Storia della Bocconi

1968-2022. Dalla contestazione all'internazionalizzazione

La governance della Bocconi, dalla fondazione a oggi


Parole chiave: Istituto Javotte, Presidente Monti Mario

Che cosa si intende per governance

Il sistema di governo di un’istituzione complessa come un’università ha un onere particolare: deve infatti raggiungere una qualche forma di equilibrio tra le due anime che caratterizzano questa tipologia di organizzazione, quella accademica e quella amministrativa[1]. Entrambe sono indispensabili alla vita dell’istituzione, entrambe detengono propri spazi di autonomia, contemperati da ambiti di intersezione. La doppia anima dell’istituzione universitaria – e la Bocconi naturalmente non fa eccezione a questa regola – pone pertanto una prima sfida, che potremmo definire «endemica», al suo sistema di governo: quella dell’equilibrio sull’asse accademia-amministrazione.

La seconda sfida, probabilmente meno generalizzabile ad altri atenei, ma certamente rilevante per il sistema di governo della Bocconi, è l’attenzione ai mutamenti del mondo: la necessità di captarli, interpretarli e tradurli in programmi di insegnamento e in progetti di ricerca. Perché necessità? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un balzo indietro nel tempo, nella Milano di fine Ottocento, quando Ferdinando Bocconi e Leopoldo Sabbatini ebbero un’intuizione, che oggi non esiteremmo a definire disruptive. Intuizione ben spiegata dallo stesso Sabbatini nel documento di fondazione dell’Università, il cosiddetto «programma» del 1902:

Le relazioni economiche tra popolo e popolo in tutto il mondo hanno acquistato tale complessità, tale intensità, che costituiscono un fenomeno veramente nuovo e grandioso. La scuola deve seguire dappresso questo mutamento; per rispondere ai propri fini deve soddisfare alle nuove necessità della vita.

Fenomeni economici nuovi, che evolvono rapidamente, richiedono di essere analizzati secondo un approccio di tipo scientifico. La Bocconi nasce con questa missione. Ha dunque la necessità di mantenere un forte ancoraggio con la «vita» scolpita nel proprio codice genetico e riflessa, di conseguenza, nel proprio sistema di governo, sul secondo asse di equilibrio: quello fra esterno e interno. Per esprimere in modo ancora più efficace il concetto, è utile rifarsi alle parole pronunciate dall’allora rettore Innocenzo Gasparini in occasione della conferenza di Ateneo del 1977[2]. Rievocando le origini della Bocconi, Gasparini ricordò che da quel tipo di genesi discendeva

una conseguenza immediata, di natura anche operativa: il costante adattamento, una risposta non solo continua ma anticipatrice rispetto ai cambiamenti, è perciò condizione essenziale della sua vita e del suo divenire. Tutto ciò può verificarsi solo nella misura nella quale vi sia un rapporto continuo fra il mondo della cultura, gli enti, le istituzioni, le imprese e gli organi di governo dell’Università Bocconi, di modo che queste indicazioni dei mutamenti in atto della realtà economica e socio-politica siano immediatamente avvertite[3].

L’attuale sistema di governo della Bocconi prevede una serie di organi che, ai diversi livelli e con specifiche responsabilità, costituiscono il tessuto connettivo dell’Ateneo e ne presidiano l’equilibrio lungo i due assi precitati. Nel presente capitolo ci soffermeremo tuttavia sulla cosiddetta governance, ossia il consiglio d'amministrazione e il comitato esecutivo, il presidente, il rettore e il consigliere delegato.

A norma dello statuto vigente (art. 1) «l’Università è gestita da un Consiglio di Amministrazione». Come ancor meglio specificato nel successivo art. 4, il consiglio d'amministrazione è l’organo di «governo amministrativo e di gestione economica dell’Università», dotato «dei più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione»[4]. Si tratta dunque dell’organo di governo apicale, che determina l’indirizzo strategico dell’Università e i relativi programmi, nomina il rettore e il consigliere delegato. Tra le numerose competenze a esso assegnate, il consiglio d'amministrazione delibera gli organici dei docenti e dei ricercatori, l’assunzione e la nomina dei dirigenti amministrativi, le modalità di ammissione degli studenti e la misura delle tasse e dei contributi.

Il presidente del consiglio d'amministrazione ha la rappresentanza legale dell’Università (art. 9.2). Il rettore, nominato dal consiglio d'amministrazione fra i professori ordinari, rappresenta l’Università nelle manifestazioni accademiche e culturali e a lui fa capo il governo accademico dell’istituzione, esercitato anche attraverso la presidenza del consiglio accademico e la nomina dei direttori delle Scuole, dei prorettori, dei direttori di dipartimento, dei direttori dei centri di ricerca.

Il consigliere delegato, nominato dal consiglio d'amministrazione, riceve da quest’ultimo le deleghe che sostanziano il suo ruolo di guida amministrativa della Bocconi.

Le origini del sistema di governo: viaggio per sommi capi nel DNA della Bocconi

Sin dalla sua fondazione la Bocconi è retta da un organo collegiale, nei primissimi anni denominato consiglio direttivo[5] e successivamente consiglio d'amministrazione, al quale sono state demandate le funzioni chiave di indirizzo strategico dell’Ateneo, ossia la nomina del rettore, la delibera sugli organici accademici e amministrativi[6], la decisione finale sui programmi di studio e l’assegnazione delle borse di studio[7].

Le attribuzioni precitate, che descrivono il codice genetico della Bocconi, in oltre 115 anni di storia si sono evolute – guai se così non fosse stato – ma, come vedremo, non si sono mai modificate in modo sostanziale.

 

La governance degli inizi: quando la casa è costruita sulla roccia. In base al primo statuto dell’Università, datato 1902, la reggenza dell’Ateneo è affidata al consiglio direttivo composto da nove membri[8]. Ne fa parte di diritto il fondatore Ferdinando Bocconi (o i suoi eredi o successori o persona della famiglia o da essi designata). La famiglia Bocconi si riserva pertanto una presenza fissa nel Consiglio, che verrà perpetuata sino ai giorni nostri attraverso il ruolo dell’Istituto Javotte Bocconi Associazione Amici della Bocconi[9]. Mentre è prevista per i consiglieri la durata in carica per quattro anni, ammettendone la rieleggibilità[10], si fa una doverosa eccezione per l’autore del «programma», Leopoldo Sabbatini, che, nominato «fin d’ora» dal Fondatore «rimarrà in carica per tutto il primo decennio»[11]. Curiosamente, lo statuto non fa esplicito riferimento al ruolo di presidente del consiglio direttivo, né ai suoi criteri di nomina[12]. Viene invece stabilito che l’ufficio di presidenza sia nominato dal fondatore e rimanga in carica quattro anni[13].

Per quanto riguarda la nomina dei consiglieri, si determina che quattro siano eletti, uno per ciascuno, «dalla Provincia, dal Comune, dalla Camera di commercio di Milano, e dalla Cassa di Risparmio di Lombardia. Gli altri dal Fondatore o da chi per esso»[14].

Lo statuto della fondazione traccia in modo già chiaro il primo asse portante dell’architettura di governance: quello esterno-interno. Ferma restando la maggioranza dei consiglieri nominata dal fondatore, l’esterno dei primi del Novecento è rappresentato dalla comunità di riferimento della nascente Università, ossia la città di Milano (a ciascuna delle istituzioni cittadine viene statutariamente riservato un posto in consiglio) e la Lombardia, i cui confini non erano allora amministrativamente determinati dall’ente Regione, bensì «assimilati» al raggio d’azione della Cassa di Risparmio.

Questo legame forte con la constituency originaria ha attraversato il secolo abbondante di storia della Bocconi e si è mantenuto inalterato sino a oggi: Comune, Provincia[15], Camera di commercio di Milano e Cassa di Risparmio di Lombardia[16] hanno tuttora, per statuto, il diritto di nominare propri rappresentanti in consiglio d'amministrazione[17].

Non si tratta di meri formalismi, bensì di una modalità estremamente in anticipo sui tempi, che ha consentito alla Bocconi di gestire i propri stakeholder in modo efficace e trasparente.

Con la morte improvvisa di Sabbatini nel 1914 la Bocconi si trova costretta a modificare lo statuto, che prevedeva la sua presenza in consiglio direttivo per un decennio. Con l’occasione, la giovane università estende la constituency dal livello locale a quello nazionale. Infatti, il numero dei consiglieri passa da nove a undici, di cui uno eletto dal ministero della Pubblica istruzione[18]: l’Ateneo cresce e la morfologia del consiglio asseconda la necessità di relazionarsi in modo istituzionale con il ministero competente.

Sono quindi in totale cinque i componenti nominati da entità esterne alla Bocconi, mentre rimane in capo alla famiglia del fondatore il «controllo di maggioranza», potendo nominare un membro di diritto, che per prassi coincide con il presidente, e i rimanenti cinque consiglieri[19]. Il primo statuto determina inoltre l’asse accademia-amministrazione poiché prevede che il consiglio direttivo amministri l’Istituto, nel senso più ampio del termine, fatta salva la direzione didattica e disciplinare dell’Università, che viene «affidata a un rettore»[20].

Un altro elemento fondante del sistema di governo è la nomina del rettore da parte del consiglio direttivo. Ricordiamo che nella prima fase di vita della Bocconi il rettore, che era anche presidente, non era un docente[21]. Dunque la nomina da parte del consiglio direttivo gli conferiva allo stesso tempo autorevolezza nei confronti del corpo docente e notevole autonomia e indipendenza dallo stesso; tenuto anche conto che, di fatto sino agli anni Cinquanta, la quasi totalità dei professori era di nomina annuale.

Perché un rettore non docente

Se tornassimo al 1902 provvisti del vocabolario di oggi, non esiteremmo a definire la Bocconi una startup, ossia un’impresa in fase di avvio, che nasce per dar vita a un progetto innovativo, nel nostro caso «una scuola di alti studi scientifici», come recita il «Programma Sabbatini». Si poneva dunque ai due co-fondatori, Ferdinando Bocconi e Leopoldo Sabbatini, l’interrogativo sulla direzione dell’Università, che poteva, con fondate ragioni, essere affidata a un docente. Non senza approfondite valutazioni, a tratti divergenti, alla fine si preferì «una persona che vi si dedicasse a tempo pieno, profondendo ogni sforzo nella organizzazione e nella gestione dell’Università Bocconi», si ricorda nel primo volume di Storia di una libera università (vol. 1, p. 121). Certamente su questa decisione pesarono il carisma personale di Sabbatini e il suo essere riconosciuto quale il vero deus ex machina del nascente ateneo.

Tuttavia, anche a distanza di qualche anno, superata la fase di «startup» e dopo la scomparsa di Sabbatini, il presidente Ettore Bocconi difese il criterio che il rettore fosse scelto dal consiglio al di fuori del corpo docente, perché in questo modo avrebbe goduto di maggiore autorità e maggiore libertà e indipendenza nei confronti dei colleghi si legge nel secondo volume di Storia di una libera università (p. 270). In realtà, con la nomina di Angelo Sraffa, nel 1919, si intese salvare capra e cavoli. Sraffa, che proprio in quel periodo aveva abbandonato l’insegnamento, era stato per quasi due decenni professore della Bocconi e in seguito i rettori sarebbe stati docenti o ex docenti.

Si modificava la scala delle priorità, dalla dedizione assoluta richiesta allo startupper all’indipendenza necessaria al rettore di una realtà accademica che, benché ancora giovane, iniziava a consolidarsi.

 

Anni difficili: il Ventennio e il secondo conflitto mondiale. Con l’avvento del fascismo, in previsione della riforma degli studi a opera del ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile, per la Bocconi si apre uno scenario inedito in virtù del proprio status di «istituto superiore libero di scienze economiche e commerciali»[22]. L’Università, che «conserva la propria autonomia didattica e amministrativa» e «le sue peculiari caratteristiche»[23], ha personalità giuridica[24] e viene posta sotto la vigilanza del ministero dell’Economia nazionale.

Il nuovo statuto, varato nel 1925 per recepire il mutato ordinamento, modifica la denominazione da consiglio direttivo a consiglio d'amministrazione e la sua composizione, che può andare da un minimo di 11 a un massimo di 15 membri. Ciò consente di estendere ulteriormente la constituency a livello nazionale poiché vengono riservati un posto di diritto a un rappresentante del ministero dell’Economia nazionale e un posto a un rappresentante del ministero della Pubblica istruzione. La marcata connotazione economico-commerciale connaturata al nuovo status e la contestuale riforma delle Camere di commercio operata dal cosiddetto decreto Corbino[25] fanno sì che si rafforzi anche il legame con la Camera di commercio di Milano, che accresce il proprio peso specifico in seno al consiglio, potendo eleggere tre rappresentanti[26]. Potendo ormai contare su oltre vent'anni di storia, la Bocconi apre il consiglio d'amministrazione ai laureati: è infatti previsto che tra i cinque membri di nomina della famiglia Bocconi «uno sia sempre scelto fra i laureati dell’Università»[27].

Il nuovo statuto contiene un’altra importante novità, dato che per la prima volta si fa riferimento al «governo» dell’Università, «esercitato da un Consiglio di Amministrazione, da un rettore e da un Consiglio Accademico secondo le rispettive competenze»[28]. Il rettore viene quindi inserito a pieno titolo nella governance, poiché si prevede anche che faccia parte del consiglio d'amministrazione «sinché dura in carica»[29].

Sono inoltre espressamente previste le figure del vicepresidente e del consigliere delegato, entrambi componenti dell’ufficio di presidenza insieme al presidente[30].

Si delinea così in modo esplicito il sistema di governo dell’Università per come lo conosciamo ancora oggi, con le sue caratteristiche distintive in termini di separazione dei poteri e conseguenti pesi e contrappesi, ispirati alla miglior tradizione di Montesquieu[31].

La presidenza è sempre saldamente nelle mani della famiglia del fondatore; mentre l'amministrazione spetta al consiglio, che nomina il rettore, i professori e il personale amministrativo, delibera sui programmi dei singoli corsi sentito il consiglio accademico, sull’esonero dalle tasse, sul conferimento di premi e borse di studio. Al rettore compete invece la direzione didattica e disciplinare dell’Università. La novità, rispetto all'ormai conclusa fase di fondazione, è la previsione statutaria di nomina dello stesso fra i professori di grado universitario[32]. Infine, al presidente viene attribuita la «rappresentanza giuridica dell'Università»»[33].

Nelle successive versioni dello statuto – 1931 e 1933 – viene incrementato a 19 il numero dei consiglieri. Viene indicato il presidente quale «erede del fondatore o persona designata da lui o dai suoi eredi»[34], aspetto sino a quel momento lasciato a una sorta di understatement istituzionale: occorre precisare che nel 1932 scompare Ettore Bocconi. Salgono a nove i componenti indicati dalla famiglia Bocconi, fra i quali almeno due devono essere scelti tra i laureati.

Viene inoltre introdotto il comitato esecutivo di cinque membri (presidente, vicepresidente, consigliere delegato, rettore, rappresentante del ministero dell’Educazione nazionale) per «l’esame e per la risoluzione delle questioni a esso delegate e in genere per la trattazione di questioni urgenti»[35].

Addentrandosi negli anni Trenta non si rilevano significative variazioni al sistema di governo dell’Università: in quel periodo difficile alla Bocconi si lavora alacremente per la realizzazione della sede di via Sarfatti 25, mentre le principali ingerenze mirano all’ordinamento didattico[36] e, soprattutto a partire dal 1938, e, grazie all’influenza esercitata dal vicepresidente Giovanni Gentile sul capo del governo, alla salvaguardia del corpo docente e del personale amministrativo, laddove non allineati ai dettami del regime[37].

 

Gli anni Cinquanta, la governance della maturità. Nell’immediato dopoguerra la Bocconi condivide con il resto del Paese e con l’intero continente la voglia di rinascita e la speranza per il futuro, che passano attraverso il consolidamento della pace riconquistata e la creazione delle premesse per il rilancio economico e sociale, che si affermerà sin dai primi anni Cinquanta. In quegli stessi anni, precisamente nel 1957, si compie un importante avvicendamento ai vertici della Bocconi: la presidente dell’Università, donna Javotte Bocconi, lascia infatti l’incarico a Furio Cicogna, che ha fatto parte della prima coorte di laureati, i pionieri del 1906, ed è componente del consiglio d'amministrazione dal 1940 e vicepresidente dal 1944, a seguito della scomparsa di Giovanni Gentile[38].

In quegli stessi anni, a opera di alcuni fra i laureati della prima ora, viene costituita l’Associazione Amici della Bocconi con lo scopo di favorire gli «scambi culturali in discipline economiche fra l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e Università oppure Enti esteri similari […], agevolando la circolazione dei risultati delle ricerche prodotte dalle diverse istituzioni e, più in generale, incoraggiando e sponsorizzando qualsiasi iniziativa ritenuta utile al migliore sviluppo dell’Università»[39]. La stessa donna Javotte, nominata presidente onoraria, offre una sede nel suo palazzo di corso Venezia e dona 1.500.000 lire da aggiungersi al fondo di dotazione costituito dalle offerte dei soci.

Un vero e proprio salto di qualità nella vita dell’Associazione si ha però quattro anni più tardi, con la decisione dell’ultima dei Bocconi di lasciare la presidenza dell’Ateneo a una persona di sua fiducia e di preparare la sua successione, attraverso un atto che fa dell’Associazione l’erede del patrimonio e i diritti che i Bocconi si erano riservati nella governance dell’Università.

La Bocconi, con la presidenza Cicogna, realizza pertanto per la prima volta, a poco più di cinquant’anni dalla sua fondazione, un passaggio generazionale «extra-familiare». Si tratta di un cambiamento epocale, opportunamente istruito attraverso l’Associazione Amici della Bocconi alla quale, nel 1965, vengono trasferiti i diritti e il patrimonio degli eredi del fondatore dell’Università. L’Associazione viene da allora denominata Istituto Javotte Bocconi – Associazione Amici della Bocconi. L’art. 4 dello statuto dell’Università viene di conseguenza modificato: la persona destinata a ricoprire la funzione di presidente sarà designata dal consiglio d'amministrazione dell’Istituto Javotte Bocconi, così come nove membri del consiglio d'amministrazione, di cui almeno due scelti fra i laureati dell’Ateneo[40].

Con l’attribuzione dei poteri di nomina del presidente e di nove componenti del consiglio d'amministrazione dell’Università all’Istituto Javotte Bocconi, si crea il veicolo attraverso il quale il patrimonio ideale e materiale che l’ultima erede del fondatore aveva donato all’Università viene salvaguardato e trasmesso.

 

Alle soglie del nuovo secolo: manutenzione straordinaria. Lo statuto è stato modificato anche nel corso degli anni Sessanta, Settata e Ottanta, ma mai in modo sostanziale rispetto al sistema di governo e ai suoi paradigmi, delineati nelle pagine precedenti. Innovazioni ragguardevoli vengono invece introdotte sul finire degli anni Novanta, sull’onda della cosiddetta Riforma Berlinguer, orientata all’autonomia didattica degli atenei statali, ma con riflessi per il sistema universitario nel suo complesso. Lo statuto varato nel 1998 viene infatti esplicitamente denominato «Nuovo Statuto di Autonomia». Tra le novità rilevanti per il sistema di governo si segnalano il prolungamento del mandato del rettore da uno a due anni, sempre rinnovabile, e una modifica «strutturale» della composizione del consiglio d'amministrazione.

Per quanto riguarda la composizione del consiglio, in considerazione dell’importanza assunta dalla Regione nel settore degli studi universitari e del contestuale attenuarsi dell’interesse del ministero dell’Industria a seguito della riforma delle Camere di commercio[41], si prevede l’inserimento di un rappresentante della Regione Lombardia in sostituzione di quello del ministero dell’Industria.

Inoltre, in particolare in funzione del ridisegno del ruolo delle fondazioni bancarie, si stabilisce che la rappresentanza in consiglio storicamente assegnata alla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde passi alla Fondazione Cariplo. Il meccanismo di mantenimento dell’equilibrio esterno-interno è dunque sempre in funzione e la riforma organica dello statuto del 1998 consente di recepire, anche a livello di governo della Bocconi, due tendenze importanti in atto nella società italiana: l’affermarsi del decentramento amministrativo e del principio di sussidiarietà, da un lato, e la progressiva trasformazione del sistema bancario, dall’altro.

In occasione del varo del nuovo statuto, che assume la fisionomia di «statuto quadro» e dunque rimanda ai regolamenti la puntuale definizione delle norme di funzionamento, si ribadiscono la natura privatistica della Bocconi, anche se l’attività svolta dall’Ateneo è di pubblica utilità, e gli aspetti che l’hanno sempre caratterizzata, ossia la marginalità del contributo finanziario pubblico, la designazione della maggioranza dei consiglieri d'amministrazione da parte di enti privati e il sostegno assicurato dall’Istituto Javotte Bocconi – Amici della Bocconi, secondo la volontà del fondatore[42].

Fervet Opus: perché il sistema di governo è un punto di forza

Fervet Opus, citazione di Virgilio diventata il motto della famiglia Bocconi, rimanda al lavoro che procede alacremente, all’attività che fluisce, alla tensione operosa verso un obiettivo.

Nel corso degli ultimi cinquant'anni la velocità di diffusione delle innovazioni ha imposto alle organizzazioni un’accelerazione nei processi decisionali, particolarmente marcata a partire dal Duemila, con la diffusione molecolare di internet e dei social media. La sensazione, spesso, è che la velocità lasci il passo alla fretta. Che si reagisca agli stimoli di breve termine, anziché sulla base di priorità e obiettivi che guardano al lungo periodo. Che l’ansia di comunicare e di apparire prevalga sull’accuratezza del processo decisionale e sulla sostanza stessa delle decisioni. In un certo senso, il rischio è che il fervet si separi dall’opus.

Accanto ai compiti fondamentali di direzione strategica e supervisione della gestione, all’equilibrio dei poteri con opportuni pesi e contrappesi, a una chiara assegnazione di ruoli e responsabilità a livello direzionale, un moderno sistema di governo deve riuscire ad assicurare un saldo legame tra processi decisionali e visione strategica di lungo periodo e di rappresentazione delle istanze dei diversi portatori di interesse.

Un apparente ossimoro: la Bocconi anticonformista

Nell’immaginario collettivo la Bocconi è fortemente associata all’establishment. Difficilmente si può pensare di collegare la nostra Università a iniziative non convenzionali e controcorrente. Eppure questo tratto della Bocconi, benché meno noto ai più, è un elemento cardine del suo essere università libera, indipendente, autonoma da qualsiasi condizionamento.

Qualche esempio può chiarire che cosa si intende.

In un anno sconvolgente per gli equilibri consolidati come il 1968, la Bocconi prese la non facile decisione di chiudere la facoltà di Lingue. Due anni dopo, nel 1970, quando il sistema capitalistico, le imprese e la classe dirigente in generale venivano additati come nemici – purtroppo con risvolti tragici nel nostro Paese per il decennio successivo –, la Bocconi decise di avviare il progetto di creazione della futura Scuola di Direzione Aziendale, nata poi nel 1971, quindi conferendo centralità all’impresa ed elevando la leadership aziendale a disciplina da coltivare nel continuo.

A inizio anni Novanta, quando, sull’onda delle politiche di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, trionfavano il capitalismo, l’economia di mercato e le politiche pubbliche venivano percepite come una fastidiosa ingerenza, la Bocconi creava il corso di laurea in Economia e management delle amministrazioni pubbliche e investiva dunque nella formazione di una classe dirigente in grado di modernizzare e valorizzare il settore pubblico.

Infine, nella seconda metà degli anni Ottanta, quando, pur iniziando a scricchiolare, la cortina di ferro era ancora in piedi e il blocco sovietico per molti continuava a essere visto come un nemico da temere e isolare, l'Ateneo decide di creare un istituto di management a Leningrado, in partnership con l’Università di Leningrado, per contribuire alla formazione di una classe manageriale in grado di concretizzare l’agenda riformista della perestrojka di Gorbachov in ambito economico.

 

Nel sistema di governo della Bocconi, come si è in larga parte già visto nei paragrafi precedenti, questi obiettivi sono raggiunti attraverso il concorso di diversi organi e meccanismi.

Anzitutto il consiglio d'amministrazione, la cui composizione assicura il saldo presidio del progetto del fondatore e la rappresentanza degli interessi rilevanti.

Circa il primo punto, vale la pena ricordare le parole di Sabbatini in una lettera a Ferdinando Bocconi datata 1901:

Si tratta di assicurare un nuovo ordine di studi, mai pensato prima d’ora, mai attuato […]. Si tratta di imprimere alla cultura del Paese un nuovo impulso, un nuovo indirizzo[43].

Lo spirito di innovazione e la volontà di contribuire positivamente allo sviluppo del Paese sono un tratto distintivo della nostra Università e una stella polare per i suoi consiglieri d'amministrazione, in particolare per coloro che vengono nominati dall’Istituto Javotte – Amici della Bocconi e che sono i custodi principali dell’eredità della famiglia Bocconi.

Circa il secondo punto, sono già state ricordate le nomine da parte del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, del Comune e della Città metropolitana di Milano, della Regione Lombardia, della Camera di commercio di Milano, della Fondazione Cariplo, nonché la presenza di almeno tre laureati fra i consiglieri nominati dall’Istituto Javotte Bocconi – Amici della Bocconi. Benché non sia statutariamente previsto, è prassi pluriennale consolidata che fra i consiglieri nominati da quest'ultimo uno rappresenti il corpo docente e uno gli studenti.

Il meccanismo peculiare della governance bocconiana, che agisce prevalentemente sull’asse accademia-amministrazione, è rappresentato dalla separazione dei poteri fra rettore e consigliere delegato, con la figura del presidente che, fatte salve le funzioni istituzionali legate al consiglio d'amministrazione, esercita, laddove necessario, il ruolo di facilitatore qualora dovessero insorgere divergenze di vedute o financo conflitti.

In tale assetto, riveste particolare centralità la figura del rettore, che alla Bocconi, a differenza delle università statali, viene nominato dal consiglio d'amministrazione, su proposta del presidente, e non eletto dal corpo docente. Si tratta di un fattore distintivo della nostra realtà, che assicura al rettore un'investitura forte e autorevole, da parte dell’organo di governo.

Contestualmente alla nomina del rettore, il consiglio approva una «Dichiarazione di indirizzo», che, elaborata in accordo con il rettore, contiene i capisaldi del mandato e gli obiettivi che il rettore si impegna a conseguire.

Il processo seguito per la designazione del nuovo rettore prevede ampie consultazioni nell’ambito del corpo docente, che consentono di identificare la candidata/il candidato che presenta le migliori credenziali per assicurare all’Università una guida scientifica e accademica autorevole e incisiva.

Tali consultazioni sono condotte direttamente dal presidente dell’Università, coadiuvato, a seconda delle circostanze, da altri componenti del comitato esecutivo.

Si tratta di un meccanismo di cooptazione che sottrae la nomina del rettore alle dinamiche elettive, che comportano, per loro stessa natura, l’assunzione di promesse. Tali promesse potrebbero successivamente condizionare l’operato del rettore e la sua autonomia; viceversa, l’autonomia accademico-scientifica del rettore nominato, nei limiti di quanto previsto dallo statuto e dai regolamenti dell’Università, è tutelata dal consiglio d'amministrazione e può per questa ragione essere esercitata in modo pieno.

Un ulteriore vantaggio della selezione del rettore basata sulla nomina da parte del consiglio d'amministrazione, previe consultazioni condotte dal presidente, rispetto all’elezione è il seguente. A volte i rettori che ex post si dimostrano particolarmente efficaci, autorevoli e coinvolgenti sono docenti che non avevano tra le proprie aspirazioni quella di diventare rettore. In un contesto elettorale, non si presenterebbero, preferendo per esempio dedicare tutte le loro energie a traguardi elevatissimi nel campo della ricerca. Ma se è opinione diffusa nel corpo accademico che uno di quei docenti sarebbe il rettore migliore per l’Università, la moral suasion esercitata dal presidente può indurre il docente in questione ad accettare di sacrificarsi per un certo tempo nell’interesse generale dell’Ateneo. Per l’interessato, il costo del sottrarsi a una tale sfida è certo superiore al costo (nullo) del non candidarsi a elezioni.


1

Ringrazio vivamente Achille Marzio Romani, Mirka Giacoletto Papas e in particolare Silvia Colombo per l’aiuto che mi hanno dato con competenza e grande pazienza.

2

«Nei giorni 14 e 15 marzo 1977 si è svolta la Conferenza di Ateneo indetta dalle autorità accademiche, d’intesa con il sindacato unitario CGiL, CISL e UIL – Docenti e non Docenti, sul tema «Ruolo della libera università Bocconi nel sistema universitario italiano, Annuario. Anni accademici 1975/76 - 1976/77 -1977/78.

3

Annuario. Anni accademici 1975/76 - 1976/77 - 1977/78.

4

Statuto 2016, art. 7.1

5

Statuto 1902, art. 6.

6

Come visto nel precedente paragrafo, a norma dello statuto oggi vigente tale attribuzione è circoscritta ai dirigenti, ma in origine riguardava tutti gli impiegati dell’Università (Statuto 1902, art. 9).

7

Statuto 1902, art. 6.

8

Ibidem.

9

Sulla genesi e le vicende dell’Istituto vedi «L’Istituto Javotte Bocconi- Associazione Amici della Bocconi», pp. 737.

10

Statuto 1902, art. 7.

11

Ibidem.

12

Intuiamo però dal discorso di Sabbatini alla prima riunione del consiglio direttivo del 5 luglio 1902 che la sua nomina sia avvenuta a opera del fondatore, che viene infatti per ciò ringraziato. Vedi Storia di una libera università, vol. 1, p. 146.

13

Statuto 1902, art. 8.

14

Ivi, p. 5.

15

Oggi Città metropolitana di Milano, ente territoriale autonomo.

16

Oggi Fondazione Cariplo.

17

Con la revisione statutaria del 1925, il numero di consiglieri in quota alla Camera di commercio di Milano fu elevato a tre.

18

Statuto 1915, art. 6 modificato.

19

Ivi, art. 15.

20

Statuto 1902, art. 10.

21

E che, dopo la morte di Sabbatini e la prematura scomparsa di Majno, la famiglia Bocconi si sarebbe riservata la presidenza dell’Università con Ettore, sino al 1932, e con Javotte sino al 1557. Vedi anche il riquadro a p. xxx.

22

Storia di una libera università, vol. 2, pag. 304.

23

Università Commerciale Luigi Bocconi, Annuario 1924/25.

24

Dalla fondazione al 1925 l’Università era «eletta in Ente morale».

25

Regio decreto 8 maggio 1924.

26

Statuto 1925, art. 4.

27

Ibidem.

28

Statuto 1925, art. 3.

29

Ivi, art. 4

30

Ivi, art. 4.

31

Per evitare la naturale tendenza di chi detiene il potere ad abusarne, è necessario che «il potere freni il potere», Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1798.

32

Statuto 1925, art. 6.

33

Ivi, art. 4.

34

Statuto 1931, art. 4.

35

Ibidem.

36

Nonostante la resistenza opposta anche grazie alla protezione di Giovanni Gentile, essenziale per mantenere l’autonomia della Bocconi in quel periodo terribile, furono introdotte materie come Politica coloniale, Cultura militare, Demografia comparata delle razze. Vedi Storia di una libera università, vol. 2, pp. 394 e 446.

37

Basti ricordare l’appassionata, ma vana, perorazione di Giovanni Gentile davanti al gran consiglio del fascismo nel tentativo di bloccare i provvedimenti assunti in seguito all’emanazione delle leggi per la difesa della razza, contro Gustavo Del Vecchio e Giorgio Mortara. Al filosofo riuscì invece di far tornare dal confino Fausto Pagliari, il direttore della biblioteca, socialista e amico di Piero Sraffa e di Carlo Rosselli e, alcuni anni dopo, a salvaguardare Giovanni Demaria dalle ire del regime, dopo il suo coraggioso intervento al convegno pisano sui «problemi dell’Ordine Nuovo», dove aveva messo in discussione gli stessi principi dell’economia corporativa, prefigurando un «ordine nuovo legato a un grande "mercato europeo unico", a "libere attività aziendali" e alla assoluta eguaglianza di possibilità per i singoli cittadini per operare industrialmente» (Storia di una libera università, vol. 2, pp. 224-229).

38

Storia di una libera università, vol. 3, p. XIV.

39

Vedi «L’Istituto Javotte Bocconi – Associazione Amici della Bocconi», pp. 737.

40

Estratto del verbale della seduta del consiglio d'amministrazione dell’Università Bocconi del 2 luglio 1957, riportato in Storia di una libera università, vol. 3, pp. 208-209.

41

Verbale del consiglio d'amministrazione, 29 maggio 1998.

42

Ibidem.

43

Storia di una libera università, vol. 1, p. 123.

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