Storia della Bocconi

1968-2022. Dalla contestazione all'internazionalizzazione

Fra contestazione e riforme


Parole chiave: Presidente Spadolini Giovanni, Rettore Scalfi Gianguido, Guatri Luigi, Grillo Salvatore, Franceschi Roberto, Vice presidente Calvi Roberto

Con la fine del 1968 le tensioni fra le varie componenti universitarie andarono accentuandosi, sia per il clima contestativo che ormai investiva le università milanesi sia per tutta una serie di accidenti, che interessarono soprattutto la facoltà di Lingue, ma si riverberarono anche su quella di Economia. Fra i vari episodi destarono un certo scalpore le dimissioni (poi ritirate) di Franco Catalano, incaricato di storia moderna e contemporanea, presentate come protesta contro l’atteggiamento dei colleghi, giudicato troppo acquiescente alle scelte operate dal CdA[1]; la destituzione di Massimo Legnani, suo assistente, incolpato di aver rivolto all’indirizzo dei membri del comitato tecnico «accuse offensive e gratuite intorno a presunte “tresche” personali dei professori stessi con gruppi politici ed economici» e, infine, la sceneggiata messa in atto da tre assistenti di lingua e letteratura tedesca che si autodenunciarono per aver svolto diversi esami «in forma burocratica, assegnando agli studenti, senza interrogarli, un voto pari alla media dei libretti»[2]. La cosa, com’era ovvio, suscitò un certo scalpore e il comitato tecnico intervenne prontamente e provvide ad annullare gli esami irregolari, senza tuttavia assumere particolari provvedimenti disciplinari contro gli autori del clamoroso gesto[3].

La questione sembrava definitivamente risolta quando il rettore, convocate le parti responsabili per i chiarimenti del caso, venne estromesso dal suo studio dove le stesse, incoraggiate da un gruppetto di colleghi e di studenti che le accompagnavano, si insediarono, chiedendo «di essere perseguite penalmente al fine di richiamare l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica sugli arbitri e sullo squallore culturale all’interno dell’Ateneo della Confindustria». La relazione inviata al rettore e al direttore amministrativo dipinge a vividi colori l’episodio:

Alle ore 13,15 un gruppo di studenti [...], costituito da non più di venti individui, sosta davanti agli uffici del rettorato in attesa che la riunione di docenti e assistenti della facoltà di lingue e letterature straniere che è ivi in corso abbia termine. Alle ore 13,45 tale riunione cessa; il Rettore attraversa il gruppo di studenti presenti, parla con loro per brevissimi minuti, riceve una spinta benché abbia una spalla ed un braccio ingessato e, mentre sta dirigendosi ed attendendo l’ascensore, gli viene gridato dietro da uno studente presente: “buffone”. Nel contempo l’assistente Mocarelli, dichiarando d’aver smarrita una chiave all’interno dell’ufficio del Rettore vi rientra dentro ed appena giunta all’interno dichiara: “Rimarrò qui finché non mi verrà data una risposta”. Invitata ad uscire si è rifiutata dichiarandosi disposta ad attendere la risposta (quale non si sa) dal Signor Rettore anche per sei mesi, ma sempre rimanendo nell’ufficio del Signor Rettore. Mentre si avvisa del fatto il Signor Rettore entra nel predetto ufficio anche la dott.ssa Volpones. Invitate entrambe dal personale presente ad uscire, si sono rifiutate persino di rispondere. Nel frattempo si erano ammassati davanti alla porta dell’anticamera dell’ufficio tutti gli studenti e gli assistenti presenti (Capra, Verga, Nadotti, Baravalle, Schiappa, Sinigaglia e molti altri nonché la dott.ssa Pozzi, Rizzi, Marzano, il dott. Legnani ed alcuni altri) che spingendo da parte il sig. Dubini, il fattorino Longo e la sig.ra Giudici sono entrati nell’ufficio predetto[4].

L’epilogo di tale vicenda si sarebbe avuto due mesi dopo con le dimissioni di sette degli assistenti coinvolti nella stessa (Mocarelli, Volpones, Gori, Rizzi, Pozzi, De Vecchi, Rocca) motivate da un duro documento inviato a Cicogna nel quale si sottolineava «l’assoluta mancanza di rispetto per quanti, studenti e docenti, operano nell’università e il disprezzo di qualsiasi norma del vivere democratico»[5].

La reazione del movimento studentesco non si fece attendere e si tradusse in una «occupazione in forma aperta» dell’Università (8 gennaio 1969), sostenuta anche dagli assistenti di Lingue e da una parte di quelli di Economia; nel corso della quale, durante un’affollata assemblea, furono votate alcune mozioni che chiedevano l’annullamento del provvedimento di chiusura della facoltà di Lingue, l’avvio di corsi serali per studenti lavoratori e l’accettazione di alcune altre richieste[6], offrendo in cambio l’immediata cessazione dell’occupazione. Il conciliante atteggiamento del senato accademico, dichiaratosi disposto ad accettare alcune proposte e ad aprire la discussione sulle altre, non venne però ritenuto sufficiente al ritorno della normalità. Di qui la decisione di «proseguire a oltranza e in forma “chiusa”, l’occupazione dell’Ateneo», estendendola alla biblioteca, agli istituti e agli uffici amministrativi[7]. La stessa si sarebbe conclusa alla metà di febbraio.

Manifestazioni e scontri di piazza

BIECA BUROCRAZIA

Con toni decisamente critici nei confronti del «potere accademico», l’Avanti! del 12 gennaio 1969, in un articolo dal titolo «Altri 14 assistenti contestano gli esami» dava conto della solidarietà espressa dagli assistenti di Lingue alle colleghe:
In appoggio alla decisa presa disposizione delle tre assistenti di tedesco della Bocconi – che chiedono provvedimenti disciplinari nei loro confronti dal momento che gli esami da esse svolti l’11 dicembre sono stati annullati perché illegali dal rettore – si sono fatti avanti [...] quattordici altri assistenti della facoltà di Lingue [...]. In una lettera inviata alla stampa essi affermano: “La nostra azione non si fermerà certo qui: intendiamo continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica (e speriamo i responsabili governativi) su una situazione di continuo scadimento della Facoltà, per colpa della tenace avversione del Consiglio di amministrazione ad avviare un costruttivo discorso colle componenti universitarie. Ma ora – aggiungono – non si tratta nemmeno più di discutere sulle riforme da noi auspicate: si tratta di difendere sia la nostra dignità di insegnanti che le elementari esigenze degli studenti [...]. L’accento è giustamente posto sulla “disastrosa situazione didattica della facoltà di Lingue”, che trova negli esami – e prima ancora che nella loro illegalità, nell’insulsaggine, nell’inutilità, nella burocraticità che seleziona alla rovescia – una triste e dolorosa conferma quotidiana. L’atto di ribellione di chi fa esami “burocratici”, attribuendo la media libretto non è altro che la rappresentazione cosciente di quello che è nella realtà l’esame universitario: un atto di bieca burocrazia.

 

Un dialogo difficile ma costruttivo

I mesi che seguirono furono turbati dal succedersi delle manifestazioni studentesche, molte delle quali sfociarono in lunghe occupazioni, che resero difficile l’ordinato svolgersi dei corsi e degli esami e imposero un defatigante dialogo con rappresentanze mutevoli e quindi inaffidabili. La stagione delle riforme avviata da Giordano Dell’Amore e Innocenzo Gasparini sembrò, in taluni momenti, impotente ad arginarne la carica eversiva che minacciava di travolgere l’Università; pur se qua e là, soprattutto fra gli studenti di Economia, andava emergendo la consapevolezza dei rischi insiti in un’opposizione fine a se stessa e si registravano le prime imbarazzate adesioni alle proposte del preside di facoltà.

Un esempio fra i tanti si può ricavare dalla mozione votata il 24 ottobre 1969 dagli aderenti al gruppo di Sinistra Democratica, che, pur denunciando «il carattere vago, volutamente dilatorio, inconsistente sul piano politico, se non chiaramente reazionario, degli interventi e delle posizioni emerse in seno al corpo docente» e «l’ottica conservatrice, classista e corporativista in cui si inquadra il progetto di riforma del piano di studi»[8], condannava l’occupazione come strumento di lotta e suggeriva, come unica strada da percorrersi, quella delle riforme «per battere nei fatti e non soltanto nelle parole l’autoritarismo del corpo accademico»[9].

Tale posizione sarebbe stata confermata pochi mesi dopo nel primo numero di Informazione studentesca dove si criticava il «Movimento studentesco [...] per i suoi scopi e per i metodi che lo caratterizzano» e la sua incapacità «di proporre soluzioni ed anche solo indicazioni costruttive per una Università nuova» e si apriva la strada alla partecipazione e a «un impegno di lavoro e di lotta politica, ma soprattutto un impegno di presenza nell’università. Una presenza che non sia puramente di difesa di un’idea nei momenti di tensione politica, ma che sia una presenza continua, di dibattito culturale, di tensione ideale e di organizzazione politica degli studenti per difendere gli interessi e i diritti comuni»[10].

Si tratta di un atteggiamento che a posteriori appare, nei fatti, molto più costruttivo di quanto le critiche contro «l’Università dei padroni» e contro «la ristrutturazione neocapitalista della Bocconi» mostrassero. In effetti, al di là delle intemperanze verbali, che connotavano la fragile trama di un difficile dialogo tra studenti e docenti, i più avvertiti fra questi ultimi intuirono che esistevano concreti spazi di manovra e si fecero in quattro per ampliarli e per segnare con le riforme una nuova stagione dell’Ateneo[11]; in questo favoriti anche dal progetto governativo di riforma del sistema universitario, la cui approvazione era data ormai per imminente.

Decisamente pessimista su questo fronte era Carlo Baccarini, che alla morte di Alessandro Croccolo aveva assunto la carica di amministratore delegato:

Siamo alla vigilia di una riforma universitaria che, soffocando ogni libera iniziativa, coinvolgerà anche la nostra Università trasformandola da una scuola superiore di ricerca scientifica in una scuola universitaria di massa e come tale anonima, “provinciale”, non differenziata né differenziabile. Che la riforma universitaria, dopo tanto travagliato cammino, si faccia è cosa ormai indubbia, che questa riforma sia il frutto di un compromesso politico deteriore, è cosa ormai notoria, e che la Bocconi, se sceglierà di far parte del sistema, rischierà di perdere il suo invidiabile prestigio è più che probabile.

Di fronte al dilemma: se rimanere nel sistema, «andando incontro ad un fatale declino», oppure «ritornare alle origini, uscendo dal sistema e dando vita, ancora una volta, ad una scuola superiore libera, indipendente, autosufficiente, non legata al sistema statale», Baccarini non aveva dubbi e dichiarava senza mezzi termini: «se stesse a me decidere non esiterei neppure un momento per scegliere la seconda soluzione: fuori dal sistema statale»[12]. Il suo atteggiamento rispecchiava quello di una parte del consiglio di facoltà (CdF), dove «la maggioranza assoluta dei professori di ruolo è orientata per la costituzione di una Scuola universitaria autonoma, fuori dal sistema statale», a differenza del «gruppo degli aziendalisti che fanno capo al Rettore, [che] non ha preso una netta posizione in un senso o nell’altro»[13]. Le perplessità di questi ultimi avrebbero condizionato profondamente le scelte del corpo docente, facendo rientrare il proposito di portare la Bocconi fuori del sistema universitario nazionale; ma non avrebbero bloccato il dibattito sul ruolo e la missione dell’Ateneo, che sarebbe proceduto intenso nel biennio successivo.

Sul tema Innocenzo Gasparini, riferendo al senato accademico, osservava:

Solo con una fondamentale scelta possiamo inserirci in questo processo, scelta da cui discende l’affermazione della libertà a livello nazionale di una Facoltà nella ricerca dell’ordinamento ottimale degli studi e la correlativa libertà di scelta di uno studente nell’ambito del curriculum di studi. Condizione necessaria, la prima, perché il pluralismo di una moderna società si manifesti ed operi [...] anche nel mondo dell’università. Libertà di scelta dello studente che non è solo rispetto della personalità, ma momento essenziale di assunzione di responsabilità ai fini della formazione della sua personalità e per questa via della nascita di una comunità libera e feconda ove rifluiscono fermenti originali e innovativi[14].

In questo senso e con questo spirito, sia pure da posizioni differenti, ci si sarebbe mossi alla ricerca di nuove risposte alla domanda di mutamento che impetuosamente investiva l’istituzione. Risposte che, in parte, erano già implicite nelle scelte che avevano rotto il monolitismo della facoltà di Economia e commercio e che avevano interessato, particolarmente, il corso di laurea in Economia aziendale, che era stato suddiviso in diversi indirizzi funzionali alle esigenze di specializzazione provenienti dal mondo delle imprese – in questo coadiuvato anche dalle esperienze didattiche messe in atto nella Scuola di direzione aziendale, sorta sulle ceneri del vecchio «Corso serale per dirigenti d’azienda»[15].

La soluzione però rispondeva solo in parte alle esigenze dei docenti del dipartimento di Economia, per i quali: «La diversa finalità tra orientamento aziendale ed economico-politico si accompagna ad una diversa struttura del corso di studi e si riflette in un diverso metodo di insegnamento [...]. La preparazione di un qualificato esponente della vita sociale, esige un orientamento formativo, incompatibile con le specializzazioni ed un impegno reciproco dei docenti e degli allievi». Da qui l’idea di proseguire sulla strada delle riforme, anticipando un’ipotesi già espressa in uno dei tanti progetti di riforma giacenti in parlamento e separando anche materialmente i due percorsi formativi, «nel senso che si strutturino due facoltà (o due dipartimenti), che rispondano alle esigenze diversificate che la vita sociale propone»[16].

La proposta, presentata al CdF nella seduta del 19 aprile 1972, trovò ampie adesioni nel corpo accademico, aprendo così la strada a una nuova struttura dell’Ateneo dove, accanto ai Corsi di Laurea in Economia Aziendale (CLEA) e in Economia Politica (CLEP), si sarebbe posto un nuovo percorso formativo in Discipline Economiche e Sociali (DES), fondato «su di uno studio generalistico, di natura interdisciplinare, condotto su grandi temi, in una continua interazione docente-discente, coordinato all’interno di un comune progetto di lunga scadenza [...], attorno al quale lavoreranno gli economisti, i giuristi, gli storici e gli statistici»[17], la cui gestione sarebbe stata demandata a due nuove strutture: i dipartimenti. A quello di Economia politica avrebbero fatto capo gli istituti di economia, metodi quantitativi, storia economica e diritto commerciale, la Scuola di perfezionamento in statistica e gli insegnamenti a questi connessi; nel dipartimento di Economia aziendale avrebbero invece trovato «la loro naturale collocazione» gli istituti di economia aziendale e di economia delle aziende industriali e commerciali, nonché la SDA, la Scuola di perfezionamento in economia delle fonti di energia e i loro insegnamenti[18]. Si trattava di una riorganizzazione della governance dell’Ateneo destinata a durare per oltre un ventennio.

Il disegno, di fatto completo con l’inizio del 1973, trovò una brusca e traumatica interruzione nei fatti della sera de 23 gennaio 1973, quando Roberto Franceschi[19], uno dei più brillanti studenti della facoltà di Economia, all’uscita da un’assemblea da lui stesso convocata, venne colpito da un proiettile, nel corso di un scontro fra la polizia e un gruppo di manifestanti esterni all’università[20]. Le proteste e l’indignazione suscitata dall’accaduto avrebbero strappato la tela pazientemente tessuta sino a quel momento facendo cadere la Bocconi nel caos e spingendo il CdA a chiudere a chiunque per più di un mese l’accesso all’Università,

rimasta nelle mani di un gruppo di studenti che vi spadroneggiano impedendo qualsiasi ordinata e legale forma di attività. Essi organizzano in qualsiasi momento assemblee e riunioni aperte ad elementi estranei, occupano locali, imbrattano muri con frasi oltraggiose verso il Rettore e l’Università, espongono ovunque bandiera rosse e manifesti, pretendono infine che l’Università funzioni soltanto con iniziative da loro proposte ed approvate. Di fronte a questo stato di cose e alla impossibilità pratica di funzionare regolarmente e ordinatamente per colpa di una minoranza faziosa, che vuole condizionare alla propria ideologia politica ed ai propri metodi la vita dell’Ateneo, il Presidente dichiara che il consiglio d’amministrazione ha il dovere di prendere delle decisioni per il ritorno alla normalità[21].

Chiudere l’Università era una decisione che, ancora una volta, sarebbe stata fatta oggetto di numerose critiche e avrebbe comportato molteplici prese di posizione contro «un nuovo pericoloso braccio di ferro che sarebbe stato meglio evitare»[22]; ma che, alla fine, avrebbe consentito alle acque di calmarsi e a Furio Cicogna di vincere ogni indugio e di accelerare al massimo per portare a compimento le riforme avviate, incontrando più volte i professori ordinari e definendo, con il loro contributo, la soluzione più idonea per riportare la Bocconi «al primato del passato».

Monumento a Roberto Franceschi

 Nei fatti, al di là di diverse sfumature connotanti la visione dei singoli, ci si sarebbe trovati d’accordo per avviare il nuovo corso di laurea in Discipline economiche e sociali non appena ottenuta la necessaria approvazione ministeriale, per potenziare ulteriormente la SDA con un master in business administration e riorganizzare la facoltà sui due dipartimenti di Economia politica ed Economia aziendale[23].

Si trattava di iniziative di grande prestigio che ancora una volta avrebbero ricondotto la Bocconi sulla cresta dell’onda, aprendo però nuovi inquietanti scenari sul problema finanziario, che le scelte operate minacciavano di rendere ancor più drammatico. Scenari che Dell’Amore avrebbe evocato con forza anche davanti al senato, dove era stato chiamato quale testimone nell’ambito della commissione d’inchiesta sugli atenei milanesi[24] e che Enrico Resti – divenuto, dopo la morte di Baccarini, l’unico tutore dell’ortodossia finanziaria – non avrebbe mancato di far presente al presidente e al CdA ricordando come il solo avvio del DES avrebbe comportato una spesa suppletiva di circa 140 milioni di lire per la sola docenza[25].

Occupazione della Bocconi

Pensionato: i prezzi politici presentano il conto

Anche il pensionato studenti presentava problemi di non poco conto. La politica di erogazione dei servizi a prezzo politico aveva fatto sì che il deficit di bilancio risultasse di anno in anno più consistente, passando da 15 milioni nel 1966 a 26 nel 1968[26]. Un’indagine condotta da Italo Munari, responsabile del pensionato, nella primavera del 1968, legava lo stesso a una molteplicità di cause: «al continuo aumento dei costi dei generi alimentari (12,25%), ai notevoli aumenti delle spese per il personale (43,57%) e delle spese generali (25%), anche alle minori entrate del self-service», passato dai 122.539 pasti serviti nell’a.a. 1958/59 agli 87.292 dell’a.a. 1966/67. Si trattava di un’entrata destinata a ridursi ulteriormente con la chiusura delle iscrizioni della facoltà di Lingue, solo parzialmente compensata da una maggior presenza (circa il 30%) «dei cosiddetti estranei: impiegati, studenti, professionisti, maestri elementari che lavorano nelle vicinanze e che hanno ritenuto il prezzo e la qualità dei pasti del self-service siano migliori di quanto potevano trovare in zona»[27].

Sulla base dei dati, Baccarini predispose (7 maggio 1968) una lunga memoria per il presidente, facendo presenti i pessimi risultati di bilancio del pensionato, che si accompagnavano a una marcata disorganizzazione amministrativa e gestionale dello stesso, e proponendo l’adeguamento delle rette ai costi effettivi del servizio e la nomina di un comitato consultivo che, «operando più a stretto contatto con gli studenti, sia in grado di mettere l’amministrazione nelle condizioni più favorevoli per ogni decisione». Al proposito egli precisava:

Attualmente nel pensionato esiste una commissione nominata dagli studenti, ma non riconosciuta dalla amministrazione, che funziona da portavoce presso la direzione delle richieste e spesso delle lamentele degli studenti; ma la sua azione non può dirsi costruttiva, né è di alcun giovamento alla conduzione del pensionato. Ora i problemi che interessano una comunità di difficile adattamento, tenendo conto della particolare natura dei suoi componenti e che sarà, quanto prima composta da 700 unità, sono molti e complessi ed io sono convinto che i compiti della amministrazione potranno essere resi meno difficili se tutti i problemi che interessano la comunità fossero preventivamente studiati e discussi da un apposito comitato consultivo che agisca a stretto contatto con la comunità stessa[28].

Cicogna prese in seria considerazione la nota del direttore amministrativo; ma poi il terremoto di quell’estate pose la questione in secondo piano e il CdA si limitò ad accogliere la richiesta dell’AD di nominare un «comitato di consulenza»; senza affrontare la questione delle rette. Consentendo così al passivo di lievitare ulteriormente, fino al momento in cui, calmatesi un po’ le acque, Baccarini decise di tornare all’attacco, inviando al presidente una nuova memoria nella quale riepilogava problemi ormai incancreniti e richiedeva l’intervento del CdA per «sanare una situazione che ogni anno diventa più pesante».

I temi in discussione erano i soliti: il divario esistente fra le rette pagate dagli studenti – ferme al 1964 – e i costi sostenuti, enormemente lievitati per l’inflazione e i miglioramenti salariali riconosciuti al personale e il destino del servizio mense «che, fino a qualche anno fa, dava un notevole margine di attivo», ma che nell’ultimo anno aveva visto un’ulteriore forte riduzione degli utenti («22.8859 pasti in meno, con un minore incasso di oltre 8 milioni»)[29] e sul quale pendeva l’interrogativo se renderlo più razionale e profittevole, oppure toglierlo. Quanto alle possibili soluzioni Baccarini proponeva che, nell’immediato, si ritoccassero le rette e i prezzi dei pasti, differenziando questi ultimi secondo le diverse categorie di utenti (studenti della Bocconi, «estranei», «personale docente ed ospiti di passaggio» e amministrativi), per procedere poi alla completa revisione dell’organizzazione e della gestione del pensionato «al lume delle esperienze passate e in vista delle future, ma prossime attività della università». Revisione che, secondo l’AD, avrebbe dovuto riguardare:

l’organico del personale e le rispettive funzioni e responsabilità; la struttura edilizia interna dell’intero Pensionato [...]; l’unificazione delle attuali due mense (una per i pensionanti e l’altra per il “self-service”) in un solo ed unico servizio, modernamente concepito per consentire una sua più rapida ed economica agibilità (minor personale; unica cucina, unico ambiente, etc.); lo studio per la messa a punto di un sistema amministrativo e contabile che consenta un periodico e rapido rilevamento dei costi per la formulazione dei prezzi e delle rette a carico degli studenti[30].

Nell’attesa delle decisioni del consiglio, Baccarini aveva però approfittato del vuoto lasciato dalla subitanea morte di Italo Munari e di diversi altri rappresentanti della Bocconi in seno al comitato consultivo[31] per assumere, quale «direttore f.f.» del pensionato stesso, un assistente di Luigi Guatri che vantava una notevole esperienza nella gestione del ristorante di famiglia. Esperienza discutibile, almeno sul piano formale, per il ruolo al quale Salvatore Grillo sarebbe stato destinato; ma, evidentemente, Baccarini «conosceva i suoi polli» e il nuovo direttore sarebbe diventato  ed è tuttora  una delle colonne portanti della Bocconi.

Salvatore Grillo con il pugno alzato da uno degli studenti del pensionato

Al nuovo direttore l’amministratore delegato affidò quale primo compito di porre sul tavolo anatomico il pensionato (un vero e proprio «casino» a detta di Grillo, che non ha peli sulla lingua) e di presentargli un dettagliato resoconto della situazione. Nello stesso Grillo sottolineava come il personale fosse «superiore al fabbisogno e male utilizzato», oltre che, in alcuni casi, «insufficientemente retribuito»; che la presenza di tre cucine rendesse irrazionale e dispendiosa la preparazione dei pasti; che la gestione della cassa lasciasse presumere «alcune irregolarità»; che «la confezione dei cibi e la loro presentazione agli ospiti non avveniva nel modo migliore» a causa di «uno chef non all’altezza del suo compito» e di cucine che necessitavano di una «indispensabile e urgente» pulizia, per non dire delle procedure attivate per «la fornitura di carne, di salumi, di pesce, ecc., effettuate da una signora dipendente da una macelleria, la quale provvedeva alle esigenze della cucina d’accordo con gli studenti» a prezzi «superiori a quelli correnti sul mercato». E problemi non dissimili attenevano ai servizi di portierato, di segreteria, di riassetto delle camere e via discorrendo.

Grillo – che appena insediato aveva provveduto a eliminare alcuni degli inconvenienti riscontrati, a disciplinare l’attività del personale di servizio e a imporre agli studenti un decalogo da rispettare – assicurava che, una volta che il CdA avesse preso le opportune decisioni e che si fosse nominata una commissione consultiva «tecnicamente competente ad affrontare i problemi connessi alla gestione del pensionato», le irregolarità riscontrate sarebbero state gradualmente eliminate e, nel giro di un anno, il pensionato avrebbe potuto «avviarsi su basi più regolari e solide»[32].

Le sue considerazioni trovarono la piena approvazione dell’amministratore delegato, che non esitò a farle proprie e a proporle all’attenzione del CdA, che ratificò le scelte operate, nonché la proposta di rivedere le rette e i prezzi praticati in mensa, differenziando le tariffe a seconda della categoria di utenti[33]. La risposta degli studenti a queste decisioni fu l’occupazione del pensionato, che sarebbe durata più di un mese.

 

LA RIFORMA DEL PENSIONATO

A proposito delle novità introdotte dal nuovo direttore del pensionato, vale la pena di leggere quanto lo stesso scrive nel suo Via Bocconi 12:
Prima che diventassi direttore io, la gestione degli alloggi e della mensa dipendeva direttamente dall’università e c’era proprio un grande casino. E infatti un casino trovai quando arrivai in veste di direttore. Onestamente una situazione nel suo insieme drammatica [...]. Tutto funzionava in modo strano. Ho già detto prima quante e quali assurdità gestionali vigevano come regola, a partire dalle mense, che erano addirittura tre (una per quelli del Pensionato, una per gli altri studenti e una per il personale), con approvvigionamenti decisi direttamente e autonomamente dai fornitori, e cuochi che non erano all’altezza del loro compito [...]. Questi qui erano talmente male organizzati che il più delle volte cucinavano il giorno prima i cibi che avrebbero servito, dopo averli riscaldati, il giorno successivo [...]. La situazione del personale era pesante: c’erano 63 dipendenti, che nel giro di un anno diventarono 40 o 45 al massimo. Da due portinerie passarono a una sola. E lo stesso avvenne con le mense, e anche altri servizi vennero progressivamente centralizzati. L’idea era che ognuno facesse il suo lavoro, per la ristorazione e per il lato alberghiero: così si arrivò, nel 1971, dopo soli sei mesi dal mio arrivo, alla gestione in appalto. In poco tempo liquidai anche un lungo elenco di debitori. Tra l’altro mi avevano avvertito che alle casse succedevano cose “strane”; non sto dicendo che fossero disonesti, ma che c’era una gestione allegra, incontrollabile. Anche in questo caso la mia logica da ristoratore servì a riorganizzare le procedure.

Fonte: S. Grillo, Via Bocconi 12, Milano, Melampo Ed., 2006, pp. 64-65.


La questione finanziaria

A fine anno sarebbe scaduto il mandato di Dell’Amore, che Cicogna si riproponeva di confermare alla guida della Bocconi anche per l’a.a. 1973/74. Il rifiuto dell’eminente studioso di continuare a reggere l’Università pose al presidente un problema imprevisto. La situazione che si presentava era del tutto nuova. In passato il CdA aveva potuto scegliere a suo piacimento fra diverse opzioni, ma ora che il numero dei cattedratici aveva superato la decina e che il CdF, di fatto, aveva ottenuto piena autonomia nella gestione della didattica, la cosa non era né opportuna né tollerabile. E ciò fu sottolineato con decisione dagli ordinari del dipartimento di Economia in una lettera, cortese nella forma ma dura nella sostanza, intesa a porre precisi paletti all’assoluta discrezionalità del CdA nella scelta del rettore e a definire una più razionale e moderna balance of powers fra i vari organi di governo dell’Università:

Signor Presidente, i professori che compongono il Dipartimento di Economia hanno ritenuto necessario prendere in considerazione gli orientamenti che Ella ha avuto la cortesia di manifestare ai professori Mignoli e De Maddalena relativi alla nomina del Rettore e al governo dell’Università. Al riguardo intendono ribadire il loro unanime punto di vista: a) necessità che in una Università libera e moderna i componenti del Consiglio di Facoltà siano interpellati in ordine alla nomina del Rettore e in ordine ad ogni altro problema fondamentale dell’Università; b) necessità che il Rettore sia scelto fra i professori di ruolo dell’Università; c) necessità di evitare qualsiasi soluzione provvisoria che costituisce un irreversibile giudizio negativo sul corpo docente della Bocconi. L’impegno scientifico e culturale che ci unisce nel Dipartimento per una Università Bocconi rinnovata e aperta verso il futuro esige un rigoroso rispetto di questi principi.
La preghiamo di voler far conoscere il contenuto di questa lettera ai membri del Consiglio di Amministrazione.
Con deferenza.
Francesco Brambilla, Aldo De Maddalena, Innocenzo Gasparini, Ariberto Mignoli, Gianguido Scalfi[34]

Milano, 18 novembre 1973

Concetto – quello della balance of powers – che sarebbe stato ulteriormente ribadito da Gianguido Scalfi che, interpellato dal presidente quale possibile futuro rettore, non esitò a informarlo «dell’unanime valutazione non favorevole [dei colleghi del dipartimento] alla impostazione da Lei preannunciatami, in relazione al problema del rettorato», affermando che non gli sarebbe stato possibile «assumere una funzione tanto delicata [...] senza il consenso dei colleghi» e suggerendogli che, «prima di cristallizzare una decisione», sarebbe stato il caso di consultare il corpo accademico[35].

Cicogna, spiazzato da questa richiesta, che andava decisamente contro la tradizione e privava il CdA di un’importante prerogativa, decise di non decidere, trincerandosi dietro l’ormai prossima scadenza del mandato consiliare e demandando ogni scelta all’organo di governo di nuova nomina. Nel frattempo propose al professor Scalfi, allora prorettore, di occuparsi della gestione ordinaria degli affari dell’Ateneo[36].

Solo con la fine dell’anno e il rinnovo del CdA[37] – che vide quali new entry Giovanni Spadolini, Luigi Guatri, che nel 1969 era stato chiamato sulla cattedra di tecnica industriale e commerciale, Innocenzo Gasparini, allora preside di facoltà, e Roberto Calvi – la questione sarebbe stata ripresa e la scelta sarebbe caduta sull’insigne giurista, con l’accordo che il suo mandato sarebbe durato un solo anno e che l’anno seguente gli sarebbe subentrato il professor Gasparini.

Nel corso di quella stessa seduta furono fatte altre scelte, destinate a segnare profondamente il futuro della Bocconi: la nomina di Spadolini a vicepresidente del CdA e quella di Guatri ad amministratore delegato. A quest’ultimo, che veniva a riempire il vuoto lasciato da Carlo Baccarini, Cicogna, all’inizio dell’anno, aveva chiesto di affrontare lo spinoso problema delle finanze bocconiane, affidandogli la presidenza di una «Commissione finanziaria e di pubbliche relazioni»[38], creata per «seguire da vicino i problemi finanziari dell’Università, fungere da organo di collegamento con le maggiori imprese che operano nei vari settori della vita economica del Paese, individuare le possibili fonti di finanziamento e proporre le soluzioni più idonee ad assicurare una sufficiente tranquillità economica per gli anni futuri»[39]. E il professore lo avrebbe affrontato da par suo, proponendo di legare la richiesta di risorse finanziarie al mondo economico con «l’offerta di servizi (in termini di attività didattica e di ricerca) [...] che risultino di particolare interesse per le aziende o più in generale per il Paese»[40]. D’altro canto, a posteriori, si deve ammettere che quella era l’unica strada percorribile; tanto più che l’incontro che il rettore aveva avuto con il ministro della Pubblica istruzione, che non era stato avaro di promesse e al quale erano annesse molte speranze, si sarebbe ben presto rivelato una via senza uscita[41].

I lavori della commissione furono aperti da Furio Cicogna che, presentando i «nuovi problemi organizzativi, derivanti da progetti già in fase di avanzata elaborazione»[42], osservò, con fine umorismo misto a una certa amarezza, che a quella che il movimento studentesco e i giornali di sinistra solevano definire «l’università della Confindustria», gli industriali, da tempo, non versavano un quattrino. I maggiori sostenitori dell’Ateneo erano, in realtà, le banche: la Cariplo in primis che, sotto la presidenza Dell’Amore, aveva portato il suo contributo a 100 milioni; il gruppo bancario-assicurativo facente capo a Roberto Calvi, che sosteneva l’Università con ben 500 milioni annui; oltre a una serie di altri istituti di credito che erogavano contributi di minore importanza.

Nel corso della riunione e in quelle successive i temi sarebbero stati affrontati, delineando possibili forme di collegamento con il mondo aziendale, attraverso la costituzione di un’associazione di aziende sostenitrici dell’Università e di comitati di patrocinio di singole iniziative nel campo didattico e della ricerca. Imprese da fidelizzare anche attraverso una «Lettera alle aziende»[43], con periodiche conferenze e seminari «ai quali invitare i più qualificati esponenti del mondo aziendale» e con contatti personali con i diversi imprenditori. A un anno dai primi vagiti della commissione, il suo presidente poteva orgogliosamente annunciare i positivi risultati ottenuti: la nascita di un comitato dei sostenitori che raccoglieva più di 90 associati e il moltiplicarsi dei contatti in corso «alcuni dei quali in forma molto avanzata, con circa 250 aziende».

Grazie anche a questa esperienza, in tempi rapidi, il professore, una volta nominato amministratore delegato, sarebbe stato in grado di delineare, con grande rapidità e precisione, la situazione finanziaria dell’Ateneo e di esporre alcune ipotesi per avviarne il risanamento. In estrema sintesi, Guatri si sarebbe soffermato soprattutto sull’inadeguatezza dei ricavi (in particolare dei contributi studenteschi) a far fronte al lievitare dei costi (del personale, dei servizi generali, delle attrezzature), legato anche all’avvio dei nuovi programmi di sviluppo e all’alto tasso di inflazione, che avevano fatto sì che dai 178 milioni di deficit del preventivo1969/70 si passasse ai 350 dell’a.a. 1970/71 ai 530 del 1973/74 e al miliardo per l’a.a. 1975/76. Un deficit che solo la generosa erogazione del presidente del Banco Ambrosiano consentiva di mantenere entro limiti accettabili. Si trattava di un contributo essenziale, prezioso, che però l’amministratore delegato viveva con sempre maggiore imbarazzo, nel timore che dallo stesso potessero derivare pesanti condizionamenti all’Ateneo – pur riconoscendo a Roberto Calvi la massima correttezza nei confronti della Bocconi – e che per Giovanni Spadolini, chiamato alla presidenza dell’Ateneo poco dopo la morte di Furio Cicogna [44] , sarebbe ben presto diventato «un vero incubo».

Innocenzo Gasparini, Mario Pedini, Gianguido Scalfi, Giovanni Spadolini, Roberto Calvi, Emanuele Dubini

Il professor Guatri ricorda così quei lontani momenti difficili:

Era l’epoca di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, che contribuiva con 500 milioni di lire all’anno al bilancio della Bocconi (tre volte gli introiti delle tasse studentesche dell’epoca) [...]. Fu nella veste di importante mecenate che conobbi Roberto Calvi, che entrò come vicepresidente nel Consiglio dell’università (era l’unica condizione che pose), sia pure senza alcun potere, che del resto non richiese mai [...]. Da Roberto Calvi ci giunse, dopo alcuni anni, solo una richiesta: mi invitò con il dottor Enrico Resti (il fidatissimo direttore amministrativo della mia epoca) presso la presidenza del Banco Ambrosiano, dove accennò all’eventualità che l’Università gli conferisse una laurea honoris causa . Gli facemmo presente che ciò non era nella tradizione della Bocconi; che non era mai accaduto prima e che l’orientamento unanime era di continuare su quella strada: non eccepì nulla, non ne parlò mai più.
[...] Con Spadolini ebbi subito un discorso franco: gli illustrai un piano di quattro, cinque anni (che discussi con incontri riservati in casa mia, con alcuni più giovani colleghi, tra i quali ricordo Ruozi, Coda, Demattè). La linea strategica che proposi fu: ripristinare, col graduale ma sensibile aumento dei contributi accademici richiesti agli studenti (con il supporto di un’adeguata comunicazione, di un miglioramento di tutti i nostri “prodotti culturali”, dell’introduzione del numero chiuso di iscrizione, ecc.) l’equilibrio di bilancio, conservare i contributi dei privati, ma renderli in quattro, cinque anni “non più necessari” [45] .

Bisognava approfittare dell’occasione, questa era la sua idea, non solo per far fronte a una situazione eccezionale con provvedimenti tampone; ma compiere vere e proprie «scelte strategiche» da legarsi al «problema di fondo di ciò che la Bocconi potrà e vorrà essere a lungo termine»[46]: muoversi operando la riorganizzazione (o l’eliminazione) delle attività gravemente deficitarie[47] e il potenziamento dei rapporti esterni per la raccolta di contributi di sostegno che, sino a quel momento, avevano dato risultati alquanti insoddisfacenti «per le difficoltà poste dalla presente congiuntura»; esigere una maggiore incisività nell’azione dell’Associazione degli Amici della Bocconi che consentisse il sensibile incremento delle rendite del patrimonio immobiliare ereditato dai Bocconi ferme a meno dell’1 per cento; procedere alla graduale revisione delle strutture amministrative in modo da abolire doppioni e sprechi; razionalizzare e semplificare i rapporti con il personale docente e, last but non least, adeguare le tasse e i contributi pagati dagli iscritti ai costi effettivamente sostenuti[48]. Per il professore quest’ultimo era il nucleo forte della sua proposta, l’obiettivo finale: solo riportando questa voce di ricavo, che ormai risultava inferiore al 20 per cento dei costi, al primigenio 60 per cento, la battaglia avrebbe potuto considerarsi vinta[49].

L’aumento delle rette era solo un primo passo: nel medio-lungo periodo, sarebbe stato necessario operare alcune altre scelte che conducessero alla completa riorganizzazione dell’università, attraverso il continuo miglioramento dei «servizi», in modo da renderli «validi e largamente richiesti» e, soprattutto, erogati a un rapporto costi/prezzi tale da assicurare l’equilibrio del bilancio. Il che, secondo l’AD, significava affrontare e risolvere problemi del tipo:

quale peso dare ai corsi e, in generale, alle attività didattiche, quale peso dare alla ricerca applicata rispetto all’attività didattica; con quali criteri stabilire la validità delle varie attività didattiche e di ricerca; con quali criteri valutare e decidere l’introduzione di nuovi “servizi” didattici e di ricerca. Altre decisioni fondamentali attengono: alla politica dei prezzi da applicare ai vari “servizi”; al peso che i contributi “di sostegno” dovranno avere per la copertura di eventuali carenze dei prezzi ottenibili rispetto ai costi; ai tipi di rapporti da istaurare col personale docente e addetto alla ricerca[50].

Insomma, nella riflessione di Luigi Guatri, solo la definizione di «alcune linee generali d’azione», da tradursi in un «piano a lungo termine», capace di indicare «le vie da percorrere», avrebbe consentito di affrontare con maggiore consapevolezza le difficoltà e le incertezze sul futuro della Bocconi. Si tratta di una breve sintesi che, a mio avviso, rappresenta il «manifesto», il fondamento, il punto di partenza della straordinaria evoluzione che ha connotato l’università milanese nei decenni a cavallo tra il primo e il secondo millennio.

Il documento riscosse il plauso del comitato esecutivo e condusse alla decisione di affidare a un piccolo gruppo di studio [51] il compito di svilupparne le idee e di predisporre un’articolata «proposta globale, indicando una serie di provvedimenti e presentando alternative di soluzioni con l’indicazione delle prevedibili variazioni sulle entrate del bilancio» [52] .

Definiti, sin dalla prima riunione, gli «obiettivi generali»[53] e ricordato che il «vincolo principale» del progetto era quello di ridurre «il divario tra costi e tasse pagate dagli studenti fino a contenere il pur necessario ricorso alle contribuzioni di terzi entro il limite del 30 per cento»[54], il comitato operò tanto celermente da riuscire a produrre un’ipotesi di lavoro nell’arco dei due mesi.

Nella lunga relazione finale si indicarono, con sintetica precisione, le finalità, i contenuti e l’organizzazione della didattica previsti per i tre corsi di laurea (CLEA, CLEP e DES) attivi nell’Ateneo, nonché una previsione dei costi degli stessi, una volta «a regime»; si precisarono i possibili ricavi accessori ottenibili attraverso un prelievo del 20 per cento operato sui proventi della SDA e della ricerca applicata – pur decidendo di non considerarli nella stesura del budget finanziario – e, alla fine, si presentarono le diverse opzioni praticabili per portare i contributi studenteschi a un livello atto a risanare il bilancio nell’arco di un triennio [55] .

Il documento, discusso e approvato nella seduta del CdA del 28 marzo 1977, avrebbe costituito la matrice per tutte le riforme attuate nel quinquennio successivo (vedi il riquadro).

 

CDA – VERBALE DEL 28 MARZO 1977

La Commissione ritiene che la Bocconi debba e possa fornire agli studenti dei servizi qualitativamente migliori degli attuali, richiedendo, per contro, agli iscritti un sensibile aumento dei contributi accademici, pur assicurando ai meno abbienti, capaci e meritevoli, la possibilità di fruire di esoneri, di borse e contributi di studio, e di prestiti sull’onore. È prevedibile, dato l’aumento delle tasse, che vi sia una contrazione nel numero degli iscritti, ma il fenomeno va visto in senso favorevole, non potendo l’Università rendere un efficiente servizio sul piano didattico ad una massa eccessiva di studenti, come l’attuale [...].
Il prof. Guatri riferisce inoltre sulle proposte avanzate circa il miglioramento delle prestazioni didattiche a favore degli studenti iscritti ai tre corsi di laurea con la previsione dell’adozione di metodi didattici avanzati, con il miglioramento del piano degli studi, con la ripartizione degli studenti in varie classi, con un massimo di un centinaio di allievi frequentanti per ogni aula e, infine, col raggiungimento dell’obbligo di frequenza e con l’incoraggiamento di stages di tirocinio presso aziende. I suddetti miglioramenti proposti comportano evidenti vantaggi, ma anche sensibili spese, che portano il costo medio di ogni studente in corso a circa 780.000 lire, contro le 150.000 di media che oggi lo studente paga. La conclusione che ne deriva è che se i contributi esterni possono concorrere per non più del 30 per cento alla copertura di tali costi, il livello medio delle tasse dovrà essere aggiornato a L. 545.000 per anno. Se si tiene inoltre conto dell’opportunità di un’ampia fascia di esenzioni e di riduzioni per circa il 30 per cento degli studenti che non verserebbero tasse o, al massimo, verserebbero quelle attuali (L. 150 mila per anno), ne consegue che la rimanente  popolazione studentesca dovrebbe pagare 800.000 lire annue di tasse, soprattasse e contributi. Evidentemente si tratterà di un provvedimento graduale, che riguarderà, innanzitutto, le matricole del prossimo anno, per le quali le tasse non dovranno essere inferiori, in media, a L. 600.000. Per esse poi, negli  anni futuri in cui si iscriveranno al 2°, 3° e 4° anno, gli aumenti previsti dovranno tenere conto dell’aumento dei costi e della svalutazione ed essere quindi percentualmente calcolati e applicati. Per gli studenti attualmente già iscritti alla Bocconi, l’aumento dei contributi, in termini reali, si contiene intorno al 10 per cento; che però, in termini nominali, sta a significare un aumento intorno al 30 per cento, distribuito come oggi su quattro fasce di redditi, e precisamente: 1- fascia (12 per cento) (esonerati). 2- (31 per cento) da 135.000 a 185.000 (reddito fino a 6 milioni). 3- (21 per cento) da 200.000 a 260.000. (reddito da 6 a 12 milioni). 4- (36 per cento) da 240.000 a 340.000 (reddito oltre 12 milioni). Il Consigliere Delegato, da ultimo, fa presente che l’aumento dei contributi deve essere rigorosamente applicato nei termini suddetti, perché è condizione sine qua non per poter sopportare le perdite degli esercizi futuri, nonostante l’inevitabile ricorso ai contributi degli enti, delle aziende e delle banche. Sulla relazione del Consigliere Delegato si apre la discussione, alla quale partecipano attivamente tutti i Consiglieri [...]. Conclude la discussione il prof. Spadolini, ricordando che già nel corrente anno non vi è stata alcuna reazione da parte degli studenti agli aumenti dei contributi fino a L. 100.000, a seconda delle fasce di reddito. Egli assicura che il Rettore, nelle prossime settimane, prenderà contatto con le componenti studentesche e con le forze sindacali e ritiene che, se si insisterà opportunamente sulla larga fascia di studenti appartenenti alle categorie meno abbienti, i quali potranno godere di aiuti ed esenzioni, mentre invece si farà ricorso ad aumenti graduati per gli studenti appartenenti a famiglie di condizioni economiche più agiate, non si troveranno apprezzabili reazioni. Il Consiglio, pertanto, fa sue ed approva le proposte del Consigliere Delegato  sull’adeguamento delle tasse scolastiche nel prossimo quadriennio e demanda al Comitato Esecutivo il compito di dare concreta attuazione alla proposta di aumento dei contributi accademici per l’anno 1977/78.

Fonte: CdA. Verbale del 28 marzo 1977, pp. 80-83.

 

I bilanci del triennio 1975/78 si chiusero ancora una volta in perdita, ma la scelta di adeguare progressivamente le tasse versate dagli studenti ai costi sostenuti avrebbe finalmente consentito il raggiungimento del pareggio di bilancio negli anni successivi. «La lunga rincorsa era così terminata», scrisse orgogliosamente Luigi Guatri. «Potevamo fare a meno di Calvi!»[56].

Anche Spadolini ne diede notizia nella Giornata bocconiana del a.a. 1981/82; nel momento in cui, conclusosi il triennio di transizione, sia il nuovo assetto dato ai tre corsi di laurea che l’ammontare dei contributi richiesti agli studenti andavano a regime:

Di tutte le iniziative del periodo della mia presidenza alla Bocconi [...] devo dire che io saluto sempre come la più significativa e la più degna di attenzione, in un Paese dove l’assistenzialismo dilaga e l’inefficienza avanza, quella che ci ha permesso di realizzare [...] in questi anni, l’autosufficienza economica, attraverso il graduale adeguamento dei contributi accademici. Io giudico questo capitolo il più importante nella storia della Bocconi contemporanea: l’aver riportato il rapporto fra le spese complessive dell’Università e i contributi accademici al livello di venti, trent’anni fa, sottraendosi quindi in parte al ricorso al mecenatismo privato, e muovendosi sul piano di quell’orgoglio che sempre deriva dal sapere trarre dalle proprie fonti di vita il sostegno principale. Il mio animo grato quindi va in primo luogo agli studenti, che hanno saputo affrontare e sostenere i maggiori oneri senza proteste e senza iattanza. E ciò in conformità all’articolo della Costituzione la quale dice appunto che chi è capace e meritevole ha diritto di adire i gradi più alti dell’istruzione. E noi non ce ne siamo mai dimenticati, come università libera, e sempre abbiamo riportato questo aumento dei contributi accademici al livello economico delle famiglie. Chi è capace e meritevole ha diritto di adire i gradi più alti dell’istruzione: questa è stata la grande rivoluzione della Costituzione repubblicana e della Costituente. È una svolta che fissa il principio del merito e in base al merito obbliga anche alle esenzioni dai contributi accademici; ma evidentemente obbliga anche chi può a concorrere agli sforzi delle istituzioni universitarie autonome rispetto a quelle statali. Principio, quello del pluralismo universitario, che mi è grato in occasione di ribadire qui in modo solenne come Presidente del Consiglio della Repubblica, così come ebbi modo di ribadirlo in questa stessa aula come Ministro della Pubblica Istruzione della Repubblica[57].


1

ASUB. Verbali del comitato tecnico della Facoltà di Lingue. Seduta del 23 ottobre 1968.

2

Vedi «Tre insegnanti si accusano per provocare un’inchiesta», L’Unità, 10 gennaio 1969.

3

ASUB. Verbali del comitato tecnico della facoltà di Lingue. Seduta del 17 dicembre 1968.

4

ASUB. Busta O. Breve relazione sui fatti avvenuti in Bocconi il giorno 13 dicembre 1968.

5

«Bocconi: dimissioni di sette assistenti», L’Unità, 26 febbraio 1969.

6

Il documento stilato dalla «commissione incaricata di analizzare la struttura del potere accademico», inviato il 24 gennaio 1969 da Alex Costoris, presidente dell’assemblea degli occupanti, al rettore e ai presidi (ASUB. Corrispondenza del preside. 1969) chiedeva: «a) Impegno da parte del CdA a recepire integralmente all’interno dell’Università Bocconi le strutture universitarie legislativamente sancite in futuro [...]; b) accesso degli studenti alle sedute ed ai dibattiti del CdA, del Comitato esecutivo, del CdF. e degli eventuali organi delegati e libera visione dei documenti riguardanti ogni attività universitaria [...]; c) impegno del presidente del CdA e del Comitato esecutivo a convocare i suddetti organi su richiesta dell’assemblea ...]; d) visione dei verbali del CdA e del Comitato esecutivo relativi alla chiusura della facoltà di Lingue; e) disponibilità per autonome iniziative culturali della comunità studentesca[...]; f) disponibilità alle ore 24 di due aule e della sala proiezioni [...]».

7

Vedi «Protesta inasprita all’Università Bocconi», Corriere della Sera, 28 gennaio 1969.

8

ASUB. Busta O. Università Bocconi. Mozione votata dall’assemblea degli studenti di Economia il 28 ottobre 1969.

9

Ibidem. La mozione, votata dalla maggioranza degli occupanti, mise in minoranza i gruppi più radicali, bollandone le proposte come «ripetizioni fiacche degli errori già commessi all’Università di Stato [...], dove la gestione dei gruppetti dell’estrema sinistra si è dimostrata incapace di produrre sostanziali riforme nella vita universitaria [...]. Dopo l’esperienza contraddittoria delle occupazioni, gli studenti della sinistra democratica individuano nella contrattazione con il corpo docente, nella lotta articolata istituto per istituto, insegnante per insegnante, l’unica via di uscita alla crisi del nostro Ateneo». Il testo in questione è riportato anche sull’Avanti! del 29 ottobre 1969: «Una piattaforma democratica per gli studenti bocconiani».

10

«Presentazione» in Informazione studentesca, notiziario interno dell’Università Bocconi a cura degli studenti della Sinistra Democratica. 11 marzo 1970.

11

Lo stesso rettore, nel riferire sui rapporti fra autorità accademiche e studenti nella seduta del CdA del 13 marzo 1970 (p. 47) osservava: «Tali rapporti, a differenza di quanto avviene in altre università, si mantengono, per il momento, sostanzialmente corretti e la contestazione non costruttiva sembra vada pian piano attenuandosi così come va attenuandosi il regime assembleare. Vi sono anzi i sintomi di una ripresa della collaborazione tra Università e studenti».

12

ASUB. Archivio Resti. Carlo Baccarini a Furio Cicogna. 23 maggio 1972.

13

ASUB. Busta 3/B/2/C. Progetto istituzione nuova laurea DES, 1972. Nel documento in questione, facendo riferimento a un sondaggio operato l’anno precedente fra gli ordinari dell’Ateneo, si scriveva: «[...] mentre i docenti delle materie aziendali giudicano positivamente sia la specializzazione, sia il frazionamento delle materie in corsi di esame [...]; i docenti delle materie economiche e giuridiche prospettano [...] un corso di laurea in economia [...] che potrebbe essere realizzato da una università libera o al di fuori dell’ordinamento giuridico delle Università, cioè rilasciando un titolo che si qualifica per la bontà e la serietà degli studi».

14

Relazione 7 ottobre 1969, p. 86 sui criteri guida della riforma degli studi economici e aziendalistici. Dei passi compiuti si sarebbe data notizia il 23 luglio 1970 con un comunicato stampa che informava dell’avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del DPR 260 del 26 marzo 1970 che approvava il nuovo ordinamento del quale l’Ateneo si era dotato: «Esso contempla il rilascio di due distinte lauree, una in Economia politica e l’altra in Economia aziendale, che consente di corrispondere alle nuove esigenze dello sviluppo economico del Paese, il quale richiede tanto degli specialisti negli studi economici teorici, quanto dei giovani dotati di un’approfondita preparazione nell’economia delle imprese della varie categorie. Grazie a questa riforma, che andrà in vigore a far tempo dal novembre prossimo, la Bocconi si metterà in grado di fronteggiare il crescente fabbisogno di laureati altamente qualificati che deriverà dal graduale consolidamento della Regione lombarda [...]. La riforma mira a correggere due fondamentali difetti dell’attuale piano di studi delle esistenti Facoltà di Economia e commercio, il quale è rigido e quindi non consente agli studenti alcuna scelta fra le materie preferite ed è generico poiché comprende gruppi di insegnamenti eterogenei ed inidonei ad assicurare un grado sufficiente di specializzazione. Il nuovo ordinamento invece prevede: 1) un periodo base di tre semestri, con insegnamenti obbligatori comuni ai due corsi di laurea e aventi contenuto formativo [...]; 2) un secondo periodo di cinque semestri in cui lo studente ha la possibilità di scegliere una delle due lauree di cui si tratta».

15

Vedi «SDA, la formazione post-esperienza» da p. 553.

16

ASUB. Busta 3/B/2/C. Progetto istituzione nuova laurea DES, 1972.

17

«Come conclusione della proposta che vado formulando» – osservava Dell’Amore che, assieme a Gasparini, Scalfi, Baffi e Baccarini, ne aveva elaborato il progetto – «la nostra Università conterebbe su due strutture. Una di esse è costituita dal corso di laurea in economia aziendale che ha una sua antica concezione unitaria e risponde alla domanda delle attività produttive. In questo filone di studi e di ricerche trova naturale collocazione una scuola per quadri aziendali. Si tratta di iniziative che vanno oggi sorgendo fuori dell’Università, mentre in un Dipartimento universitario trovano l’ambiente necessario alla loro crescita. L’altra struttura è quella con le caratteristiche [...] precedentemente illustrate» (Dell’Amore, Innovazioni sull’insegnamento).

18

Ibidem.

19

Sulla vicenda vedi Daniele Biacchessi (a cura di), Roberto Franceschi. Processo di Polizia, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004, e S. Grillo, via Bocconi 12, Milano, Melampo Ed., 2008, pp. 29-40.

20

Fra i quotidiani, Il Giorno del 25 gennaio fu probabilmente quello che diede il massimo spazio al luttuoso evento: «Moribondo lo studente. Un agente ha sparato. Rumor parla alla Camera sui tragici fatti di Milano», «Rivedere le modalità d’impiego della polizia», «La versione sugli incidenti del movimento studentesco», «I periti dovranno stabilire se l’agente è responsabile», «Una giornata accanto ai familiari disperati».

21

CdA. Verbale del 5 febbraio 1973, pp. 168 ss.

22

«Bocconi: blocco inutile», Corriere d’informazione, 7 febbraio 1973.

23

Sulle diverse posizioni dei professori ordinari della facoltà, vedi ASUB. Archivio Resti. Verbale della riunione dei professori di ruolo del 13 aprile 1973.

24

Vedi «Alla Bocconi più grave il deficit del bilancio», Corriere della Sera, 29 marzo 1973.

25

Vedi Enrico Resti a Furio Cicogna. Milano, 6 luglio 1973.

26

CdA. Verbale del 21 luglio 1970, p. 72.

27

Italo Munari a Carlo Baccarini, Milano, 5 aprile 1968 (ASUB. Archivio Resti. 1968).

28

Carlo Baccarini a Furio Cicogna. Milano, 7 maggio 1968.

29

Carlo Baccarini a Furio Cicogna. Milano, 11 maggio 1970.

30

Ibidem.

31

«L’esperimento fatto attraverso il Comitato consultivo, per una infinità di ragioni e di cause che è inutile qui ripetere e che lei conosce da tempo, non ha dato i frutti che ci aspettavamo; prima, fra tutte, l’inagibilità dello stesso dalla fine di questo inverno per diverse e tragiche ragioni: la malattia e la morte del presidente dott. Carlo Verticale, la malattia e la morte del dott. Italo Munari, la morte del dott. Virginio Villa [...]. Praticamente la commissione del pensionato è stata presa in mano dai tre rappresentanti eletti dagli studenti i quali hanno, forse per inesperienza o per altro, superato e travisato di gran lunga il loro mandato prendendo iniziative ed imponendo soluzioni che all’atto pratico sono risultate di grave danno economico per il Pensionato». Carlo Baccarini a Furio Cicogna, Milano, 19 giugno 1970.

32

Salvatore Grillo a Carlo Baccarini, Milano, 12 giugno 1970 e Carlo Baccarini a Furio Cicogna, Milano, 19 giugno 1970.

33

CdA. Verbale del 21 luglio 1970, p. 79.

34

ASUB. Archivio Resti. I professori ordinari del dipartimento di Economia a Furio Cicogna.

35

L’illustre accademico chiudeva la sua lettera con queste parole: «Mi permetto di suggerirLe questo perché sono consapevole che l’aspirazione comune è quella di conferire la più dignitosa manifestazione esterna alla realtà culturale che intendiamo illustrare» (ASUB. Archivio Resti. Gianguido Scalfi a Furio Cicogna. 18 novembre 1973).

36

CdA. Verbale del 26 febbraio 1974, p. 220.

37

CdA. Verbale dell’8 novembre 1974, p. 16. «Il Presidente riferisce sulle iniziative da lui rese e sugli accordi con i professori di ruolo della Bocconi per addivenire alla nomina del Rettore. Egli propone pertanto che l’attuale Pro-Rettore, prof. Gianguido Scalfi [...] sia nominato Rettore dell’Università per il corrente anno accademico. Il Consiglio di Amministrazione plaude alla proposta e la approva all’unanimità. Per corrispondere alle mutevoli esigenze dell’Ateneo, che si, prospettano di anno in anno, il Presidente ritiene di poter indicare sin da ora il prossimo Rettore nella persona del prof. Innocenzo Gasparini, ordinario di Economia politica e Preside di Facoltà, considerando fecondo ed utile agli interessi dell’Ateneo un normale avvicendamento delle cariche».

38

CdA. Verbale del 26 febbraio 1974, p. 222. Membri della commissione, oltre al presidente Guatri, erano Aldo De Maddalena, designato dal CdA, Guido Isolabella e Sergio Pampuro dall’Assolombarda, Ferdinando Schiavoni e Giordano Ercolessi della Confederazione generale del commercio, Luigi Chiaraviglio e Mario Veneziani dell’Associazione nazionale tra le aziende di credito.

39

Furio Cicogna ai componenti della commissione finanziaria. Milano, 28 marzo 1974 (ASUB. Archivio Palazzina. Busta R).

40

Quale premessa a tale azione Guatri propose alla commissione di «soffermarsi sui seguenti punti: a) accertamento della odierna situazione della Bocconi con riguardo da un lato alle attività svolte ed ai programmi in preparazione e d’altro lato alla situazione economico finanziaria; b) valutazione dei futuri fabbisogni economici [...]; c) esame dei criteri per istituire sistematiche forme di collegamento col mondo aziendale» (L. Guatri, «Nota introduttiva ai lavori della Commissione finanziaria e di pubbliche relazioni», 8 aprile 1974).

41

Gianguido Scalfi a Franco Maria Malfatti, 9 dicembre 1974.

42

ASUB. Archivio Palazzina. Busta R. 8 aprile 1974. Verbale della prima riunione della commissione finanziaria dell’Università Luigi Bocconi.

43

CdA del 27 ottobre 1975, p. 31.

44

CdA. Verbale del 26 gennaio 1976, p. 40. In quell’occasione si decise anche che Roberto Calvi sarebbe stato il nuovo vicepresidente.

45

L. Guatri, Nostalgia. Storia di un ragazzo di Trezzo sull’Adda, Milano, Egea, 2016, pp. 132-144.

46

L. Guatri, «Proposte per una politica a breve e a lungo termine. Ottobre 1975» (ASUB. Archivio Palazzina. Busta R).

47

Quali il centro di calcolo, che faceva registrare una perdita di circa 50 milioni l’anno e il Giornale degli Economisti, che costava all’università 15-20 milioni l’anno ed ormai era «una rivista pochissimo letta e con un ristrettissimo mercato». Per il primo si auspicava una più razionale politica di servizi esterni in modo da portarlo almeno al pareggio; mentre per la seconda si suggeriva di trasformarla «in rivista viva e attuale» o toglierla definitamente di mezzo.

48

CdA. Verbale del 12 luglio 1974.

49

Guatri si rendeva ben conto di toccare un argomento molto delicato e suscettibile di risvegliare le proteste, mai sopite, del movimento studentesco e perciò suggeriva che l’operazione andasse condotta su di un arco temporale di una certa lunghezza: «Nei prossimi due anni il livello delle tasse dovrebbe raggiungere la copertura del 30-35%. Ciò significa, in concreto, la necessità di un raddoppio, che potrebbe essere così frazionato [...]: da 150.000 a 225.000 (+50%) nel prossimo anno (1976-77): da 225.000 a 300.000 (+33%) nell’anno successivo. L’aumento [...] dovrebbe portare maggiori introiti di £ 150 milioni nel 1° anno e di £ 300 milioni nel 2° anno» (CdA. Verbale del 12 luglio 1974).

50

Guatri, Proposte, cit.

51

Composto, oltre che dall’amministratore delegato, dal rettore Innocenzo Gasparini, da Gianguido Scalfi, da Roberto Ruozi e dal direttore amministrativo Enrico Resti.

52

CdA. Verbale del 15 ottobre 1976.

53

Che si compendiavano nell’idea di innovare nel solco della tradizione, tornando allo spirito dei padri fondatori che pensarono la Bocconi come un’università «diversa», capace di offrire ai propri studenti una preparazione particolarmente qualificata e in grado di stare al passo con i tempi, guardando in particolare alle esigenze delle imprese e dell’amministrazione pubblica; di privilegiare la qualità rispetto alla quantità attivando tutta una serie di barriere all’entrata; di promuovere l’educazione permanente, soprattutto nel settore della formazione manageriale, attraverso il rafforzamento del ruolo della SDA; di incoraggiare con ogni mezzo la ricerca, sia pura che applicata.

54

Relazione finale della commissione incaricata di predisporre un «Programma a medio termine dell’Università Bocconi». Milano, 26 gennaio 1977.

55

Sul tema Luigi Guatri (27 gennaio 1977) così riferiva a Giovanni Spadolini: «Le conclusioni finali alle quali si è pervenuti [...] possono essere così riassunte: a) Le prospettive di bilancio dell’Università presentano risultati negativi, la cui dimensione coincide sostanzialmente con i disavanzi dei corsi di laurea. I margini positivi attesi dalle attività di ricerca in misura crescente (e che anche la SDA potrebbe ottenere), è prudente che non siano considerati ai fini delle prestazioni finanziarie. E ciò a motivo delle evidenti incertezze che caratterizzano tali attese. b) Occorre pertanto che i disavanzi della facoltà siano assolutamente mantenuti nei limiti dei contributi ottenibili. c) Il piano esposto al par. 10 per il periodo di transizione (1977-80) dovrà perciò essere rigorosamente applicato, corrispondendo esso al massimo sforzo sopportabile. Nella 1a ipotesi, infatti, il disavanzo di 1.432 mil. del 1977/78, a fronte dei contributi prevedibili di non oltre 1.100 mil. significa una perdita di 342 mil. ed un flusso di cassa negativo di circa 200 mil., equivalente all’assorbimento totale delle riserve liquide [...]. Nell’anno successivo il disavanzo permane allo stesso livello; pertanto il previsto aumento dei contributi a £ 1.250 mil. dovrebbe assorbire almeno l’effetto immediato della perdita. Nel 1979/80 il disavanzo si riduce, alfine, a misura accettabile, cioè compreso nei limiti dei contributi attesi. La situazione migliora ulteriormente nel 1980/81. Nella seconda ipotesi, invece, i rischi sono molto minori, poiché le pur modeste riserve di liquidità non verrebbero sostanzialmente intaccate (la perdita di 1.268 mil. del 1977/78, e quindi il disavanzo di 168 mil. dopo i contributi, dovrebbe generare una perdita di cassa di soli 20/30 mil.). L’equilibrio del bilancio sarebbe inoltre già raggiunto nel 1978/79».

56

L. Guatri, M.A. Romani, Una vita in Bocconi, Milano, Egea, 2012, p. 22.

57

Annuario anni accademici 1978/79  1979/80  1981/82, «Inaugurazione dell’anno accademico 1981/82. Saluto del presidente dell’Ateneo sen. prof. Giovanni Spadolini», Milano, 1985, pp. 72-73.

Indice

Archivio