Storia della Bocconi

1968-2022. Dalla contestazione all'internazionalizzazione

La crescita e il consolidamento


Parole chiave: Dematté Claudio, Master

La crescita e il modello organizzativo

La crescita delle iniziative e la loro diversificazione fecero emergere l’esigenza di una riformulazione della missione della Scuola nonché i limiti di un modello organizzativo e gestionale avviato e sviluppato all’interno dei processi e delle strutture dell’Università, per sua natura caratterizzata da dinamiche meno veloci e da minore esposizione alla competizione e al mercato.

Quanto alla missione, a seguito di un ampio dibattito sulla strategia della Scuola, essa venne riformulata, da un lato, confermando e specificando la vocazione di concorrere a rendere migliori – attraverso le attività di formazione manageriale – le organizzazioni produttive di qualsiasi tipo e, dall’altro, definendo alcune condizioni essenziali per poterla realizzare. Precisamente, vennero individuate tre condizioni di efficacia dell’attività della Scuola: «la produzione autonoma di cultura gestionale attraverso la ricerca», «un significativo collegamento con le aziende italiane», «un costante confronto con le altre scuole internazionali». Tali condizioni, a loro volta, presupponevano la volontà di operare «nella più ampia autonomia gestionale e di valori» e «nella tendenziale autosufficienza».

Quanto al modello organizzativo e gestionale, apparvero evidenti la necessità di un’emancipazione organizzativa e l’avvio di un progetto che assegnasse alla Scuola strutture proprie, personale e docenti fortemente impegnati, nonché un ruolo chiaro nell’ambito delle scelte strategiche dell’Università Bocconi. Claudio Demattè si fece portatore delle istanze del comitato di gestione della Scuola[1] presso gli organi di governo dell’Università chiedendo di «decidere se Bocconi vuole una Business School autentica [...] o se intende autoescludersi da questa prospettiva, avendo dimostrato con i fatti l’esistenza del bisogno anche nel nostro Paese per una Scuola di management e delle capacità per soddisfarlo»[2]. A seguito di ciò furono create tre posizioni dedicate alla SDA, assegnate a Pierfranco Camussone, Gianfranco Piantoni e Giorgio Fiorentini[3]. Ma, dopo questo promettente avvio, il tema di una core faculty, fatta di professori di ruolo dedicati interamente (o quasi) alla Scuola, rimase un problema irrisolto[4].

Nel contempo si formalizzò la struttura organizzativa a matrice della Scuola, affiancando alle nove aree disciplinari preposte allo sviluppo delle competenze, quattro divisioni – Master, Sviluppo direzionale, Bancaria, Documentazione e Pubblicazioni – le prime tre impegnate a presidiare i segmenti di mercato di riferimento e la quarta[5] a consolidare il patrimonio di conoscenze sviluppato dai docenti della Scuola e a promuoverne la conversione in pubblicazioni. A tali divisioni, nel 1982 si aggiunse la divisione Amministrazioni pubbliche, che avrebbe giocato un ruolo fondamentale nel processo di ammodernamento manageriale del settore pubblico e della sanità del Paese. Nel 1984, in staff alla direzione, si istituì la funzione Sviluppo Risorse, con il compito di mettere ordine e monitorare la crescita della faculty[6]. Nel medesimo anno, per la prima volta, venne redatto un dépliant di presentazione in inglese.

Intanto la SDA, nella seconda metà degli anni Ottanta, proseguiva senza interruzione nel suo percorso di sviluppo delle attività e del corpo docente. La progettazione dei corsi nasceva da una forte interazione con le imprese, le banche e le istituzioni pubbliche. Come molti docenti cresciuti in SDA in quegli anni ricordano, i giovani che entravano a far parte della Scuola venivano invitati a suddividere il loro tempo in tre parti: un terzo da dedicare alle attività accademiche, un terzo alle attività di formazione in SDA e un terzo a coltivare le relazioni con le aziende, attraverso progetti, consulenza, sviluppo di casi e ricerca di base. Si trattava di una prospettiva di crescita professionale entusiasmante, una sfida a tutto tondo, che faceva leva sulla possibilità di realizzare forti sinergie tra lo studio delle dinamiche e dei processi manageriali e l’immediata verifica sul campo. La frequentazione e il contatto diretto con i vertici, i direttori del personale e i capi funzione delle aziende producevano un arricchimento preziosissimo che, riletto e traguardato con la lente dei modelli sviluppati dalla ricerca, veniva poi restituito attraverso la formazione. Quest’ultima si poneva un obiettivo ampio, di arricchimento del partecipante sotto il profilo non solo tecnico, ma anche culturale, nella consapevolezza della finalità ultima della Scuola: contribuire allo sviluppo del Paese e del suo sistema economico.

Alla progressiva affermazione delle attività della Scuola si accompagnava la necessità di affrontare il tema sempre aperto dell’integrazione/differenziazione nei rapporti con l’Università, tema che, nelle riflessioni di Claudio Demattè, «non va risolto in forma oppositiva: o l’una o l’altra. La soluzione ottimale consiste nel creare la differenziazione accompagnandola con i corretti e adeguati meccanismi di integrazione»[7].

 

1986: la nuova sede di via Bocconi 8. L’evento più importante della prima metà degli anni Ottanta fu la realizzazione della sede della Scuola in via Bocconi 8, completata nel 1985 ed entrata in operatività nel 1986. Si trattò di una svolta per la vita della SDA, delle persone che in essa lavoravano, per i partecipanti stessi e per l’organizzazione delle attività didattiche. Una svolta simbolica, perché finalmente si affermava in modo tangibile l’esistenza di un’importante unità della Bocconi che – rivolgendosi a un mercato, diverso, maggiormente dinamico e più esigente di quello universitario – rivestiva un ruolo cruciale nella crescita della reputazione dell’Ateneo e delle relazioni con la business community; una svolta identitaria, perché le persone che vedevano nella Scuola il centro dei loro interessi potevano contare finalmente su una «casa» nella quale sperimentare progetti e svolgere la propria attività. E si trattava di una casa funzionale sotto ogni aspetto, perché progettata ad hoc e dotata di attrezzature didattiche innovative; di un numero di aule, tutte ad anfiteatro, capaci di assorbire i volumi di attività dell’epoca; di spazi adeguati non solo per i docenti ma anche per lo staff e i servizi di supporto.

Per molti giovani cresciuti in SDA in quegli anni, il senso di appartenenza alle aree e alla SDA, prima ancora che alla Bocconi, si formò nella frequentazione assidua dei piani di via Bocconi 8. La faculty lavorava, assieme al personale di staff, in un esteso open space, collocato al terzo piano dell’edificio. Ciò consentiva una continua interazione e un coordinamento informale che condussero, oltre al rafforzamento di molti legami personali, alla nascita di quello spirito, racchiuso nella definizione di «imprenditorialità diffusa», che tutti in SDA ben conoscevano. Vi era una grande libertà di proporre e sperimentare, di creare nuovi programmi e progetti, di testare sul mercato le proprie idee; ma era ben chiara la necessità di dover render conto dei risultati economici di area, divisione e Scuola, elemento di garanzia della sua autonomia e fondamento per lo sviluppo. Grazie anche ai nuovi spazi, nel 1986, raggiunti i 108 partecipanti, venne deliberato il raddoppio dell’aula MDA con l’obiettivo di garantire una didattica fortemente interattiva, fiore all’occhiello del programma e, fatto ancor più importante, di avviare il processo che di lì a qualche anno sarebbe sfociato nell’internazionalizzazione del programma.

 

Riflessioni sul futuro della Scuola. All’inizio degli anni Novanta la crisi italiana si fece sentire in molte scuole e istituti di formazione. Per quanto la SDA avesse sofferto meno, si avviarono approfondite riflessioni sul futuro della formazione, sul ruolo che la Scuola avrebbe potuto giocare nel medio periodo e sul modello organizzativo più idoneo a perseguire gli obiettivi di sviluppo. Vennero così costituiti alcuni gruppi di lavoro su diversi temi e, nel maggio 1992, si tenne a villa La Motta una «due giorni» sulle «Prospettive evolutive della SDA», aprendo un dibattito sulle possibili alternative strategiche di sviluppo e sul sistema di coerenze interne alla struttura organizzativa. Emersero in quella sede spunti di diagnosi e linee guida che contribuirono a orientare, in seguito, molte scelte della SDA. In particolare, il dibattito mise in evidenza come i bisogni di formazione richiedessero lo sviluppo di un know-how sempre più fondato su attività di ricerca e come, per rispondere adeguatamente alle crescenti richieste di programmi formativi su misura, fosse necessario costituire aggregazioni flessibili di competenze variegate e un sistema di alleanze così da colmare i possibili gap di competenze interne.

Nel dicembre del medesimo anno la Scuola lanciò un insieme coordinato di progetti su temi quali: l’internazionalizzazione, i nuovi programmi master, la qualità totale, la comunicazione e l’immagine. In quell’occasione, inoltre, si segnalò l’opportunità di «potenziare una funzione di fundraising e di avere maggior cura nella gestione degli ex allievi»[8] e si ribadì la necessità di sviluppare una core faculty di docenti stabili, in grado di esprimere i valori culturali di fondo della Scuola: docenti che considerassero prioritaria l’attività svolta in SDA, bilanciando l’immagine individuale con quella istituzionale, con un profilo professionale elevato e la disponibilità a un impegno intenso e non programmabile, al fine di rendere la Scuola flessibile e in grado di attivare risposte in tempi brevi, come richiesto dal mercato.

 

La Scuola si struttura per governare la complessità. Nonostante il contesto economico non favorevole, negli anni seguenti la Scuola visse una stagione di crescita ininterrotta, che la portò a offrire al mercato circa 350 iniziative executive all’anno. All’inizio degli anni Novanta si pose pertanto l’esigenza di mettere ordine nell’esteso catalogo di iniziative offerte e di ridisegnare i corsi per il top management e per le piccole e medie imprese[9]. I corsi di general management vennero rivisti e razionalizzati, mentre l’offerta di corsi funzionali sviluppati all’interno delle diverse aree venne riaggregata attorno ad alcuni temi sui quali si decise di investire con maggior vigore. Furono così creati gruppi di docenti interessati ad approfondire lo studio di settori quali la moda e il design, il turismo, la cultura e i servizi professionali, che diedero luogo a nuovi progetti di ricerca e formazione e, in seguito, a contenuti e programmi che avrebbero popolato anche i corsi di studio dell’Università. Parallelamente, altri si dedicarono ai temi dell’ambiente, delle piccole imprese, dell’internazionalizzazione e della gestione delle crisi. Per sostenere queste iniziative, la Scuola stanziò un budget di oltre 150 milioni di lire, frutto dei margini prodotti. Si assisté così a un ulteriore sviluppo, al quale contribuì pure la divisione Master con il lancio nel 1999 di un innovativo corso rivolto ai primi livelli delle aziende, l’Executive Program, che si trasformò in seguito nel primo Executive MBA della Scuola.

Allo sviluppo dei volumi di attività corrispose una crescita nel fabbisogno di aule e infrastrutture: nel 1992, la Scuola acquisì la sede di via Balilla che da quel momento divenne la seconda casa della SDA, dedicata ai programmi MBA e master; nel 1994 venne annessa la sede di via Salasco, che avrebbe ospitato per alcuni anni gli uffici amministrativi della Scuola.

Sul finire degli anni Novanta, i rapidi cambiamenti esterni, i primi passi un poco confusi della riforma universitaria, l’ulteriore crescita della Scuola, le pressioni per affermare sempre più la stessa nel panorama internazionale indussero Claudio Demattè ed Elio Borgonovi, su richiesta del rettore Roberto Ruozi e del consiglio direttivo della SDA, a riprendere la riflessione sul futuro della Scuola, demandando a una «commissione strategica» il compito di analizzarne a tutto tondo il posizionamento, i mercati, le attività, l’organizzazione e i processi, con l’obiettivo di formulare le linee guida per il suo futuro[10]. Nel contempo emerse l’esigenza di una maggior strutturazione dei processi di pianificazione e controllo interni, che vennero affidati a Sandro Carmo. Solo in seguito vennero istituite una direzione operativa e, nei primi mesi del 2000, un’unità di controllo di gestione affidate a Andrea Gasparri e Lucia Benedetti.

Lo sviluppo delle attività di ricerca e dell’innovazione didattica

La divisione Ricerche e la rivista Economia & Management. Dall’avvio della Scuola, le attività di ricerca applicata venivano svolte a livello individuale o in piccoli gruppi, generalmente afferenti alle diverse aree, al fine di sviluppare contenuti e modelli da trasferire in aula o diffondere attraverso pubblicazioni prevalentemente a livello nazionale.

Con l’obiettivo di istituzionalizzare e rafforzare il legame tra ricerca e formazione, la Scuola decise di investire intensamente nella ricerca manageriale e nella diffusione dei suoi risultati. Nacquero così la divisione Ricerche (DIR), affidata a Giancarlo Forestieri, nel 1987, ed Economia & Management, da quel momento rivista e voce della Scuola, che pubblicò il numero 1 nel marzo 1988. Il progetto editoriale, fortemente voluto da Claudio, ambiva a discostarsi dalle riviste allora esistenti, coniugando rigore e rilevanza – aspirazione tuttora al centro del dibattito sulla ricerca manageriale – e rivolgendosi al management del Paese, con un linguaggio chiaro e contenuti qualificati da evidenze empiriche e metodi rigorosi.

La nascita della divisione Ricerche costituì un momento importante per la SDA, che istituzionalizzò così parte dell’attività di sviluppo della conoscenza fino ad allora delegata principalmente alla ricerca individuale, spesso guidata da obiettivi esclusivi di carriera accademica. Pure fondamentale fu Economia & Management, inserita nella divisione Ricerche, da cui trasse alimento di contenuti e proposte sfociati anche in importanti convegni e conferenze. Nel 2000 la rinnovata direzione della DIR[11] impresse nuovo impulso per dare una prospettiva internazionale alle attività di ricerca della Scuola, stipulando un accordo con la ECCH – European Case Clearing House per creare una case collection SDA Bocconi cui venivano candidati, dopo un processo di revisione interna, i migliori casi prodotti dai docenti SDA. Inoltre, la collana di working paper venne inserita nel SSRN (Social Science Research Network) e vennero promossi i primi premi («Best Paper» e «Caso dell’Anno») che da quel momento furono annualmente celebrati nella Giornata della Ricerca[12].

 

L’innovazione nella didattica e nei processi di apprendimento. L’attenzione alla didattica fu un tratto caratterizzante lo sviluppo della Scuola sin dalle sue origini. A partire dai primissimi anni Settanta vennero organizzate, con cadenza annuale, iniziative focalizzate sullo sviluppo dei metodi didattici. Inizialmente si trattò di incontri dedicati alla condivisione e discussione dei casi sviluppati dal gruppo di lavoro incaricato di progettare la prima edizione del MDA.

L’esigenza di produrre e testare tutto il materiale didattico necessario al programma indusse la Scuola a organizzare nel dicembre 1974 un incontro presso l’Hotel Griso di Lecco, cui parteciparono tutti i docenti – allora una trentina! – dai più senior ai neoentrati, dedicato alla presentazione e discussione dei primi casi di studio redatti «in casa».

Vennero in seguito organizzati incontri anche di maggior durata, tra cui un primo sui metodi didattici, progettato da Giuseppe Airoldi con l’aiuto di Severino Salvemini, appena entrato in SDA, utilizzando il materiale elaborato dall’International Labour Organization (ILO). In seguito, il know-how sviluppato internamente sul tema si tradusse in altre iniziative, tra cui i primi programmi di formazione dei formatori[13]. Nel medesimo periodo venne progettato il CISCAD (Corso Intensivo di Sviluppo delle Capacità Didattiche).

Nel frattempo, i fabbisogni legati alla significativa crescita del corpo docente della Scuola e alla volontà di offrire a tutti un percorso di sviluppo delle proprie capacità didattiche per affermare uno «stile di insegnamento» riconoscibile, non potevano essere soddisfatti con il solo programma International Teachers Program, sia per limiti di budget sia per l’impossibilità di colonizzare il programma internazionale con una presenza eccessiva di giovani docenti della Scuola.

Nel 1990 nacque così il Servizio Interno di Sviluppo della Didattica e dell’Apprendimento (SISDA) – avente come missione la «formazione e consulenza per i docenti SDA sul mestiere di docente e dell’insegnamento in genere»[14] – che lanciò il corso Apprendere Come Insegnare (ACI).

Nell’iter di crescita interna, la partecipazione al corso ACI 1 costituiva per i giovani docenti un importante rito di iniziazione; la possibilità poi di frequentare il corso ACI 2[15], dopo almeno quattro anni di didattica attiva, era considerata una tappa fondamentale per poter affrontare le aule più complesse e sfidanti sotto il profilo delle capacità didattiche come il corso biennale serale o l’MBA.

A tali corsi venivano invitati anche i docenti dell’Università Bocconi e, nel breve periodo di più stretta collaborazione con il Politecnico, anche alcuni docenti del MIP.

La necessità di continuare a investire in innovazione didattica indusse la Scuola a mantenere un’unità interna e autonoma, specificatamente dedicata allo sviluppo e all’impiego di tecnologie e metodi di insegnamento innovativi. Grazie ai continui investimenti effettuati, la SDA ha svolto e continua a svolgere un ruolo trainante nell’innovazione didattica, di cui si sono giovati l’intero Ateneo e tutte le altre università, italiane e non, in cui i docenti della Scuola hanno insegnato.

Il processo di internazionalizzazione della Scuola

L’internazionalizzazione tra gli anni Ottanta e Novanta. A partire dal 1986, il processo di internazionalizzazione della Scuola ricevette un forte impulso. Il nuovo direttore del master Luigi Tava[16], al quale era stato posto come obiettivo primario quello di un’aula in inglese, continuò a gestire le due classi in italiano per tre edizioni, ma con un grande investimento nello sviluppo di materiali didattici in lingua inglese e in docenti in grado di insegnare in inglese, nel mentre proseguiva, insieme alle altre business school europee facenti parte della Lega, l’attività di promozione in Europa e negli USA[17]. A partire dalla quarta edizione l’MDA (rinominato MBA – Master in Business Administration, nel 1990) si svolse con un’aula in italiano e una in inglese, quest’ultima con una faculty che includeva numerosi visiting professor. Malgrado il lungo lavoro preparatorio, nel passaggio dalla prima alla seconda edizione vi fu un ricambio di sedici docenti dell’aula in inglese.

Contemporaneamente alla sfida dell’aula in inglese, la SDA si era data un altro obiettivo, quello di un programma, assimilabile a un MA (Master of Arts) che, oltre agli aziendalisti, coinvolgesse economisti e giuristi. Venne così costituito un gruppo di progettazione, che produsse il MIEM (Master in International Economics and Management), un programma full time di 12 mesi che, a differenza dei master specialistici dell’epoca, ambiva a integrare conoscenze di economia, diritto e management. L’aula in inglese del MDA e il MIEM partirono insieme[18].

Nella seconda metà degli anni Ottanta la SDA fu protagonista di un’altra vicenda che diede grande visibilità e prestigio internazionale alla Bocconi e che, negli anni Novanta, avrebbe avuto seguito nello sviluppo dei progetti internazionali finanziati dalla UE; una vicenda che culminò, nel dicembre 1989, con la visita di Gorbaciov a Milano e l’incontro al Castello Sforzesco con il presidente Giovanni Spadolini e l’intero corpo accademico della Bocconi[19]. L’inizio, come non di rado accade anche per vicende straordinarie, fu del tutto casuale. Nel 1987 approdò in Bocconi una delegazione della tv di Stato dell’Unione Sovietica che stava facendo un tour attraverso le università più innovative in Europa. Luigi Tava, all’uopo mobilitato, in un’aula del nuovo edificio della SDA fece una lezione simulata apposta per loro, che entrò a far parte di un servizio messo in onda sulla rete internazionale russa mentre si teneva a Leningrado (poi San Pietroburgo) un convegno internazionale di fisici. A detto convegno erano presenti Sergio Servadio, professore di fisica dell’Università di Pisa, e Stanislav Petrovich Merkuriev, nella duplice veste di fisico e rettore dell’Università. Mentre conversavano, comparve sullo schermo televisivo Tava che faceva la sua lezione simulata. Servadio, che lo conosceva, disse: «Quello lì è un mio amico» e Merkuriev: «Creami un contatto».

Il contatto si verificò nell’ottobre 1988 allorché Merkuriev, in Italia per partecipare alle celebrazioni del nono centenario dell’Università di Bologna, venne in visita alla Bocconi. Si instaurò subito un rapporto di simpatia e fiducia reciproca e ci si accordò per creare presso l’Università di Leningrado una scuola di management: la Bocconi avrebbe fornito le competenze senza gravare sul bilancio dell’iniziativa, l’Università di Leningrado avrebbe messo a disposizione le strutture fisiche. Da quell’incontro dunque prese avvio un processo che avrebbe portato, nel luglio 1989, alla fondazione di LIMI[20], joint venture a mezzeria fra Bocconi e Università di Leningrado, suggellata, come si è detto, nel dicembre dello stesso anno dall’incontro con Gorbaciov al Castello Sforzesco.

La task force messa in campo dalla SDA dovette affrontare problemi di non poco conto, a cominciare da quello dell’assetto giuridico, che dovette essere cambiato più volte, e da quello della regolare tenuta dei conti (la contabilità con le registrazioni in partita doppia era del tutto sconosciuta). Ma l’esperienza – che, a missione ampiamente compiuta, si concluse con lo scioglimento della joint venture[21] – fece della SDA la candidata più qualificata per realizzare i progetti di formazione manageriale e imprenditoriale dell’Unione Europea, volti ad accompagnare la transizione dei Paesi dell’Est Europa da economie pianificate a economie di mercato.

Il 1990 segnò anche il cambio di denominazione della Scuola, che si modificò in SDA Bocconi School of Management. Ciò per due ragioni principali: la prima per sostenerne la riconoscibilità a livello internazionale; la seconda per sottolineare, anche sul piano internazionale, il proprio posizionamento strategico: non solo una Scuola di business (come le molte business school allora presenti), ma Scuola impegnata a contribuire allo sviluppo e alla diffusione della cultura manageriale nei diversi segmenti delle imprese, del sistema finanziario e bancario, della pubblica amministrazione e del non profit. Si volle così comunicare a tutto il mondo una scelta di posizionamento fondato sui valori e sulla missione che ancora oggi ne qualificano la presenza a livello nazionale e internazionale.

 

L’internazionalizzazione della SDA alla fine del millennio. Quattro furono gli eventi salienti dello sviluppo internazionale della SDA nel corso degli anni Novanta: i progetti internazionali, il lancio del PhD in Management,  Master of International Healthcare Management, Economics and Policy (MIHMEP), l’avvio dei processi di accreditamento e l’entrata nei ranking.

  • Progetti internazionali UE. Mentre continuava l’impegno sul progetto IMISP, la SDA si trovò a fronteggiare la domanda di partecipazione a progetti della UE principalmente, ma non unicamente, rivolti ai Paesi dell’Europa Orientale in vista delle privatizzazioni. Si trattava in buona sostanza di aiutare il passaggio dei vecchi funzionari da responsabili di unità di produzione e distribuzione di economie centralizzate a responsabili di aziende vere e proprie, operanti sul mercato e dotate di piena autonomia. Agli inizi la SDA, grazie alle competenze e alla credibilità maturate con IMISP, fu praticamente senza concorrenti di rilievo nella partecipazione ai bandi della UE; successivamente, nella seconda metà degli anni Novanta, tutte le business school si lanciarono su questo filone di lavoro[22]. Per fare fronte alla situazione, nel 1992 venne costituita l’unità Progetti internazionali con a capo un associate dean per l’internazionalizzazione, con il compito di partecipare ai bandi e di mobilitare le risorse necessarie attingendole dalle aree[23].
  • PhD in Economia aziendale e management. A seguito dell’istituzione dei dottorati di ricerca in Italia[24], l’Università Bocconi creò un consorzio con le Università di Pavia e Parma finalizzato alla progettazione e all’erogazione di un dottorato in economia aziendale, che, pur di buon livello rispetto ad analoghe iniziative in Italia, non era in grado di confrontarsi a livello internazionale. Nel frattempo prese piede l’idea di avviare un dottorato che, per contenuti e struttura, si avvicinasse maggiormente ai PhD di stampo anglosassone, ma il progetto restò sostanzialmente bloccato per alcuni anni. A circa metà degli anni Novanta ci si convinse che i tempi erano maturi per lanciare un programma di PhD con l’obiettivo di compiere un salto di qualità nel reclutamento di giovani da inserire nella Scuola. Doveva necessariamente trattarsi di un’iniziativa del dipartimento di Economia aziendale (DEA). Le cose furono facilitate anche dal fatto che, all’epoca, le cariche di presidente della Scuola e di direttore del DEA facevano entrambe capo a Vittorio Coda. Si individuò la persona giusta da mettere a capo dell’iniziativa in Salvio Vicari, che si mise subito all’opera per elaborare un progetto in linea con gli standard internazionali. Il progetto venne presentato in una contrastata riunione degli ordinari del DEA. L’obiezione era che sarebbe stato un titolo non riconosciuto dallo Stato e quindi non spendibile agli effetti della carriera accademica nazionale. Alla fine, grazie all’appoggio degli ordinari vicini alla SDA, il dipartimento lo approvò.

La prima edizione del PhD in Economia aziendale e management partì con l’a.a. 1995/96, dopo circa un anno e mezzo di progettazione. Due anni dopo fu adeguato ai requisiti della normativa nazionale, senza perdere le caratteristiche che lo avevano ispirato. Nel 2002, il programma modificò la propria struttura e da allora fu erogato integralmente in inglese, diventò un prodotto autonomo dell’Università e perse in parte la missione originaria di canale preferenziale di reclutamento di giovani docenti per la SDA e gli istituti del DEA come era stato in passato. La Scuola, visto anche il crescente prestigio del programma, decise comunque di continuare a sostenerlo finanziariamente[25].

  • Master IMHC. L’area Pubblica amministrazione e le iniziative a essa afferenti conobbero un grande sviluppo negli anni Novanta. In particolare due giovani vennero inviati all’estero, uno a Harvard e l’altro a Londra, per conseguire un master nel settore. Nella seconda metà del decennio, tenuto conto della robustezza dell’area e dello spazio lasciato libero dalle altre business school  che offrivano master sulla sanità prevalentemente tagliati su problemi di policy e di economics  si pensò a un master universitario in inglese a tempo pieno in management sanitario, da lanciare sul mercato internazionale. Il master partì nel 1999 ed è tuttora attivo con classi costituite per il 75-80 per cento da studenti stranieri. L’International Master in Health Care segnò il terzo grande salto nello sviluppo dell’area PA, dopo quelli del CORGESAN (1982) e del progetto FS (1988).
  • Gli accreditamenti e i ranking. Alla fine degli anni Ottanta, Claudio Demattè  con il sostegno di IMD (Institute for Management Development) e LBS (London Business School)  cercava di promuovere la costituzione di un ente di accreditamento sotto l’egida delle principali business school europee. Nel frattempo, l’Association to Advanced Collegiate School of Business (AACSB), principale ente di accreditamento statunitense, aveva avviato una campagna per entrare in Europa e accreditare le scuole europee. La cosa destò un certo interesse, ma l’associazione americana era troppo appiattita sui sistemi di education USA. Nacque così, attraverso Equal (think tank che raccoglieva tutte le associazioni delle scuole europee e che fece da incubatore del nuovo progetto), il sistema di accreditamento europeo European Quality Improvement System (EQUIS). Inizialmente emerse una certa resistenza ad avviare il processo di accreditamento della Scuola: i documenti interni erano in italiano e non da tutti era compresa la portata, sotto il profilo dell’apertura internazionale, di un accreditamento; ma i più avveduti capirono che sarebbe stata l’occasione per avviare in modo strutturato il confronto con le altre scuole europee. La Scuola ottenne il suo primo accreditamento nel 1999 e da allora, a cadenza quinquennale, è stato confermato il riaccreditamento pieno, pur in un contesto sempre più competitivo. L’accreditamento era un prerequisito per entrare nei ranking elaborati dal Financial Times, allora visti con un certo scettiscismo da una parte della faculty. Se oggi il posizionamento nei ranking, nel frattempo moltiplicatisi, ha assunto un peso centrale nel set di obiettivi dell’intera Università quale misura della sua reputazione internazionale, allora si trattò di una decisione pionieristica, che introdusse complessità ma che alla fine pagò.

1

Il comitato di gestione costituiva l’organo fondamentale per gestire la Scuola. Questa era ormai diventata un’organizzazione complessa con una struttura a matrice, nei cui organi di comando si trovavano anche professori ordinari della Bocconi o di altre università.

2

Consiglio Direttivo, 20 luglio 1980.

3

Non essendo inquadrabile nei ruoli accademici, la posizione poggiava su un contratto che la assimilava al ruolo dirigenziale dell’Università.

4

Solo nel 2013 la Scuola ottenne di avviare i primi contratti da SDA Professor in Management Practice, poi estesi e modificati nella natura contrattuale nel 2018.

5

La divisione Documentazione e Pubblicazioni si sarebbe poi trasformata, come vedremo a breve, nella divisione Ricerche.

6

La funzione Sviluppo Risorse fu avviata nel 1984 sotto la responsabilità di Giuseppe Airoldi.

7

Documento «Riflessioni e proposte sul ruolo SDA nel sistema Bocconi», 14 gennaio 1986.

8

Presentazione di Franco Amigoni al Comitato di Gestione, «Visioni ed azioni. Linee guida per lo sviluppo della Scuola di Direzione Aziendale», dicembre 1992.

9

Il processo di ridisegno delle iniziative di general management venne avviato da Salvemini nel 1990 con la costituzione della divisione Sviluppo Direzionale che, in seguito si trasformò nella divisione Imprese (1997).

10

La commissione strategica, composta da Giacomo De Laurentis, Alberto Grando e Fabrizio Pezzani, con il supporto di Andrea Gasparri, operò da gennaio a giugno 2000, sotto la guida di Vincenzo Perrone, consegnando gli esiti del proprio lavoro, come pianificato, entro settembre del medesimo anno (verbale del comitato di direzione, 21 gennaio 2000).

11

A fine 2000 Andrea Sironi venne nominato direttore della DIR (verbale del comitato di direzione, 15 dicembre 2000).

12

Unitamente ai «Teaching Award», premi sulle migliori performance didattiche dei docenti della Scuola.

13

A essi seguì, nel 1985, il corso intensivo per formatori svolto in collaborazione con il CERGAS (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria), che si trasformò nel 1993 in un’iniziativa a catalogo, «Fare formazione».

14

L’iniziativa – voluta da Salvio Vicari, allora responsabile dello sviluppo risorse e da Claudio Demattè e promossa da un gruppo di docenti dell’area Organizzazione – si articolava in diverse aree di intervento: counselling individuale sui problemi di gestione dei processi formativi e di affiancamento in aula per favorire il primo inserimento di giovani docenti; corsi articolati in due livelli in ragione dell’esperienza didattica maturata dai partecipanti; seminari dedicati ai docenti SDA su temi specifici o con testimonianze internazionali; produzione dei Quaderni SIDA; costituzione di una videoteca relativa a tematiche pedagogiche (SISDA, documento di sintesi, 1992).

15

Il corso ACI 2 per molti anni si tenne presso il Castello di Casiglio.

16

Luigi Tava, che nel 1985 aveva lasciato il lavoro in azienda ed era stato preso a tempo pieno in SDA diventando direttore dell’area Metodi quantitativi, nel 1986 assunse anche la responsabilità del master.

17

Vedi M. Draebye, N. Pennarola, «Il caso Bocconi (1968/1985)», in G. Gemelli (a cura di), Scuole di Management. Origini e primi sviluppi delle business schools in Italia, Bologna, Il Mulino, 1997.

18

Il MIEM, inizialmente coordinato da Franco Bruni, dopo numerose edizioni, sarebbe venuto a cessare per l’impatto della riforma universitaria che produsse Master of Science rivolti sostanzialmente allo stesso target, per età e interessi, del MIEM. Il MDA, ribattezzato nel 1990 MBA (Master of Business Administration) avrebbe proseguito da un certo punto in poi con entrambe le aule in inglese.

19

Vedi «Il Piano Bocconi 2000», p. 106.

20

LIMI è l’acronimo di Leningrad International Management Institute. Esso venne poi ribattezzato, nel 1991, IMISP, ovvero International Management Institute of Saint Petersburg. LIMI ebbe subito visibilità in Europa, tant’è che dal 1990 (dopo il crollo dell’URSS) la UE si offrì di sostenere finanziariamente il progetto sollevando così la Bocconi che con ENI aveva finanziato la fase di startup.

21

L’idea di Merkuriev era di fare di IMISP il dipartimento di Management dell’Università di San Pietroburgo. Invece, dopo la sua improvvisa, prematura, scomparsa (1993), subentrò l’idea di sganciarlo dall’Università e di farlo diventare un istituto di formazione manageriale indipendente. Perciò la joint venture venne consensualmente sciolta e la Bocconi donò la sua quota ai dipendenti di IMISP.

22

Con gli inizi del nuovo secolo la bonanza dei progetti internazionali finanziati dalla UE terminò.

23

Tra la metà degli anni Novanta e il Duemila, la Scuola svolse progetti anche in altri continenti. Tra i molti, si rammentano quelli avviati in Argentina, affiancando l’UADE, Universidad Argentina de la Empresa di Buenos Aires, e in Cile, quale partner dell’Università Tecnica Federico Santa Maria di Valparaiso, nel lancio delle loro business school; in Cina, attraverso un consorzio formato da EFMD per l’avvio a Shanghai di CEIBS, China Europe International Business School.

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Il dottorato di ricerca è stato istituito con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 382/1980.

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Verbale del 19 aprile 2002.

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