Storia della Bocconi

1968-2022. Dalla contestazione all'internazionalizzazione

Una school of law per la Bocconi


Parole chiave: Master

Il Piano 1990/2000, varato dopo circa tre anni di lavoro, nell’aprile 1989[1], ha tra i suoi presupposti la ricerca di un collegamento tra studi economici e altre aree del sapere. Fra le aree con maggiori relazioni, a livello sia scientifico sia pratico, con la ricca articolazione degli insegnamenti economici offerti dalla Bocconi non poteva non annoverarsi il diritto.

Gli insegnamenti giuridici, del resto, furono sin dalla fondazione della Bocconi una componente assai importante. E ciò lo si coglie non solo dall’esame dei piani di studio, ma anche (forse soprattutto) dalle figure dei giuristi che insegnarono in Bocconi e che ebbero un ruolo nella governance bocconiana.

Sei rettori: Luigi Majno, Pietro Bonfante, Ferruccio Bolchini, Angelo Sraffa, Paolo Greco e Gianguido Scalfi, cui si aggiunge, sotto l’aspetto dell’organizzazione degli insegnamenti e della ricerca giuridica (ma non solo), Mario Rotondi, fondatore nel 1936 dell’Istituto di diritto comparato. Carnelutti, Anzillotti, Ascoli, Bonfante, Bolaffio, Buzzati, Pacchioni, Redenti, Alfredo Rocco, Grassetti, Mengoni, si annoverano a titolo di esempio, fra i numerosi giuristi che insegnarono (con contratto) in Bocconi.

L’idea di partenza

Il primo passo nella direzione di una diversificazione specifica della Bocconi nella direzione degli studi giuridici è rappresentato dal corso di laurea in Economia e legislazione per l’impresa previsto, appunto, dal Piano 1990/2000, approvato dal Consiglio di amministrazione il 21 aprile 1989.

Il rettore, all’epoca Mario Monti, ebbe cura di precisare, a proposito del nuovo corso di laurea, come esso, al pari degli altri nuovi corsi proposti dal piano e della revisione di quelli già esistenti, non si proponeva tanto di costruire una «Bocconi a maglia più fitta, con un grado di specializzazione sottile», quanto di perseguire «una grande interdisciplinarietà [...] con una solida base comune a tutti i corsi»[2].

È evidente allora come il nuovo corso di laurea – che nel piano e nella presentazione veniva denominato «Economia e Diritto», successivamente modificato, appunto, in Economia e Legislazione per l’Impresa (CLELI) – si proponeva principalmente di offrire al laureato bocconiano una preparazione con un’accentuata colorazione giuridica. Il laureato continuava a essere un «bocconiano», con una preparazione di base economica, ma con «caratteristiche di preparazioni particolari», in funzione dell’orientamento professionale (e non solo) preferito. E in effetti il CLELI, che iniziò con l’a.a. 1993/94, sotto il profilo degli sbocchi professionali, guardava anzitutto, ma non solo, al dottore commercialista e al revisore contabile: professioni di matrice economica, nelle quali il bisogno di preparazione giuridica con il tempo era andato crescendo.

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In verità, il corso di laurea intendeva preparare anche a «un terzo profilo professionale e, più precisamente, quello di un economista giurista destinato a operare all’interno di aziende o istituzioni amministrative e pubbliche, capace di seguire e di intervenire, a seconda dei ruoli, nei fenomeni di policy making che, a vario titolo, coinvolgono l’organizzazione nella quale opera». E ciò nel presupposto che «lo scenario degli anni a venire , caratterizzato da complesse e organiche discipline dei mercati, finanziari e non, della concorrenza, dell’ambiente, del consumo, delinea infatti già in modo netto l’urgenza di rispondere all’esigenza di fornire professionalità idonee ad assolvere, nell’impresa e nelle istituzioni, i compiti che tali discipline richiederanno, in modo da assicurare non solo adeguate capacità tecniche, ma altresì un essenziale supporto in tema di legalità e trasparenza all’agire nelle imprese»[3].

Quanto al piano di studi, nei primi due anni si aggiunge, rispetto agli insegnamenti giuridici tradizionalmente impartiti nei corsi di economia, come obbligatorio, accanto a diritto privato, pubblico e commerciale, il diritto tributario. Al terzo anno si inseriscono diritto civile e del lavoro, mentre nel quart’anno fondamentale e a carattere annuale è diritto del mercato finanziario e dei mercati mobiliari. Il gioco delle opzioni al terzo e quarto anno, coerente con i vari indirizzi, poteva portare a un piano di studio in cui un terzo dei 26-28 esami era di materie giuridiche.

Di qui, ed era una prospettiva dichiarata, la possibilità di ottenere, con uno al massimo due anni di studi in una facoltà di Giurisprudenza (allora in altro ateneo), anche la laurea in Giurisprudenza. Il diffondersi della doppia laurea nell’ambito delle professioni, per usare un termine generico, di consulente d’impresa e i numerosi corsi che, non solo all’estero, venivano identificati come Business and Law and Law and Economics, attentamente esplorati per la stesura del Piano 1990/2000, furono elementi decisivi sull’istituzione del corso di laurea in Economia e legislazione per l’impresa.

La ridefinizione del piano strategico

Il CLELI, come si è visto, mirava a offrire una caratterizzazione «più marcatamente giuridica» a figure e a studi che rientravano nel profilo a preparazione prevalentemente economica del «laureato Bocconi».

Parallelamente, nella zona contigua delle materie giuridiche si assiste a un crescente bisogno di preparazione vuoi di tipo economico aziendale (contabilità, organizzazione) vuoi attinente all’economia politica (equilibrio del mercato, concorrenza ecc.) e alla finanza (mercati dei valori mobiliari).

Il giurista, e non solo il giurista, che opera in zone di notevole complessità economica, in contesti incisi dalla globalizzazione non può limitare la sua cultura di base a un paio di insegnamenti istituzionali (in genere: economia politica, scienza delle finanze), oltre che a pochi opzionali (talvolta, elementi di statistica e di economia aziendale) che le facoltà di Giurisprudenza offrivano.

A livello scientifico si affermava negli anni Novanta il cosiddetto law and economics, un metodo che, specie a livello di disciplina dell’impresa, della concorrenza, ma anche della crisi d’impresa, ricerca in via legislativa o interpretativa soluzioni che approdano a risultati e assetti efficienti dal punto di vista economico. Concetti quali costi di agenzia, esternalità e, sul piano concorrenziale, modelli di mercato entrano a far parte degli attrezzi di uso comune nella ricerca scientifico-giuridica e nella stessa prassi professionale.

Le professioni tradizionali, in particolare l’avvocatura, in grandi città assistono infatti a un processo di concentrazione e internazionalizzazione con l’affermarsi di branch locali di grandi studi di matrice perlopiù anglosassone. Il che richiede laureati con una formazione internazionale, sensibili, appunto, alle problematiche di un mondo finanziario e imprenditoriale che si muove in un’economia globalizzata e più specificatamente in un mercato europeo fortemente integrato.

Acquistano sempre maggior spazio le attività finanziarie che richiedono ampie conoscenze giuridiche.

A livello di impresa, si affermavano le figure del general counsel e del segretario del consiglio di amministrazione che richiedono una formazione giuridica ad ampio spettro permeata da conoscenze economiche e ampia visione del governo dell’impresa e del contesto in cui opera, come apertura verso l’innovazione.

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In questo clima la Bocconi, in sede di ridefinizione del piano di sviluppo alla vigilia degli anni Novanta, dedicò un gruppo di lavoro coordinato da Giovanni Iudica[4] a definire proposte, interventi nell’area economia e diritto.

La ridefinizione del piano presentata il 27 febbraio 1997, per quanto concerne l’area in questione, propose tre linee di intervento. La prima riguardava alcuni ritocchi al piano di studio CLELI, tra i quali spicca la proposta di attuare un corso di Analisi economica del diritto che avrebbe avuto a oggetto «una informazione generale sui contributi scientifici e conoscitivi dei metodi delle varie scuole di analisi giuridica ed economica, nate e sviluppate negli Stati Uniti d’America che si richiamano agli insegnamenti fondamentali di Richard A. Posner, Guido Calabresi e Ronald Coase»[5].

Il documento ha cura di illustrare i «benefici multipli» che il discorso giuridico ha tratto all’estero e può quindi trarre anche in Italia dal law and economics in questi termini:

  • si è arricchito del ricorso ai criteri di dimostrazione geometrica, tratti dall’economia teorica;
  • ha acquisito una certa capacità predittiva, finora quasi del tutto assente dal mondo giuridico, circa le conseguenze di certe scelte de jure condendo al fine di coglierne le implicazioni di social engineering: per esempio, nel mondo della responsabilità civile automobilistica i possibili effetti delle scelte riformatrici di politica del diritto sono stati analizzati preventivamente sul piano teorico nella celebre monografia di Guido Calabresi The Costs of Accidents. A legal and Economic Analysis prima di divenire diritto positivo;
  • ha potuto sostituire in taluni casi vocaboli polisensi, oscuri e non immediatamente intellegibili, con la fredda precisione delle formule algebriche.

È evidente come il discorso sui «benefici» per il giurista e per gli studi giuridici del law and economics guardava più al versante degli studi giuridici che a quello degli studi economici.

La decisione di istituire un corso di laurea in Giurisprudenza – la seconda e centrale proposta della ridefinizione del piano strategico nell’area dell’economia e diritto – si colloca dunque in un contesto ormai maturo per questa estensione.

Il primo schema di corso di laurea in Giurisprudenza, allora ancora quadriennale, trovava forti vincoli nella regolamentazione ministeriale e si caratterizzava per una fisionomia che non riusciva a concedere ancora molto alle materie economiche.

Sulle 20,5 annualità obbligatorie delle 26 costituenti il piano di studio solo 3 riguardavano materie economiche: metodi e determinazioni quantitative (contabilità e bilancio) con istituzioni di economia politica al primo anno e scienza delle finanze e politica economica al secondo anno. L’ordinamento (allora vigente) consentiva pochi spazi non vincolati e così solo 4,5 su 26 annualità potevano essere attinte da gruppi di insegnamenti economico-aziendalistici, giuridici, interdisciplinari. La scelta doveva essere coerente con uno dei due indirizzi in prima battuta suggeriti: quello pubblicistico-economico e quello privatistico-aziendalistico.

Nell’ambito delle materie giuridiche erano previste come obbligatorie analisi economica del diritto, diritto comunitario, diritto fallimentare (per il quale si proponeva con «vista lunga» pure la denominazione «diritto della crisi dell’impresa»), diritto comparato.

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Per quanto riguarda il post-laurea, si propone un master annuale di Diritto per giuristi d’impresa (che riguarda, in verità, una risalente iniziativa voluta da Ariberto Mignoli). Così ne vengono descritti obiettivi e finalità:

Il corso si propone di arricchire e completare la formazione universitaria del laureato in giurisprudenza, con l’approfondimento, teorico e, soprattutto, pratico e applicativo, delle tradizionali discipline giuridiche relative all’impresa (diritto commerciale e societario, diritto fallimentare, diritto tributario etc.) e l’insegnamento, affiancato da esercitazioni pratiche e applicative, dei profili economico-aziendali di tali materie che rivestano interesse e utilità per il giurista (contabilità e bilancio, introduzione alla finanza aziendale). Per le sue caratteristiche di interdisciplinarietà, il corso si indirizza anche a laureati in economia e commercio e scienze politiche che intendano completare la propria formazione universitaria con riguardo alle materie giuridiche[6].

Contemporaneamente si lancia l’idea un master in Law and Economics, sempre di durata annuale, che si rivolga a economisti già inseriti o che desiderano inserirsi nel settore pubblico, in autorità di regolamentazione indipendenti (Banca d’Italia, Isvap, Consob, Antitrust, Autorità per l’energia e il gas ecc.) e in uffici studi o di programmazione e strategia di grandi imprese.

In questi campi si avverte nella ridefinizione del piano:

è sempre più sentita l’esigenza di dotarsi di soggetti che abbiano competenze interdisciplinari e siano in grado di dialogare con colleghi di diversa provenienza accademica. Esigenza, questa, talmente avvertita cha ha portato anche il presidente dell’Autorità garante della concorrenza, in alcuni recenti interventi, a lamentare la difficoltà di reperire sul mercato laureati con tali caratteristiche, ciò che rende necessario un alto livello di investimenti e un grande dispendio di risorse per ampliare, appunto in senso interdisciplinare, la formazione del personale[7].

Il corso di laurea, ieri e oggi

Mentre il post-laurea trova spazio soprattutto in due dottorati di ricerca (in diritto commerciale e poi in diritto dell’impresa, il primo e in diritto internazionale, il secondo)[8], il corso di laurea in Giurisprudenza prende il via nell’a.a. 1999/2000 con durata quadriennale[9].

L’obiettivo formativo viene identificato nel fornire adeguate conoscenze di metodo e di contenuti culturali, scientifici e professionali per la formazione di giuristi che operano per e con l’impresa e/o nell’impresa e che quindi si qualificano anche per la specifica competenza in materia economica, aziendale e finanziaria e per un taglio internazionale e, in particolare, europeo.

Gli sbocchi professionali non escludono affatto, ma comprendono, le professioni tradizionali (magistrati, notai, avvocati) che richiedono sempre più «peculiare competenza in ambito economico». Si aggiungono i giuristi «interni» d’impresa come pure i giuristi «specializzati in rapporti con le istituzioni estere o sovranazionali, ovvero giuristi per le istituzioni specializzate nell’attività delle agenzie pubbliche o giuristi finanziari».

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In coerenza con questi sbocchi, si consigliano (ferma la possibilità di un piano libero) quattro indirizzi: giurista d’impresa, giurista internazionale, giurista per le istituzioni, giurista finanziario. Lo spazio per coltivare questi sentieri è tuttavia necessariamente limitato a ben pochi crediti. Conformemente alla struttura degli altri corsi bocconiani vi sono crediti riservati alla lingua inglese e all’informatica. La preparazione di base su questi due versanti è considerata un presupposto essenziale di un laureato anche in giurisprudenza che stia ai tempi[10].

Il piano di studi, nel momento in cui (a.a. 1999/2000) prende il via il corso di laurea in Giurisprudenza (in sigla CLG o anche CLSG), riserva poi dieci crediti ad attività formative diverse, quali stage presso studi professionali, imprese o istituzioni, seminari su casi particolari (cosiddetti clinic) o insegnamenti opzionali aggiuntivi compresa una seconda lingua straniera.

Dei 182 crediti attribuiti agli insegnamenti obbligatori 50 riguardano materie economiche, compreso al primo anno un corso di 8 crediti di metodi quantitativi (ben presto apparirà una dispensa ad hoc per giuristi). Si aggiungono gli insegnamenti di economia aziendale, microeconomia, macroeconomia (politica economica), economia e gestione delle imprese, economia degli intermediari finanziari, scienze delle finanze[11].

Nel più aggiornato assetto del CLG quinquennale, le materie obbligatorie economiche sono 6 su 33: metodi quantitativi, principi di micro e macroeconomia, scienza delle finanze, economia aziendale, contabilità e bilancio. Appaiono insegnamenti interdisciplinari (diritto ed economia dei mercati finanziari, già sperimentato in passato nell’ambito di corsi di economia, ma anche storia giuridica delle istituzioni economiche). Largo spazio agli insegnamenti internazionalistici, ai corsi progrediti, ai corsi in inglese. Quattro opzionali in coerenza con percorsi (oltre il piano libero) suggeriti che diventano tre: diritto societario, dei mercati finanziari e della concorrenza; litigation e negoziazione; internazionale pubblicistico. Rimane spazio per stage, clinic, un quinto opzionale[12].

Un lungo cammino, dunque, al ventennio dalla nascita del corso di laurea in Giurisprudenza; un cammino che, pur nella specificità, vuol essere fedele alle ispirazioni interdisciplinari, internazionali, fortemente formative dell’inizio, armonizzandosi così, con un profilo fortemente originale rispetto alla maggior parte delle facoltà di Giurisprudenza, alla direttrice dell’Università che lo accoglie.


1

Università L. Bocconi, Piano 1990/2000, Arch. Resti/Boccon 1 L/4.

2

«Università commerciale Luigi Bocconi. Inaugurazione dell’anno accademico 1990/91, Relazione del rettore prof. Mario Monti, 22 ottobre 1990», supplemento n. 1 al n. 45 di Bocconi Notizie; «Università Commerciale Luigi Bocconi. Piano 1990/2000», supplemento n. 1 al n. 40 di Bocconi Notizie, 25 luglio 1990.

3

Tutto Studenti, 1993/1994, vol. II, p. 120.

4

Gruppo diviso in tre sottocommissioni dedicate una ciascuna alle tre linee di possibili interventi di cui si dirà tra poco.

5

«Ridefinizione del Piano di Sviluppo dell’Università Bocconi», Archivio Bocconi, Affari Generali, pp. 94 ss.

6

Ibidem, p. 107.

7

Ibidem.

8

Dottorati oggi unificati cui si affiancano la scuola di specializzazione forense in joint venture con l’Università di Pavia e la ripresa di un master, a taglio più professionale, per giuristi di impresa, organizzato con Borsa Valori.

9

La durata quinquennale, conformemente alla nuova regolamentazione nazionale, parte dall’a.a. 2001/02 nello schema «3+2», per poi assestarsi in un corso unico quinquennale, senza quindi la cosiddetta laurea breve dopo il triennio, nell’a.a. 2006/07.

10

«Ridefinizione del Piano di Sviluppo dell’Università Bocconi», cit., pp. 100 ss.

11

Tutto Studenti 1999/2000, p. 28, 65 ss.

12

Tutto Studenti 2006/2007, pp. 49 ss.

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