Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

Nuovi protagonisti, nuovi progetti e nuovi traguardi (1927-1937)


Parole chiave: Rapporti istituzionali, Rettore Bolchini Ferruccio, Rettore Gobbi Ulisse, Rettore Del Vecchio Gustavo, Presidente Bocconi Ettore, Vice presidente Gentile Giovanni, Palazzina Girolamo, Zappa Gino, Mortara Giorgio, Fascismo, Istituto di Economia Ettore Bocconi, Istituto di Ragioneria

Le dimissioni di Sraffa non significarono, di fatto, il suo allontanamento dalla Bocconi. La contemporanea nomina di Angelo Salmoiraghi a rappresentante del ministero in seno al consiglio d’amministrazione, rese libero un seggio, inducendo il presidente ad avvalersi delle prerogative statutariamente riconosciute alla sua famiglia per offrirgli, in posizione più defilata che in passato, di continuare la sua opera riformatrice. Del peso e del ruolo che egli di fatto mantenne in Bocconi, permangono tracce in diverse iniziative assunte durante il rettorato Bolchini: la chiamata di Gustavo Del Vecchio e la decisione di farlo succedere ad Ulisse Gobbi, lo spazio sempre più ampio concesso a Giorgio Mortara, la tensione innovativa insita nelle proposte relative alla modificazione degli assetti didattico e scientifico dell’Università, l’ideazione dell’Istituto di economia «Ettore Bocconi» e via discorrendo.

La gestione Bolchini (1926-1930)

La ricerca di nuovi percorsi didattici, avviata pochi mesi dopo l’insediamento del nuovo rettore, intese rispondere alle critiche che l’influente collegio dei ragionieri milanesi muoveva all’Università commerciale, accusata di porre eccessiva attenzione alla formazione culturale dei suoi studenti trascurandone invece la formazione professionale. I ragionieri non mettevano in discussione l’idea che il «vasto programma scientifico e di cultura generale» immaginato dai padri-fondatori fosse adeguato alla «preparazione di giovani che sono per intelletto e temperamento atti alle funzioni direttive»; ma ritenevano che esso fosse poco «aderente alle realtà ed ai bisogni dei traffici» e quindi carente alla preparazione «di quei giovani – il maggior numero – che dovranno esplicare nelle aziende minori funzioni»[1] e soprattutto rivendicavano al collegio il diritto di formare i futuri commercialisti. A tale scopo avevano istituito, a Milano, nel 1920, un embrione di Istituto superiore di ragioneria, che intendevano far crescere aggregandolo all’università statale[2] e trasformare in facoltà di ragioneria.

I rischi insiti in tale iniziativa non mancarono di impensierire il consiglio di amministrazione della Bocconi che, valutate le possibilità di differenziare il titolo accademico[3], decise di parare l’attacco dei ragionieri attraverso l’accentuazione della selettività della Scuola, il ripensamento del rapporto cultura/professionalità e la conseguente riorganizzazione dei corsi.

Quale base di riflessione si assunse un documento predisposto qualche anno prima da Angelo Sraffa[4], affidandone la revisione a un gruppo di lavoro presieduto da Gino Zappa, che apportò non marginali modificazioni al progetto originario (si confronti la Tabella l con la 3): aumentando gli indirizzi di specializzazione; attribuendo maggior peso alle discipline aziendali[5]; attivando nuovi insegnamenti atti a colmare le lacune culturali delle matricole; introducendo corsi speciali atti a caratterizzare professionalmente i quattro indirizzi (economia d’azienda, tecnologia industriale, politica bancaria e pratica professionale) e favorendo un approccio multidisciplinare attraverso l’articolazione del secondo biennio in «corsi monografici i quali tengano conto di particolari esigenze di gruppi di allievi e che siano sistematicamente coordinati gli uni agli altri, cosicché quando sia stabilito di illustrare ad es. l’industria ed il commercio del cotone se ne parli sotto l’aspetto della merceologia, della tecnologia, della geografia economica, della tecnica mercantile, della legislazione doganale, ecc»[6]. Anche in questa occasione, come già era accaduto in passato, le innovazioni proposte incontrarono l’opposizione di parte del corpo docente e degli amministratori, che trovavano il corso di studi troppo farraginoso e di difficile realizzazione. Lo stesso direttore della segreteria non fece mistero delle perplessità e dei dubbi che lo tormentavano: l’attivazione delle specializzazioni avrebbe costretto gli studenti a scelte scarsamente motivate, fatte senza cognizione di causa, che avrebbero finito col ridurre la spendibilità della laurea. Meglio allora abbandonare un’ipotesi così drasticamente innovativa e procedere a piccoli passi, riformando l’insegnamento delle lingue, incrementando gli insegnamenti opzionali, ampliando il peso e la portata delle attività extra-curricolari e coordinando meglio i corsi[7].

 

Tabella 3 Ripartizione degli insegnamenti fra corsi comuni e corsi speciali seconda la proposta Zappa.

I corso

Ore

II corso

Ore

Economia politica (con esercitazioni)

3

Economia politica e storia delle dottrine economiche

3

Statistica metodologica

3

Statistica demografica ed economica

2

Geografia economica

3

Geografia economica

3

Matematica finanziaria

4

Matematica finanziaria

 

Ist. di diritto privato (e processuale)

3

Ragioneria applicata

4

Ist. di diritto pubblico (e sindacale)

3

Tecnica bancaria

3

Computisteria, ragioneria generale e applicata (con elementi di tecnica bancaria)

3

Scienza delle finanze

2

Ragioneria (esercitazioni per allievi provenienti da licei)

2

Diritto commerciale, industriale e marittimo

3

Stilistica (o corso di cultura generale per allievi provenienti da istituti tecnici o commerciali)

2

Lingue straniere

6

Lingue straniere

6

 

 

III corso

Materie comuni

Ore

IV corso

Materie comuni

Ore

Diritto finanziario (e applicazioni)

1

Politica economica e legislazione doganale

1

Storia economica

Diritto internazionale e legislazione comparata

3

Trasporti sotto l’aspetto economico

3

Storia economica

Tecnica mercantile (parte generale)

3

Tecnica amministrativa delle imprese individuali

3

Tecnica mercantile (applicazioni)

2

Tecnica amministrativa delle imprese industriali (esercitazioni)

2

Merceologia (fibre tessili, ecc.)

2

Merceologia

2

Lingue straniere

6

 

 

Specializzazioni commerciali e industriali

 

Specializzazioni commerciali e industriali

 

Diritto commerciale (trasporti e assicurazioni)

2

Tecnologia industriale

2

Tecnica del commercio dei cotoni, della lana, della seta

2

Organizzazione scientifica dell’amministrazione delle imprese commerciali

2

Geografia economica (i Paesi di produzione del cotone, lana, seta)

1

 

 

Specializzazione bancaria

 

Specializzazione bancaria

 

Diritto commerciale (titoli di credito e operazioni di banca e borsa)

2

Politica bancaria

2

Tecnica dei cambi esteri

2

Tecnica del credito agrario e fondiario

2

Specializzazione professionale

 

Specializzazione professionale

 

Diritto commerciale (fallimento e titoli di credito)

2

Applicazioni di ragioneria professionale

3

Gestione finanziaria delle società commerciali

2

I bilanci delle società commerciali considerati nell’aspetto professionale

 

 

Le ragioni degli oppositori finirono con il prevalere e, ancora una volta, si preferì rimanere nel solco della tradizione optando per un solo corso di laurea[8] (Tabella 4), ma rafforzando le strutture didattiche, riordinando la docenza, riformulando radicalmente alcuni insegnamenti e incentivando la ricerca scientifica con la creazione di nuovi istituti.

 

Tabella 4 Ordinamento degli studi per il conseguimento della laurea in economia e commercio (1928-1929)[9].

Materie d’insegnamento

Ore di lezione

Materie d’insegnamento

Ore di lezione

I corso

II corso

Economia politica

2

Economia politica

2

Esercitazioni di economia politica

2

Esercitazioni di economia politica

1

Statistica metodologica

3

Scienza delle finanze

2

Geografia economica

2

Statistica economica

1

Matematica finanziaria

3

Geografia economica

2

Ragioneria generale e applicata

2

Matematica finanziaria

4

Istituzioni di tecnica bancaria

2

Ragioneria generale e applicata

3

Esercitazioni di ragioneria

4

Tecnica bancaria

3

Istituzioni di diritto pubblico e di diritto corporativo

3

Diritto commerciale e industriale

3

Istituzioni di diritto privato

3

Diritto marittimo

1

III corso

IV corso

Diritto positivo tributario

1

Storia economica

1

Tecnica mercantile

3

Tecnica amministrativa

3

Applicazioni di tecnica e ragioneria

3

Esercitazioni di tecnica amministrativa

1

Merceologia

2

Merceologia

2

Diritto commerciale

2

Diritto internazionale

2

Geografia economica

2

Geografia economica

2

 

 

Politica economica

1

 

 

Politica monetaria

2

 

 

Corsi a opzione

 

 

 

Economia dell’agricoltura

1

 

 

Politica coloniale

2

 

 

Istituz. commercianti germaniche

1

 

 

Trasporti

2

 

 

Applicazioni di ragioneria (funzioni professionali)

3

 

 

Matematica attuariale

2

 

 

Tecnologia industriale

2

 

 

Scienza politica

2

 

Il nuovo ordinamento degli studi prevedeva anche l’attivazione di un «magistero di ragioneria», la cui organizzazione sarebbe stata affidata a Gino Zappa, che da tempo ne perorava la causa[10]. Esso avrebbe dovuto formare insegnanti di ragioneria ed essere, nel contempo, «efficace strumento di preparazione culturale e pratica ai più alti uffici della vita commerciale». La pratica, istruita rapidamente e inviata per l’approvazione al ministero, conobbe un burrascoso iter burocratico[11], che si sarebbe concluso positivamente, grazie all’appoggio di autorevoli personalità (R.D. 14 marzo 1929 n. 438)[12].

Nel nulla cadde, invece, la parallela proposta di attivare un «corso di perfezionamento in statistica» – soprattutto a causa della ferma opposizione di Giorgio Mortara, che giudicava non opportuna la creazione in Bocconi di un istituto di statistica, necessaria premessa al corso di specializzazione. «Gli istituti» egli osservava «devono sorgere presso le Università complete, perché richiedono la cooperazione di professori di matematica, di scienze mediche e anche di lettere in un ordinamento regionale (…). A Milano l’Istituto può sorgere presso la Regia Università dove è la sua sede naturale. Ma bisogna utilizzare anche le altre forze esistenti: perciò io scrissi giorni sono a Gini chiedendogli il suo parere sulla opportunità di creare l’Istituto a Milano, con base principale la R. Università e basi secondarie la Bocconi e la Cattolica. E credo che questa sia la soluzione unica seria. Ella sa che l’idea di creare l’Istituto alla Regia Università non è in me nuova e fu soffocata tre anni or sono dal comune amico Sr[affa] con… l’assistenza lieta del dr. Palazzina. Ora il momento sarebbe propizio, e se riuscissimo a far collaborare le tre Università, sotto l’egida della Regia, che deve avere la preminenza, potremmo anche ottenere poi il concorso del comune, della camera di commercio, ecc.»[13]. L’idea era buona, ma Palazzina era troppo geloso della sua creatura per accettare l’idea di spartire l’iniziativa con altri.

I primi ordinari: Gino Zappa e Ulisse Gobbi

Con la chiamata di Giorgio Mortara, le discipline economico-quantitative andarono rivestendo un ruolo ancora più importante che in passato, grazie al prestigio dell’economista mantovano, alla sua instancabile attività di ricercatore e all’opera di proselitismo svolta, che portò in Bocconi giovani economisti di grande talento[14]. Sotto la sua direzione l’Istituto di economia sarebbe divenuto, di fatto, sede della redazione del «Giornale degli Economisti», di «Prospettive economiche» e polo della ricerca e della didattica, oltre che centro di documentazione per istituzioni pubbliche e private[15].

Anche l’alone di mitica severità che connotava l’istituzione – e della quale si menava vanto in ogni occasione – venne ulteriormente rafforzato dalla presenza del Mortara[16], al quale, come direttore dell’istituto di economia, venne affidato il coordinamento e la supervisione delle tesi di laurea: a lui sarebbe spettata l’ultima parola nella definizione dell’oggetto e del titolo, avendo la potestà di entrare nel merito delle scelte operate da candidati e relatori e di verificarne la coerenza.

Tale decisione, assunta dal rettore per dar ordine ad un settore sino a quel momento trascurato, si scontrò ben presto con l’ostilità del corpo docente, che mal tollerava la severa concezione del sapere di Mortara, che lo portava a non infrequenti interventi censori nei confronti dei colleghi[17]. Con Gino Zappa, in particolare, si aprì un contenzioso lacerante nel momento in cui Mortara si prese la briga di mettere in discussione una tesi il cui argomento, forse non a torto, giudicava troppo vasto e generico. Toccato nel vivo Zappa reagì con estrema durezza, arrivando a minacciare le dimissioni dall’insegnamento e dalla direzione dell’istituto. Nella lettera inviata a Palazzina e a Bolchini[18], egli motivò le stesse con generici «motivi di famiglia», legati a una salute che diceva compromessa da un affaticante pendolarismo e da una eccessiva dedizione allo studio e alla ricerca; ma il direttore della segreteria e il rettore erano al corrente delle vere ragioni del gesto; e, consci dei rischi insiti nel conflitto, elaborarono una risposta estremamente diplomatica[19], che fece sbollire l’ira di Zappa e lo rassicurò della stima e della considerazione che godeva fra i membri del consiglio e i colleghi. Stima e considerazione che avrebbero trovato conferma, di lì a poco, nella proposta ufficiale di trasferire la cattedra a Milano e di divenire così il primo professore ordinario nella storia della Bocconi.

La lunga riflessione circa l’opportunità di «provvedere alla graduale formazione di un corpo accademico proprio» ebbe termine il 19 maggio 1928[20], con la decisione di creare tre cattedre di ruolo. Sulla prima, dedicata a «computisteria e ragioneria generale e applicata», sarebbe stato chiamato Gino Zappa[21]; sulla seconda, destinata al «diritto commerciale, industriale e marittimo», sarebbe seduto Ferruccio Bolchini; mentre per la terza, assegnata ad «una delle materie economiche»[22], si rinviò, per il momento, ogni decisione.

Il primo febbraio 1929, a completamento del lungo iter burocratico – che prevedeva la modifica dello statuto, l’approvazione dello stesso da parte del Consiglio superiore per l’istruzione economica e commerciale e l’assenso del ministero della pubblica istruzione – nell’orbita del quale l’Università era, nel frattempo, entrata a gravitare[23] – Gino Zappa approdò finalmente in Bocconi. Rimase, invece, per il momento sospesa la chiamata di Bolchini, sul trasferimento del quale il consiglio superiore non si era ancora pronunziato[24]; mentre per la cattedra di discipline economiche, dopo l’improbabile candidatura di Mario Alberti[25], si affacciava all’orizzonte quella di Ulisse Gobbi.

Gobbi non era più un giovanetto (era nato il 10 gennaio 1859) – e non era forse l’economista più prestigioso della Bocconi –, ma la lunga militanza all’Università commerciale e la fama di integerrimo docente e di ricercatore di una certa originalità, rendevano quasi obbligatorio un passo del genere.

Alla prudente scelta operata dal consiglio d’amministrazione avrebbe dovuto, in teoria, corrispondere la rapida e positiva risposta dell’organo di controllo. Nella realtà l’iter ministeriale fu lungo e contrastato e richiese decise prese di posizione e il dispiegamento di amici influenti per bloccare le aspirazioni di un altro candidato, l’avvocato Emilio Ferri, recente vincitore di concorso a cattedra di economia che, facendosi forte dell’appoggio delle «superiori gerarchie», ambiva essere chiamato a Milano[26].

Di fronte al peso delle raccomandazioni ricevute e all’importanza dei personaggi coinvolti, Ettore Bocconi avvertì che la questione non poteva essere liquidata facendo appello all’autonomia dell’istituzione e all’esistenza di consolidati diritti di prelazione e, anche su consiglio di Calogero Tumminelli, allora consigliere delegato, decise di ricorrere alla mediazione di Giovanni Gentile[27], con il quale stava negoziando un accordo volto a far partecipare le case editrici Bestetti e Tumminelli, Treves e Anonima libraria italiana, di sua proprietà, allo sforzo finanziario connesso alla pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana[28].

L’intervento di Gentile si rivelò determinante per convincere Augusto Turati della ragionevolezza della scelta operata dall’Università e dell’opportunità di ritirare la candidatura esterna; tanto più che, trasferendosi in Bocconi, Gobbi avrebbe liberato una cattedra al Politecnico, alla quale Ferri avrebbe potuto ragionevolmente puntare[29].

Con l’anno accademico 1929-30, l’Università poteva così contare sui due primi ordinari, per la scelta dei quali aveva combattuto una dura battaglia nei confronti di alti esponenti del regime, facendo salvi i principi di autonomia e di libertà che erano il vanto dell’ateneo. I costi politici dell’operazione non sarebbero tuttavia mancati e si sarebbero tradotti, – nell’ambito di quello che con un eufemismo il rettore aveva chiamato «un problema di ordine morale e politico in senso lato» –[30], nell’assunzione in qualità di vice direttore della segreteria, di Andrea Ippolito, segretario politico del Guf e nell’affidamento dei corsi di diritto corporativo e di storia delle dottrine economiche rispettivamente a Nino Orsi, «che copre cariche politiche importanti, gode le simpatie dei giovani e potrà curarne il legame con essi ed evitare conflitti sorti in passato» e ad Emilio Ferri, portatore, come si è visto, di «istanze ripetute e largamente appoggiate».

Nella difficile operazione di contenimento delle pressioni fasciste, il filosofo di Castelvetrano aveva dato una prova di grande correttezza e di sostanziale autonomia dalle direttive del partito, spingendo il presidente e l’amministratore delegato a chiedersi se non fosse il caso di estendere alla Bocconi il sodalizio che stava nascendo all’interno dell’Enciclopedia Treccani. Ferruccio Bolchini, dal canto suo, cominciava a manifestare insofferenza per un rettorato non desiderato, ma accettato per spirito di servizio[31] e dichiarava la sua indisponibilità a ricandidarsi alla scadenza del mandato. D’altra parte i motivi che avevano imposto la sua designazione erano venuti in gran parte a cadere, proprio grazie alla sua prudente condotta e all’ampia rete di relazioni di cui egli disponeva: smorzate le tensioni con il regime, riportato l’ordine nell’Università, l’avvocato poteva ora passare il testimone e tornare alla sua professione, cosciente di aver soddisfatto appieno alle istanze di quanti, per un quadriennio, lo avevano voluto al governo della Bocconi[32]. Al suo posto sarebbe succeduto Ulisse Gobbi, le cui istanze vagamente liberal-socialiste della giovinezza si erano stemperate in un conservatorismo pacato, che lo aveva indotto ad aderire ad un progetto corporativo, che, almeno formalmente, si attagliava al suo modo di concepire l’economia come scienza sociale[33]. La nomina di Gobbi fu, probabilmente, un intelligente compromesso tra tradizione e rinnovamento: nei pochi anni che ancora mancavano alla sua definitiva uscita di scena l’Università avrebbe potuto godere della sua bonaria autorevolezza e disporre del tempo necessario per individuarne i successori alla cattedra di economia e al rettorato, senza essere soggetta a insopportabili pressioni da parte di uomini del regime.

Il quadriennio di Ulisse Gobbi (1930-1934)

Alla nomina a rettore dell’anziano economista milanese seguì, di lì a poco, il rinnovamento del consiglio d’amministrazione, nel quale, oltre ad amici di sempre – come Giovanni Battista Pirelli, Angelo Salmoiraghi, Angelo Sraffa e Calogero Tumminelli –, subentrarono Marcello Visconti di Modrone, podestà di Milano, Seleno Fabbri, preside della provincia, Emilio Falck, Alfredo Rocco e Giovanni Gentile. Evidentemente l’idea del presidente e dell’amministratore delegato di portare il filosofo alla Bocconi aveva avuto successo e, per oltre tre lustri, l’Università commerciale avrebbe potuto contare sulla sua alta e disinteressata collaborazione.

All’inizio degli anni ’30 Gentile era presidente dell’Istituto nazionale fascista di cultura, dell’Istituto per il medio ed estremo Oriente e dell’Istituto italiano di studi germanici, direttore dell’Enciclopedia Italiana e della Scuola normale superiore di Pisa, vice presidente della Bocconi, proprietario della Casa editrice Sansoni; un insieme di cariche di grande prestigio «che provocavano gelosie e critiche numerose, ma che derivavano la loro forza dal regime e da un saldo rapporto con Mussolini, assicurando al suo detentore un peso politico rilevante»[34], che sarebbe stato più volte generosamente speso a favore dell’università milanese.

La designazione del filosofo alla vice presidenza della Bocconi coincise con un generale ricambio generazionale ai vertici dell’istituzione: la morte aveva colpito alcuni vecchi compagni d’avventura di Sabbatini, come Giovanni Battista Pirelli e Carlo Vanzetti, gli ex rettori Pietro Bonfante e Ferruccio Bolchini e anche Ettore Bocconi aveva lasciato la sua Università il 15 marzo 1932.

A sostituirlo alla presidenza fu designata la vedova, donna Javotte Manca di Villahermosa, che, di fatto, avrebbe delegato a Giovanni Gentile tutte le sue funzioni – e Palazzina, che conosceva gli uomini e sapeva scegliere i capi, ne avrebbe fatto l’interlocutore privilegiato, l’erede ideale di Leopoldo Sabbatini e di Angelo Sraffa, riversando su di lui il fiume della sua corrispondenza e trovando nel filosofo un attento lettore e un sagace e avveduto consigliere – capace di affrontare e risolvere anche i problemi più spinosi e delicati, avvalendosi delle sue non comuni competenze tecniche e politiche, della sua autorità e delle sue relazioni con i vertici del regime. Ai due sarebbe toccato il difficile compito di realizzare uno stabile assetto scientifico e didattico dell’Università; di avviare, istruire e concludere le pratiche necessarie per dotarsi di una nuova sede, in sostituzione del vecchio edificio di largo Notari, ormai inadatto alle necessità di un ateneo in espansione[35]; di cercare di bloccare le velleità espansionistiche dell’Università cattolica; di ergersi ad inflessibili tutori di una politica di rigido contenimento dei costi, in un momento in cui le risorse dell’Università erano drasticamente ridotte dalla «grande crisi».

Di questa politica della lesina avrebbero fatto ben presto le spese alcune discipline e alcuni docenti[36], fra i quali anche Gino Zappa, il cui ambizioso programma di fare dell’istituto di cui era direttore il «centro propulsore di tutto un ordine di studi che non ripete certo le sue origini dalla dottrina straniera», al fine di realizzare il vagheggiato coordinamento degli «insegnamenti di ragioneria e di tecnica nell’unità di una più vasta disciplina dell’economia aziendale»[37], trovò seri ostacoli nelle limitate risorse dell’Ateneo, complice un deficit di bilancio che per la prima volta faceva capolino fra i conti dell’Università.

Quello che il consiglio d’amministrazione contestava all’economista aziendale era la richiesta di eccessivi compensi per alcuni collaboratori e quella di avere un secondo aiuto da affiancare ad Ugo Caprara nella gestione dell’Istituto di ragioneria[38].

La composizione della diatriba (Zappa non era certo tipo da ritornare sulle sue decisioni) richiese tutte le arti mediatorie di Palazzina[39] e, alla fine, si risolse in un compromesso che, pur imponendo un ragionevole sacrificio finanziario agli allievi e lasciando un certo amaro in bocca al «Maestro»[40], avrebbe aperto a Pietro Onida la strada della Bocconi, favorendo così l’unità della «compagnia degli zappatori»[41] e consentendo la prosecuzione del fecondo lavoro di gruppo che avrebbe fatto della nostra scuola un’istituzione senza precedenti nel panorama accademico italiano[42].

L’assottigliarsi del flusso delle entrate non ridusse, tuttavia, la tensione innovativa che, in quel momento, permeava l’Ateneo, grazie anche alla decisione di Javotte Bocconi di rendere imperituro il ricordo del consorte con un cospicuo lascito, destinato a finanziare le attività di un ente per lo sviluppo dell’alta cultura economica[43]. La definizione delle finalità e dello statuto dello stesso furono demandate a un comitato scelto direttamente dalla presidente[44]: Giovanni Gentile, Gustavo Del Vecchio, Angelo Sraffa e Girolamo Palazzina. Ai componenti dello stesso venne affidato il compito di pensare a un ente che concorresse a consolidare «la tradizionale supremazia dell’Università Bocconi sulle altre Scuole superiori di commercio», oltre a «favorire con un altro esempio fecondo il progresso degli studi economici nazionali»; di immaginare un istituto che, pur essendo profondamente inserito nella struttura universitaria, godesse di larga autonomia operativa, restando sostanzialmente estraneo alla normale attività didattica, ma condividendo le ambizioni della Bocconi ed esaltandone la finalità di sviluppare l’alta cultura economica a favore, in questo caso, di «quella piccola minoranza di studenti, nella quale per legge naturale ogni istituto soltanto può attuare le sue più alte finalità creatrici di aristocrazie intellettuali»[45].

A tale scopo, in seno alla fondazione intitolata ad Ettore Bocconi, si sarebbe attivato un corso di studi della durata di un biennio, affidato a docenti italiani e stranieri, scelti preferibilmente al di fuori dell’Università e «di regola variati di anno in anno per rafforzare il carattere nazionale ed internazionale della Bocconi quale centro di studi economici». I titolari degli insegnamenti, oltre a impartire cicli di lezioni imperniati su temi di alta cultura economica[46], avrebbero dovuto partecipare attivamente alla vita dell’istituto, concorrendo a definire, indirizzare e controllare le ricerche degli studenti, oltre a coordinare l’attività degli stessi attraverso «colloqui, esercitazioni e letture secondo il loro libero arbitrio». Nella visione della commissione, insomma, la contemporanea presenza, in un luogo appositamente attrezzato per lo studio e la ricerca, di eminenti studiosi e di un numero ridotto di studenti, intelligenti ed estremamente motivati, non avrebbe mancato di creare l’ambiente ideale alla crescita di una nuova aristocrazia del sapere. «In confronto dei nostri istituti scolastici, generalmente irrigiditi nelle formule burocratiche imposte dal grande numero degli allievi» si scriveva «queste proposte innovatrici mirano appunto a valorizzare gli elementi scelti della scolaresca rendendo possibile su più larga scala quanto i migliori insegnanti fanno già ora nei limiti ristretti dei loro mezzi e di quelli messi a disposizione dagli Istituti esistenti»[47]. Si trattava di ipotesi in linea con le più avanzate esperienze anglosassoni e tedesche che, se attuate, avrebbero consentito la formazione di una élite di giovani economisti in grado di competere validamente sul mercato nazionale e internazionale.

L’Istituto di economia «Ettore Bocconi», inaugurato l’11 dicembre 1933 alla presenza del principe di Bergamo, con una prolusione di Bruno Biagi, sottosegretario alle corporazioni, venne affidata a Gustavo Del Vecchio[48]. Con lui avrebbero collaborato Valentino Dominedò e Luigi Federici. Giorgio Mortara, coadiuvato da Ferdinando Di Fenizio, avrebbe, invece, conservato la direzione del vecchio Istituto di economia, che sarebbe stato trasformato in Istituto di Statistica.

Con gli anni ’30 la struttura per istituti si andò estendendo all’intero Ateneo. Oltre a quelli di economia aziendale, di statistica e di economia politica, il consiglio realizzò l’Istituto di geografia economica (1930), al fine di «promuovere e diffondere in Italia e colonie la conoscenza e lo studio dei problemi di geografia economica»[49]; l’Istituto di diritto commerciale comparato, voluto nel ’34 da Mario Rotondi, allo scopo di «raccogliere ed aggiornare le fonti di diritto commerciale dei Paesi stranieri, in guisa da poter in ogni tempo rendere facile la documentazione dei principi di diritto vigenti nei diversi Paesi e di promuovere, in cooperazione con analoghe istituzioni esistenti all’Estero, la conoscenza dello sviluppo della legislazione, della dottrina e della giurisprudenza commerciale italiana all’estero, così come di quelle straniere in Italia»[50]; l’Istituto di politica economica e finanziaria, costituito nel ’35 «per far fronte alle maggiori esigenze degli studi di economia applicata, posta innanzi alle profonde mutazioni avutesi negli ultimi tempi nell’organizzazione italiana e mondiale»[51] e affidato a Giovanni Demaria – proprio in quei mesi trasferito dalla cattedra di statistica economica, sulla quale era stato chiamato, a quella di politica economica – e l’Istituto di storia economica, proposto nel ’37 da Armando Sapori come sezione dell’Istituto di economia Ettore Bocconi, con l’intendimento di «dar vita a due collane di pubblicazioni, una di fonti ed una di monografie, con la convinzione che il materiale documentario in Milano e nella Lombardia sia più abbondante di quanto si crede, e capace di portare ancora molta luce per la storia, di più secoli, di questa regione dell’Italia (…) e di formare un ambiente nel quale i giovani della Bocconi abbiano aiuti per la redazione delle dissertazioni di laurea, le quali, per ciò che attiene alla disciplina storia economica, è desiderabile che muovano dalla visione diretta dei documenti»[52].

La divisione dell’Università in Istituti scientifici e la riorganizzazione degli insegnamenti, imposta dalle modificazioni statutarie del ’33 e del ’36[53], avrebbero dato all’Ateneo un assetto destinato a permanere immutato per oltre un ventennio (Tabella 5).

 

Tabella 5 Ordinamento didattico dell’Università Bocconi dopo le modifiche statutarie del 1933 e del 1936[54].

I anno

III anno

· Economia politica corporativa I

· Statistica metodologica ed economica I

· Geografia economica I

· Matematica generale e finanziaria I

· Ragioneria generale e applicata I

· Istituzioni di diritto privato

· Istituzioni di diritto pubblico

· Lingua francese o spagnola I

· Lingua inglese o tedesca I

· Politica economica e finanziaria

· Storia economica

· Merceologia

· Tecnica commerciale, industriale, bancaria e professionale II

· Diritto commerciale II

· Lingua francese o spagnola III

· Lingua inglese o tedesca III

· Un insegnamento complementare

II anno

IV anno

· Economia politica corporativa II

· Statistica metodologica ed economica II

· Geografia economica II

· Diritto finanziario e scienza delle finanze

· Matematica generale e finanziaria II

· Ragioneria generale e applicata II

· Tecnica commerciale, industriale, bancaria e professionale I

· Diritto commerciale I

· Lingua francese o spagnola II

· Lingua inglese o tedesca II

· Economia e politica agraria

· Diritto internazionale

· Un insegnamento complementare

Insegnamenti complementari

· Diritto industriale

· Diritto amministrativo

· Diritto processuale civile

· Diritto corporativo

· Demografia

· Economia e finanza delle imprese di assicurazione

· Tecnica del commercio internazionale

 

Nelle riunioni tenutesi in corso Venezia per definire il carattere e gli scopi del nuovo istituto di economia, si discusse anche del futuro assetto dell’Università e dei possibili successori di Ulisse Gobbi e, fra i presenti, cominciò a farsi strada l’idea che, sull’onda delle scelte operate al fine di rafforzare l’insegnamento dell’economia pura, Gustavo Del Vecchio avrebbe potuto essere il candidato da prendere in seria considerazione per la direzione della Bocconi. La soluzione non era certo priva di inconvenienti[55] – e le resistenze da vincere sarebbero state molte; ma la forte volontà di Angelo Sraffa, lo sponsor più autorevole di Del Vecchio, l’appoggio di Javotte Bocconi e di Giovanni Gentile[56] e l’affetto che il ruvido Mortara nutriva per il professore bolognese ne avrebbero fatto trionfare la candidatura. Era l’ultima battaglia che Sraffa combatteva per la sua Università; di lì a pochi mesi egli avrebbe rassegnato le sue dimissioni dal consiglio direttivo e sarebbe uscito definitivamente di scena[57].

Alla ricerca di una nuova sede

I primi trent’anni di vita dell’Università furono solennemente celebrati il 28 novembre 1931. Il rettore, Ulisse Gobbi, ne ripercorse brevemente la storia, soffermandosi su quelli che gli parevano i caratteri originari della ‘prima facoltà commerciale’: la libertà, di cui «essa approfittò per darsi una disciplina rigorosa»; l’alta preparazione scientifica; una severità che, lungi dallo scoraggiare nuove immatricolazioni, le aveva stabilizzate negli ultimi anni Venti[58], rendendo sempre più difficile la gestione degli spazi: l’edificio di via Statuto che, se nel 1902 era sembrato addirittura esuberante rispetto alle esigenze dei primi studenti, ora appariva quasi schiacciato dal peso degli iscritti e delle numerose attività che la Bocconi era andata sviluppando. Nel suo discorso il rettore ammise che quello, forse, era il momento meno adatto «per ottenere più larghi aiuti alla nostra Università da parte di enti pubblici e specialmente da parte delle organizzazioni economiche che meglio ne devono comprendere l’importanza», ma fece voti che, superato il difficile momento che il Paese, e tutto l’Occidente, stavano vivendo, il problema avrebbe potuto essere affrontato e rapidamente risolto[59].

Nella Milano degli anni Trenta la carenza di spazi utili ad una popolazione studentesca in rapida crescita interessava non solo la Bocconi, ma anche il Politecnico e la Regia Università[60], accentuando la concorrenza fra le diverse istituzioni e rendendo molto delicato il rapporto con l’ente locale. Solo la Cattolica era immune da questo genere di problemi avendo traslocato, proprio nel ’32, nella nuova sede realizzata da Giovanni Muzio nell’area dell’antico monastero di S. Ambrogio[61].

L’amministrazione comunale, più volte sollecitata dal consiglio direttivo[62], non aveva mancato di assicurare il vice presidente che aveva ben presente il problema e si era detta disposta ad acquistare la vecchia sede e a fornire lo spazio necessario per costruire la nuova, oltre ad erogare un congruo contributo a fondo perduto. In realtà, al di là di vaghe assicurazioni, niente di concreto si era riusciti ad ottenere: l’entità dell’impegno finanziario, la carenza di aree destinabili allo scopo, i rilevanti interessi in giuoco e le contrastanti esigenze delle istituzioni universitarie milanesi rendevano difficile una decisione[63].

C’erano state, in verità, vaghe proposte di utilizzare allo scopo parte della Ca’ Granda[64] e le stesse avevano incontrato il favore di una parte del consiglio, sedotta dal prestigio della sede e dalla centralità dell’area; ma esse avevano trovato l’opposizione di Palazzina e di quanti non volevano che la serietà e la diligenza degli studenti della Bocconi fosse compromessa dalla vicinanza con gli indisciplinati discepoli della Regia; e, inoltre, sospettavano che le parti migliori dell’edificio fossero già state aggiudicate ad altre facoltà e che quanto residuava sarebbe stato del tutto insufficiente a consentire l’auspicato ampliamento. Ad ogni buon conto l’idea venne ben presto accantonata per la successiva dichiarazione di indisponibilità dell’amministrazione comunale a seguire questa strada.

Fu scartata anche l’ipotesi di palazzo Clerici, un’area demaniale della quale ben difficilmente lo Stato si sarebbe privato[65]; come cadde il proposito di occupare la sede delle scuole professionali di piazza cardinal Ferrari[66]. Più realistiche sembrarono invece le altre soluzioni prospettate: palazzo Canonica, in piazza Cavour, vecchia sede del Politecnico[67]; la caserma S. Vittore, che quanto prima sarebbe stata liberata dai suoi occupanti, o una parte della nuova «Città degli Studi»[68].

La defaticante e inconcludente trattativa spinse addirittura il consiglio direttivo a vagliare la possibilità di restare in largo Notari, sopraelevando la vecchia sede[69]. Anche questa soluzione sarebbe stata, in seguito, abbandonata: il sopralzo di due piani, considerato tecnicamente possibile, non avrebbe, in realtà, permesso se non un parziale recupero degli spazi necessari a risolvere le più pressanti emergenze dell’Università, mentre l’elevato costo dell’operazione avrebbe precluso ogni possibile soluzione futura.

Nella primavera del ’35, tramontata l’idea di riattare i locali di piazza Cavour, a causa degli elevatissimi costi di ristrutturazione, si affacciò l’eventualità di erigere la sede in un’area di recente urbanizzazione posta a sud della città che, secondo notizie che Ugo Caprara aveva confidenzialmente comunicato a Palazzina, sarebbe stata destinata ad accogliere una nuova città universitaria[70].

Di fronte all’indecisione del consiglio direttivo[71] e ai tentennamenti del comune, il vice presidente decise che era giunto il momento di far valere la sua autorità sugli uni e sugli altri e chiese – ed ottenne – un abboccamento con le massime autorità locali. L’incontro ebbe luogo il 28 gennaio 1936 nella sede del comune. Il podestà, avvocato Pesenti e i suoi vice, Carlo Radice Fossati e Franco Marinotti, dopo un iniziale rifiuto ad aderire alle richieste dell’Università, si piegarono all’ardore del «tono fascista della perorazione» del filosofo. L’impegno solenne, «suggellato da un minuto di raccoglimento che tutti e quattro facemmo innanzi alla lapide dei caduti della grande guerra», vincolava l’amministrazione ad edificare a porta Ludovica, su terreni in precedenza occupati dalla fabbrica del gas di San Celso[72], sulla base di una convenzione da stipularsi una volta che l’ufficio tecnico comunale ne avesse redatto il progetto[73].

L’accordo fra l’amministrazione comunale e la Bocconi richiese un tempo ben superiore a quello prospettato e ancora a lungo ci si confrontò su ipotesi alternative: ristrutturare la vecchia sede o di costruirne una nuova? Utilizzare edifici già esistenti (la caserma S. Vittore? La vecchia sede del Politecnico?) o edificare la nuova sede fuori porta Ludovica o a «Città studi»?[74] Affidare il progetto al solo ufficio tecnico comunale o affiancargli l’ing. Pagano? Alla fine, ancora una volta, Gentile tagliò il nodo gordiano assumendo l’iniziativa di fare di Giuseppe Pagano il responsabile della progettazione dell’edificio e di vincere le esitazioni del consiglio comunale con l’intervento del capo del governo.

 

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Il duce, rassicurato il podestà della liceità e della nobiltà degli impegni assunti dal comune di Milano, decise che anche lo Stato non poteva restare insensibile al «grido di dolore» della Bocconi e stabilì che esso doveva «intervenire nella convenzione, a dimostrazione del suo interessamento per una così nobile e benemerita istituzione che, creata e sostenuta dal buon volere di privati e di enti cittadini, ha acquistato una funzione nazionale»[75]; e, nell’udienza accordata il mese successivo alle autorità milanesi, ne definì il contributo in mezzo milione; facendosi, inoltre, promotore, su suggerimento di Gentile, di una sottoscrizione fra imprenditori e uomini d’affari milanesi a favore della nuova sede.

«Il comune sarà nostro collaboratore, impegnatissimo a fare tutto quello che si può, presto e bene»[76], così il vice presidente chiudeva la lettera nella quale informava il consiglio direttivo dell’Università del successo ottenuto e delle ulteriori concessioni strappate al podestà: la riduzione del contributo finanziario della Bocconi in proporzione ai risultati della sottoscrizione milanese; il controllo sul cantiere e sui costi da parte di rappresentanti dell’Università; la realizzazione di fondazioni capaci di sopportare eventuali sopralzi futuri dell’edificio, il diritto di sovraintendenza artistica sulla costruzione e via discorrendo.

Del colloquio con Benito Mussolini, Gentile approfittò anche per menare il colpo di grazia a padre Gemelli e al suo tentativo di attivare in Cattolica un corso di laurea in scienze economiche, innestandolo sulla facoltà di scienze politiche e aggirando così il divieto formale del capo del governo da lui stesso in precedenza sollecitato. Anche a questa richiesta il duce rispose positivamente rassicurando che mai alla Cattolica sarebbe stato concesso di aprire una facoltà commerciale in terra milanese. «Desidero pure informarla», egli annunciò trionfalmente all’amministratore delegato, «che il Duce mi confermò che possiamo stare assolutamente tranquilli rispetto alla sospettata concorrenza della Cattolica, che con l’insipienza del ministro De Vecchi con la sua tabella delle lauree ci aveva messa di fronte. L’allarme da me a suo tempo gettato con una mia lettera al Duce fermò tutto. Sicché possiamo contare questo ultimo pericolo che si è corso, come una nuova nostra vittoria sulla Università di S. Ambrogio. Andiamo dunque avanti!»[77].

Giovanni Gentile aveva tutte le ragioni di gongolare: dopo anni di scontri e scaramucce era finalmente sicuro di aver messo padre Gemelli alle corde. In realtà, «il brigante di S. Ambrogio»[78] era troppo furbo per cadere nella trappola e il regime troppo teso a mantenere buoni rapporti con la chiesa cattolica per rischiare di comprometterli per una questione che, agli occhi dei più, non poteva che apparire del tutto marginale[79] – e della cosa ci si sarebbe resi conto di lì a pochi mesi quando, nonostante le assicurazioni del duce, il ministro dell’educazione nazionale approvò il nuovo corso di studi economici proposto dall’Università cattolica.

Il mancato rispetto degli accordi assunti dal capo del governo, spinse il filosofo a compiere un ultimo tentativo inviando allo stesso una lettera così concepita: «9-XI-1936 – XV. DUCE, Ella certamente ricorda la tenace insistenza degli sforzi da vari anni fatti dal Gemelli per istituire nella Università Cattolica una facoltà commerciale in concorrenza con la Università Bocconi; e ricorda anche la recisa opposizione che V.E. ha sempre opposto a tale inopportuna pretesa. Posso aggiungerLe per farLa sorridere che le prime sconfitte toccate in questo terreno al frate prepotente, attribuite da lui a mie mene sono state – com’è provato nella maniera più certa – la prima origine della polemica implacabile scatenatasi nelle riviste e nei giornali di parte cattolica contro la mia esecranda filosofia e infine della condanna di tutti i miei scritti all’indice.

Vietatagli per volere di V.E. l’istituzione della facoltà commerciale, il furbo frate ha girato la posizione e persuaso S.E. De Vecchi a introdurre dalla finestra quello che, non poteva entrare regolarmente per la porta. Ha cioè ottenuto che col decreto del 7 luglio scorso, il ministro modificasse le tabelle allegate al R.D. 28 novembre 1935 relative alle lauree rilasciate dalle varie facoltà e disponesse quivi con una norma nuova, strana e imprevedibile che la laurea in economia e commercio possa essere rilasciata non solo dalle facoltà di economia e commercio (che l’Università Cattolica non ha potuto istituire) ma anche dalla facoltà di scienze politiche che già la detta Università possedeva […]. Letto quel decreto, io ricorsi a V.E. ricordando il reciso diniego opposto da V.E. al senatore Cavazzoni che veniva a chiedere da parte del Gemelli l’autorizzazione di istituire la nuova facoltà di scienze commerciali. E V.E., confermando recentemente a me e al podestà di Milano la Sua viva simpatia per l’Università Bocconi, tornava ad assicurarmi che né ora né mai l’Università Cattolica avrebbe minacciato l’esistenza della Bocconi con la deprecata pericolosissima concorrenza del conferimento degli stessi diplomi di laurea. La concorrenza infatti poteva essere evitata solo che il ministro De Vecchi non consentisse, come ne aveva la facoltà, l’istituzione di tutti i nuovi corsi con cui la facoltà di scienze politiche della Cattolica doveva ancora essere integrata per rilasciare le lauree in economia e commercio. E io avevo per fermo che V.E. avesse disposto che questi nuovi corsi non fossero consentiti. Invece, il ministro ha già approvato il nuovo statuto della Cattolica che istituisce detti nuovi corsi e frate Gemelli ha vinto! E già presso la sua università cominciano a iscriversi, come alle facoltà commerciali, ragionieri provenienti da Istituti tecnici!

Si è voluto compiacere a frate Gemelli? Si è ceduto senza prevedere né calcolare le conseguenze attraverso le vie storte e coperte che la furbizia del frate ha suggerite? Certo, per tal modo si governa contro le disposizioni esplicite e nette di V.E. contro gli interessi più evidenti del Paese. E proprio ora che V.E. favorisce giustamente la costruzione di una più ampia sede per l’Università Bocconi si deve consentire che essa sia divorata dalla Università Cattolica? Con devoto animo»[80].

La lettera sarebbe rimasta senza una risposta.

La Bocconi e il fascismo negli anni del consenso

Negli anni ’30, i rapporti dell’Università con il regime si andarono «normalizzando» e se, come si è visto in precedenza, non mancarono i tentativi per imporre la docenza a uomini fedeli al fascismo, in compenso, andarono scomparendo le manifestazioni studentesche contro i docenti non allineati che avevano connotato il decennio precedente. Non si ridusse, ma si andò accentuando il processo di fascistizzazione dell’università, che si sarebbe tradotto nella retorica dei discorsi ufficiali e in una pesante censura; nella raccomandazione di indossare la camicia nera in occasione degli esami, nei corsi di mistica fascista, in quelli di cultura militare e nei «littoriali» per gli studenti; nella soppressione di tutte le forme di associazionismo universitario e, soprattutto, nell’obbligo per tutti i professori del giuramento di fedeltà, che nel ’31 assunse la natura di vero e proprio giuramento al regime. A questo si sarebbe aggiunta più tardi la richiesta di iscrizione al partito fascista, condicio sine qua non per ottenere l’approvazione delle «superiori gerarchie» ad esercitare l’insegnamento.

In questo senso alla Bocconi toccò una sorte non molto diversa da quella che interessò l’intera accademia italiana[81]; anche se, nel caso milanese, la relativa autonomia dell’istituzione, l’indipendenza finanziaria dallo Stato e la vice presidenza di Giovanni Gentile consentirono spazi di libertà ignoti alle università regie: molte riviste scientifiche anglosassoni continuarono ad arricchire gli scaffali della biblioteca per speciale dispensa del regime[82]; i seminari sponsorizzati dalla fondazione Serena si tennero ogni anno[83], sino all’inizio del secondo conflitto mondiale; i migliori studenti furono inviati in Inghilterra a perfezionare la lingua e anche l’obbligo di portare la camicia nera sotto la toga accademica nelle sedute di laurea fu dai più risolto limitandosi, come ricorda Libero Lenti, ad indossare una semplice «pettorina» sotto la giacca.

Tutti i docenti, con l’eccezione di Mario Rotondi – che per questo avrebbe perso l’incarico e la direzione dell’istituto di diritto comparato[84] –, soddisfecero invece all’obbligo di iscriversi al partito – e la data di iscrizione lascia intendere che, per la gran parte di loro, si trattò di una sorta di «atto dovuto» più che di una convinta adesione all’ideologia dominante[85] (si veda la Tabella 6).

 

Tabella 6 Elenco nominativo dei professori della Bocconi iscritti al partito nazionale fascista (1933)[86].

Cognome e nome

n. tessera

Data iscrizione

Gruppo

Borgatta Luigi

395

1926

Gen. Cantore

Borroni Ugo

1228574

13/4/1933

Mussolini

Cambi Livio

 

1923

Tonoli

Caprara Ugo

0165904

26/10/1932

Fascio Firenze

Coletti Francesco

 

6/12/1933

G. Dannunzio

Colli Giuseppe

0103458

15/12/1925

R. Crespi

De Gregorio Alfredo

482405

29/10/1932

Roma Savoia

Dall’Oglio Domenico

0516114

29/10/1932

Corridoni

Del Vecchio Gustavo

0130282

29/10/1932

Bologna

De Magistris Filippo

1027393

23/10/1919

Sansepolcrista

Gobbi Ulisse

98694

4/12/1925

Sciesa

Greco Eugenio

0982991

29/10/1932

Sciesa

Greco Paolo

 

6/11/1932

Macerata

Hazon Mario

0587774

28/10/1932

Corridoni

Lorusso Ettore

0503045

10/11/1932

Bari

Marcantonio Arnaldo

1026273

29/10/1932

Bernini

Marolli Giovanni

0421632

20/01/1928

Montegani

Martinotti Giuseppe

0778828

1/02/1933

Baracca

Mortara Giorgio

0307339

marzo 1933

Crespi

Nicolini Leone

0249372

dal 1931

Tonolli

Ranelletti Oreste

2646

dal 1932

Baracca

Revel Bruno

657

15/05/1933

Tonolli

Sanvisenti Bernardo

0983113

29/10/1932

Corridoni

Sapori Armando

0964351

28/10/1932

Fed. Dell’Urbe

Tajani Filippo

 

29/10/1932

Gen. Cantore

Zappa Gino

0722198

?

Venezia Gruppo S. Croce

 

Se, per quanto attiene all’impegno dei singoli, il regime si accontentò di questo «omaggio formale»; più discreto, ma sicuramente più pressante, risultò invece il controllo politico sulla docenza, che spinse talora il segretario federale a respingere candidature invise al regime (come quella di Francesco Carnelutti) e lo stesso ministero dell’educazione nazionale a derogare alle priorità previste dalla legge imponendo propri candidati. È quanto avvenne, ad esempio, nel ’36, nei confronti di Paolo Greco, che De Vecchi, «nel superiore interesse degli studi e dell’educazione nazionale», intendeva sostituire nell’incarico di diritto commerciale con uno sconosciuto libero docente. Di fronte a tale intimazione, il consiglio direttivo decise la sua opposizione al dettato ministeriale e, rivolgendosi direttamente a Giuseppe Bottai, da pochi giorni subentrato al De Vecchi, sostenne «di non poter riconoscere (…) le condizioni di necessità nell’interesse della educazione nazionale e degli studi»; e, per bocca del suo vice presidente, spiegò al ministro che proprio l’interesse dell’educazione nazionale avrebbe dovuto spingerlo a ritornare sui suoi passi – tenuto anche conto che la facoltà di giurisprudenza di Milano sarebbe stata ben felice di conferire al candidato ministeriale l’incarico a cui aspirava[87].

Giuseppe Bottai, dopo aver respinto, in via di principio, le tesi della presidenza della Bocconi, ne riconobbe, di fatto, la correttezza: l’onore era salvo e anche l’utile, visto che il protetto del suo predecessore avrebbe trovato una sistemazione più confacente alle sue aspettative[88].


1

«In questi casi», si sosteneva, «il giovane subisce grave danno morale e materiale per il contrasto tra le funzioni modeste cui è adibito e il titolo solenne di “dottore in scienze commerciali” duramente conquistato durante ben quattro anni di studii» (cfr. ASUB. Busta 117/122. «Ordinamento degli studi e degli istituti culturali nell’Università commerciale Luigi Bocconi. 1928-1929»).

2

Cfr. ASUB. Busta 70/12 bis. Associazione dei ragionieri di Milano, Statuto e regolamento interno dell’Istituto superiore di ragioneria e Antonio Masetti ad Angelo Sraffa. Milano 30 ottobre 1922. La facoltà di ragioneria, «chiesta dai ragionieri di Milano e d’Italia tutta», prevedeva un corso di laurea della durata di quattro anni, aperto ai soli ragionieri, con i seguenti insegnamenti: «ragioneria generale, agendologia, ragioneria applicata alle aziende civili e commerciali, ragioneria pubblica, ragioneria di Stato, delle Provincie, dei comuni, delle opere pie, funzioni del ragioniere, aritmetica finanziaria, economia politica, scienza delle finanze, diritto civile e commerciale, diritto amministrativo e costituzionale, procedura civile e commerciale, scienza dell’assicurazione, legislazione tributaria, scienza del lavoro, scienza della cooperazione, scuola di esercitazioni pratiche di ragioneria, lingue francese, inglese e tedesca (obbligatorie), lingue (spagnola, araba) (facoltative), merciologia e istituzioni commerciali» (ASUB. Busta 70/12 bis. Progetto di un Istituto superiore di ragioneria).

3

La decisione di differenziare il titolo di studio fu, probabilmente, accantonata sulla base di queste riflessioni delle quali non è dato di conoscere l’autore: «II mio modesto e rassegnato avviso sarebbe di esprimere parere contrario all’eventuale istituzione di due titoli accademici, uno professionale e uno dottorale poiché tutto induce a credere che, se non la totalità, la enorme maggioranza aspira al titolo dottorale. Per sfollare l’Università e rendere più difficile il conseguimento del dottorato, oltre alla costante severità negli esami: ripristinare (…) l’obbligo di superare tutti gli esami; per il passaggio dal 1 al 2 corso come per il passaggio dal 3 al 4 non si possono tralasciare più di due esami – chi non ottempera tale obbligo ripeta l’anno e ripaghi tutte le tasse; non consentire che si ripeta un corso più di due volte; abolire quindi la facoltà di rimanere fuori corso; ripristinare l’obbligo – per le materie biennali – di dare l’esame alla fine di ogni anno; idem per le lingue straniere; obbligo di prove scritte anche per gli esami di matematica, ragioneria, tecnica bancaria; estendere (…) l’obbligo di scegliere l’argomento della dissertazione scritta di laurea entro il 1 quadrimestre del 3° anno di facoltà (…); esigere che le tesi siano preparate sotto il controllo degli istituti di economia, statistica, ecc.; esigere che anche le così dette tesine siano preparate per iscritto, ed imporre che almeno una di esse sia in determinate materie (economia o finanze o tecnica mercantile, bancaria o industriale)» (ASUB. Busta F).

4

Vedi supra p. 115.

5

Il documento votato dalla «commissione Zappa» prevedeva un cospicuo incremento del peso relativo delle discipline aziendali: 8 ore di ragioneria e tecnica amministrativa al primo corso; le 7 ore di ragioneria applicata e tecnica bancaria al secondo; cinque di tecnica mercantile il terzo e le tre di tecnica amministrativa il quarto – oltre a tre ore di applicazioni di ragioneria professionale per la specializzazione professionale e 28 corsi brevi di economia aziendale, fra i cui titoli ricordo: la gestione finanziaria e i bilanci delle società commerciali; l’ordinamento e la gestione delle aziende divise; i bilanci preventivi, le gestione e la contabilità delle aziende pubbliche; la costituzione, l’ordinamento, la gestione e la contabilità di singole imprese bancarie, mercantili, industriali e di servizi; la borsa valori; la tecnica dei cambi esteri, del credito agrario e fondiario, del commercio d’esportazione del vino, delle sete, degli agrumi e della frutta; la tecnica del commercio dei grani, dei cotoni sodi, delle lane, del caffè, del carbone, dei metalli; il credito all’esportazione; le variazioni della moneta deprezzata e le sue ripercussioni sulla gestione e la contabilità delle imprese commerciali; i metodi tecnici d’espansione economica; la così detta ‘organizzazione scientifica’ dell’amministrazione delle imprese commerciali; l’organizzazione e l’amministrazione del lavoro nelle imprese manifatturiere; la tecnica della pubblicità; la gestione delle materie prime nelle imprese manifatturiere; la gestione delle vendite nelle grandi imprese industriali e via discorrendo (ASUB. Busta F).

6

Ibidem.

7

La versione definitiva del «Progetto di riordinamento degli insegnamenti», predisposta da Palazzina, venne inviata al rettore con queste osservazioni: «Quando Ella avesse rinvigorito l’insegnamento delle lingue straniere integrandolo con una larga serie di esercitazioni, di conversazioni, costituzione di archivio di documenti, conferenze in lingue straniere, ecc.; 2) organizzato nel 1 corso speciali esercitazioni di ragioneria per i provenienti dai licei; 3) istituiti corsi di applicazioni di ragioneria e di tecnica mercantile, bancaria e amministrativa; 4) istituito corsi monografici di economia aziendale (come da progetto Zappa), eventualmente integrati con lezioni e conferenze sulla legislazione, la geografia, la merceologia, l’ordinamento doganale dei paesi in cui il commercio del carbone e della seta, ecc. prevalentemente si svolgono, non avrebbe il diritto di affermare di aver fatto tutto ciò che la Scuola può fare per corrispondere ai bisogni pratici della vita economica? La risposta mi pare sicura» (ASUB. Busta F. Girolamo Palazzina a Ferruccio Bolchini. Milano, 3 maggio 1927).

8

Le decisioni assunte furono raccolte in un documento dal titolo «Ordinamento degli studi e degli istituti dell’Università commerciale Luigi Bocconi» 1928-1929 - VII (ASUB. Busta 117/122).

9

«Ordinamento degli studi», cit.

10

ASUB. Busta 47. Gino Zappa ad Angelo Sraffa. 4 ottobre 1924.

11

La proposta, respinta dal ministero dell’economia nazionale all’inizio del ’28 (ASUB. Busta 47. Il direttore generale del commercio e della politica economica al rettore. Roma 14 aprile 1928), sarebbe stata approvata l’anno seguente grazie anche alle pressioni esercitate da alcuni parlamentari vicini alla Bocconi, quali Giuseppe De Capitani d’Arzago, Emilio Bodrero, Santi Romano e Pietro Sissa.

12

Anche Palazzina si dimostrò molto favorevole al ‘magistero di ragioneria’, poiché riteneva che, aprendo la strada dell’insegnamento, avrebbe attirato a Milano gli studenti che, decisi a seguire questa carriera, optavano per le Scuole di Venezia e di Genova. Quella volta, tuttavia, le previsioni del direttore della segreteria risultarono totalmente errate: l’attivazione del magistero di ragioneria avvenne l’anno seguente nel quasi completo disinteresse di studenti che si iscrivevano alla Bocconi con ben altri interessi che non quello di diventare docenti di computisteria e ragioneria. Dopo due anni di vita stentata, l’esperimento si concluse nel 1932.

13

La lettera così concludeva: «Però un passo preliminare necessario è quello di assicurarsi l’appoggio di Gini (da cui ancora non ho avuto risposta, ma è pochissimo che gli ho scritto: mercoledì mi pare). Il rettore potrebbe vederlo ed esporgli o la sua idea, se in essa persiste, o la mia se gli piace adottarla. Va sans dire che l’Un. Bocconi di fatto avrebbe nell’Istituto, se esso sorgesse, una parte non minore e probabilmente più importante di quella della R.U. Ma teoricamente bisogna, a mio modo di vedere, che si rassegni a stare in seconda posizione. Non andiamo d’accordo è vero? Ma non per questo Ella toglierà la sua cordiale amicizia» (ASUB. Busta 47 Giorgio Mortara a Girolamo Palazzina. Milano 21 febbraio 1928).

14

Mortara si sarebbe ben presto circondato di giovani di grande valore: Libero Lenti, Valentino Dominedò, Ferdinando Di Fenizio, Guglielmo Tagliacarne, Francesco Brambilla, Paolo Baffi, Alberto Campolongo, e molti altri.

15

A titolo di esempio mi limito a ricordare gli accordi di collaborazione con il ministero della guerra per «fornire regolarmente o anche saltuariamente, su richiesta, notizie statistiche e forse qualche cosa di più (previsioni, impressioni… per non dire prospettive)» (ASUB. Busta M6. Giorgio Mortara ad Angelo Sraffa. Milano 29 luglio 1925).

16

Dell’orgoglio, della severità e dell’indipendenza scientifica di Mortara è ancora una volta buon testimone Libero Lenti (Le radici, cit., p. 62), che racconta di come il professore di statistica arrivasse a troncare ogni rapporto con l’Enciclopedia Italiana «perché il direttore, Gentile, senza pensarci troppo aveva dato, a un intelligente e colto redattore addetto alla sezione industrie, e più precisamente al dott. La Malfa, come trovo scritto in una lettera di Gentile, il compito di correggere un suo scritto». La lettera che Mortara scrisse in quell’occasione al direttore dell’Enciclopedia, mi sembra fornire elementi importanti per avvicinarsi al personaggio: «Illustre Senatore (…), quando accettai di collaborare per l’Enciclopedia, su proposta di Benini, egli mi avvertì che si riserbava di propormi di volta in volta ogni modificazione che egli fosse per ritenere opportuna alle voci da me compilate. Ma non necessitò mai Benini, né Del Vecchio suo successore, all’eventualità che terze persone mettessero le mani nel mio lavoro, e nonché propormi modificazioni, le eseguissero addirittura (che in tal caso non avrei collaborato). Dato ciò Ella può intendere il mio sdegno nel vedere malamente manomesso il mio lavoro. Proprio a un professore di statistica si vuol insegnare come vanno presentati i dati statistici? Quel suo tirapiedi avrebbe potuto benissimo, in ogni caso, nell’intervallo di quasi due anni trascorso dalla consegna del ms., scrivermi proponendo le modificazioni che gli fossero parse opportune» (Archivio della Fondazione Gi vanni Gentile. Roma – d’ora in poi AFGG –. Giorgio Mortara a Giovanni Gentile. Milano, 27 febbraio 1932). L’aspra polemica con Ugo La Malfa, ricorda sempre Lenti, fu dimenticata quando quest’ultimo, lasciata Roma per Milano, iniziò la sua collaborazione con il «Giornale degli Economisti».

17

Valgano per tutte le osservazioni che Mortara inserì nella Relazione sull’attività dell’«Istituto di economia» per l’a.a. 1930-31 (ASUB. Busta 103 bis): «La vigilanza sulla scelta dei temi per le tesi di laurea è stata resa più efficace con una paziente opera di persuasione diretta ad eliminare la trattazione di argomenti atti a favorire facili compilazioni, saccheggio di opere altrui, semplici accumulazioni non organiche di dati o di informazioni; da escludere inoltre la trattazione di temi troppo ardui (…). La direzione dell’istituto di economia insiste energicamente affinché vengano scelti temi adatti alla discussione; ma non è sempre possibile contrastare la volontà coalizzata del discente e del docente». Lo stesso Francesco Coletti, che godeva di buoni rapporti con il direttore dell’istituto, propose a Palazzina un metodo volto a semplificare una procedura, che giudicava estremamente farraginosa – oltre che lesiva dell’autonomia dei docenti: «Più volte i giovani, che hanno scelto con me la tesi, vengono da me col foglio dove è scritto l’argomento e mi dicono: il prof. M[ortara] ha introdotto questa modificazione in confronto del tema da Lei formulato o accettato. Qualche volta M. muta addirittura il tema. P.es., proprio stamane, un giovane mi dice: ecco il tema che vuole il prof. M. Io avevo suggerito il tema della popolazione rurale in Lombardia secondo l’ultimo censimento. Il M. vuole invece, press’a poco, un tema così formulato: Dell’organizzazione rurale in Lombardia in relazione alla popolazione, ecc. Il giovane non vuole questo secondo tema, ch’è più preparato al primo, di studio e trattazione più semplici. Ma, questo ordinamento dell’approvazione ecc. ecc. delle tesi non mi pare esente di inconvenienti. Chi trasmette le modificazioni Mortara è lo stesso giovane. Il professore si trova imbarazzato come soggetto a una correzione. Spesso, o almeno non di rado, la cosa si ripete più volte: il professore della tesi dà il titolo, il M. non approva e fa correggere; il professore di prima non approva tutta la correzione; il M. interviene di nuovo, ecc. e sempre per il tramite dello studente (…). Io ritengo che sarebbe meglio fare diversamente per rispettare l’autonomia di scelta del giovane, l’iniziativa del professore sugli argomenti, ecc. e per evitare cose che possono toccare l’amor proprio degli insegnanti della tesi. E cioè: 1) Il professore conviene col giovane la tesi, che però non resta definitiva. 2) Il professore si reca dal Mortara, quale direttore dell’istituto, ecc. e gli espone quali tesi egli ha accettato o suggerito e si definisce il titolo» (ASUB. Busta C6. 14 novembre 1927. Memoria per il dott. Palazzina).

18

La lettera dello studente che Zappa allegò alle sue dimissioni non lascia dubbi in proposito: «Ill.mo Sig. Professore, (…). Giorni sono, Ella ricorderà certamente, ebbi a sottoporre alla sua approvazione una tesi così concepita: “Del finanziamento d’impresa mediante l’emissione di azioni e di obbligazioni”. Successivamente la presentai al prof. Mortara il quale non consentì ad apporvi la sua firma obbiettando nell’enunciato della tesi una certa imprecisione di linguaggio che destò in lui l’impressione che l’argomento da me contemplato fosse troppo vasto. Impressioni che tradusse in una nota a Lei diretta che ritengo opportuno riportare qui integralmente: “Non sarebbe meglio precisare un po’ meglio l’argomento evitando l’impressione che il Villa voglia trattare l’argomento dal punto di vista economico oltre che da quello tecnico? Da parte mia conformemente a quanto sopra avrei pensato di modificare l’enunciato della mia tesi come segue. Comunque prima di prendere una decisione definitiva ho ritenuto mio dovere consultarla in proposito onde attenermi al suo autorevole e prezioso consiglio» (ASUB. Busta Z2. Gino Zappa a Girolamo Palazzina. Milano 29 dicembre 1927 e Ferruccio Villa a Gino Zappa. Milano 23 dicembre 1927).

19

«Illustre Professore e caro amico, il corriere di oggi mi riservava una ben dolorosa sorpresa: la lettera da Lei diretta al dr. Palazzina colla quale Ella non solo limita la sua attività attuale nella scuola, ma mette addirittura in forse l’attuale programma “milanese” già insieme concordato, e sul quale proprio in questi giorni avevo ottenuto il rinnovato assenso del nostro Presidente, il sen. Bocconi, e avviato pratiche col ministero per risolvere la questione regolamentare così da permettere il di Lei trasferimento nell’apposito posto di ruolo da istituirsi. Sul primo punto, quello dirò così contingente e determinato da mere considerazioni di salute fisica, la mia risposta è semplice e perentoria. Partendo dai presupposti: a) che non vi è uomo di studii il quale in un dato periodo della vita non paghi il tributo all’usura eccessiva delle proprie forze; b) che quando si è fatto quanto Ella ha fatto per la scienza e per la Bocconi si ha ben diritto a quei riguardi che sono riconosciuti dall’uso in qualsiasi forma d’impiego e di pubblico servizio; io le dichiaro formalmente che Ella potrà e dovrà curarsi per tutto il tempo necessario, limitando ogni sua occupazione ed ogni molestia a quel tanto che Ella potrà permettere senza danno, ed anche astenendosi completamente per tutto il tempo necessario dall’insegnamento (…). E per procurarsi la assoluta quiete di spirito necessaria pel suo pronto ristabilimento in salute, è fin d’ora facoltizzato ad attuare quelle forme di sostituzione temporanea che Ella riterrà opportune: io penso ad esempio che Ella potrebbe utilizzare il suo allievo prof. Onida, in modo da conservare più direttamente l’impronta del suo insegnamento, e di conservare, anche mercé opportuni contatti, la direzione spirituale (…). Ed ora vengo al secondo punto della sua lettera, quello che riguarda il laboratorio di ragioneria che è gloria sua e della Bocconi. Ella – mi ha spiegato il dott. Palazzina – si sente ferito per una interferenza coll’istituto di economia politica. Permetta a me, quale rettore che ha altamente valorizzato (anche nell’ultima sessione di laurea) e che vuole sempre più valorizzare nell’Università (mediante la di Lei chiamata ad occupare il primo posto di ruolo che vi sarà istituito) la materia da Lei professata e genialmente rinnovata, di esprimere circa il fatto che l’ha colpita un apprezzamento diverso dal suo (…). Ella – ed è questo uno dei suoi principali meriti di insegnante di ragioneria – tiene nel più alto conto gli studii economici, verso i quali anzi Ella dirige la parte dinamica del suo insegnamento. Il prof. Mortara a sua volta, per tendenza del suo spirito alla scienza applicata, si è con me parecchie volte espresso nel senso più entusiasticamente favorevole all’indirizzo dai Lei dato all’insegnamento della ragioneria (…). È dunque esclusa matematicamente esclusa – io glie ne sono mallevadore – qualsiasi questione di preminenza tra i due istituti animati a eguale passione scientifica. Vi possono essere invece – vi debbono anzi necessariamente essere, delle interferenze occasionali, da risolversi caso per caso, finché, colla risoluzione di parecchi casi, il binario parallelo delle due unità scientifiche sia stato definitivamente chiarito e stabilito. A questo fine si dirigerà, non dubiti, la mia opera costante ed obbiettiva. Ciò posto, mi consenta, caro amico di considerare come bene chiuso il primo anno di rettorato richiamandomi puramente e semplicemente ai nostri accordi che assicurano alla Bocconi (quindi a Milano – quindi al più grande centro italiano per la vita economica) la di Lei opera esclusiva di insegnante e di dirigente l’istituto da Lei creato, colla sicurezza di ogni più largo appoggio morale e materiale» (ASUB. Busta Z2. Ferruccio Bolchini a Gino Zappa. Milano 30 dicembre 1927).

20

ASUB. Verbali del CDA. Seduta del 19 maggio 1928, p. 147 e s.

21

Con Zappa venne stipulata una convenzione particolarmente favorevole che prevedeva – oltre ad una retribuzione pari a quella goduta a Venezia e al riconoscimento ai fini pensionistici dell’anzianità sino a quel momento maturata, una ulteriore indennità annua di lire 70.000 annue «pel suo alto merito scientifico e didattico», a fronte della quale si richiedeva l’impegno «a prestare l’opera propria oltre che nel corso di 2° anno anche in un altro corso annuale speciale sempre rientrante nell’orbita del suo normale insegnamento» (ASUB. Busta Z2. Provvedimenti circa il passaggio dell’Università Bocconi sotto la vigilanza del ministero della P.I. – Istituzione di posti di professore di ruolo).

22

Su questo tema cfr. A. De Maddalena, cit., p. 330 e s.

23

ASUB. Busta Z2.

24

ASUB. Busta Z2 (Ministero della pubblica istruzione a presidente dell’Università commerciale L. Bocconi. Roma 14 settembre 1928). Bolchini, in realtà, non sarebbe mai diventato professore di ruolo in Bocconi. L’interesse alla sua chiamata cadde nel momento in cui egli abbandonò il rettorato o fu lui stesso ad abbandonare l’idea? Sulla cosa i documenti tacciono.

25

Della candidatura di Mario Alberti si accenna solo in una lettera in cui Bolchini spiegava al senatore Baldo Rossi, rettore della regia università di Milano e «fiduciario del G.A.P.U.F.», i motivi per i quali, per la copertura della cattedra di economia, il consiglio non avrebbe preso in seria considerazione alcun candidato esterno (ASUB. Busta 281/3): «Le materie economiche – a parte la specializzazione di metodologia statistica e statistica economica affidata al prof. Mortara, ordinario nella R.a università di Milano e di demografia ed economia dell’agricoltura, affidata al prof. Coletti, ordinario nella R.a università di Pavia, e a quella di scienza delle finanze affidata al prof. Borgatta, ordinario nella R.a università di Milano – sono attualmente insegnate nell’Università Bocconi dai seguenti professori. Economia politica: prof. Ulisse Gobbi, presidente dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, ordinario al Politecnico, che tiene con grande onore la cattedra sin dalla fondazione dell’Università ed è iscritto al PNF dal novembre 1929. Politica economica: S.E. dr. Mario Alberti, che già divideva l’insegnamento col compianto prof. Prato, svolgendo politica monetaria, e che per avere direttamente partecipato a tutte le vicende economiche internazionali del dopoguerra possiede attitudini insostituibili per tale insegnamento. Prospettando quindi il problema dell’assegnazione di una cattedra di ruolo in tali materie e non volendo l’Università privarsi degli insegnamenti dei professori Gobbi e Alberti che costituiscono elementi principi degli studi economici della Bocconi, ne viene di conseguenza che l’assegnazione del posto di ruolo recentemente istituito (…) non potrebbe farsi se non attribuendo la qualifica di stabili agli attuali insegnanti prof. Gobbi e S.E. Alberti. Ed in base a questo concetto appunto il consiglio d’amministrazione fin dal maggio 1928 ha proposto al ministro della P.I. la nomina di S.E. Alberti. Tale procedura non è per anco esaurita e qualora fosse risolta in senso negativo il consiglio si proporrebbe la nomina di Gobbi». L’ipotesi che qualche avance, nell’ambito del programma di far posto ad alcune forze giovani’ nel quale si traducevano le indicazioni e le linee di fascistizzazione dell’università italiana in generale – e della Bocconi in particolare – (cfr. A. De Maddalena, cit., pp. 339 e s.) sia stata fatta a (o sollecitata da?) Mario Alberti è tutt’altro che improbabile; così come non è improbabile che il consiglio, per motivi tattici, mostrasse di prenderne in considerazione la candidatura. Non v’è dubbio che Alberti godesse di simpatie all’interno dell’organo direttivo dell’Università se, nel momento in cui si decise di rompere con il passato e di celebrare solennemente l’apertura dell’anno accademico, proprio a lui venne affidato il compito di tenere la prima prolusione nella storia della Bocconi (Cfr. M. Alberti, Illusioni e realtà monetarie, in «Annuario 1929-1930», Milano 1930, pp. 31-51).

26

Fra le numerose testimonianze dell’eccellenza scientifica e della fede fascista di Ferri, vale la pena di ricordare, oltre a quella del sen. Rossi in precedenza citata, quelle di Augusto Turati, allora segretario del partito fascista e di Giuseppe De Capitani d’Arzago, podestà di Milano (ASUB. Busta 281/3).

27

Che avrebbe accettato di buon grado il delicato incarico. Il 29 aprile 1929 Tumminelli poteva così comunicare a Palazzina che: «Il senatore Gentile è pronto a difendere la nostra causa, si attende la venuta del presidente» (ASUB. Busta 281/3. Calogero Tumminelli a Giovanni Gentile. Roma 19 aprile 1929).

28

Cfr. G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze 1995, p. 422.

29

Il 26 aprile 1929, Gentile così scriveva a Tumminelli: «Ho veduto oggi S.E. Turati, al quale ho esposto la quistione dei provvedimenti relativi alla cattedra di economia politica nella Università Bocconi; ed egli ha trovato ragionevole che l’Università stessa, disponendo ora di un posto di ruolo, vi chiami il suo vecchio insegnante prof. Gobbi come professore stabile; dato che ciò renda possibile, con la vacanza della cattedra di economia nel Politecnico, l’aspirazione del Ferri a un incarico in quell’altro Istituto. Egli quindi non ha nulla da obbiettare alla chiamata che l’Università Commerciale farà del Gobbi alla sua cattedra di economia politica. In via riservata la prego bensì di assicurarmi che il prof. Gobbi non manterrà l’insegnamento del Politecnico a titolo d’incarico (ASUB. 281/3 Giovanni Gentile a Calogero Tumminelli).

30

Per questa e per le seguenti citazioni dr. A. De Maddalena, cit., pp. 339 e s.

31

Cfr. ASUB. Busta G. Ferruccio Bolchini a Girolamo Palazzina. San Remo 6 febbraio 1929.

32

Dei sentimenti e delle emozioni suscitate dalla sostituzione di Gobbi a Bolchini al vertice della Bocconi è testimonianza preziosa questa «riservatissima» di Guglielmo Tagliacarne, divenuto segretario generale del consiglio provinciale dell’economia di Milano, dopo aver lungamente svolto la sua opera come assistente di Celetti e Mortara: «Ill.mo dottore (…), sono felice di apprendere che il nostro amatissimo e stimato prof. Gobbi sia candidato al posto di rettore nella nostra Università. Professori e studenti riconosceranno in lui il vero rettore (the right man in the right place). Lei saprà benissimo – con la sua fine sensibilità e con la sua perfetta aderenza con l’ambiente – che l’attuale rettore era considerato come abilissimo avvocato, come un professionista di gran vaglia, ma non era affatto reputato come professore e tanto meno come economista, e quindi come rettore della prima Università commerciale. Questo sia detto senza diminuire minimamente la più alta stima dovuta all’avv. Bolchini. L’ing. Tarlarini, al quale ne ho parlato, vede favorevolmente il cambiamento dal B. al G., non per il principio della rotazione, ma per la considerazione della diversa competenza personale» (ASUB. Busta B. Guglielmo Tagliacarne a Girolamo Palazzina. Milano 1 ottobre 1929).

33

Nella sua «Inaugurazione dell’anno accademico 1933-1934», annunciando l’attivazione di un corso di economia corporativa, egli osservava: «mi sia concesso, giacché coll’anno accademico che ora si inizia finirà la mia carriera d’insegnante, di aggiungere che se in passato si ebbero nella nostra Università corsi appartenenti a diverse scuole economiche e politiche, l’insegnamento della economia politica si mantenne fedele a quella tendenza che non credeva alle armonie economiche del capitalismo, e non credeva nemmeno nelle promesse del socialismo, così che si trovò avvinta ad accogliere con entusiasmo l’ordinamento corporativo italiano che, secondo le parole di Mussolini, eredita dal capitalismo e dal socialismo quello che essi avevano di vitale. Lo studio della lotta fra organizzazioni d’operai e di imprenditori si chiudeva coll’esprimere la speranza in una collaborazione in cui le due parti tutelassero l’interesse proprio subordinandolo a quello superiore della produzione nazionale, finché la legge italiana sul regolamento dei rapporti collettivi di lavoro arrivò, non certo come il verificarsi di una profezia (giacché le profezie non sono compito degli studiosi), ma come risposta ad un’ansiosa attesa. Così alcune constatazioni pessimistiche che erano espresse in tempo presente, poterono poi essere trasportate in tempo passato. Ricordo con una certa soddisfazione di non aver mai presentato agli studenti l’homo oeconomicus, di non aver mai insegnato loro il teorema del massimo d’ofelimità dato dalla libera concorrenza. Questo poté una volta procurarmi l’appunto che il mio corso non fosse la preparazione più coerente con uno successivo. Ma oggi le varie materie costituiscono veramente parti di un tutto armonico, come richiede l’opera di ricostruzione a cui l’Università è chiamata in unità di intenti con tutte le forze nazionali» (Inaugurazione dell’anno accademico 1933-1934. Discorso del Rettore, prof. Ulisse Gobbi, in «Annuario 1933-1934», Milano 1934, p. 4).

34

G. Turi, Giovanni Gentile, cit., p. 407.

35

Delle avances per ottenere dal comune di Milano una nuova sede si hanno le prime notizie in una lettera del ’31, in cui si fa cenno ad una possibile indicazione del podestà e della necessità «che sia allontanato dalla futura sede dormitorio pubblico e istituto pel pane quotidiano» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 23 febbraio 1931).

36

Delle ristrettezze di bilancio si approfittò per disfarsi dei docenti imposti dal regime. La soppressione del corso di storia delle dottrine economiche – con il conseguente licenziamento di Enrico Ferri – e la sostituzione di Nino Orsi con Alfredo Rocco sull’insegnamento di diritto corporativo irritarono profondamente i fascisti milanesi, portavoce dei quali si fece il locale segretario federale: «In questi giorni la presidenza di codesta università ha esonerato dall’insegnamento alcuni giovani professori che avevano prestato la loro opera negli anni precedenti. Questa federazione provinciale fascista, senza entrare nel merito dei provvedimenti, né anche lontanamente ingerirsi nelle decisioni di spettanza del consiglio, ha però il dovere di segnalare alla S.V. Ill.ma l’impressione che la cosa può fare e fa, e la simultaneità dei provvedimenti e la qualità degli insegnanti, anziani e provati fascisti (…). Mi permetto quindi, illustre senatore, di segnalare la cosa alla sua benevola attenzione perché Ella, nella sua definitiva decisione, consideri l’opportunità di non apportare [variazioni], anche solo in apparenza, a un equilibrio che non dubitiamo non possa essere desiderato dalla stessa S.V. Ill.ma» (ASUB. Busta A. Il segretario federale ad Ettore Bocconi. Milano 19 novembre 1930).

37

ASUB. Busta 103 bis. «Cenni sull’attività dell’Istituto di ricerche tecnico commerciali nell’anno accademico 1934-35».

38

Gentile, in particolare, manifestò forti perplessità circa la chiamata del «dr. Onida quale aiuto al laboratorio di ragioneria, a cui si dovrebbero corrispondere l. 12.000, senza indicarmi il numero d’ore che il dr. Onida dovrebbe dedicare al laboratorio e che vorrei conoscere […] e poiché già si corrisponde al prof. Caprara un onorario ben superiore alle 6.000, attribuite all’incarico dell’insegnamento a titolo di aiuto dell’Istituto, non trovo giustificata la proposta di nomina d’un altro aiuto. Su questo punto la pregherei vivamente d’interpellare il prof. Zappa, facendogli presente che tutti ammiriamo l’attività dell’istituto che egli dirige, ma dobbiamo anche aver riguardo alle condizioni del bilancio che già ci hanno imposto riduzioni d’insegnamento e che ci costringono alle più severe economie» (ASUB Busta 2R. Giovanni Gentile ad Ulisse Gobbi. Roma 16 ottobre 1931).

39

Che così sintetizzava i risultati ottenuti. «Eccellenza, la soppressione del corso speciale di contabilità di Stato e la riduzione dei compensi di Onida e Lorusso importano una economia – nel gruppo Zappa – di lire 11.000, che mi pare rappresentare un risultato notevole» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 5 dicembre 1931).

40

Della lunga ed articolata «Risposta di Zappa alla richiesta di Gentile» (ASUB. Busta 22. Gino Zappa a Ulisse Gobbi. Milano 23 ottobre 1931) vale la pena di ricordare, in questa sede, la parte conclusiva: «Se Ella, signor rettore, che conosce e può consapevolmente pesare le nostre fatiche, avvenisse il risorgere di antiche tendenze contro gli insegnamenti affidati a me ed ai miei collaboratori, voglia darmene notizia. Le tendenze alle quali accenno già si manifestarono quando ancora non si potevano allegare le deficienze di fondi, ma solo la stolta credenza che le nostre discipline non siano degne dell’insegnamento universitario e quasi ottundano l’intelletto dei giovani. Anch’io so capire le necessità di bilancio; ma non senza pena dopo tante fatiche, non senza doloroso stupore ho visto risorgere situazioni antiche, che supponevo superate per sempre. Eppure noi soli forse sin qui, almeno in Italia, abbiamo infruttuosamente saputo distogliere giovani eletti dall’immediato guadagno, per indirizzarli alle gioie antieconomiche dell’indagine scientifica nel campo ignorato, ingrato e fecondo di incomprensioni dell’economia aziendale. In anni passati io personalmente vidi la mia opera umile e silenziosa, anche troppo largamente apprezzata nella nostra Università. Personalmente l’assistenza di un giovane collaboratore significa la sottrazione ai miei studi di non poche decine, spesso centinaia di ore annuali. Non ho parlato dunque per egoismo: questo scusi il mio troppo lungo dire e mi valga il suo perdono».

41

Con questo termine, secondo Libero Lenti, gli studenti solevano indicare il nutrito gruppo di giovani stretti intorno a Gino Zappa. Cfr. L. Lenti, Le radici del tempo, cit., p. 45.

42

Vale la pena di indicare gli obbiettivi dell’Istituto di ricerche tecnico-commerciali, all’inizio degli anni ’30, utilizzando uno scritto del “Maestro” che potrebbe benissimo essere assunto a “manifesto” degli economisti aziendali della Bocconi: «… il nostro istituto vuole ora soprattutto concorrere ad attenuare, nel campo degli studi di tecnica, di ragioneria e di organizzazione economica, lo stridore ancora troppo frequente tra costruzioni dottrinali e fatti concreti. A questo intento i collaboratori dell’Istituto – non ignari dei rinnovati problemi della pulsante vita dei tempi nuovi, che impongono vaste sistemazioni non ancora tentate – vogliono abbandonare le aride dottrine, che nella sicurezza del dettato occultano una profonda ignoranza delle cose. Tempi paiono ormai maturi per l’osservazione diretta sempre più estesa, per l’analisi acuta della vita economica delle aziende, per le sintesi sempre più alte, per le ipotesi e per le deduzioni saggiate con la pietra di paragone del confronto con l’esperienza. La gestione aziendale, che sempre più si arricchisce di nuove coordinazioni interne, di nuove integrazioni, di nuove solidarietà nel complesso dinamico dell’economia sociale, cresce alimento di fatti alle nostre indagini: l’ampiezza di queste vuole corrispondere all’importanza delle sempre più vaste applicazioni. La specializzazione delle ricerche offre ai collaboratori dell’istituto i compiti che alle loro attitudini maggiormente si confanno e consente all’Istituto di non essere impari alle molte esigenze dell’indagine scientifica. I collaboratori sono anzitutto indirizzati alla complessa osservazione voluta dall’inchiesta diretta, ma sono anche addestrati a non indugiarsi nei casi particolari, a non smarrirsi nel mondo dei dettagli. Nella nostra scuola, pur essendo riconosciuta, essendo anzi posta in viva evidenza la varietà dell’economia aziendale, non se ne vuole spezzata l’unità, non si vuole risolverne i problemi caratteristici ignorando il complesso del quale svelano una sola parte: si vuole insomma ricollegare il divenire dell’economia aziendale con il processo dell’economia generale, si riconosce che ogni fenomeno amministrativo sussiste solo in relazione a fenomeni che trascendono l’ambito delle intese coordinazioni aziendali. Specialmente i nostri studi che oggi hanno a precipuo oggetto la gestione d’impresa, attribuiscono evidenza ai mille legami che vincolano l’economia delle imprese al generale comportamento dei mercati nei quali esse operano, dell’ambiente nel quale esse vivono. I collaboratori dell’Istituto, pur se si dedicano intensamente allo studio, vivono anche la pratica concreta degli affari. Essi necessariamente, dunque, investigano i fenomeni economici, per sfruttarli a scopo operativo; ma inoltre vogliono sistemarli. E nelle metodiche indagini svolte, mentre rendono alla ricerca di un ordine o di una regola nei fenomeni considerati, acquistano quell’abito alla logica e consapevole osservazione che, nella investigazione, nella elaborazione dottrinale e nell’insegnamento accademico tanto sopravanzano in efficacia la conoscenza anche larga dei fatti mutevoli e della loro astratta e non raramente fuggevole composizione scientifica» (ASUB. Busta Z2. Università commerciale Luigi Bocconi. Istituto di ricerche tecnico-commerciali e di ragioneria).

43

Cfr. Un ente per la cultura economica all’Università Bocconi, in «Corriere della Sera» del 15 marzo 1933 e A. De Maddalena, cit., pp. 368-369.

44

L’esclusione dalla stessa del rettore e dei direttori degli istituti di economia e di ragioneria non mancò di suscitare il malumore degli interessati e un certo imbarazzo, soprattutto nel direttore della segreteria. In una serie di passaggi nella quotidiana corrispondenza Palazzina-Gentile la questione emerge più volte: «23 febbraio 1933. Eccellenza, (…) ieri sera ho assistito a un colloquio presidente/Sraffa […]. Nel colloquio, avendo avanzato l’idea che la denominazione dell’Istituto da intitolare al senatore Bocconi fosse ampliata – chiamandolo ad es. Istituto di economia, statistica e finanze, così da dare l’impressione ai profani di qualche cosa di nuovo – , è stato detto quasi che l’Istituto di economia… c’è e non c’è (sic). Funziona da oltre 12 anni (prima sotto la direzione Einaudi – Mortara e poi sotto quella Mortara (…). L’Istituto è un’ottima iniziativa del prof. Sraffa ed è strano che quasi mostri di voler divorare la sua creatura. Del Mortara si potrà dire che talora è un po’ duro e scontroso, ma è certo un professore modello per disciplina, rispettato e seguito dagli allievi come non molti altri professori. Le sue “Prospettive” fanno rivolgere sulla Bocconi molti sguardi e molti consensi. La posizione che gli fu fatta qui (direzione dell’Istituto di economia e insegnamento della metodologia statistica più incarico gratuito di statistica economica) gli fu fatta dal prof. Sraffa per farlo venire a Milano. D’altra parte Del V[ecchio] è suo ottimo amico e non vedo come consentirebbe di prenderne il posto». «Milano, 9 marzo 1933. Eccellenza, (…) per accordo intervenuto fra la Signora e il prof. Sraffa sono stati soppressi i nomi dei componenti del comitato. Il prof. Sraffa proprio stamani spontaneamente mi ha telefonato che ripensandovi trovava che il pubblico annuncio della esclusione del prof. G[obbi] dal comitato poteva suonare ingiurioso. Forse della soppressione sarà contento il Del Vecchio che per primo s’era mostrato perplesso al riguardo».

45

ASUB. Busta F. «Schema programma studi».

46

Secondo il documento in questione, trasfuso poi nello statuto dell’Istituto di economia «Ettore Bocconi», gli insegnamenti da attivarsi avrebbero dovuto essere: storia delle dottrine economiche, economia pura, statistica della moneta, del credito e dei mercati e storia contemporanea degli istituti economici.

47

ASUB. Busta F. «Schema programma studi», cit.

48

Nella «Relazione sull’attività dell’Istituto di economia Ettore Bocconi per l’anno accademico 1933-34», Del Vecchio così sintetizzava l’attività didattica svolta: «Lezioni svolte dal prof. Giorgio Mortara sulla “Statistica della moneta” n. 11; lezioni svolte dal prof. Armando Sapori in materia di “storia delle dottrine economiche” n. 14; lezioni svolte da S.E. il prof. Bruno Biagi su “l’economia corporativa” n. 14; conferenze del prof. Arthur Marget su “la deflazione e l’inflazione negli Stati Uniti d’America” n. 2» (ASUB. Busta 103 bis).

49

«A tal fine esso particolarmente si propone di: a) curare pubblicazioni divulgative, di agevole lettura, di facile comprensione in tale materia; b) istituire borse di studio e premi speciali; c) raccogliere e coordinare una biblioteca speciale; d) preordinare ed attuare convegni, riunioni, corsi di lezioni, conferenze ed eventuali gite istruttive, ed in genere con qualsiasi altra forma di attività utile allo scopo» (ASUB. Busta 103/3. «Istituto per lo studio della geografia economica»). A dirigere lo stesso sarebbe stato chiamato Luigi Filippo De Magistris.

50

La creazione di un Istituto di diritto commerciale straniero, «Corriere della sera» del 21 febbraio 1935.

51

ASUB. 103/4. «Relazione sull’attività dell’Istituto di politica economica e finanziaria presso l’Università commerciale Luigi Bocconi. Milano».

52

ASUB. 103/2. «Relazione per il primo anno di funzionamento dell’Istituto di storia economica».

53

Cfr. ASUB. Verbali del consiglio d’amministrazione. Seduta del 7 giugno 1933 e seduta del consiglio di facoltà del 12 marzo 1936.

54

ASUB. Busta 117/121. Milano 5 ottobre 1936. Proposte di modifica dello statuto della Università Bocconi in conformità al nuovo ordinamento didattico, in «Annuario 1935-36 e 1936-37», Milano 1937, p. 19.

55

«Eccellenza (…). La signora si è mostrata preoccupata della necessità che il rettore non abbia stabile residenza a Milano ed io, pur avendo la più deferente simpatia per il prof. Del V., non ho potuto negare il fondamento di tale preoccupazione. Si è detto che l’insegnamento del prof. Gobbi non è efficace: ho creduto di rettificare che forse il rettore non è abbastanza severo negli esami. Quando assisto agli esami non manco di incoraggiare alla severità; ma per quanto io possa essere ostinato, io non sono che il segretario del consiglio (…). Comunque sia, della opportunità di rinforzare l’insegnamento dell’economia teorica c’è accordo. Anche il prof. Zappa, accusato di dare preponderanza alla ragioneria, è fervido fautore degli insegnamenti economici…». «Milano 19 marzo 1933. Eccellenza, (…) On. Beneduce: ha accettato nomina a membro del ns. consiglio. So che è ottimo amico del prof. Gobbi: altra incognita quindi circa l’atteggiamento che potrà avere nella nota questione. In proposito credo necessario informarla che Del Vecchio ha avuto occasione di dichiarare nuovamente la sua perplessità e la sua viva preferenza per la proroga di un anno all’assunzione della carica – il che escluderebbe l’immediata assunzione della direzione dell’Istituto, ecc. Riservatamente mi risulterebbe che persona amica si propone di parlarne al prof. Staffa in questi giorni (ché, immediatamente, come prevedevo, si è attribuita al prof. Sraffa la paternità dell’iniziativa!)» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 23 febbraio 1933). Alla precedente Gentile così rispose: «Quanto alla questione del rettorato, mi dispiace che quella che doveva essere – fino a una mia eventuale comunicazione al prof. Gobbi – materia affatto riservata e da portarsi a suo tempo in consiglio direttivo, diventi tema di commenti fuori delle pochissime persone che ne erano informate. Si tratta, evidentemente, di cosa estremamente delicata, e sarebbe stato bene che non ne fosse messo a cognizione, prima del tempo, il prof. Mortara. Comunque la prego di non toccare più quest’argomento, prima che non sia possibile prendere una decisione» (ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina. Roma 9 marzo 1933). La questione sarebbe stata ben presto superata grazie alla decisione di Del Vecchio di chiarire a Mortara la sua posizione: «Eccellenza, (…) non appena il Mortara – per iniziativa Del Vecchio – venne a chiedermi notizie della riunione in casa Bocconi (notizie che non diedi appunto perché sentivo tutta la delicatezza della cosa), scrissi al Del V[ecchio] esprimendo il rincrescimento ch’egli mi avesse messo nell’imbarazzo e il Del V. – in data 12 marzo – rispose testualmente così: “Ho scritto io a Mortara di farsi riferire da lei il colloquio di lunedì passato e ci tengo che – dati i miei rapporti con lui – egli al più presto sia informato di ogni cosa. Gli parli dunque, sotto la mia piena responsabilità”. La successiva lettera personale del 24 marzo – di cui ho mandato copia a V.E. – era accompagnata da un’altra riservata in cui è scritto: “Le accludo una lettera perché possa valersene nel modo che crede presso le persone che hanno partecipato al colloquio in casa Bocconi. Di più desidero che le ne dia al più presto comunicazione al prof. Mortara”. Certo con un po’ più di risolutezza Del V. avrebbe evitato di creare la strana situazione ed io non sarei stato coinvolto nella questione rettorale (ma che sia questo il mio destino?)» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 2 aprile 1933).

56

Gentile, pur non convinto sino in fondo della candidatura del professore bolognese (cfr. ASUB. Busta D. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina. Roma 24 luglio 1934), fece ampie pressioni su Del Vecchio per indurlo a vincere i suoi scrupoli nei confronti di Gobbi e Mortara. Il 23 marzo 1933, ad esempio, così scrisse a Palazzina: «Quanto al fatto che il prof. Gobbi rimanga per un anno solo per limiti d’età, con la sign. Bocconi l’altro giorno se ne parlò ripetutamente; anzi Del Vecchio più d’una volta tentò di schermirsi dalle insistenze che gli si facevano per fargli assumere il rettorato fin dal prossimo ottobre, adducendo che sarebbe stato preferibile attendere un altro anno quando il Gobbi si sarebbe ritirato. E si fu tutti d’accordo di rifiutargli questa dilazione. E ciò che è stabilito è giusto non torni più a discutersi» (ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina).

57

Sraffa comunicò al presidente le sue decisioni in una lettera inviata da Rapallo il 25 febbraio 1934 (ASUB Busta 2R). Ricevuta la stessa Javotte Bocconi, anche su suggerimento di Gentile, si affrettò a respingere le dimissioni. Ma Sraffa non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi: «Gentilissima donna Javotte, le sono estremamente grato per la sua lettera del 3, così come lo sono al senatore Gentile per una sua cara lettera informata agli stessi sensi della sua gentilissima. Ma come scrissi a lui, scrivo a lei: le ragioni obbiettive che mi indussero a rinunciare in modo irrevocabile a far parte del consiglio della U. Bocconi permangono ed è quindi naturale che io insista nella mia decisione, malgrado la gentile e graditissima insistenza sua e malgrado il mio dolore nel vedermi distaccare dall’Università Bocconi, alla quale mi legano tanti cari ricordi, sopra tutto il primo dell’indimenticabile signor Ettore, col quale per tanti anni mi occupai dell’Istituto a noi diletto. Voglia gentilissima signora accogliere con i miei rinnovati ringraziamenti i più devoti saluti» (ASUB. Busta 2R. Angelo Sraffa a Javotte Bocconi. Milano, 6 marzo 1934).

58

Cfr. infra, M. Cattini, Gli studenti e la loro università nei trent’anni da una guerra all’altra (1915-1944), pp. 485 e s.

59

U. Gobbi, Inaugurazione dell’anno accademico, in «Annuario 1931-1932», Milano 1932, pp. 6-11.

60

Cfr. E. Decleva, Milano città universitaria, pp. 51-70.

61

Cfr. R Pezzola, I restauri del Muzio e lo trasformazione del monastero in sede dell’Università Cattolica, in Dal monastero di S. Ambrogio all’Università Cattolica, Milano 1990, pp. 207-234.

62

Valga per tutti il «grido di dolore» che il vice presidente indirizzò al podestà di Milano: «Da parecchi anni questa Università cerca con espedienti di far fronte alla sempre crescente necessità di spazio in rapporto alle esigenze del suo progressivo sviluppo. II bisogno di locali si è fatto particolarmente sentire per provvedere a un razionale ordinamento della propria biblioteca che si può legittimamente affermare costituisca motivo di grande lustro per Milano, che con essa può vantarsi di possedere la più ricca biblioteca italiana specializzata per le scienze economiche e commerciali. Attualmente essa conta infatti circa 87.000 volumi e riceve 866 pubblicazioni periodiche, di cui 409 italiane e 457 straniere. Occupate con scaffali l’aula magna, la sala presidenza e quella dei professori, trasformata un’aula d’insegnamento in sala deposito di libri, adattato opportunamente, allo stesso scopo, un ampio sotterraneo pure con scaffalature in ferro, la ricerca di nuovi locali s’impone improrogabilmente anche per sistemare decorosamente il nuovo Istituto di economia dedicato alla memoria del senatore Ettore Bocconi, sorto coll’intento di favorire, con un altro esempio fecondo, il progresso degli studi economici nazionali in armonia con lo spirito del regime. Questa università è pertanto venuta nella determinazione di proporre la cessione del proprio palazzo adiacente a quello dell’igiene di Milano e chiede a codesto comune che voglia acquistarlo aiutandola nella costruzione d’una nuova sede con la cessione di un’area comunale conveniente. E pel caso che ciò non fosse possibile, chiede a codesto comune che voglia venire incontro ai bisogni del proprio promettente sviluppo, cedendole uno degli edifici dello stesso comune che si ritenesse adatto allo scopo. L’Università Bocconi, che indubbiamente costituisce uno dei centri più cospicui della cultura nazionale e che finora – a differenza degli altri istituti – ha avuto la soddisfazione di poter svolgere la propria molteplice attività senza gravare per nulla sulle finanze comunali, sente di poter fare pieno assegnamento sul più cordiale e benevolo interessamento di codesto comune, che valga ad assicurarle una sede adeguata all’importanza dell’alta funzione nazionale che adempie e degna in tutto della città di Milano (ASUB. Busta 7/1. Milano 14 aprile 1934).

63

Alla lettera sopra citata e alle sollecitazioni che ne seguirono, il podestà rispose che: «l’amministrazione stessa non è aliena dallo studiare l’acquisto dello stabile di via Statuto, sede attuale dell’Università commerciale Bocconi, dando in cambio altro stabile comunale, ovvero studiando altra combinazione. Ma ogni pratica attuazione di tali proposte richiede la preventiva soluzione di questioni attinenti alla Sistemazione degli altri Istituti di Alta Coltura non peranco risolte» (ASUB. Busta 7/1. Il podestà di Milano a Giovanni Gentile. Milano 4 luglio 1934).

64

AFGG. Girolamo Palazzina a Giovani Gentile. Milano 31 gennaio 1933.

65

ASUB. Busta C. Giovanni Gentile e Girolamo Palazzina. Roma 13 novembre 1934.

66

ASUB. Busta 7/1. Promemoria.

67

Anche Giovanni Gentile si era impegnato a fondo per addivenire ad una rapida soluzione del problema. Sull’argomento egli così scrisse a Palazzina: «Locali: Restituisco la lettera del podestà, interlocutoria e inconcludente, alla quale bisogna replicare che si rimane in attesa delle promesse ulteriori comunicazioni. Intanto le informazioni sue mi persuadono della opportunità di insistere sull’idea del Politecnico, le cui spese di adattamento mi pare siano tali da non impensierire. E presto saremo a posto, senza affrontare le incognite pericolose di una fabbrica ex novo. E poiché la prossima settimana conto di avere un colloquio col capo del governo, vorrei dirne una parola a lui per vedere se si può far cambiare pensiero al comune, che di quei locali vorrebbe usare per un museo industriale» (ASUB. Busta C. Forte dei Marmi 22 luglio 1934). Sulle possibilità di utilizzo stessa Palazzina, qualche mese dopo, così riferiva a Gentile: «Ho visitato or ora la sede dell’ex Politecnico. Il mio accompagnatore – un impiegato municipale – mi ha mostrato i locali che rimangono disponibili (gli altri sono occupati o destinati all’Istituto di studi romani, alla biblioteca, alla Scuola d’arte, che prima aveva sede in Castello e sono – a mio avviso – le migliori. Se noi dovessimo andare ad occupare solo la parte del palazzo disponibile, mi sembra che non sia bastevole: ma per dire la parola definitiva ci vorrebbe un ingegnere che esaminasse la possibilità di trasformazione in aule di una serie di locali al piano terreno e al primo piano divisi da tramezze o muri non maestri che mi sembra si possano benissimo abbattere. Comunque mi sembra che non avremmo possibilità di espansione, anche se gli immediati bisogni venissero largamente soddisfatti (…). Se invece, come ritengo, le trattative con la prefettura e il municipio miravano ad avere l’intera sede dell’ex Politecnico e quindi a fare migrare verso altri edifici almeno la scuola d’arte, allora mi pare che le nostre esigenze possano essere esaudite» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 20 novembre 1934). D’altra parte lo stesso vice podestà di Milano sconsigliava la scelta della vecchia sede del Politecnico per la scarsa capienza, le ingenti spese necessarie a riattarla e le difficoltà che si sarebbero incontrate a cambiarne la prevista destinazione a sede di altre scuole cittadine e di musei (ASUB. Busta 7/1 Carlo Radice Fossati a Giovanni Gentile. Milano 1 luglio 1934).

68

Cfr. A. Ferrari, La Città degli Studi e il dibattito per la sua attuazione, in Il Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), Vol. I, Milano 1988, pp. 125-152.

69

Sulla base della perizia predisposta dalla soc. Magnoni-Monfrini e c., Palazzina poteva scrivere a Gentile: «Eccellenza (…), l’ingegnere ha comunicato che le vigenti norme edilizie consentirebbero la sopraelevazione di 2 piani, limitatamente per m. 12, verso via Palermo, più metri 18 verso largo Notari più metri 15 verso via Stabili: si avrebbero 6 locali in più, in corrispondenza grosso modo della segreteria, sala consiglio, sala rettore, sala presidenza. Si sopraeleverebbe anche l’aula magna – o meglio lo spazio corrispondente – di un piano (per adibirlo a servizi)». L’ipotesi trovò decisamente contrario Gentile, secondo il quale: «I locali che perciò si verrebbero ad acquistare non mi pare che sarebbero sufficienti ai bisogni dell’Università; e su questo punto la prego di sentire il parere del rettore. Fare uno sforzo finanziario (che renderebbe impossibile un secondo sforzo a breve scadenza) senza risolvere il problema non sarebbe davvero ragionevole» (ASUB. Busta H. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 13 novembre 1935 e note in risposta).

70

Idem. Girolamo Palazzina e Giovanni Gentile. Milano 18 marzo 1935.

71

Dove le opinioni circa la scelta della zona dove costruire la nuova sede erano diversissime e apparentemente inconciliabili (cfr. A. De Maddalena, cit., passim).

72

Delibera podestarile n. 17506 del 31 dicembre 1936.

73

In una lunga lettera, scritta il giorno seguente, Gentile riassumeva i risultati della trasferta milanese: «Caro Palazzina, ieri ebbi dall’avv. Pesenti un’accoglienza estremamente gentile e lusinghiera. Volle subito chiamare i due vice podestà per fare maggior onore all’ospite e rendere più solenne l’impegno che il comune doveva assumere con l’Università. Egli si teneva già impegnato al contenuto della lettera di ottobre di Radice Fossati [che presumibilmente proponeva alla Bocconi la vecchia sede del Politecnico opportunamente riattata] – salva l’approvazione dell’autorità tutoria. Ma avendo io subito introdotto il discorso sulle difficoltà crescenti del fabbricare e i rischi pericolosi a cui l’Università si esporrebbe togliendo su di sé la fabbrica dell’edificio, ecc. e quindi sul nostro desiderio che il comune prenda il locale nostro presente e un nostro contributo di un milione impegnandosi a costruire esso il palazzo, da principio si dichiarò nettamente contrario per una ragione di principio, avendo già risposto negativamente ad altre richieste e fatto proposito di non far costruire mai dal comune per altri enti. Allora io elevai il tono fascista della perorazione e insistetti sopra tutto sull’obbligo specialissimo del comune, di assicurare una vita decorosa alla nostra Università, che reca tanto lustro a Milano e concorre in forma così essenziale alla vita economica della città e feci un accenno agli sviluppi in corso della nostra biblioteca – unica nel suo genere, in tutta Italia – che noi intendevamo aprire al pubblico quando avessimo la sede adatta, ecc. E questa fu l’ancora a cui l’ottimo Pesenti si afferrò per avere una ragione di contravvenire al principio di massima in favore della Bocconi, parendogli che questa nuova biblioteca che Milano acquisterebbe può giustificare l’eccezione che il comune farebbe per la Bocconi costruendo esso per questa il palazzo. Intanto Marinotti aggiungeva buone parole; e mentre l’altro vice podestà insisteva sul dovere del comune per risolvere in qualunque modo il problema della sede della Bocconi. Era evidente che s’erano tutti preparati. Dispostissimi a darci l’area della Città degli Studi, se noi la preferissimo. Ma io la esclusi per le note ragioni. Offrirebbero anche il locale universitario di via Roma. Al quale egualmente mi dichiarai sfavorevole. Ma Marinotti in modo particolare teneva a Porta Lodovica, dove il comune ha interesse a valorizzare la zona, e dove perciò ha più motivo di affrontare una forte spesa a vantaggio di un ente estraneo. Conclusione. Fummo tutti d’accordo (…) che si deve cominciare dal far fare il progetto, in modo che si possa fare un calcolo esatto dei metri cubi della fabbrica, e quindi della spesa (…). Niente lusso. Ma tutto ciò che è necessario per il buon assetto di tutti i nostri istituti, biblioteca, ecc. e per l’avvenire prevedibile. Per questo progetto per cui mi è parso che il Marinotti intenda adoperare l’uff. tecnico del comune, lei, assieme al rettore, prenda subito contatto col Marinotti, che si mette a nostra disposizione perché si faccia e si concluda presto. Conosciuta la cifra della spesa massima a cui si va incontro, penserà Marinotti ai termini della convenzione da stipulare; la quale dovrà assicurare alla Bocconi il nuovo palazzo bello e costruito sulla base da noi proposta della cessione del nostro locale attuale e del contributo di 1 milione» (ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina. Firenze 29 gennaio 1936).

74

ASUB. Busta H. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile. Milano 28 gennaio 1936 e Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina. Roma 10 febbraio 1937.

75

ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina. Forte dei Marmi 29 settembre 1936.

76

Idem. Giovanni Gentile a Pier Gaetano Venino. Roma 21 ottobre 1936.

77

Ibidem.

78

Così, in una lettera del 27 maggio 1937, egli chiamava il fondatore dell’Università cattolica (ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Girolamo Palazzina).

79

Ibidem. Cfr. A. De Maddalena, cit., p. 390 e s. Sulla questione si diffonde G. Zanfarino, Carteggio inedito di Giovanni Gentile vice presidente dell’Università Bocconi (1934-1944), in «Nuova Antologia», luglio-settembre 1990, pp. 393-409.

80

ASUB. Busta C. Giovanni Gentile a Benito Mussolini. 9 settembre 1936.

81

«Tra il regime e l’università si stabilì un modus vivendi. L’università non veniva toccata fin tanto che restava tranquilla. È vero che la fascistizzazione totale voluta dagli estremisti non fu mai veramente tentata nell’insegnamento universitario; ma è anche vero che il manganello non serviva perché l’università non si ribellava. Spesso era sufficiente uno sguardo severo perché essa riprendesse il posto che il nuovo regime le aveva assegnato nello Stato. A tale condizione, essa poteva proseguire il suo lavoro nell’ambito ristretto in cui era confinata la cultura accademica. L’università accettò la propria sorte, ma il regime non pretese da essa alcuna apologia e chiuse persino gli occhi davanti alle polemiche antifasciste, quando esse non uscivano dagli ambienti accademici» (M. Ostenc, cit., p. 153).

82

Ancora nel 1942, in piena guerra, il ministero per la cultura popolare concesse alla Bocconi l’autorizzazione a ricevere copia delle seguenti pubblicazioni, «colpite da divieto generale di introduzione e di circolazione nel Regno»: «The Economist», «Economic Journal», «Economica», «Financial Times», «Statist», «Revue des deux mondes», «Revue d’économie politique», «Neue Zuercher Zeitung», con l’obbligo di limitarne la consultazione ai professori e ai soli membri degli istituti scientifici e di non divulgare «per nessuna ragione» le notizie contenute nelle stesse (ASUB. Busta A. Roma 6 marzo 1942).

83

Nel ’33, ad esempio, Ezra Pound venne chiamato da Angelo Sraffa a tenere un ciclo lezioni dal titolo An historic background for economics; lezioni che, a detta di Palazzina, ebbero scarso successo. Le stesse sono state, di recente, tradotte in italiano per la cura di G. Leuzzi con il titolo, ABC dell’economia. Lavorare meno per lavorare tutti, Firenze 1994.

84

«Eccellenza, debbo continuare ad importunarla per la direzione Istituto diritto commerciale comparato: era affidata al prof. Rotondi a cui non si è potuto confermare l’incarico dell’insegnamento di diritto internazionale, mancandogli la tessera del partito. Non so se il rettore abbia detto a V.E. che egli non avrebbe difficoltà a conservargli la direzione, per quanto non faccia più parte del corpo insegnante. Gradirei sue istruzioni». Al quesito Gentile così rispose: «Se il Rotondi non ha tessera e perciò c’è stato rifiutato per un incarico, non può restare direttore. È cosa da pensarci bene. Lo dica a D[el]V[ecchio] che dovrebbe fare tutte le proposte possibili».

85

Oltre a De Magistris Borgatta, Cambi, Gobbi, Colli, Marolli, D’Ippolito e Zippel, l’unico del quale si può, con sicurezza, affermare che fu mosso da motivazioni differenti è Giorgio Mortara, il quale, nel suo Ricordi della mia vita, attribuisce la sua iscrizione al partito ad una visita compiuta in Russia all’inizio degli anni ’30: «Mi parve che, nonostante i difetti dell’organizzazione, le immense risorse del paese promettessero buon successo all’economia sovietica. Rimasi, però, inorridito per la crudeltà del regime staliniano e per la soppressione di ogni libertà. Quest’orrore non fu estraneo alla decisione, presa qualche anno dopo, di iscrivermi al partito fascista. Ebbi allora l’ingenua illusione che l’affluire al fascismo di elementi moderati e colti potesse trasformarlo in fattore di progresso per il nostro Paese; illusione purtroppo svanita presto, quando la minoranza faziosa calpestò e travolse la maggioranza ragionevole» (sta in Omaggio a Giorgio Mortara 1885-1967, Firenze 1985, p. 34).

86

ASUB. Busta 49/2. L’idea di una «iscrizione dovuta» più che sentita si ricava anche da un elenco allegato al precedente documento in cui compaiono le date di iscrizione al fascio di altri giovani docenti o assistenti: Paolo Baffi 1929; Ugo Borroni 13/04/1933; Teodoro D’Ippolito 20/02/1923; Libero Lenti, Giuseppe Mazzoleni e Pietro Onida 29/10/1932; Carlo Pagni 7/05/1933; Giorgio Pivato 21/04/1933; Guglielmo Tagliacarne 6/03/1931; Tommaso Zerbi 5/02/1932; Giuseppe Zippel 20/12/1923; solo Ferdinando Di Fenizio, alla fine del ’33, non risultava ancora iscritto al partito.

87

ASUB Busta A. Giovanni Gentile a Giuseppe Bottai. Milano 19 novembre 1936. Anche Paolo Greco intervenne sul nuovo ministro, di cui era amico personale – oltre a coinvolgere nella questione alcuni fra i più eminenti giuristi italiani. Alla fine l’azione combinata del ministro e della corporazione ebbe il risultato di dissuadere il libero docente dall’insistere sulla sua posizione, convincendolo ad accettare la proposta della facoltà di giurisprudenza (ASUB. Busta G. Paolo Greco a Girolamo Palazzina. Torino 12 ottobre, 8 novembre, 20 novembre, 28 novembre e 2 dicembre 1936).

88

«Il ministro dell’educazione nazionale al rettore dell’Università Bocconi. Roma 11 dicembre 1936. Oggetto: incarichi di insegnamento (…). In quanto all’incarico di diritto commerciale, in relazione ad una osservazione formulata dal consiglio di amministrazione di codesta Università a proposito del conferimento, precedentemente disposto (…), devo rilevare che giudice delle condizioni di necessità, di cui all’art. 10 del R.D.L. 20 giugno 1935 n. 1071, è unicamente il ministero dell’E.N. Non posso pertanto riconoscere nessun valore all’osservazione summenzionata (…). Comunque, avendo riguardo al fatto che il prof. Sotgiu viene una proposta per altri incarichi dal rettore dell’Università Regia di codesta sede, e che ha dichiarato di preferire tali incarichi, approvo la proposta per il conferimento dell’incarico di diritto commerciale presso codesta università al prof. Paolo Greco» (AFGG. Girolamo Palazzina a Giovanni Gentile).

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