, di rendiconti; ricerca di costi”. Tutti i corsi tecnici e di ragioneria riflettono già tali oggetti, ma logicamente in relazione a date operazioni o a date gestioni. Non vorrei che il corso si limitasse a meccaniche enunciazioni formali che non possono essere utile oggetto a corsi universitari. “Revisioni”. Non capisco quale possa essere il contenuto concettuale di tale capitolo. Se si osserva la gestione – se non si ignora lo svolgersi del controllo in una data azienda si sa procedere a revisioni. “Impianti di contabilità”: come sopra. “Norme di legge” riflettenti le diverse società commerciali. Quando si è assunto il concetto privato dei fenomeni considerati si è già fatto il necessario commento – pel resto competente è il docente di diritto. “Consigli pratici”. Non si specifica, chi può capire? “Le successioni ereditarie”. In una università commerciale è inutile dire a che si riduce in esse l’azione del ragioniere. Le rammento che, or son due anni, io compilai un programma di corso intorno alla istituzione, alla liquidazione e alla fusione delle imprese commerciali. Là si potrebbe facilmente ritrovare qualche idea intorno al nuovo corso» (ASUB. Busta Z2. Gino Zappa ad Angelo Sraffa, Milano 19 settembre 1925).

62

ASUB. Busta C1. Valga per tutte questo breve scambio di lettere tra Cabiati e Sraffa: «Genova 2 aprile 1923. Caro Sraffa, giovedì dopo l’ultima lezione, gli studenti, ringraziandomi cortesemente per il corso, mi dissero che in più di un punto lo trovavano difficile, per la poca sicurezza della loro cultura economica. Ciò mi offerse lo spunto per una conversazione amichevole su questo argomento e trovai una unanimità di pensiero, la quale si riassume così: gli studenti hanno profonda stima per il prof. Gobbi, di cui ammirano il metodo socratico di insegnamento, la chiarezza e l’efficacia. Essi dichiarano che il difetto di risultato sta solo nel fatto duplice, che nel primo anno di economia non si fanno più esami e che, in quelli del secondo anno, l’esaminatore è troppo buono, del che approfittano naturalmente i negligenti, i quali, dovunque, costituiscono un’infima minoranza. Ciò credo doverti riferire, perché mi fa pensare di ritornare al concetto se non sia più opportuno fare tre anni di economia, lasciando i due primi al Gobbi, con l’obbligo dell’esame annuale. Il terzo anno potrebbe venire affidato ad un altro, che faccia un corso monografico di economia, che dico superiore per intenderci». «Milano 8 giugno 1923. Caro Cabiati, ebbi la tua lettera del 2 e ho meditato a lungo su quanto mi scrivi. Sul primo punto siamo in pieno accordo ed ho già avuto occasione di parlarne a lungo con Gobbi. Egli, non senza qualche difficoltà, sembra disposto a piegarsi alla proposta che io gli feci nettamente di affidare a un assistente, sotto la sua direzione, il primo corso di elementi di economia al quale lui farebbe poi seguire nel secondo un corso più concreto, sul tipo della seconda parte del suo Trattato. Nel terzo o meglio nel quart’anno egli farebbe un corso monografico, che starebbe in luogo dell’uno dei due anni dell’unico corso che egli fa adesso». «Genova 18 giugno 1923. Caro rettore, sono molto contento che la questione dell’economia si sia risoluta nella forma da te studiata, che mi pare proprio la migliore e che presenta altresì il vantaggio di rispettare la suscettibilità di un uomo del valore di Gobbi. Non dubito che ora tutto andrà bene».

63

Per un resoconto della visita di Umberto cfr. Interesse ed emozionanti giornate di patriottismo, di arte e di cimenti sportivi; di ardore di popolo e gara di feste intorno a S.A.R. il principe ereditario, in «L’Ambrosiano» del 21 maggio 1923 e Nuove entusiastiche dimostrazioni al principe ereditario, in «La Sera» del 21 maggio 1923.

64

Sul discorso tenuto da Benito Mussolini in quella occasione cfr. Alub, Nel primo quarantennio di vita dell’Università, Milano 1941, pp. 73-74.

65

Cfr ASUB. Busta 2R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. S. Margherita Ligure, 21 dicembre 1922.

66

Dell’atteggiamento assunto dal padre, Piero Sraffa così diede conto a J.M. Keynes: «On december 24th, my father wrote to signor Mussolini a letter in wich the following statement, for wich I am responsible, was related: «that his article, published in the 11th of the Manchester Guardian commercial supplement, edited by Mr. Keynes, being a pure and simple statement of figures and facts publicly known and not contradicted, he has nothing to rectify and noting to add, and therefore cannot accede to the invitation to write a second article. I am waiting to see what action signor Mussolini is going to take in order to enforce his will. The telegrams have been, very cleverly indeed, adressed to my father, who, of course, was not at all concerned in this matter; obviously it has been hoped that the fear of involving him in possible reprisals would make me docile or at least impede any publicity, wich appears to be most dreaded thing: to this extent the move has been successfull. I am in consequence obliged to beg you to regard as strictly private and secret the contents of this letter. It will posted in Switzerland, as foreign letters are being here opened for censorship; for the same reason please do not write to me at my usuall adress on this subjet» (ASUB. Busta 1R. Piero Sraffa a J.M. Keynes. Milan, Xmans 1922).

67

«Nino Levi, giovane avvocato socialista milanese iscritto al partito socialista unitario. Molto amico di Rosselli, nel giugno del 1924 tentò di fondare a Milano con F. Pagliari, P. Sraffa, A. Schiavi e lo stesso Rosselli, un Istituto di studi simile per scopi e finalità alla società fabiana» (Cfr. Z. Ciuffoletti, I Rosselli. Epistolario familiare 1914-1937, Milano 1997, p. 163).

68

Cfr. Da Milano. Gli studenti in una vibrante manifestazione per il 1 maggio inneggiano alla libertà, in «Libertà» del 15 maggio 1924.

69

Cfr. Ancora del comizio degli scemi, in «Il Popolo d’Italia» del 10 maggio 1924.

70

ASUB. Busta 49/1. Saro Scaglione ad Angelo Sraffa. Milano 8 maggio 1924.

71

Idem. Angelo Sraffa a Saro Scaglione. Milano 10 maggio 1925.

72

«Egregio direttore, la risposta del comitato direttivo, che Ella mi trasmette, non differisce per nulla da quella che gli universitari fascisti si attendevano; senonché era mio desiderio riceverla per porla fra i documenti più rappresentativi di quella mentalità che è rimasta quale era nel 1914, senza accorgersi che in questi anni di lotta si è compiuta una delle più belle rivoluzioni materiali e spirituali che la storia del nostro Paese ricordi. Nego a lei – egregio signor direttore – ed a tutti gli onorevoli componenti il comitato direttivo di codesta università, che sia vero essere compito morale delle “autorità direttive di un istituto di alta cultura, di vigilare a che nell’esercizio dell’insegnamento delle aule della scuola non venga esplicata opera di propaganda politica o religiosa”, ma è nostro convincimento – e del governo nazionale, crediamo – essere proprio il compito morale precipuo delle autorità direttive di una università italiana, fare fra i propri allievi quella sana propaganda nazionale dalla quale non può astrarsi un insegnante che tratti scienze economiche e sociali e che la pensi italianamente. Di più: le autorità stesse e tutta la massa degli studenti – aggiungo io – hanno non dico la competenza, ma il dovere morale di sorvegliare che gli insegnanti, anche fuori delle aule scolastiche, non usino quella autorità che loro perviene non già dal loro valore personale (perché proprio nella scuola esso si rivela) ma dal semplice fatto che essi sono insegnanti, per fare tra la massa studentesca quella medesima, infame propaganda, che Ella ritiene debba essere bandita dalle aule scolastiche. Egregio signore, Ella ritiene che si debba essere onesti soltanto ad una data ora del giorno e in un dato luogo o a tutte le ore ed in ogni circostanza? Ella ritiene che i suoi allievi possano in una giornata di lezioni disertare la scuola per recarsi ad udire il verbo di un politicante che è anche assistente alla sua università? Ella ritiene di essere non competente nel giudicare un uomo che bandisce un comizio tra studenti proprio nel giorno in cui il governo nazionale intende che si lavori e proprio nell’ora in cui gli studenti dovrebbero essere a scuola? Ella ritiene che sia più onesto per un insegnante di spiccata fede politica – e non importa quale – conversare con i propri allievi nell’interno dell’università permettendo ad essi la libera espressione del loro pensiero, oppure tacere supinamente e pecorescamente nelle aule universitarie e sputare il proprio veleno nelle rocca… deboli del proprio partito politico? Forse Ella pensa tutt’affatto diversamente di come noi pensiamo; ed allora ho l’onore di confermarle che l’onestà e la vitalità degli universitari fascisti milanesi, in nome di quella devozione che hanno per tutti gli insegnanti della loro fede o di avversa fede politica, ma che essa esprimono sinceramente e dignitosamente, sia pure nelle aule scolastiche a motivo di studio, potrebbe infliggere all’avvocato Nino Levi, mancato onorevole e mancante in tante altre cose, il quale ha potuto godere per qualche tempo l’immeritato rispetto dei propri allievi, quella lezione che la bassa mentalità politica e il meschino uso che egli ha fatto delle altissime qualità di insegnante, si meritano. Con distinti saluti. Il fiduciario del GUF. Saro Scaglione” (ASUB. Busta 49/1. Saro Scaglione ad Angelo Sraffa. Milano 14 maggio 1924).

73

Dopo che Sraffa aveva sudato sette camicie per tenerlo legato alla Bocconi. Ancora l’8 novembre 1925, in effetti, egli scriveva a Palazzina: «Carissimo, sono stato a Torino ove ho dovuto faticosamente cercare Einaudi, che non si è fatto vivo con me in nessun modo. Abbiamo combinato (ma si è mai sicuri con quell’omino di aver preso decisioni definitive?) che egli opterà per la Bocconi e che intanto domanda il consenso della facoltà e del rettore, che poi manderà a noi perché provvediamo ad ottenere il consenso del ministro» (ASUB. Busta 1R). Non vanno, inoltre dimenticati, i rapporti di amicizia e di stima che si erano istaurati fra i due professori e la gratitudine che Sraffa doveva a «quell’omino» che aveva indirizzato il figlio Piero a J.M. Keynes, consentendo così la nascita di un rapporto fruttuoso e duraturo. In questo senso si deve ammettere che, giusta l’ipotesi di Andrea Ginzburg, sicuramente fra il 1921 e il 1922 Sraffa aveva discorso con il Maestro inglese dei temi sviluppati nella sua tesi di laurea (Cfr. A. Ginzburg, Sraffa e Keynes su inflazione e deflazione, in Tra teoria economica e grande cultura europea: Piero Sraffa, Milano 1986, pp. 59-72 e le stimolanti osservazioni di G. Gattei, La «cultura economica» del ventennio (1923-1943), in «Storia del pensiero economico», n. 29, 1995, pp. 1-50.

74

Sull’episodio Libero Lenti così scrive: «I quattro torinesi dovettero lasciare la Bocconi sul finire del ’25 quando non fu più possibile mantenere l’incarico dell’insegnamento a coloro che non erano in odore di santità. Einaudi perché aveva solidarizzato con Luigi Albertini nel momento in cui aveva dovuto cedere la proprietà e la direzione del “Corriere della Sera”. Cabiati perché collaborava a “La Stampa”, un giornale che, nella scia di Giolitti, aveva mantenuto, durante la guerra, un atteggiamento neutralistico. Qualcuno non l’aveva dimenticato. Per quanto mi riguarda, m’è rimasto il ricordo della gazzarra inscenata da un gruppo di studenti in occasione della loro ultima lezione. Un’esigua minoranza, per la verità. Ma c’erano le stesse facce iraconde, le stesse bocche urlanti, gli stessi gesti irosi che vidi quarant’anni dopo, nel ’68, quando contestavano i professori che non s’adattavano a seguirli nelle loro farneticazioni». L. Lenti, Le radici del tempo, cit. pp. 45-46. Nella realtà fu, probabilmente quella «esigua minoranza» a costringere il consiglio a non rinnovare l’incarico ai quattro insigni studiosi. Della cosa, nei verbali del C.d.A. della Bocconi non si dà conto. Un cenno a suffragio di questa tesi parrebbe invece cogliersi nella lettera di dimissioni di Angelo Sraffa.

75

Cfr. ASUB. Busta R5. Carlo Rosselli a Girolamo Palazzina. Firenze 30 luglio 1924; San Martino di Castrozza 14 agosto 1924; Bruxelles 28 agosto 1924.

76

Carlo Rosselli era stato proposto da Attilio Cabiati, come assistente all’istituto di economia politica tenne anche diversi cicli di lezioni. Gustosi ricordi del periodo milanese in Z. Ciuffoletti (ed.), I Rosselli, cit., passim.

77

Anche Rosselli fu oggetto di un violento attacco fascista da parte del giornale «La Nuova Milano. Settimanale di battaglia e critica» del 30 marzo-6 aprile 1924 in un articolo dal titolo Costi di produzione. La marcia su Roma… e la nota delle spese di un neo-dottore dell’Università Luigi Bocconi.

78

ASUB. Busta 2R. Angelo Sraffa a Girolamo Palazzina. Rapallo 24 settembre 1926.

79

La stessa è integralmente pubblicata in appendice.

80

ASUB. Verbali del CDA. Seduta del 4 novembre 1926.

81

Dello stesso tenore l’intervento di Ferruccio Bolchini, che dichiarava di accettare solo in quanto la sua designazione veniva dal passato rettore e «solo perché un complesso di circostanze imponderabili fa ritenere che il suo nome e la sua persona possano essere usati a vantaggio della Scuola» e si affrettava ad aggiungere: «1) che l’opera e il consiglio di Sraffa restano costanti nella Scuola, quale un coefficiente della propria azione; 2) che accetta a titolo temporaneo; 3) che intende compiere queste funzioni, che non sono come erano per il prof. Sraffa una destinazione di attività personale in via definitiva, a titolo assolutamente onorifico e quindi lascierà a disposizione del consiglio l’indennità che si corrisponde al rettore». Ibidem.

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