Storia della Bocconi

1968-2022. Dalla contestazione all'internazionalizzazione

Fine della goliardia e inizio della tempesta


Parole chiave: Rettore Dell’Amore Giordano, Presidente Cicogna Furio, Facoltà di lingue

Il 24 novembre 1967, Giordano Dell’Amore, «accolto da un boato di applausi, prolungatosi in una vera e propria ovazione», si presentò in un’aula magna stracolma di goliardi chiamati a festeggiare la sua nomina a rettore della Bocconi. Così il cronista ricordava l’evento sul periodico Ca’ de Sass:

Per un intero pomeriggio si è assistito, all’interno e all’esterno dell’università ad una sfilata di costumi, da scena e fuori scena, di inusitata varietà: non mancavano i medioevali paggi Fernandi, né tampoco i modernissimi “hippies”, con tanto di decorazioni floreali tatuate sul viso. Ma la massa degli studenti aveva per l’occasione sfoderato i berretti goliardici, stracarichi di frange e pendagli, le cappe nere, i piumaggi. Un folkloristico assieme, una dilagante e invero rumorosissima allegria, una felicità di essere assieme tutti, studenti dei corsi di scienze economiche e di lingue, nell’aula dell’Ateneo, che era gremita fino all’inverosimile[1].

Anche il nuovo rettore, come risulta da foto dell’epoca, appariva straordinariamente rilassato, felice di aver raggiunto uno dei pochi traguardi che ancora mancavano nel suo straordinario palmarès di professore, banchiere e uomo politico. Quella fu probabilmente una delle ultime, se non ultima, esibizione della goliardia bocconiana, destinata di lì a poco a sparire sotto i colpi della contestazione; anche se, in quegli ultimi mesi del 1967, niente avrebbe lasciato immaginare che le cose sarebbero andate come andarono[2]. Ne è controprova un documento del 29 novembre, a firma di Carlo Baccarini, che informava, probabilmente il nuovo rettore, dell’interrogatorio condotto «alla presenza del dottor Munari e del dottor Resti, sui fatti avvenuti nel pensionato nel periodo dell’ingresso delle matricole». Nello stesso il direttore amministrativo si dilungava a descrivere le prove richieste alle matricole «allo scopo di sottolineare la loro subordinazione agli anziani, per aiutarle nel loro inserimento nella goliardia», dando conto, con grande serietà, della «genuflessione» dei malcapitati davanti al «Reggente della Comunità» e delle successive gallatio e lustratio, operate con abbondante lucido da scarpe spalmato sul corpo delle matricole; senza però trascendere – questo almeno testimoniavano i quattro anziani interrogati sui fatti avvenuti nel pensionato nel periodo dell’ingresso delle matricole – «i limiti di decenza e di moralità» e tanto meno sottoporre le vittime a «vessazioni o ad atteggiamenti contrari alla morale, con particolare riferimento a problemi di natura sessuale».

Dell’Amore era ben cosciente dei compiti che avrebbero gravato sulle sue spalle, posto che la precedente gestione aveva permesso che alcuni problemi si trascinassero, mentre ci si cullava un po’ troppo nell’illusione che la riforma universitaria – da anni annunciata e che pareva a quel punto imminente – avrebbe consentito rapidi cambiamenti di rotta; ma probabilmente pensava che la transizione fra un vecchio e un nuovo modo di gestire l’Ateneo sarebbe stata superata senza eccessivi problemi. Quel che il rettore aveva sottovalutato (ma era possibile fare altrimenti?) era che ora si muoveva in un contesto profondamente mutato rispetto al passato.

Giordano Dell’Amore accolto da un’ovazione in aula magna

Il corso di laurea in Lingue e letterature straniere era quello che presentava i problemi maggiori. In un lungo «Rapporto riservato e personale sul funzionamento della sezione lingue e sul conferimento degli incarichi di insegnamento», Enrico Resti, allora direttore della segreteria, li riassumeva in questi termini:

Anche se la verità talvolta può scottare, è necessario premettere che nessuna autorità accademica si è mai preoccupata finora della sezione lingue; nessun preside o professore ne ha controllato e coordinato i programmi, i corsi, le esercitazioni, gli orari, ecc.; che gran parte dei professori fa quel che vuole e viene quando può; che le lamentele degli studenti trovano sfogo, e non sempre accoglimento, soltanto presso la segreteria, organo esecutivo e pertanto incompetente ed impotente ad ovviare ai vari inconvenienti segnalati; che nell’opinione pubblica corrente l’insegnamento presso la sezione lingue è a livello, per gran parte degli insegnamenti, di scuola media e che quei pochi docenti di chiara fama servono solo come prestanome; che tre dei quattro seminari linguistici (ad eccezione di inglese) sono trascurati dai loro direttori, e lasciati praticamente in mano agli assistenti, che non sempre sono all’altezza del loro compito; che, infine, da anni, essendo il funzionario che segue più da vicino i problemi della sezione lingue, segnalo alle autorità accademiche le suddette lamentele, ma senza successo alcuno, e ciò per amore del quieto vivere, del compromesso, per non turbare relazioni personali, ed evidentemente anche per concrete e contingenti difficoltà a provvedere in merito[3].

Il documento, inviato al direttore amministrativo, fu da quest’ultimo prontamente rielaborato, reso meno tranchant e girato ad Armando Sapori, con l’auspicio che gli inconvenienti segnalati potessero essere affrontati e risolti, grazie alla chiamata di un primo titolare di cattedra e alla trasformazione del corso di laurea in facoltà[4]. Si trattava di una grana che l’eminente storico economico, a qualche mese dall’uscita dai ruoli, non poteva che trasmettere al suo successore.

Ma non era la sola questione che, in quel momento, interessava l’Università. Grandi preoccupazioni destavano le finanze dell’Ateneo: le entrate erano sempre meno in grado di far fronte alle spese e da tempo il bilancio si chiudeva in perdita[5]. Anche il corso biennale di specializzazione per la preparazione dei quadri direttivi d’azienda, il capostipite delle scuole di management in Italia, voluto da Dell’Amore nel 1954, risultava ora «inadeguato a soddisfare la domanda di formazione proveniente da aziende e da istituzioni pubbliche e private» e richiedeva di essere ripensato e reimpostato[6]. Per non dire della biblioteca che, dopo l’uscita di scena di Fausto Pagliari, era stata un po’ abbandonata a se stessa, con un personale inadeguato alle funzioni e al ruolo che aveva assunto per l’Università e la città[7]. In quel momento, insomma, come ha scritto Luigi Guatri, anche se la verità era nota a pochi, «la Bocconi in grandissime difficoltà stava andando alla deriva»[8].

Armando Sapori alla scrivania

La tempesta

Le prime timide manifestazioni della tempesta che avrebbe colpito l’Università si ebbero all’inizio del gennaio 1968, quando un nutrito gruppo di studenti di varie università americane venne accolto da rudimentali cartelli con la scritta, in inglese: «Non bombardate il Vieth-Nam». La cosa non destò particolari preoccupazioni e il clima di via Sarfatti fu ancora per qualche tempo improntato a grande moderazione. Una moderazione che in effetti emergeva anche dalle prese di posizione del Circolo Bocconiano, l’organismo rappresentativo degli studenti dell’Università, i cui vertici si limitavano ad auspicare che la tradizionale collaborazione fra le «varie componenti del mondo universitario [...] su problemi come il coordinamento dei piani di studio, l’eventuale aggiornamento dei programmi, i piani di sviluppo dell’università» fosse in grado di «porre un’alternativa all’azione disgregatrice di forze anarchico-eversive (incapaci per altro di proporre soluzioni valide) in un momento di particolare tensione e disagio del mondo universitario italiano»[9].

Per discuterne, «in maniera libera e ordinata», con l’insieme degli studenti il direttivo del Circolo chiese al rettore un breve periodo di sospensione delle lezioni. Richiesta alla quale Dell’Amore aderì di buon grado concedendo la settimana dall’11 al 15 marzo. Le lunghe riunioni assembleari che ne seguirono si sarebbero estese a temi ben più vasti di quelli inizialmente previsti e avrebbero aperto la strada a posizioni molto più radicali[10] di quelle in precedenza espresse; complice anche l’incendio che ormai divampava negli atenei delle principali città italiane e di Milano in particolare[11].

A quel punto anche la decisione assunta dal consiglio d’amministrazione di consentire la presenza nei consigli di facoltà ai rappresentanti delle altre componenti universitarie, di istituire il ruolo degli assistenti ordinari, di concedere a tutti la sessione straordinaria di esami a febbraio, sino a quel momento riservata ai soli fuori corso, e di abolire le tesine di laurea non diede i risultati auspicati. L’unica risoluzione accolta con un certo favore dal «movimento», che nel frattempo stava rimpiazzando tutte le vecchie aggregazioni studentesche, fu quella di dar vita a due commissioni con il compito di studiare un’ipotesi di riforma dei piani di studio approfittando degli spazi di libertà che la riforma universitaria, data per imminente, sembrava offrire.

A Economia, la richiesta di Innocenzo Gasparini, nuovo preside di facoltà, di far fronte senza indugio a una situazione che imponeva risposte plausibili verso l’esterno, «sia pure in una prima forma» e invitava i colleghi a «discutere il più diffusamente possibile, con gli assistenti e con i borsisti, i nuovi indirizzi che intendiamo dare alla vita della facoltà» fu accolta con grande entusiasmo[12]. Più complessa la situazione nella facoltà di Lingue dove, complici i problemi che Enrico Resti aveva denunciato con grande enfasi l’anno precedente, l’ideologia avrebbe finito per prevalere sul pragmatismo e aperto così la strada a una soluzione tanto drastica quanto imprevista.

A ogni buon conto, anche in quella sede, il discorso sul futuro era stato avviato e il comitato tecnico della neonata facoltà aveva elaborato un’ipotesi che accoglieva in parte le richieste degli studenti, dando al «primo magistero» un carattere propedeutico, basato sulla «studio della lingua moderna, con lettura dei testi prevalentemente dei secoli 19° e 20°» – un periodo considerato centrale anche «per la storia della civiltà e della letteratura» – e che, per gli altri magisteri (dal secondo al quarto), i seminari sostituissero parzialmente le lezioni cattedratiche – oltre a consentire allo studente la «libera scelta per la formulazione di un piano personale di lavoro e di lettura»[13].

Girolamo Palazzina posa con alcune laureate in Lingue a inizio anni Sessanta

Lo spirito di collaborazione, che aveva connotato la prima parte del 1968, sarebbe venuto meno all’inizio di maggio quando un’affollata assemblea votò l’occupazione della Bocconi contro un calendario accademico giudicato troppo penalizzante, un progetto di legge che minacciava di ridurre gli spazi di insegnamento ai laureati in Lingue e un consiglio d’amministrazione accusato di boicottare «la fecondissima collaborazione tra professori e studenti» e di ostacolare così il processo di democratizzazione dell’Ateneo[14]. Tale azione venne in larga misura legittimata da una parte degli assistenti che, oltre a prender parte all’occupazione, chiesero un confronto pubblico con gli organi di governo dell’Università per verificare, bilanci alla mano, «la loro attuale capacità di affrontare in modo organico e con volontà innovatrice i problemi del diritto allo studio, dell’organico del personale insegnante e delle strutture didattiche e scientifiche»[15].

L’impegno assunto dal rettore di partecipare a un’assemblea convocata per il 18 maggio sembrò costituire la premessa per il ritorno alla normalità. Ma né in quell’occasione né nell’assemblea promossa la settimana successiva, si riuscì a porre le basi per una ripresa del dialogo e «non fu possibile neppure cominciare la discussione sui temi che interessavano il potenziamento della Facoltà».

[...] È stata invece, votata, una mozione nella quale gli assistenti propongono la costituzione di una consulta composta da tre professori [...], da tre assistenti a da tre studenti. Si pretende inoltre che gli attuali organi di governo dell’Università si impegnino nel loro complesso e nelle sedi rispettive a ratificare le decisioni assunte dalla consulta. Infine, si chiede che alle riunioni della consulta assista un rappresentante del Consiglio di amministrazione avente voto puramente consultivo e sia tenuto a fornire tutta la documentazione di cui essa vorrà disporre per le proprie decisioni[16].

I puntuali «rapporti di servizio», redatti per il rettore dal personale dell’Università sull’andamento dell’occupazione, offrono indicazioni precise sui momenti topici della stessa. Uno di questi in particolare (31 maggio) dà conto della dialettica fra le forze in campo. La vivacità del racconto esime da ogni ulteriore commento:

Capra. Presidente dell’assemblea, studente. Fatta una breve relazione sul movimento studentesco milanese con speciale riferimento a quello in Bocconi, facoltà di Lingue (niente di particolare), ha poi dato la parola al prof. Corona. Corona: tutta la cronistoria delle loro assemblee [...]. L’altro assistente, prof. Legnani, prendendo la parola, polemizza su tutto il sistema della Bocconi: bilancio, consulta, consiglio di facoltà non esistente, politica del silenzio, nonché sulla diversità del numero degli assistenti futuri in ruolo (sette a Lingue straniere e 14 a Economia) [...]. Secondo Legnani, inoltre, la facoltà di Lingue è come un “serbatoio finanziario” della facoltà di Economia, macchina produttrice di cervelli al servizio della Confindustria e gli assistenti della stessa facoltà di Economia non hanno aderito alla loro manifestazione in quanto sono tutti privilegiati perché, oltre ad avere lo stipendio della Bocconi, esercitano attività di consulenza alla Cassa di Risparmio, riscuotendo notevoli parcelle [...].

Nel successivo intervento, fatto dallo studente Mele, si mette in evidenza, ancora una volta, l’impossibilità di aprire un dialogo con le autorità accademiche, precisando che solo alla fine delle lezioni il “fantomatico” prof. Bo ha risposto con una lettera molto evasiva non concernente l’oggetto delle richieste avanzate dagli studenti ed assistenti e che nelle successive riunioni, quando c’era da decidere qualcosa di concreto, prendeva la sua bacchetta e se ne andava [...].

Infine il prof. Verona, dopo aver preso il microfono sempre con il suo truce cipiglio, ed annunciato che tutti gli studenti di Lingue (badate bene 4560) hanno ricevuto per conoscenza una lettera indirizzata agli assistenti, mette in evidenza l’insita malafede, l’astuzia scaltrita e la scorrettezza insopportabile di questo atto del rettore, che ha denunciato presso tutta la massa studentesca gli assistenti senza dar loro la possibilità di difendersi[17].

Mentre la conflittualità all’interno della facoltà di Lingue si faceva sempre più aspra e la commissione incaricata di predisporre la revisione del piano degli studi portava avanti i suoi lavori nell’indifferenza generale, in seno a quella di Economia si compivano importanti passi in avanti. Un primo documento, messo in discussione il 17 giugno, prevedeva una duplice opzione: una prima, da realizzarsi nell’immediato, tenendo conto dei vincoli imposti dall’ordinamento vigente, e una seconda, a più lungo respiro, che ne prevedesse il superamento. Nel breve periodo si ipotizzava la divisione della facoltà di Economia e commercio in due indirizzi: uno in Economia aziendale e l’altro in Economia politica, innestati su un biennio comune e articolati su un secondo biennio centrato su alcuni insegnamenti caratterizzanti e su un maggior numero di opzionali, fra i quali gli studenti avrebbero goduto di un’ampia libertà di scelta. Sull’opzione a lunga scadenza ci si limitava, invece, a enunciare una sorta di «trama generale» che insisteva su un’ulteriore specializzazione dei due indirizzi in precedenza immaginati, su una grande elasticità dei piani di studio e su una didattica innovativa che prevedeva, accanto alle lezioni cattedratiche, seminari multidisciplinari, testimonianze di imprenditori e via discorrendo.

Nel frattempo l’occupazione continuava, aumentando la preoccupazione che ciò pregiudicasse la sessione estiva d’esami e spingendo una parte degli studenti a proporre la convocazione immediata di un’assemblea che decidesse forme alternative di lotta. L’adunanza, tenutasi il 9 giugno in un clima di grande tensione determinato dallo sgombero della Cattolica operato il giorno precedente dalle forze di polizia, si sarebbe conclusa con un nulla di fatto.

Scritta sul muro esterno dell'Università

Nei giorni successivi, dopo il fallimento di altri tentativi volti a riprendere il dialogo, Dell’Amore ruppe ogni indugio disponendo che gli esami fossero tenuti anche a facoltà occupata. A tale decisione l’assemblea degli occupanti insorse, chiedendone le immediate dimissioni. La reazione di Furio Cicogna fu molto decisa: in un secco comunicato stampa dichiarò di non essere disposto «ad accogliere imposizioni da parte di chicchessia e tanto meno da pseudo e imperfette assemblee universitarie che non trovano riferimento e riconoscimento nelle vigenti disposizioni di legge [...]». E proseguì affermando:

Ciò premesso preciso: a) che per la discussione di tutti i problemi concernenti la ristrutturazione delle due facoltà e la riforma degli studi sono da tempo in corso colloqui e incontri a tutti i livelli tra le varie componenti universitarie (presidi di facoltà, professori, assistenti e studenti) per addivenire a proposte e conclusioni con spirito innovativo. Se, per quanto riguarda la facoltà di Lingue, gli incontri non hanno sempre portato ai risultati desiderati, ciò è solo dovuto all’atteggiamento intransigente di parte degli assistenti e di parte degli studenti [...]; b) che il Rettore prof. Dell’Amore ha sempre assolto i vari compiti della sua carica con la massima dedizione e correttezza e che l’opera da lui svolta in questo periodo è sempre avvenuta in perfetta intesa con questo Consiglio d’Amministrazione[18].

Da qui l’ulteriore rincrudimento dello scontro, che fece cadere le residue possibilità di mediazione, rendendo vana l’apertura di un confronto sul progetto nel frattempo elaborato dalla commissione per la revisione del piano di studi della facoltà di Lingue e letterature straniere.

L’arrivo dell’estate fiaccò ogni velleità e fece sì che l’occupazione, dopo essersi stancamente trascinata per alcune settimane, si concludesse il 15 luglio, dopo una trattativa condotta con uno sparuto gruppo di «irriducibili» che accettarono di abbandonare l’università, dietro la promessa del rettore di «chiudere l’inchiesta in corso a carico degli studenti» senza assumere provvedimenti di sorta[19]. In realtà, il destino della neonata facoltà di Lingue era già segnato.

In quegli stessi giorni il consiglio di facoltà di Economia, integrato dalle rappresentanze dei professori incaricati e degli assistenti, varava una prima ipotesi di «piano di riforma immediata» e dava vita a una commissione incaricata di mettere a punto la «riforma a lungo termine».

 

DIETRO LE QUINTE: LA TESTIMONIANZA DELLA CORRISPONDENZA DEL PRESIDE

Delle lunghe e difficili settimane di discussioni e dibattiti intorno all’ipotesi di riforma che stava emergendo sono testimonianza le lettere conservate nella «corrispondenza del Preside» che sottolineano la consapevolezza, l’impegno, i dubbi e i timori di quanti parteciparono all’elaborazione del nuovo progetto didattico. Valga per tutte questa «riservata personale» che Ariberto Mignoli, ordinario di diritto commerciale, scrisse a Innocenzo Gasparini il 22 giugno 1968:
[...] ti espongo il mio punto di vista in ordine ai problemi che si stanno dibattendo nella nostra Facoltà. Le tre riunioni che abbiamo avuto fin qui con i rappresentanti delle varie componenti universitarie mi sembra siano state utili e suscettibili di ulteriore sviluppo; temo però che, per il loro andamento un po’ caotico, si finisca col parlare molto e col concludere poco e quindi col risultato di lasciare tutti, noi compresi, insoddisfatti. Mi sembra quindi che sia necessario compiere anzitutto una ricognizione dei problemi che dobbiamo affrontare e che sia assolutamente pregiudiziale una strutturazione giuridica degli organi che stiamo per creare e una fissazione esatta della sfera di competenza degli stessi: ciò allo scopo di evitare inutili conflitti di interessi e per assicurare una autorità e una stabilità all’organo chiamato a deliberare su argomenti estremamente delicati. Noi tutti dobbiamo avere la garanzia che, quando siano prese delle delibere, esse non siano poi vanificate o rovesciate da mutevoli maggioranze formate non si sa in base a quali criteri giuridici. In altre parole siamo pronti a discutere, ma in nessun caso vogliamo essere trascinati in discussioni interminabili da chi non ha voglia di concludere. Come ti ho detto, io sono d’accordo sul progetto di riforma immediata del piano di studi: si tratta però ora di dare un contenuto concreto alle proposte fatte. Mi sembra che il discorso dovrebbe volgere sui seguenti punti: contenuto dei corsi e loro coordinamento; metodo didattico; metodo degli esami; organizzazione degli Istituti. Su questi punti precisi dovremmo fare e chiedere proposte precise alle diverse componenti universitarie; proposte che dovrebbero esserci inviate e scambiate con un certo anticipo sulla prossima riunione, perché sia possibile per tutti una discussione proficua. Fra le tante proposte che vorrei fare, ti sottopongo quelle che mi sembrano di più urgente attuazione: immediato aumento delle cattedre; abolizione delle tradizionali sessioni di esami e fissazione di esami mensili; predisposizione da parte di ogni docente di un elenco di tesi di laurea (es. 50), in modo da mettere gli studenti nelle condizioni di orientarsi tempestivamente sulla scelta della tesi. Naturalmente le tesi predisposte non sarebbero preclusive di altre tesi suggerite dagli insegnanti, o proposte dagli studenti. Per quanto poi riguarda la mia materia, mi sembra che il progetto di riforma immediato, e ancor più quello a lunga scadenza, comportino una soffocazione delle discipline giuridiche. Non lo ritengo opportuno, e perché il diritto ha una forte carica formativa, in quanto alieno da tutto quanto sa di retorico o di chiacchiera, e perché attraverso il diritto, che assicura la convivenza sociale, si formano dei cittadini. Da ultimo vorrei richiamare la tua attenzione sull’urgente necessità di provvedere a una radicale modifica e aggiornamento dello statuto della nostra Università. Mi sembra soprattutto necessario e urgente modificare l’art.5 dello statuto per il quale “Il Consiglio di Amministrazione delibera... sui programmi dei singoli corsi (sentito il Consiglio di Facoltà)”. Ti ricordo che in proposito il Consiglio di Facoltà, con sua delibera del 16 aprile 1964, “riaffermava che la direzione didattica e disciplinare dell’Università spetta al Rettore coadiuvato dal Consiglio di Facoltà a norma dell’art. 6 e 9 dello statuto dell’Università Bocconi”. È una iniziativa che noi dobbiamo prendere e un cambiamento che dobbiamo ottenere.

Fonte: ASUB. Corrispondenza del preside. Busta E 2/2.

 

Una decisione irrevocabile

La minuziosa ricostruzione di quanto accadde in quei mesi si è resa indispensabile per evocare il clima nel quale venne maturando la decisione di sopprimere la facoltà di Lingue e letterature straniere. Essa fu assunta, con tutta probabilità, in piena autonomia, dal rettore e dal presidente, senza la preventiva consultazione delle altre componenti accademiche; le quali, pur senza essere completamente all’oscuro di quanto stava capitando, furono avvertite solo a cose fatte. La proposta fu presentata al CdA del 23 luglio 1968, in una lunga e dettagliata relazione del rettore «sul programma di rinnovamento del corso di laurea in Economia» così concepita:

Il Rettore [...], d’intesa col Presidente, propone al Consiglio di Amministrazione della Bocconi di istituire, nel più vasto quadro della Facoltà di Economia, un Corso di laurea in Economia Europea della durata di quattro anni, aperto a tutti i giovani italiani e stranieri licenziati dalle scuole medie superiori [...]. Il diploma potrà avere riconoscimento legale in tutti i Paesi del MEC, in base ad accordi da concludere sul piano internazionale e darà accesso, fra l’altro, ai posti di concetto e direttivi degli organi comunitari, nei quali oggi l’Italia è scarsamente rappresentata. Il Corso si dividerà in due bienni: nel primo saranno impartiti taluni insegnamenti di base, comuni agli altri corsi di laurea organizzati nella medesima Facoltà [...], mentre il secondo biennio sarà nettamente specializzato, con insegnamenti giuridici, economici, sociali, monetari e finanziari [...]. Il corpo docente italiano verrà integrato da professori stranieri di chiara fama, che saranno invitati a tenere anche cicli di lezioni e seminari [...]. Parallelamente all’istituzione del Corso di laurea in Economia Europea, l’attuale Facoltà di Economia e Commercio verrà radicalmente trasformata con l’istituzione di altri sei corsi di laurea, dedicati rispettivamente all’Economia aziendale, all’Economia sociale, all’Economia della pubblica amministrazione, all’Economia delle fonti di energia, all’Economia bancaria e alla Statistica [...]. Il vasto programma sopra enunciato impone alla Bocconi di concentrare tutti i propri mezzi organizzativi per il potenziamento delle Facoltà predette. Il Consiglio di amministrazione, pertanto, decide di sospendere gradualmente i corsi della Facoltà di lingue e letterature straniere sino al loro esaurimento, impegnandosi a garantire agli attuali iscritti la conclusione degli studi intrapresi.

Scarse, se non nulle, furono le reazioni del movimento studentesco in quella Milano assediata dal solleone. Ma se, in un primo momento, fecero difetto le proteste degli studenti, non mancarono invece quelle di chi, a ragione, temeva che la tela pazientemente tessuta sino a quel momento fosse stata irreparabilmente lacerata dalle decisioni assunte. Innocenzo Gasparini in primis che, sia pure con il garbo che gli era congeniale, comunicò al rettore il disagio che pervadeva l’intero corpo accademico a seguito di scelte che rischiavano di riaprire conflitti non del tutto sopiti.

Il preside di Economia sarebbe stato buon profeta: di lì a pochi giorni, in una tumultuosa assemblea, svoltasi davanti a una Bocconi sbarrata a chiunque, molti studenti, più smarriti che adirati, s’interrogavano sul loro futuro, attaccando i responsabili di quello che definivano «un atto terroristico» e finendo con l’occupare la rettoria di S. Ferdinando in pieno accordo con i frati minori, che donna Javotte[20] aveva chiamato a reggere l’omonima chiesa.

Diversi docenti mossero dure critiche a quella che ritenevano un’indebita interferenza del consiglio d’amministrazione in decisioni di esclusiva spettanza del consiglio di facoltà. Esemplare a questo proposito è la lettera che Emmy Rosenfeld, ordinaria di lingua e letteratura tedesca, scrisse al rettore lamentando l’intrusione a gamba tesa degli amministratori in una questione che avrebbe dovuto essere di esclusiva competenza del consiglio di facoltà, facendo dei professori ordinari «fantocci ridicoli». Nella sua lettera sottolineava inoltre la scorrettezza del principale quotidiano milanese che presentava la facoltà di Lingue come «la vergogna ignominiosa della Bocconi», dimenticando le posizioni di grande prestigio raggiunte dai laureati in Lingue «al MEC e alla CECA». La lettera così proseguiva:

Quanto ai subbugli studenteschi – mi creda Magnificenza – si tratta di fenomeni universali e se non fossero politicizzati, non sarebbero ingiustificati [...]. Forse Ella, capo di un grandissimo Istituto bancario, e come tale non abituato a farsi contraddire, si è offeso e spaventato; ma ciò che è successo da noi è acqua e rose! Reduce dalla Germania ho sentito situazioni orrende in tutte le facoltà! Il mio vecchio amico De Cesare e altri colleghi, pure di Economia, si attendono per l’autunno torbidi spaventosi, perché voi avete rotto l’armistizio, ma noi – innocenti e colti di sorpresa – dovremmo subire le conseguenze imprevedibili e chi di voi ci aiuta? Che garanzie ci date? Ora Lei mi parla di ridimensionamento. Mi perdoni se le rispondo con una citazione goethiana dal Faust: “Ben sento il messaggio, però la fede mi manca”[21].

Molto più tranchant fu Claudio Gorlier, titolare della cattedra di lingua e letteratura inglese e americana, che inviò al rettore un breve telegramma così concepito: «13 agosto 1968. Quale direttore titolare cattedra esprimo meraviglia e rammarico vivissimi silenzio miei confronti riguardo recenti decisioni concernenti facoltà ho appreso notizie dai giornali. Riservomi prendere posizione in merito a suo tempo».

A entrambi il rettore rispose con una lettera con la quale si scusava di non aver comunicato per tempo le decisioni assunte, adducendo un’indisposizione che l’aveva costretto a una lunga convalescenza in montagna e, dopo aver ricordato la legittimità della scelta operata dal CdA «l’unico organo previsto dal vigente Statuto dell’Università cui compete deliberare in ordine a certi problemi», spiegava la stessa sulla base dell’idea, più volte ventilata, «consenzienti i docenti di lingue, di sospendere [...] le immatricolazioni a Lingue, in attesa di un’organica riforma degli studi in sede nazionale, per poter seriamente pensare a una nuova struttura da dare agli studi e per un necessario ridimensionamento di un corso di laurea troppo affollato [...] Data l’urgenza di deliberare e l’impossibilità di interpellarla preventivamente nella sua qualità di professore di ruolo» egli concludeva «la decisione di sospendere le immatricolazioni è stata comunque presa; ma, in fondo, ritengo che il provvedimento deliberato durante la sua assenza le ha evitato l’imbarazzo di renderla partecipe di una decisione che ella avrebbe forse condiviso ufficialmente, comunque a malincuore, per varie evidenti ragioni».

L’assemblea del comitato regionale per la programmazione economica della Lombardia, riunita in seduta straordinaria, sanzionò la decisione assunta dalla Bocconi attraverso un ordine del giorno nel quale si chiedeva «la revoca di questo provvedimento ed il conseguente proseguimento dell’attività normale della facoltà»[22]. Il sindaco di Milano e il presidente dell’amministrazione provinciale invocarono il ripensamento delle misure assunte[23], offrendo la loro mediazione alla definizione di soluzioni meno traumatiche e lo stesso fece il premio Nobel per la letteratura Miguel Angel Asturias, che scrisse a Dell’Amore manifestando la sua apprensione per le conseguenze che la chiusura della facoltà linguistica milanese avrebbe comportato per i «vinculos de amistad e intereses reciprocos, culturales y economicos, entre Italia y la America Latina, si en lugar de preparar jóvenes en centros de altos estudios, como la Universidad Bocconi, se les cerraran las puertas a los que mañana estan llamados a ser los protagonistas del entendimiento Italo-Latinoaméricano»[24].

Lettera di Miguel Angel Asturias a Giordano Dell’Amore

Tutto fu inutile. A nulla valsero autorevoli interventi, minacciose dichiarazioni, decise prese di posizione, dure campagne di stampa[25]: la decisione era stata presa e né presidente né rettore della Bocconi intendevano ritornare sui propri passi; pur se, nella realtà, diversi professori a lungo si illusero che non tutto fosse perduto e che la sospensione delle iscrizioni non fosse altro che il preludio alla ristrutturazione della facoltà: la soluzione, dura ma necessaria, per poter seriamente pensare a una nuova struttura da dare alla stessa. D’altro canto sia Cicogna che Dell’Amore, sia pur con accenti diversi, non avevano mai smentito il disegno di fondo. Prova ne sia che avevano lasciato in vita la commissione creata «per esaminare i problemi della istituenda nuova facoltà di Lingue, Letterature e Civiltà Europee»[26], i cui membri, vincendo dubbi e incertezze, avevano continuato il loro lavoro, pervenendo a un’articolata ipotesi «di una nuova facoltà, in sostituzione dell’attuale in via di estinzione, altamente specializzata, a base umanistica, che affiancandosi alla nuova facoltà di Economia europea, dovrebbe orientarsi verso un indirizzo europeistico, soprattutto per l’esigenza sentita in Italia e in Europa, di formare esperti, sia in campo economico che in campo culturale»[27].

La proposta, presentata in consiglio di amministrazione il 13 marzo 1969, sarebbe stata rinviata, di fatto, sine die,

in attesa di conoscere anche il progetto della facoltà di Economia perché le due proposte, implicando una profonda modificazione dello statuto e notevoli impegni finanziari [...], non possono essere esaminate e discusse che nel contesto generale della riforma dello statuto ed anche perché, essendo imminenti provvedimenti legislativi per la ristrutturazione dell’Università, è indispensabile conoscere, almeno nelle linee generali, il contenuto dei provvedimenti governativi e i loro riflessi nei confronti delle università libere [28].

Sul fronte della contestazione, il silenzio prima e le imbarazzate spiegazioni offerte in seguito dal rettore alle ripetute richieste di chiarimenti circa i motivi che avevano spinto il CdA alle decisioni di luglio, indussero gli assistenti di Economia a rivedere la loro posizione, inizialmente favorevole alla «riforma immediata» imponendo come condizione per una ripresa del dialogo la modifica dell’art. 5 dello statuto, che demandava al CdA ogni competenza in materia scientifica e didattica. La positiva decisione assunta in questo caso dai vertici della Bocconi che, come si evince dalla lettera di Ariberto Mignoli a Innocenzo Gasparini[29], trovava concordi gli ordinari della facoltà, avrebbe aperto la strada al «progetto di riforma a lungo termine», il cui disegno si proponeva di superare le barriere poste dalla burocrazia ministeriale avviando procedure atte ad «accogliere prontamente ed in forme duttili i filoni nuovi di conoscenza». Su un biennio comune (ridotto in seguito a tre semestri), volto ad «accogliere nella maggior misura possibile insegnamenti atti a dare le necessarie premesse culturali e metodologiche per un proficuo corso degli studi», si sarebbero innestati diversi indirizzi di specializzazione, offrendo ai meglio dotati la possibilità di perfezionare in seguito gli studi inserendosi in nuovi percorsi di ricerca, quali il dottorato, le scuole post-universitarie o «l’internato presso i singoli istituti»[30].

L’approvazione del complesso disegno avrebbe richiesto un biennio e l’impegno assiduo di tutte le componenti in numerose sedute del consiglio di facoltà. La sospirata autorizzazione, ottenuta con decreto del Presidente della Repubblica n. 260 del 26 marzo 1970, avrebbe consentito l’avvio dei due nuovi corsi di laurea in Economia aziendale e in Economia politica con l’anno accademico 1970/71.


1

«Dell’Amore nuovo rettore della Bocconi», Ca’ de Sass, n. 20, ottobre-dicembre, 1967, p. 41.

2

Archivio Storico dell’Università Bocconi [d’ora in poi ASUB]. Archivio Resti. 29 novembre 1967.

3

Enrico Resti a Carlo Baccarini. «Rapporto riservato e personale sul funzionamento della sezione lingue e sul conferimento degli incarichi di insegnamento» (ASUB. Archivio Resti. 1967).

4

Carlo Baccarini ad Armando Sapori: «È forse superfluo ricordare che la sezione lingue merita una maggiore attenzione da parte delle autorità accademiche, le quali, sia per la mancanza di titolari di lingue nel Consiglio di facoltà, sia per difficoltà non imputabili alla loro volontà, hanno dovuto provvedere al funzionamento del corso di laurea in modo non sempre adeguato e soddisfacente. Ad alcuni inconvenienti penso si potrà comunque ovviare in futuro con la venuta di un primo titolare. La costituzione poi della facoltà, la nomina di un preside, la chiamata di altri titolari, porteranno rimedio a tante attuali lacune, quali quella del mancato coordinamento dei corsi, degli orari e dei programmi, quella della maggiore disciplina ed assiduità del personale docente, quella del dialogo fattivo e costruttivo con gli studenti e della elevazione, infine, del livello scientifico dei corsi, alcuni dei quali sono scaduti al livello di una scuola media» («Rapporto riservato sul funzionamento della sezione lingue e sul conferimento sugli incarichi di insegnamento». ASUB. Archivio Resti. 1967).

5

Il consuntivo dell’esercizio 1966/67 presentava un disavanzo di 128 milioni di lire, che gravavano per poco meno di 8 milioni sul corso di laurea in Lingue e per 120 milioni su quello di Economia e commercio.

6

Vedi «SDA, la formazione post-esperienza» da p. 553.

7

L. Guatri, M.A. Romani, Fausto Pagliari, Milano, UBE, 2017.

8

Ivi, p. 19.

9

Circolo Bocconiano. 28 febbraio 1968 (ASUB. Archivio Resti. Busta 9/C/3).

10

Vedi per esempio, «Le scelte del M.S.», Il Bocconiano, marzo 1968.

11

Con la complicità di una certa stampa che attaccava l’Ateneo definendolo: «una asfittica azienda che vende in perdita un sapere stantio [...] in un contesto didattico dove, senza imbarazzo, trova posto un anziano ex rettore, titolare della cattedra di Economia Politica, che dal 1936 svolge, pressoché senza variazioni, lo stesso programma» (W. Greco, «Esamificio Bocconi S.p.A.», L’Unità, 1° marzo 1968).

12

Gasparini chiudeva la sua lettera osservando: «mi sembra che non possiamo né dobbiamo dar fondo all’universo, ma fissare chiaramente, non tanto nei particolari quanto nei punti fondamentali, l’azione per il futuro prossimo e delineare quella per il futuro più lontano».

13

«Relazione conclusiva della riunione per la ristrutturazione degli insegnamenti di magistero nella facoltà di Lingue e letterature straniere, tenutasi il giorno 14 giugno 1968» (ASUB. Archivio Baccarini. Busta 3C1/1).

14

ASUB. Verbali del consiglio di facoltà. Seduta dell’8 maggio 1968. Vedi anche Il Bocconiano, numero straordinario, 3 maggio 1968.

15

ASUB. Busta E2/2. Corrispondenza del preside. Il comitato esecutivo degli assistenti di Lingue e letterature straniere al preside della facoltà di Lingue e al presidente del CdA, Milano, 9 aprile 1968.

16

«[...] È evidente che questa singolare mozione in sostanza domanda che gli organi accademici abdichino alle funzioni che sono loro affidate dalla legge, il che ovviamente è in contrasto con i loro doveri e con la loro coscienza. Per quanto riguarda il Consiglio di Amministrazione, si dimentica che la Bocconi è un corpo morale giuridicamente riconosciuto e che il suo funzionamento è regolato da uno Statuto, che va rispettato. I membri del Consiglio di Amministrazione sono legittimi rappresentanti degli enti sovventori, ai quali debbono rispondere del loro operato: è quindi inammissibile la loro rinuncia ad esercitare i propri compiti a favore di una consulta comunque costituita» (ASUB. Busta E2/2. Corrispondenza del preside. Giordano Dell’Amore. Lettera aperta agli assistenti e agli studenti di Lingue, Milano, 28 maggio 1968).

17

ASUB. Archivio Palazzina. Busta Q. Conferenza studenti e assistenti della facoltà di L.L.S. Relazione conferenza stampa 31 maggio 1968 a firma A. Secchi.

18

ASUB. Archivio Palazzina. Busta Q.

19

«Milano, 12 luglio 1968. Fra il rettore dell’Università Bocconi, Prof. Dell’Amore, e i signori Adriana Sinigaglia, Aura Cenzato e Umberto Ferrari, delegati dell’Assemblea degli Studenti della Facoltà di Lingue e Letterature straniere di detta Università, si conviene quanto segue: 1) l’occupazione della Facoltà cesserà entro il 15 corrente. 2) Gli studenti si impegnano a non ostacolare in alcun modo il regolare e completo svolgimento degli esami del secondo appello della sessione estiva [...], né quelli della sessione autunnale [...]. Tali esami verranno sostenuti, a scelta dei singoli studenti, con le modalità concordate nella riunione del Comitato di studio dell’11 luglio 1968, svoltasi sotto la presidenza del Prof. Raffaele De Cesare. Subordinatamente all’integrale rispetto delle condizioni di cui sopra, il Rettore s’impegna a chiudere l’inchiesta in corso a carico degli studenti e garantisce che non prenderà alcun provvedimento contro gli eventuali responsabili. Il Rettore assicura inoltre che, se verranno osservate le predette condizioni, anche l’inchiesta della Magistratura sarà sospesa e di conseguenza non vi saranno né incriminazioni né conseguenze penali a carico degli studenti» (Documenti Gasparini. Busta G. Fasc. 3).

20

Genoveffa (Javotte) Bocconi Manca di Villahermosa (8 ottobre 1879-17 gennaio 1965), moglie di Ettore Bocconi, secondogenito di Ferdinando, nacque a Cagliari da una nobile famiglia sarda. Alla morte del marito nel 1932 assunse la presidenza dell’Università Bocconi che tenne sino al 1957, quando decise di uscire di scena e, quale ultima rappresentante della famiglia del fondatore, preparò con cura la sua successione affidando all’Associazione Amici della Bocconi il compito di continuare l’opera iniziata dal suocero, nominandola erede del patrimonio materiale e ideale della famiglia.

21

Emmy Rosenfeld a Giordano Dell’Amore. Lido di Venezia 25/VIII [1968] (ASUB. Archivio Baccarini. Busta 3C1/1).

22

Piero Bassetti a Giordano Dell’Amore, Milano, 30 ottobre 1968 (ASUB. Archivio Baccarini. Busta 3C1/1). Al perentorio invito, il rettore rispose con una lettera molto asciutta, scrivendo al presidente della Regione che «La decisione circa il ridimensionamento della facoltà di lingue è stata a suo tempo assunta dal Consiglio di Amministrazione, che, a termini di statuto, ha l’esclusiva potestà di decidere in merito alle strutture presenti e future dell’Ateneo. Pertanto, per i chiarimenti da Lei richiesti, Ella può, se crede, rivolgersi direttamente al Presidente del Consiglio di amministrazione dell’Università» (Giordano Dell’Amore a Piero Bassetti, Milano, 11 novembre 1968).

23

«Comune e Provincia per la “Bocconi», Corriere della Sera, 21 settembre 1968.

24

Miguel Angel Asturias a Giordano Dell’Amore. Paris, 1 de septiembre de 1968 (ASUB. Archivio Baccarini. Busta 3C1/1). Anche al poeta il rettore rispose il 13 settembre 1968 in maniera alquanto evasiva, accampando la necessità di ridimensionare «una facoltà affollata oltre i limiti consentiti» e rassicurandolo che «si stanno ponendo le basi per la istituzione di una nuova facoltà a carattere linguistico-umanistico, completamente rinnovata» (Giordano Dell’Amore a Miguel Angel Asturias. Milano).

25

Vedi in particolare: «Bocconi. La protesta per la chiusura della facoltà di lingue» (L’Unità, 18 agosto 1968), «La facoltà di lingue è da salvare» (Il Giorno, 18 agosto 1968), «Niente occupazione, solamente un corteo» (Il Giorno, 31 agosto 1968), «Bocconi-lingue: soppressione con la complicità governativa» (L’Unità, 24 agosto 1968), «La Bocconi sarà potenziata» (Corriere della Sera, 24 agosto 1968), «Corteo di protesta degli studenti della Bocconi» (Corriere della Sera, 30 agosto 1968), «L’Università Bocconi sulle iscrizioni a lingue» (L’Italia, 24 ottobre 1968), «Un atto di ritorsione la chiusura della facoltà» (Avanti!, 31 agosto 1968). Di grande interesse infine l’articolo, «Il digiuno di Renzo», a firma Indro Montanelli, apparso sul Corriere della Sera del 17 ottobre 1968, nel quale il grande giornalista dava voce a «un industriale milanese di alto rango e di grande prestigio non soltanto per il peso della sua azienda, ma anche per la parte che svolge, con nobile senso civico e totale disinteresse, negli organi direttivi del Politecnico e della Bocconi» che, senza ombra di dubbio è individuabile in Furio Cicogna.

26

Essa era presieduta da Raffaele De Cesare, subentrato a Carlo Bo a fine giugno 1968 (CdA. Verbale del 26 giugno 1968, p. 48). Ne erano membri Carlo Baccarini, Ignazio Cazzaniga, Claudio Gorlier, Emmy Rosenfeld, Giuseppe Bellini ed Enrico Resti. Essa sarebbe stata in seguito integrata con Enzo Evangelisti, straordinario di Glottologia all’Università di Cagliari, e Vittorio Beonio Brocchieri, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Pavia (CdA. Verbale del 29 ottobre 1968, p. 131).

27

ASUB. Archivio Baccarini. Busta 3C1/1. Istituenda facoltà di lingue, letterature e civiltà europee. 6 dicembre 1968. Bozza di relazione sui lavori della commissione di studio. In una lunga intervista Raffaele De Cesare dà conto dell’attività del comitato tecnico e dell’impegno assunto dalla Bocconi di «dar vita, entro breve tempo, [...] a una nuova facoltà di Lingue, Letterature e civiltà europee, che sostituisca, in maniera più qualificata e più moderna l’attuale facoltà che, diciamo francamente, è un carrozzone composto da studenti della più diversa provenienza perché ci si poteva iscrivere con qualsiasi titolo di scuola media superiore» (M. Zoppelli, «Lingue europee nel futuro della Bocconi», Il Giorno, 8 novembre 1968).

28

CdA. Verbale del 13 marzo 1969, p. 186. La definitiva soppressione del corso di laurea in Lingue sarebbe stata di fatto decisa dal CdA nella seduta del 18 giugno 1971, quando si votò la definitiva sospensione delle attività dal 31 ottobre dello stesso anno, con la sola eccezione degli esami per i residui fuori corso che sarebbero stati tenuti sino alla fine dell’a.a. 1971/72 (CdA. Verbale del 18 giugno 1971, p. 124).

29

Vedi riquadro a pp. 52-53.

30

ASUB. Busta E2/1. Corrispondenza del preside. «Appunti su una riforma a lungo termine della facoltà», 24 ottobre 1968.

Indice

Archivio