Storia della Bocconi

1915-1945. Tra le due guerre

L’avvento del fascismo alla guida della Nazione


Parole chiave: Presidente Bocconi Ettore, Rettore Sraffa Angelo, Fascismo, Riforma Gentile, Vice presidente Vanzetti Carlo, Tumminelli Calogero

Nella seduta del 4 maggio 1922, oltre sei mesi dopo quella precedente, il Consiglio direttivo affrontò subito la nomina dei professori per l’a.a. 1922-23. E non v’è dubbio che dopo la relazione del Presidente Bocconi sull’«andamento dei corsi di materie scientifiche e tecniche», una certa irritazione si diffuse tra i membri del consesso, che si trovarono d’accordo nel concedere alla Presidenza e al Rettorato «una certa autonomia» nell’organizzazione degli insegnamenti e, in particolare, nella scelta degli insegnanti. Il primo docente ad essere imputato fu il prof. Gasca, reggente la cattedra di «Tecnica Mercantile»: doveva essere rimosso perché «non aveva corrisposto alle esigenze dell’Università» (nel periodo post-bellico la sua presenza «poté essere tollerata in mancanza d’altri»). Qualche appunto venne mosso anche all’on. Mosca: in sintesi, avrebbe dovuto «dare al suo corso di Scienza della Politica un indirizzo meno astratto, più pratico in rispondenza alle finalità della scuola». Una volta di più, qualche problema era creato dall’insegnamento delle lingue estere: il corso di inglese sarebbe stato unificato nelle mani del prof. Marco Hazon, posto che il prof. Carruthey era in procinto di tornare in Inghilterra; unificati sarebbero stati anche i corsi di francese nella persona del prof. Vandey, dal momento che il prof. Rouquet si era «mostrato refrattario a seguire le direttive segnalate dal prof. Pacchioni, dirigente dell’insegnamento delle lingue, e non si era mostrato mai abbastanza rigoroso nei rapporti con gli studenti, sia durante l’anno che agli esami».

Il Mortara chiuse questo spiacevole capitolo della seduta chiedendo al Rettore notizie sui corsi della «Serena Foundation», si disse soddisfatto del buon esito dei lavori compiuti e veramente lieto che si approfondisse la conoscenza dell’inglese; ma si augurava che si facesse «comprendere ai giovani l’opportunità – anche dal punto di vista politico – di intensificare lo studio del tedesco».

Con i chiarimenti del sig. Giulio Foligno[1], in assenza del dott. Tumminelli (che con Vanzetti era e sarebbe stato anche in seguito revisore dei conti), si esaminarono, quindi, i bilanci consuntivi del 1920-1921 e quelli preventivi del 1921-1922. Sinteticamente: la situazione patrimoniale al 31 ottobre 1920 risultava di L. 3.105.366,79; le entrate erano ammontate a L. 646.901,87 mentre le spese erano sommate a L. 567.831,59 con una rimanenza attiva, dunque, di L. 79.070,28, che sarebbe stata maggiore se non ci fossero state le spese straordinarie per il monumento agli studenti caduti in guerra, per l’acquisto della biblioteca Bodio e per il ricordato ricevimento offerto agli studenti rumeni. Il preventivo per il 1921-22 presentava L. 634.000 di entrate e L. 552.117,49 di spese, le quali tuttavia sarebbero state certamente superiori, ove non si fosse provveduto alla ripresa della pubblicazione dell’Annuario[2], all’acquisto di nuovi scaffali per la biblioteca e alla ristrutturazione di alcuni locali della stessa.

Si dovette, a quel punto, affrontare l’esame e la discussione di un altro sgradevole, inqualificabile e, a vero dire, inatteso episodio. Il vicepresidente Vanzetti rese conto ai colleghi dell’aggressione subita dal Rettore Sraffa e, sostanzialmente, andata a vuoto per l’energica reazione della vittima. Gli aggressori erano certamente estranei all’Università, ma dovevano essere stati sobillati da cinque o sei studenti del secondo corso, ai quali il Rettore aveva negato l’ammissione condizionale al terzo corso. Ammissione che, invece, era stata accordata ad altri allievi del secondo anno, caduti in una materia tecnica o scientifica, ma promossi nel biennio in almeno due esami di lingue straniere[3]. Vanzetti che, senza scomodare il Presidente, aveva già in precedenza convocato i colleghi per informarli dell’accaduto e per esprimere a Sraffa l’unanime solidarietà, unitamente a Bocconi volle rinnovare a nome di tutti la più profonda deplorazione per quanto era avvenuto. Prese allora la parola il Rettore Sraffa che, dopo avere ringraziato i presenti per la loro calda e rinnovata partecipazione fece una comunicazione della quale non mi è stato possibile di ritrovare tra le carte dell’archivio bocconiano la precisa e completa stesura. Non posso che limitarmi a riportare, in proposito, quanto risulta «sinteticamente» verbalizzato dal dott. Palazzina. Il Rettore «comunica il testo del giudizio emesso dagli on. Mussolini, Rocco e avv. Bergmann [la Bocconi aveva presentato a Roma un esposto e richiesto un ‘lodo’ su quanto era accaduto] e prega il Consiglio di volere liberamente esaminare, se non sia il caso di accordare anche ad altri la esenzione condizionale al 3° corso, più insistentemente invocata dagli allievi Levi, Vallone e Visconti. Ma il Consiglio si trova unanime nel negare qualsiasi concessione e nel deliberare che per l’avvenire nessuna deroga, per nessuna ragione, sarà fatta alla norma relativa all’obbligo della promozione in tutte indistintamente le materie per il passaggio dal 1° al 2° biennio»[4].

E quasi a ribadire l’intenzione del Consiglio di non consentire che la Bocconi venisse meno ai suoi principi di estrema serietà nell’intraprendere e nel continuare gli studi si deliberò che «in via di massima» gli studenti non avrebbero potuto «iscriversi per una serie indefinita di anni» ad un medesimo corso: l’iscrizione ad un corso poteva, al massimo, essere ripetuta due volte[5].

A quel punto i consiglieri reputarono opportuno passare a una valutazione globale della situazione generale bocconiana e si trovarono d’accordo «ai fini della disciplina, del più efficace insegnamento, del prestigio della Scuola e quindi dei suoi Laureati», di considerare seriamente il problema di una riduzione del numero degli iscritti. Un problema, come si vede, che già settant’anni or sono si presentava ai responsabili della conduzione dell’Ateneo. Si discusse intorno alla opportunità di introdurre un esame di ammissione, che tenesse conto dei risultati ottenuti dai matricolandi nel corso degli studi secondari e, in particolare, della votazione riportata nell’esame di licenza. Certo, si ammise da parte di tutti i membri, non potevano essere accantonate le considerazioni in ordine agli «effetti finanziari derivanti dalla migliorata qualità degli allievi, ma dalla diminuita loro quantità». E, in particolare, non si poté fare a meno di dedicare attenzione al trattamento economico riservato ai docenti di altri Istituti Universitari, generalmente più favorevole rispetto a quello goduto dai professori bocconiani[6].

Si imponeva dunque «la necessità di ricercare nuovi mezzi» per aumentare la consistenza patrimoniale e per compensare la probabile diminuzione delle entrate (per via della contrazione delle tasse) e per offrire migliori stipendi agli insegnanti che si sarebbero voluti ancor più valenti. Senza dire della necessità di arricchire ancor più la già pur ben fornita biblioteca[7]. Non restava altra soluzione che sperare nell’aiuto di qualche istituzione pubblica o privata, e l’opinione di tutti pose in primo piano la Cassa di Risparmio delle PP.LL., la Provincia e il Comune (in particolare, quest’ultimo, avrebbe potuto agevolare l’acquisto di locali nuovi, di cui l’Università sentiva urgente il bisogno).

Si stabilì pure che sarebbe stato utile ricontattare il Ministro del Commercio perché ci si accordasse sul passaggio, nei due sensi, degli studenti dalla Bocconi ai R.R. Istituti Superiori di Studi Commerciali. Base dell’accordo avrebbe dovuto essere «l’ammissione all’Università dei licenziati delle R.R. Scuole Medie di Commercio possibilmente con criteri di limitazione circa il numero degli iscrivendi e l’osservanza, nei trasferimenti di studenti, dei reciproci regolamenti»[8]. Si deliberò altresì che si facesse richiesta a Roma perché ai laureati bocconiani fosse concesso di iscriversi alla sezione Magistero della Scuola Superiore di Venezia, sicché anch’essi potessero godere «delle stesse facilitazioni di cui godono i laureati dei R.R. Istituti Superiori di Commercio».

Il Consiglio si rallegrò, ratificando l’operato del Presidente e del Rettore, che la mensa universitaria bocconiana fosse entrata in funzione in modo soddisfacente «dando sollievo agli allievi più bisognosi».

In occasione dell’imminente ventennale della nascita della Bocconi, a parere del vicepresidente Vanzetti (subito condiviso dagli altri membri del Consiglio), sarebbe stato opportuno procedere all’inaugurazione ufficiale del monumento dedicato al fondatore Ferdinando Bocconi e si sarebbe dovuto pensare a porre un ricordo sulla tomba di Leopoldo Sabbatini al Cimitero Monumentale.

Prima di lasciarsi i componenti del Consiglio «considerata la grande difficoltà di riunirsi in numero legale e, d’altra parte, [considerando] la necessità di dovere in più occasioni prendere provvedimenti d’urgenza», deliberarono di istituire nel proprio seno una «Giunta o Comitato» formata da membri residenti a Milano e, precisamente, il Presidente sen. Bocconi, l’Ing. Vanzetti, il sen. Pirelli, il sig. Foligno e il dott. Tumminelli. Fu allora, insomma, che prese vita quel Comitato ristretto che più volte ebbe a riunirsi e a prendere decisioni anche importanti nel prosieguo della storia bocconiana.

Il 12 maggio 1923 il Consiglio direttivo si riconvocò per procedere, in primis, alla nomina del Presidente, compiutisi i quattro anni dalla precedente elezione. Non vi furono, naturalmente, discussioni: Ettore Bocconi all’unanimità fu riproposto alla presidenza. E tutti i componenti del Consiglio si unirono in un vibrante augurio e in un caldo ringraziamento per l’ultimo gesto da lui compiuto a favore dell’Università: l’elargizione, in occasione del ventennale, di L. 500 mila in cartelle del Consolidato Italiano 5%[9].

Come secondo tema all’ordine del giorno si sarebbe dovuti passare all’esame e all’approvazione dei bilanci consuntivi e preventivi del triennio 1921-23. Ma davanti alla copia del bilancio consuntivo e della situazione patrimoniale al 31 ottobre 1922 il Presidente si vide costretto a far notare che la contabilità presentata dall’economo sig. Bellomo palesava fondati motivi per essere ritenuta irregolare. Pertanto il prof. E. Greco venne incaricato di effettuarne una verifica e di fornire le opportune spiegazioni sulle irregolarità riscontrate. E non si indugiò ad invitare il legale dell’Università perché facesse le pratiche necessarie per ricuperare nella maggior misura possibile le somme mancanti. Lo spiacevole episodio non mancò di generare amarezza profonda nei membri del Consiglio, i quali non frapposero indugi nel rinnovare a Tumminelli e Foligno l’incarico di revisori dei conti.

A risollevare gli spiriti un poco depressi valse, tuttavia, la comunicazione del notaio dott. Serina, letta dal presidente. Con essa il Serina dichiarava che a’ sensi dell’istrumento rogato il 2 novembre 1922, «il Direttore del giornale La Fiamma Verde, di pieno accordo coi Genitori del defunto Massimo Notari, ha rimesso al Presidente (della Bocconi) L. 60.000, capitale nominale di Consolidato Italiano 5%, frutto di una sottoscrizione aperta dal detto giornale per onorare la memoria del giovane suo fondatore». Non mi soffermo sulle questioni sollevate dal Mortara contrario ad erigere la Fondazione in Ente morale. I consiglieri si trovarono d’accordo che la Bocconi, nel rispetto delle norme esposte nello statuto rogato dal notaio Serina, avrebbe amministrato direttamente la somma percepita come «Premio Massimo Notari», approvandone lo statuto e delegando al Presidente «ogni più ampia facoltà» per procedere eventualmente in futuro all’erezione della Fondazione in Ente morale.

Nel presentare la sua relazione sull’andamento degli studi il Rettore Sraffa incominciò con queste testuali parole: «… Quest’anno gli allievi colpiti dal rigore del nostro Regolamento che impone l’obbligo di superare gli esami prescritti per ottenere la promozione al corso superiore [si trattava insomma di un vero e proprio catenaccio»] avevano tentato di ottenere la facilitazione che egli ha creduto di dover negare e così – concluso l’accordo col Ministero del Commercio[10] – i più riottosi e negligenti (studenti) si sono trasferiti nei R.R. Istituti Superiori di Scienze Economiche e Commerciali. Si è così ottenuto il risultato che il Consiglio si proponeva, di procedere ad una severa selezione degli allievi, selezione che è titolo di compiacimento per l’Università, di cui accresce il prestigio, ma che naturalmente ha per conseguenza una diminuzione d’entrate per tasse e che rende necessario il provvedere a risolvere il problema del finanziamento».

Proseguendo il Rettore, sottolineata la regolarità nello svolgimento dei corsi di insegnamento, si soffermava ad illustrare l’attività dell’Istituto di Economia, lodando la direzione di Einaudi e la collaborazione di Gobbi, Coletti, Cabiati, Prato e De Magistris e si compiaceva per il successo delle discussioni organizzate alla sera con partecipazione di esponenti del mondo economico-finanziario della città. Ricordava poi, con viva soddisfazione, l’entrata in funzione, da qualche mese, dell’«Istituto di ricerche tecnico-aziendali» posto sotto la direzione di Gino Zappa coadiuvato nel modo migliore dai dott. Caprara e Zippel «giovani che promettono di divenire nostri ottimi insegnanti». Non mancò, Sraffa, di segnalare l’ottimo esito delle pubbliche conferenze, in inglese, nel quadro dei corsi della «Serena Foundation», in particolare ricordando quelle su temi storicoletterari tenuti dalla Marshall e quelle sul mercato monetario di Londra svolte dal prof. Foxwell.

A questo punto il Rettore reputò opportuno di fare una precisazione che lasciava ben capire quali preoccupazioni generava la preannunciata riforma degli studi preparata da Giovanni Gentile. Ecco le considerazioni di Sraffa: «Il nostro istituto può dunque essere lieto della sua complessa attività e dei suoi risultati: temo che l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione non ne abbia perfetta nozione e poiché non si sa che cosa si prepara colla annunciata riforma per il nostro Istituto [corsivo mio] gli sembrerebbe opportuno che si facesse presente al Ministro come l’azione che svolgiamo è surrogatrice di quella dello Stato, il quale certo, se la Bocconi non esistesse, dovrebbe provvedere ad istituire due Istituti Superiori di Commercio uno per la Lombardia e l’altro per l’Emilia. Quale Università libera, pel nostro particolare atteggiamento ci differenziamo da altri Istituti (quali l’Università Cattolica) che hanno scopi, direttive, basi che possono essere in contrasto con l’attività dello Stato. Ritiene che si dovrebbe chiedere al Ministro che ci lasci nelle condizioni attuali [corsivo mio][11]. Tutto il Consiglio si trovò d’accordo nel pregare la Presidenza perché tenesse stretti contatti con il Ministro Gentile: era la prima volta che i vertici della Bocconi pensavano a Gentile come a colui che avrebbe potuto offrire garanzie per l’Università (come il futuro avrebbe, invero, pienamente confermato)[12]. Bocconi, il Presidente, prese la parola per dare concreta attuazione a quanto il Consiglio aveva suggerito. «Espresso il convincimento – egli disse – che sia opportuno far rilevare al Ministro anche il lusinghiero giudizio espresso sull’ordinamento del nostro Istituto da S.E. Mussolini, in occasione del lodo provocato dal nostro Rettore, propone che una commissione costituita dal sen. Bocconi, da S.E. Mortara, dal sen. Casati e dal Rettore – d’accordo con l’on. Rossi – si presenti al Ministro; e così rimane stabilito»[13].

Si soprassedette alla nomina dei professori per l’a.a. 1923-24 a causa della «incognita della riforma Gentile». Non v’è dubbio che il riordinamento degli studi proposto dall’imminente legge Gentile procurasse ai responsabili della amministrazione bocconiana preoccupazioni ed ansietà.

Il Presidente, suscitando lieta sorpresa in tutti i membri del Consiglio, comunicò che pochi giorni dopo, il 20 maggio (1923), alle ore 10,30 avrebbe fatto visita alla Bocconi S.A.R. il Principe Ereditario.

Assentatosi il dott. Palazzina furono approvati alcuni provvedimenti economici, a vantaggio del sempre più apprezzato segretario, che ricordo brevemente in nota[14].

Occorse attendere un semestre circa prima che il Consiglio direttivo fosse riconvocato. Alla seduta del 22 dicembre 1923 non intervennero e scusarono l’assenza i consiglieri Mortara e Rossi (la loro funzione politica li costringeva a recarsi sovente a Roma).

Si affrontò subito, il dott. Tumminelli referente, la valutazione dei bilanci consuntivi e preventivi del periodo 1922-24. Con piacere si registrò il contenimento delle uscite generali, previste in L. 310.000 e, di fatto, sommate a L. 284.506,29, e le spese per i professori (comprese quelle per i corsi della «Serena Foundation») pronosticate in L. 370.000 e in effetti ammontate a L. 350.429,85. E altresì le entrate risultarono superiori alla cifra prevista: L. 762.000,25 contro L. 700.000. Pertanto, essendo state le spese complessivamente di L. 755.095,55 il consuntivo del 1922-23 chiudeva con un avanzo di L. 6906,19, eccedenza che sarebbe stata assai maggiore se non si fossero ammortizzati i «Crediti verso studenti per rate arretrate» nella misura del 20%, e cioè per una cifra complessiva di L. 109.179,57. I revisori dei conti reputavano di avere il consenso dei Consiglieri (immediatamente concesso) tenuto conto che siffatti crediti erano vantati nei confronti di studenti che erano stati chiamati alle armi e che, ragionevolmente, nella grande maggioranza avevano rinunciato a proseguire gli studi. Venne sottolineato che l’elevato ammortamento dei redditi arretrati verso studenti era stato reso possibile anche dal raddoppio del contributo (da 40 a 80 mila lire) della Camera di Commercio di Milano, grazie al patrocinio dei consiglieri Salmoiraghi, Foligno e Vanzetti, i quali furono caldamente ringraziati. Così come si manifestò viva riconoscenza alla Cassa di Risparmio delle PP.LL. la quale per la prima volta, su richiesta del Rettore, aveva accordato una sovvenzione finanziaria di L. 50 mila, che era valsa a colmare il «deficit che si sarebbe verificato in seguito all’esodo di un centinaio di studenti»[15].

Si continuò, seguendo le spiegazioni del Tumminelli, l’analisi dei bilanci consuntivi e preventivi del periodo 1922-24. E si appurò che, figurando sempre in L. 150 mila la valutazione del palazzo dell’Università e al valore nominale i titoli pubblici di proprietà dell’Ateneo, la situazione patrimoniale risultava soddisfacente: ad un passivo (contabile) di L. 908.212,49 si contrapponeva un attivo di L. 2.878.940,65, che aggiunto al ricordato avanzo tra entrate e uscite di L. 6.906,19, portava il totale dei valori patrimoniali a L. 3.792.059,33[16].

Approvati i bilanci e rinnovato l’incarico di revisori dei conti a Tumminelli e Foligno, i Consiglieri prestarono molta attenzione alla dettagliata comunicazione del Rettore in merito alla «Situazione dell’Università Bocconi di fronte alla nuova legislazione sugli Istituti di Scienze Economiche e Commerciali e sui provvedimenti relativi». Troppo lunga sarebbe un’esposizione analitica del discorso di Sraffa: mi limito a segnalarne i punti principali.

Il Rettore richiamò, innanzitutto, il contenuto del R. Decreto n. 2492 del 31 ottobre 1923 (Decreto Corbino sarebbe stato poi chiamato) relativo ai provvedimenti emanati per gli Istituti Superiori di agraria, di medicina veterinaria e di scienze economiche e commerciali, attirando l’attenzione in particolare sull’art. 20 del decreto che riservava esclusivamente ai RR. Istituti Superiori di Scienze economiche e Commerciali l’istruzione economica e commerciale. Tuttavia egli faceva notare come l’articolo in questione conteneva «una disposizione che si può dire fatta di proposito per tenere conto della speciale condizione dell’Università Bocconi». Tale disposizione così suonava, in breve: gli istituti attualmente esistenti, presso i quali fossero tenuti corsi di studi superiori economici e commerciali e che fossero autorizzati a rilasciare lauree alle quali erano riconosciuti effetti legali, avrebbero potuto essere dichiarati «istituti superiori liberi di scienze economiche e commerciali». E Sraffa precisava: «… L’unico istituto che si trovi in queste condizioni è la nostra Università, la quale pertanto non può non uniformarsi al decreto stesso del che, del resto, non ci si può lagnare perché il passaggio che si impone sotto la vigilanza del Ministero dell’Economia Nazionale permette di evitare le difficoltà forse insuperabili nelle quali ci saremmo trovati se avessimo dovuto sottostare alle norme riguardanti le università libere, stabilite dalla riforma Gentile»[17]. Perché la Bocconi godesse dei «privilegi» previsti dal decreto sovraesposto il Rettore ricordò le condizioni alle quali avrebbe dovuto uniformarsi (sostanzialmente limitarsi all’insegnamento di materie economiche e commerciali).

Per quanto atteneva al rispetto di altre norme, esse sarebbero state specificate in un apposito documento da predisporre nel termine di due mesi e che avrebbe dovuto essere presentato al Ministero dell’Economia Nazionale unitamente allo schema del nuovo statuto al quale sarebbe stato allegato un documentato piano finanziario.

Riconosciuto che, rebus sic stantibus, non si sarebbe potuto fare a meno dal chiedere il passaggio dalla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione a quella del Ministero dell’Economia Nazionale, il Consiglio invitò senz’altro il Rettore a «predisporre lo schema del nuovo Statuto» senza tuttavia dimenticare che «nel compilare il Regolamento a cui il Decreto Corbino fa cenno sia tenuto il maggior conto della nostra speciale situazione».

Confermati come componenti del comitato ristretto del Consiglio il Presidente e i Consiglieri Pirelli, Foligno e Tumminelli[18], la seduta ebbe termine non prima, tuttavia, che venisse respinta la domanda di 11 laureandi che avevano chiesto una proroga per il sostenimento dell’esame di «Storia del Commercio» per via delle prove che essi avevano dovuto sostenere nei giorni precedenti. Il rigore dei vertici bocconiani era, una volta di più, irremovibilmente ribadito.


1

Il Sig. Foligno era il nuovo rappresentante della Camera di Commercio di Milano.

2

Per ragioni di economia la pubblicazione dell’Annuario era stata sospesa dal 1915 al 1922.

3

In effetti secondo le vecchie norme statutarie tali esami di lingue non erano obbligatori.

4

Al lodo siglato da Mussolini, Rocco e Bergmann il Consiglio farà ancora riferimento in una successiva riunione.

5

Il grave episodio di intolleranza nel quale fu coinvolto il 15 febbraio 1922 il Rettore Angelo Sraffa suscitò clamore nella stampa e nell’opinione pubblica. Ne fa una dettagliata analisi, riproducendo molti documenti inediti dell’epoca, Marzio A. Romani, Contro Angelo Sraffa, il despota della Bocconi in «Rivista del diritto commerciale» e Istituto di diritto Angelo Sraffa, Rivista delle Società: una parentela risuscitata da documenti inediti in «Rivista delle Società», a. 38°, 1993, fasc. 3° pp. 709-722.

6

Ad esempio, si faceva notare che all’Università Cattolica del Sacro Cuore, istituita nel 1921, i cattedratici percepivano uno stipendio annuale di 15 mila lire: una cura, mediamente, alquanto superiore a quella corrisposta ai pari grado bocconiani.

7

Il problema della biblioteca starà sempre fondamentalmente a cuore ai reggitori bocconiani.

8

Nasce il sospetto che i vertici bocconiani volessero premunirsi in relazione alla prevista riforma degli studi che, come è noto, non avrebbe consentito l’iscrizione alle facoltà di scienze economiche di tutti indistintamente i licenziati dagli istituti secondari superiori, ma soltanto a quelli licenziati da scuole superiori tecniche.

9

Il Consiglio approvò il seguente ordine del giorno proposto da Giorgio Mortara:

«Il Consiglio di Direzione, informato dell’elargizione fatta dall’On. Sen. Ettore Bocconi all’Università per celebrare il compimento del ventesimo anno della sua feconda e benemerita attività, plaude all’atto nobilissimo dell’On. Presidente, che prosegue degnamente le tradizioni dell’illustre Sua Casa ed è ottimo auspicio alla prosperità sempre maggiore dell’Istituto a cui il nome dei Bocconi è legato con nodo indissolubile».

10

Si noti come la Bocconi, ormai, cercava di evitare rapporti col Ministero della Pubblica Istruzione, o come allora già si diceva, non ancora ufficialmente, col «Ministero della Educazione Nazionale».

11

Mi preme di far notare la ferma presa di posizione di Sraffa nei confronti della Università Cattolica la cui attività, a suo giudizio, avrebbe potuto essere «in contrasto» con quelle dello Stato. Non v’è dubbio che la fondazione della Cattolica non fu ben vista dalla Bocconi.

L’on. Rossi, ascoltate le considerazioni del Rettore, propose che «dal punto di vista pratico sarebbe utilissimo preparare un brevissimo promemoria nel quale, oltre ai punti illustrati dal Rettore, sia messa in evidenza la superiorità del nostro ordinamento in confronto a quello dei Regi Istituti Superiori di Scienze Economiche ed il fatto che non costiamo nulla allo Stato, mentre ne integriamo l’opera».

12

Vedi più oltre nota 143.

13

Il consigliere Targetti colse l’occasione dell’accenno fatto dal Presidente al lodo Mussolini «per esprimere al Rettore le più vive felicitazioni per la resistenza allora opposta agli studenti riottosi e pel suo atteggiamento attuale nei confronti dei giovani negligenti».

14

Con voto unanime si deliberò che al dr. Girolamo Palazzina al compimento del suo 30° anno di servizio o al raggiungimento del suo 65° anno d’età si sarebbe corrisposta una pensione annua di L. 20 mila, nette da imposta di R.M. In caso di sua premorienza si sarebbe assegnato a sua madre Signora Irene Centolanzi ved. Palazzina una pensione annua vitalizia di L. 12 mila nette.

15

E precisa il verbale: «… studenti che, essendo stati riprovati, passarono a RR. Istituti Superiori di Scienze Economiche, dove non vigono le norme di obbligatorietà di esami agli effetti della promozione da un corso all’altro. Esodo di studenti che se costituisce una notevole diminuzione di entrate è anche titolo di onore per la Scuola che persegue costantemente il fine di una severa selezione dei suoi allievi [come si vede, vengono ribaditi concetti già in precedenza palesati]. E a tal proposito il Consiglio esprime la speranza che possano intervenire altri contributi eccezionali o continuativi che mettano l’Università nella condizione di poter sempre più prescindere dall’entrata costituita dalla tassa degli studenti».

16

A vero dire la cifra totale avrebbe dovuto essere di L. 3.794.059,33. È stata sbagliata la somma o qualcuno degli addendi è stato inserito per un valore inferiore di L. 2 mila? È impossibile dare una risposta.

17

Qualora alla Bocconi fosse stato imposto il regime previsto dalla riforma Gentile essa sarebbe stata alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione (poi Ministero dell’Educazione Nazionale).

18

A quest’ultimo, che avrebbe dovuto recarsi a Roma, fu dato incarico di chiedere chiarimenti in merito alla designazione dei rappresentanti dell’Università in seno ai «Gruppi di competenza». Il verbale non specificava di che si trattasse.

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